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LA NORMATIVA EUROPEA ED IL DIRITTO PENALE
NAZIONALE. LE SCOMMESSE CLANDESTINE
di Claudia Fazzari
avvocato in Roma
1. Il principio di legalità
Il principio “nullum crimen, nulla poena sine lege”, contenuto nell’art. 1
del codice penale, secondo cui nessuno può essere punito per un fatto
che non sia espressamente previsto come reato dalla legge, né con
pene che non siano da essa stabilite, ha ricevuto riconoscimento costituzionale con l’art. 25 comma 2° della Costituzione, il quale basa la
potestà punitiva dello Stato esclusivamente “su una legge entrata in
vigore prima del fatto commesso”. La giurisprudenza costituzionale e
quella di merito hanno pacificamente ammesso che l’art. 25 comma 2°
citato della Costituzione ha dato fondamento al principio di legalità in
materia penale, oltre a stabilire l’irretroattività della norma incriminatrice1 . Il primo contenuto di tale principio è dato dalla riserva di legge
in materia penale, vale a dire dall’unificazione delle fonti normative
penali nelle mani del potere legislativo e nel conseguente divieto di
disposizioni penali che abbiano fonte in norme di grado inferiore alla
legge ordinaria e formale, cioè quella formata ai sensi degli artt. 70-74
della Costituzione. La giurisprudenza della Corte Costituzionale ha
inoltre pacificamente ammesso che fonte del diritto penale possono
anche essere i decreti legislativi ed i decreti legge formati ai sensi degli
artt. 76 e 77 Cost. ed aventi appunto “valore di legge ordinaria”2.
È notoria la crescente portata legislativa che di momento in momento acquistano le leggi regionali. Per ciò che concerne le norme di diritto comunitario – quali regolamenti e direttive della Comunità
Europea – mentre illustri giuristi escludono a priori la stessa legittimità
di una loro diretta efficacia nella creazione di fattispecie incriminatrici,
V. BRICOLA, 1981, 247; PICOTTI, “La legge penale”, 9; in giurisprudenza Corte Cost.
14.11.79 n. 127, in GC 1979, 1036.
2
V. Corte Cost. 12.12.63 n. 169 in GC, 1963, 1682.
1
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essendo le sanzioni delle relative violazioni di natura extrapenale
ovvero determinate mediante rinvio a norme penali interne dei singoli
Stati membri3, viene riconosciuta in giurisprudenza una loro diretta efficacia impeditiva dell’applicazione di norme penali interne dei singoli
Stati contrastanti con disposizioni di diritto comunitario direttamente
applicabili4. Si precisa che la disapplicazione può avvenire da parte dello
stesso giudice ordinario anche senza previo ricorso alla Corte di
Giustizia perché “dopo la scadenza del termine stabilito per la attuazione di una direttiva, gli Stati membri non possono applicare la propria
normativa nazionale non ancora adeguata a quest’ultima a chi si sia
conformato alle disposizioni della direttiva stessa”5. Si tratta di un potere che deriva direttamente dai trattati istitutivi della Comunità Europea
e contemporaneamente dall’art. 11 della Costituzione. Tale articolo
affermerebbe infatti il primato del diritto internazionale sul diritto interno, conferendo allo Stato stesso il potere di limitare la propria sovranità.
2. Prospettive di formazione di un diritto penale europeo. Cenni
Circa quaranta anni fa in uno scritto di grande rilievo scientifico H.H.
Jescheck affermava che la costruzione del diritto penale sovranazionale
avrebbe dovuto costituire l’impegno della futura generazione di penalisti6. In
realtà questa ottimistica previsione viene smentita dall’attuale sviluppo
delle competenze della Comunità Europea, poiché, come abbiamo visto,
il diritto penale rientra ancora nelle competenze di ciascun Stato membro. Ma il diritto comunitario esercita molteplici influenze sui sistemi
penali statali: un esempio è dato dall’efficacia disapplicativa attribuita a
regolamenti e direttive, cui si è sopra accennato.
Inoltre, le nuove esigenze di protezione dei possibili oggetti di tutela
penale hanno originato tutta una giurisprudenza della Corte di
Giustizia in materia di garanzia dei diritti fondamentali. La Corte,
V. GRASSO G., 1982, 629.
Principio desunto dal primato del diritto comunitario, affermato dalla Corte di Giustizia
della Comunità Europea, 9.3.78, Simmenthal, FI, 1978, IV, 201.
5
Corte di Giustizia 5.4.79, Ratti, FI, 1979, IV, 277.
6
JESCHECK, Die Strafgezalt ubernationaler Gemeinschaften, in ZStW, 65m 1953.
3
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attraverso una lenta evoluzione giurisprudenziale, è pervenuta alla
conclusione che “i beni giuridici fondamentali” fanno parte di quei
principi generali di diritto di cui essa è chiamata a garantire l’osservanza, e che essa provvede alla tutela di tali diritti ispirandosi alle “tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri ed alle convenzioni
internazionali alle quali essi hanno cooperato ed aderito”7. Sul piano
istituzionale il riconoscimento dei diritti fondamentali nell’ordinamento comunitario ha ricevuto consacrazione nel preambolo
dell’Atto Unico, nella risoluzione del Parlamento Europeo del 12.4.89
e soprattutto nel Trattato sull’Unione Europea, entrato in vigore il 1
novembre 1993. Nel Trattato in menzione il tema dei rapporti tra il
diritto comunitario ed il diritto penale viene considerato come una
delle questioni fondamentali nella vita delle istituzioni comunitarie,
nella prospettiva di una armonizzazione delle disposizioni incriminatrici nazionali con la tutela degli interessi della Comunità. A tal fine,
il Trattato dedica un apposito titolo (il VI) alla cooperazione nei settori della giustizia o degli affari interni, dando vita al c.d. “terzo pilastro” della costruzione europea. Le disposizioni del titolo VI considerano questioni di interesse comune la lotta contro la frode internazionale, la lotta contro la tossicodipendenza, la cooperazione giudiziaria
in materia penale, la cooperazione doganale, la cooperazione a livello
di polizia al fine della prevenzione e della lotta contro il terrorismo, il
traffico illecito di droga ed altre forme gravi di criminalità internazionale. In questi settori è possibile che il Consiglio delle Comunità adotti posizioni od azioni comuni, non certo che emani norme penali, stante il contrasto con il principio di legalità e la insufficiente legittimazione democratica di tale organo.
Fondamentale è quindi il potere spettante alla Corte di Giustizia
Europea di interpretare le norme del Trattato Europeo e di verificare
la lesione dei beni giuridici ivi tutelati da parte di norme legislative
statali, consentendo al giudice nazionale di sospendere il processo
7
Sui riflessi di tale giurisprudenza nel diritto penale, v. GRASSO, La protezione dei diritti fon damentali nell’ordinamento comunitario ed i suoi riflessi sui sistemi penali degli Stati membri, in riv.
int. Dir. Dell’uomo, 1991, 617.
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affinché venga decisa la questione pregiudiziale. Di preciso, è un potere che deriva dagli artt. 177 e 234 del Trattato CE e che autorizza il
magistrato italiano ai sensi dell’art. 479 c.p.p. a sospendere il giudizio
per risolvere la questione concernente l’interpretazione delle norme
del Trattato CE e successivamente gli consente di non applicare l’atto
normativo statale quando questo contrasti con la fonte normativa
comunitaria. L’interpretazione pregiudiziale dettata dalla Corte europea ai sensi dell’art. 234 del Trattato è rilevante e vincolante per il
giudice italiano, in quanto realizza una forma di cooperazione tra giudici nazionali e Corte di Giustizia e configura un meccanismo centralizzato di interpretazione del diritto comunitario teso a garantire la
certezza del diritto8, in tutti i casi in cui si deve fare applicazione della
norma in esame. Il giudice comunitario ha quindi un monopolio interpretativo del diritto comunitario, ma non ha competenza sul diritto
nazionale9, nel senso che non può procedere alla valutazione o alla
qualificazione della fattispecie concreta e delle relative norme di diritto interno 10 e gli rimane preclusa l’applicazione al caso concreto delle
norme comunitarie da essa interpretate11: spetta invece al giudice
nazionale valutare la pertinenza delle questioni di diritto poste dalla
controversia di cui è investito e la necessità di una pronuncia pregiudiziale ex art. 234 12, nonché l’applicazione nel caso da giudicare.
3. Le scommesse clandestine e la sentenza Gambelli della Corte di
Giustizia
Con ordinanza del 30 marzo 2001 il Tribunale di Ascoli Piceno sottoponeva alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, una questione pregiudiziale relativa all’interpretazione degli artt. 43 CE e 49 CE. La questio-
Così recita la sentenza delle Sezioni Unite di Cassazione n. 23272/04, oltre esaminata.
Corte di Giustizia, sentenza 1.12.65, causa C-33/65.
10
Corte di Giustizia, sentenza 3.2.77, causa C-52/76, Benedetti; Corte di Giustizia, sentenza
29.4.82, causa C-17/81, Pabst.
11
Corte di Giustizia, sentenza 11.7.85, causa C-137/84, Mutsch; da ultimo Corte di Giustizia,
sentenza 11.9.03, causa C-6/01, Anomar.
12
Corte di Giustizia, sentenza 27.10.93, causa C-172/92, Enderby.
8
9
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ne veniva sollevata nell’ambito di un procedimento penale a carico
del Sig. Gambelli e di altri 137 indagati accusati di aver organizzato
abusivamente scommesse clandestine. In particolare si rilevava l’esistenza di una organizzazione diffusa di agenzie italiane, collegate via
Internet con il bookmaker Stanley International Betting Ltd con sede
in Liverpool, e si contestava al Gambelli ed agli altri di aver collaborato sul territorio italiano con un bookmaker straniero nell’attività di
raccolta di scommesse di regola riservata per legge allo Stato, in violazione della Legge 401/89. Tale attività, considerata in contrasto con il
regime di monopolio sulle scommesse sportive attribuito al CONI, si
svolge con le seguenti modalità: comunicazione da parte del giocatore
al responsabile dell’Agenzia italiana delle partite sulle quali intende
scommettere e indicazioni della somma giocata; invio da parte della
predetta agenzia, via Internet, della richiesta di accettazione al bookmaker con indicazione degli incontri di calcio nazionali in questione
e conferma dell’accettazione della scommessa; trasmissione di tal conferma, da parte dell’agenzia italiana, al giocatore e pagamento di quest’ultimo del corrispettivo dovuto all’agenzia, inoltrato poi al bookmaker su apposito conto estero. Giova sapere che la Stanley è una
società di capitali di diritto britannico registrata nel Regno Unito e
che svolge attività di bookmaker sulla base di una licenza rilasciata
dalla Città di Liverpool ai sensi del Betting Gaming and Lotteries Act,
con facoltà di svolgere tale attività nel Regno Unito ed all’estero. La
Stanley paga le imposte previste nel Regno Unito ed è soggetta a controlli rigorosi quanto alla regolarità delle attività svolte, controlli effettuati da una società privata di revisione nonché dall’Inland Revenue
e dal Customs & Excise. La presenza della Stanley in Italia si concretizza in accordi commerciali con intermediari italiani, relativi alla
creazione di centri di trasmissione dati in cui – come si è accennato –
si pongono a disposizione degli utenti alcuni mezzi telematici per la
raccolta delle scommesse. I titolari delle agenzie italiane sono iscritti
alla Camera di Commercio, quali proprietari di imprese per l’avvio di
un centro di trasmissione dati e sono autorizzati dal Ministero delle
Poste e Comunicazioni alla trasmissione di dati.
Il Tribunale di Ascoli Piceno, investito del riesame relativo ad un
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decreto di sequestro preventivo di alcune agenzie Stanley, decideva di
sottoporre alla Corte di Giustizia la seguente questione pregiudiziale:
“se vi sia incompatibilità, con conseguenti effetti nell’ordinamento giuridico
interno, tra gli artt. 43 e segg. e 49 e segg. del Trattato CE in materia di
libertà di stabilimento e di libertà di prestazione dei servizi trasfrontalieri, da
un canto, e, d’altro canto, una normativa nazionale quale quella italiana di
cui agli artt. 4 comma primo e segg., 4 bis e 4 ter della legge 401/89 (come
modificata dalla legge 388/00) contenente divieti – penalmente sanzionati –
di svolgimento delle attività, da chiunque e ovunque effettuate, di raccolta,
accettazione, prenotazione e trasmissione di proposte di scommessa, in par ticolare su eventi sportivi, in assenza di presupposti concessori e autorizza tori prescritti dal diritto interno”.
4. Contesto normativo nazionale e comunitario
• Ai sensi dell’art. 88 del regio decreto 773/31 (Testo unico leggi di
Pubblica Sicurezza)13, non può essere concessa licenza per l’esercizio di
scommesse, salvo alcune eccezioni, quando l’esercizio delle scommesse
costituisce una condizione necessaria per l’utile svolgimento della gara.
• Ai sensi dell’art. 37 Legge Finanziaria 388/0014, la licenza di esercizio delle scommesse è accordata solo ai concessionari o autorizzati da
un ministero o altro ente al quale la legge riserva la facoltà di organizzare o accettare scommesse. Le scommesse possono riguardare tanto il
risultato di eventi sportivi posti sotto il controllo del CONI, quanto il
risultato delle corse di cavalli organizzate tramite l’UNIRE.
• L’art. 4 (che persegue l’esercizio abusivo dell’organizzazione di scommesse che la legge riserva allo Stato o ad altro ente concessionario, nonché chi organizza scommesse su attività sportive gestite dal CONI o
dall’UNIRE, chi ne fa pubblicità o partecipa all’attività di scommessa),
l’art 4 bis (che persegue chiunque, privo di concessione, autorizzazione
o licenza ai sensi dell’art. 88 TUPS, svolge in Italia qualsiasi attività
organizzata al fine di raccogliere scommesse anche per via telefonica o
13
14
In GURI del 26.6.31 n.146.
In GURI del 29.12.00 supplemento ordinario.
76
telematica) e l’art. 4 ter (che persegue chiunque effettui la raccolta di
scommesse per via telefonica o telematica ove sprovvisto di apposita
autorizzazione all’uso di tali mezzi) della legge 401/8915 come modificata
dalla legge 388/00 completano il quadro normativo nazionale.
• L’articolo 43 Trattato CE (che prevede il divieto delle restrizioni alla
libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un
altro Stato membro, divieto esteso alle restrizioni relative all’apertura di
agenzie, succursali e filiali, e prevede l’accesso alle attività non salariate ed
al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese alle condi zioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei pro pri cittadini), l’articolo 48 (che prevede per le società costituite conforme mente alla legislazione di uno Stato membro ed aventi la sede sociale, l’am ministrazione centrale o il centro di attività principale all’interno della
Comunità, l’equiparazione alle persone fisiche aventi cittadinanza degli Stati
membri), l’articolo 46 (che prevede l’impregiudicata applicabilità delle
disposizioni giustificate da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e
sanità pubblica o instauranti un regime particolare per i cittadini stranieri),
l’articolo 49 (che vieta le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all’in terno della Comunità, nei confronti dei cittadini stabiliti in un paese della
Comunità che non sia quello destinatario della prestazione) costituiscono
il quadro normativo comunitario in materia.
5. La pronuncia della Corte emessa il 6 novembre 2003
La Corte di Giustizia, pronunciandosi sulla questione sottopostale dal
Tribunale di Ascoli Piceno, dichiara: “una normativa nazionale contenente divieti – penalmente sanzionati – di svolgere attività di raccolta, accettazione, prenotazione e trasmissione di proposte di scommessa, relative, in particolare, a eventi sportivi, in assenza di concessione o autorizzazione rilasciata dallo Stato membro interessato,
costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento ed alla libera
prestazione dei servizi, previste rispettivamente agli artt. 43 CE e 49
15
In GURI del 18.12.89 n. 294.
77
CE. Spetta al giudice del rinvio verificare se tale normativa, alla luce
delle sue concrete modalità di applicazione, risponda realmente ad
obiettivi tali da giustificarla e se le restrizioni che essa impone non
risultino sproporzionate rispetto a tali obiettivi”16.
La Corte osserva nella motivazione che la normativa italiana sulle
scommesse, ed in particolare l’art. 4 l. 401/89, costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento ed alla libera prestazione di servizi, e
che tale restrizione può essere ammessa solo a titolo di misure derogatorie previste dagli artt. 45 e 46 CE, ovvero se giustificata da motivi
imperativi di interesse generale. Richiamandosi alla propria giurisprudenza ed alle osservazioni presentate in giudizio dagli Stati membri,
ricorda che non possono considerarsi tali la riduzione delle entrate
fiscali17, le considerazioni di ordine morale, religioso, culturale, nonché le conseguenze dannose per l’individuo o la società collegate alle
scommesse18 . In ogni caso per risultare giustificate, le restrizioni debbono presentare i requisiti previsti dalla giurisprudenza della Corte:
devono essere basate su motivi di interesse generale, devono essere
idonee a garantire il conseguimento dello scopo perseguito ed in terzo
luogo non andare oltre quanto necessario per il raggiungimento dell’obiettivo. Comunque devono essere applicate in modo non discriminatorio. Nelle sentenze già emesse in materia di attività di giuoco19, la
Corte ricorda di aver considerato giustificabili le esigenze di tutela del
consumatore e la prevenzione della frode, in quanto fondate anche sulla
necessità di prevenire turbative all’ordine sociale, purché le attività di
scommessa fossero limitate in modo coerente e sistematico. Non esita a
rilevare, tuttavia, che l’autorità italiana persegue una politica di forte
espansione del gioco, allo scopo di raccogliere fondi (come attestano i
lavori preparatori della legge 388/00) e che quindi il giudice di rinvio
deve valutare se la sanzione penale di cui agli articoli richiamati sia spro-
Corte di Giustizia, sentenza 6.11.03, causa C-243/01, Gabelli.
Corte di Giustizia, sentenza 16.7.98, causa C-264/96, ICI, Racc. pag. I-4695, punto 28.
18
Corte di Giustizia, sentenza 21.10.99, causa C-67/98, Zenatti, Racc. pag. I-7289; sentenza
24.3.94, causa C-275/92 Schindler, Racc. pag. I-1039; sentenza 21.9.99, causa C-1124/97,
Laara, Racc. pag. I-6067.
19
V. sentenze Zenatti, Schindler e Laara, menzionate.
16
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78
porzionata, visto che lo stesso Stato italiano incoraggia al gioco e alle
scommesse, laddove organizzate dal CONI o da altri enti autorizzati.
Un’attenta lettura della sentenza, in effetti, attenua le clamorose reazioni degli operatori Stanley. Da una parte, nell’immediato la sentenza
emessa in Lussemburgo non cambia la sostanza della legislazione italiana, che per essere modificata necessita di un intervento parlamentare o
governativo di modifica, anche se è vero che i vari magistrati italiani,
chiamati in causa in occasione dei sequestri sulle agenzie Stanley, acquistano la facoltà di rifarsi al dettato della Corte e di disapplicare la legge
italiana. Tuttavia, in molti20 hanno ribadito che la Corte di Giustizia
non si è allontanata dai precedenti giurisprudenziali (ad es. la sentenza
Zenatti rispetto alla quale ha coinvolto innovativamente anche la
libertà di stabilimento ex art. 43 CE), garantendo l’esistenza ed il mantenimento di norme nazionali restrittive. A ben vedere, lo Stato italiano non limita le occasioni di gioco ma incanala il desiderio di giocare
nei circuiti controllati, previo controllo dei requisiti previsti dal TUPS
e rilascio di autorizzazione da parte dell’autorità di PS.
6. La sentenza 23272 del 26.4.04 emessa dalle Sezioni Unite di
Cassazione
Le Sezioni Unite penali della Cassazione, intervenute in sede di ricorso
contro l’annullamento del sequestro preventivo di un’agenzia Stanley
emesso dal Tribunale del riesame di Frosinone, ritengono che la esigenza di prevenzione della criminalità e la tutela dell’ordine pubblico possono giustificare una restrizione dei principi comunitari. Il diritto comunitario, infatti, salvaguarda il potere di ricorrere alla sanzione penale per
rafforzare precetti imposti o consentiti dallo stesso diritto.
Il richiamo, da parte del difensore della Stanley, alla decisione della
Corte di Giustizia Gabelli e l’asserita mancanza nella normativa italiana di obiettivi tali da giustificare le restrizioni imposte alle attività di
raccolta di scommesse, ha indotto la Corte di Cassazione ad assegnare il
V. Convegno i nuovi orientamenti della UE in materia di gioco pubblico, intervento
dell’Avv.to dello Stato Maurizio Greco, in Forum PA 2004.
20
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ricorso alle Sezioni Unite. Infatti, la sezione assegnataria ravvisava
accenti di novità nella citata decisione Gabelli, rispetto alle precedenti
sentenze della Corte di Giustizia Europea, in base alle quali la Corte di
Cassazione aveva costantemente ritenuto la compatibilità della legislazione italiana rispetto ai principi tutelati nel diritto comunitario.
La decisione in esame ha rilevato elementi di novità in alcuni passaggi argomentativi della motivazione della sentenza Gabelli, in modo
particolare laddove prende in esame alcuni motivi di restrizione di cui
il giudice nazionale deve valutare la portata giustificativa. Come si è
visto, la Corte di Giustizia esclude le finalità fiscali o l’esigenza di
finanziare attività sociali con i proventi delle scommesse, al contrario
ritiene valide le esigenze di carattere sociale o criminale, quali la tutela del consumatore, la prevenzione della frode, il contenimento della
propensione al gioco, ma solo se idonee allo scopo e perseguite in
modo coerente e sistematico. Ma le Sezioni Unite ritengono che l’argomentazione più suggestiva sia fornita dalla Corte di Giustizia laddove sottolinea che lo Stato italiano persegue una politica di forte espansione al gioco per raccogliere fondi e che pertanto non può invocare
l’ordine pubblico e sociale con riguardo alle necessità di ridurre le
occasioni di gioco al fine di giustificare le proprie norme restrittive. E
invero, ammettono le Sezioni Unite, non si può negare che l’Italia
abbia perseguito una politica chiaramente espansiva in questo settore,
per incrementare il gettito fiscale. Tuttavia, questa politica espansiva,
se pur contraddice lo scopo sociale di limitare la ludopatia, è conforme all’obiettivo di evitare le infiltrazioni criminali: non è cioè incompatibile con i motivi di ordine pubblico e di pubblica sicurezza previsti dallo stesso Trattato CE.
L’ultimo elemento di innovazione evidenziato dalla Gabelli consiste –
secondo la sentenza della Cassazione – nell’invito ad effettuare un
esame delle sanzioni penali in materia di scommesse, esame relativo
alla loro adeguatezza e proporzionalità rispetto allo scopo di tutela dell’ordine pubblico. Le Sezioni Unite ritengono a tal proposito che il
giudizio di congruità della sanzione penale debba essere lasciato alla
discrezionalità politica del legislatore, essendo sottratto alla valutazione del giudice. Costui, quando sia chiamato a compiere questa valuta-
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zione di congruità, non può comunque fare a meno di ricorrere alla
sanzione penale per rafforzare precetti imposti o consentiti dallo stesso diritto comunitario, anche perché il bilanciamento degli interessi in
gioco nella soggetta materia si presenta talmente delicato da giustificare il ricorso a strumenti più o meno intensi di deterrenza penale.
7. Conclusioni
Solo l’applicazione concreta della sentenza della Corte di Giustizia ci
dirà quali saranno i progressi della materia. Bisognerà pertanto attendere le sentenze irrevocabili della magistratura, per sapere se nel caso
concreto verranno raccolte le indicazioni delle Sezioni Unite o se
verrà disapplicata la normativa italiana, con conseguente proscioglimento degli imputati 21. Attualmente possiamo limitarci a registrare le
esultanze della Stanley, secondo cui la pronuncia della Corte di
Giustizia ha pienamente ammesso la concorrenza on-line dell’operatore straniero22. Restano le perplessità derivanti dalla constatazione
che tale concorrenza implicherebbe una ridistribuzione antisociale dei
fondi raccolti tramite il gioco, dal momento che tali fondi tenderebbero a spostarsi da paesi in cui il complesso degli importi delle scom-
Per correttezza nei confronti del lettore, l’Autore intende omettere l’indicazione delle pronunce, di carattere ambivalente, dei giudici che hanno già esaminato la questione Stanley, sia
perché nella maggior parte dei casi si tratta di provvedimenti relativi alle mere questioni cautelari (impugnazioni dei sequestri) o al solo rinvio a giudizio, sia perché al momento non è
possibile formulare un giudizio di prevalenza di un orientamento giurisprudenziale rispetto ad
un altro. Si è ritenuto preferibile, quindi, attendere che il quadro giurisprudenziale venga definito con delle sentenze irrevocabili e menzionare – esclusivamente in nota – alcune pronunce di cui i protagonisti della querelle hanno reso nota per sommi capi la motivazione.
22
Si registrano numerosi dibattiti sulle testate giornalistiche e via Internet in relazione alle
sentenze menzionate. In replica ad un precedente commento che valutava la attività della
Stanley come contraria alla legislazione vigente, Il Giornale del 24 agosto 2004 ha pubblicato una lettera dell’Avv.to Daniela Agnello, legale della Stanley, in cui quest’ultimo ribadisce
la liceità dei centri trasmissione dati collegati con Stanley International Betting e fa presente quanto segue: “Sia prima che dopo la sentenza delle Sezioni Unite Penali della Corte di
Cassazione, numerosi giudici si sono apertamente dissociati dalle relative conclusioni, hanno
disapplicato la normativa italiana, escluso il reato, disposto il dissequestro e consentito l’attività delle agenzie collegate con il bookmaker inglese. Il Tribunale di Catania, a titolo esemplifi cativo, in data 25.6.04 ha testualmente affermato che: con tutta evidenza devono ritenersi diretta 21
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messe è modesto, a paesi in cui tale importo è più considerevole e
quindi l’ammontare dei premi è più interessante23.
Esiste, infine, il pericolo che venga avviata una procedura di infrazione nei confronti dello Stato italiano, per violazione agli obblighi del
Trattato CE in materia di stabilimento e di libera prestazione dei servizi. A tal proposito, per completezza, è necessario accennare che la
Commissione delle Comunità Europee ha presentato un ricorso in tal
senso. È indubbio che gli sviluppi futuri della situazione in esame,
sotto molteplici aspetti, si riveleranno di particolare interesse e di
notevole risonanza.
mente efficaci le disposizioni del Trattato CE…la cui applicazione è dunque obbligatoria per il giudi ce, come per le amministrazioni statali. Nonostante il tenore della motivazione della richiamata pro nuncia delle Sezioni Unite di Cassazione, questo Tribunale rimane tenuto ad accertare in concreto se
la normativa italiana in materia di scommesse sia finalizzata realmente a tutelare l’ordine pubblico e
quindi a valutare la proporzionalità e l’adeguatezza delle restrizioni rispetto agli scopi perseguiti (…).
Pertanto, una volta riconosciuta l’incompatibilità della normativa italiana, ne consegue l’obbligo per
questo giudice di non applicazione sia della norma primaria, che di quella sanzionatoria, di cui all’art. 4
bis L.401/89 (sotto questo profilo non condividendosi affatto l’interpretazione operata dalla Suprema
Corte nella sentenza da ultimo richiamata). Il provvedimento impugnato risulta emesso in difetto dei
requisiti di legge e deve essere per ciò annullato. In risposta a queste parole, Il Giornale, nella persona del giornalista Filippo Grassia, precisa che alla luce della sentenza della Corte di Cassazione
l’atteggiamento della Stanley può definirsi contrario alla legislazione vigente e ricorda la decisione con la quale il 26.05.04 il GIP presso il Tribunale di Roma disponeva il rinvio a giudizio
di 62 imputati fra cui vari gestori Stanley per violazione dell’art. 4 della legge 401/89.
23
È evidente l’efficacia distorsiva di questo fenomeno che in alcuni Stati renderebbe necessario finanziare altrimenti l’azione sociale pubblica, aumentando inevitabilmente le imposte.
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