il convoglio dei ricordi - Obiettivo Sicurezza

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il convoglio dei ricordi - Obiettivo Sicurezza
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INSIEME AI POMPIERI
Michele Smargiassi
DC9
il convoglio dei ricordi
L’aereo
che non atterrò
mai,
in viaggio
verso Bologna
Torna a casa con la testa in avanti, sdraiato su
scudi di metallo, lentamente, solennemente, come
un antico guerriero del nord, il Dc9 dell’Itavia che
in guerra non immaginava di dover andare, ma fu
una guerra a cercare lui, una guerra segreta, sempre
negata, ma così vera che lo distrusse.
L’aereo che non atterrò mai scivola nell’alba, tra il
grano e i girasoli della campagna toscana, ricomposto
come se fosse ancora intero: prima il muso, poi un
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pezzo di carlinga, poi l’altro, poi le ali ripiegate
l’una sull’altra come un uccello ferito, infine la
coda. Sembra quasi, ancora, un aereo vero. Un
sudario di cellophane vela le sue forme, lascia
intravedere oblò, scritte, alettoni, ma sfuma la terribile
verità che tutti sanno: è solo un mosaico di frammenti, un simulacro di aereo, il puzzle di duemila
pezzi di un corpo maciullato, metafora d’altri
corpi. Anche così, però, il vigile del fuoco Maurizio
Doddi, che guiderà il primo dei sette autosnodati
su cui, ventisei anni dopo la strage senza colpevoli,
il volo IH870 compie finalmente il suo viaggio di
ritorno, si sente più pilota che autista: “Sembra di
avere ancora a bordo quelle persone...”. I vigili del
fuoco in ser vizio non piangono: ma i brividi sulle
braccia sono ammessi. “Mi sento dentro come
quando sono andato per il terremoto di San
Giuliano”.
Nel buio piazzale di Pratica di Mare si aspetta la
mezzanotte con qualche sigaretta e parecchia
emozione. È arrivata la notte attesa da un mese,
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forse il più emozionato di tutti è Romolo Musilli,
unico vigile senza divisa, in giacca e cravatta, non
per snobismo, viene direttamente da una festa di
nozze, non ha voluto rinunciare ad essere qui stanotte,
dopo aver diretto per settimane i preparativi.
I vigili del fuoco sono una congrega prevalentemente
maschile. Ma non può essere un caso se questa
notte saranno due donne, due donne ingegneri, a
scambiarsi a distanza le spoglie del relitto: Clara
Modesto, dei vigili del fuoco di Roma, che l’ha
smontato nell’hangar di Pratica di Mare, dove era
stato ricomposto sedici anni fa dopo il ripescaggio
dal fondo del Tirreno; e Raffaela Bruni, del comune
di Bologna, che tra pochi giorni lo ricomporrà nel
museo della memoria di via Saliceto. Tocca alle
donne, da Antigone in poi, dare legittima requie ai
cadaveri insepolti per ingiustizia.
E la cronaca di questo lungo viaggio notturno e
mattutino di undici ore si trasforma senza che
nessuno lo voglia nella liturgia di un funerale da
tragedia classica. È un tempio greco il grigio
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capannone di lamiera nella base dell’aeronautica
di Pratica di Mare, immersa nella notte dell’Agro
Pontino. A mezzanotte e mezza, quando le por te
si aprono quasi da sole, e la luce irrompe fuori,
sembra la scena sublimata di un par to degli dèi.
Nel silenzio indaffarato di sagome che s’incrociano
nel buio, i mezzi rosso fiamma dei pompieri, già
stivati, compaiono schierati in fila, immobili, ieratici.
Tenuta lontano da un cor tese cordone di divise,
una slanciata giovane signora bruna aguzza la vista.
È Elena De Domincis, sorella dell’hostess del volo
maledetto. “È la prima volta che vedo l’aereo dopo
ventisei anni”, la voce ha un tremito, “finalmente
ho un luogo dove immaginare Rosa”. Per un quar to
di secolo ha avuto solo il mare. E c’è Gianfranco
Fontana, fratello di Enzo, il co-pilota, l’ultima voce
nelle registrazioni di quella sera, l’uomo che gridò
quel “gua...” che forse era un “guarda!”, e indicava
la cosa che nessuno è riuscito a provare cosa sia,
ma che ormai tutti chiamano missile, che uccise
ottantuno persone in un istante.
All’una il corteo funebre di trecento metri, quindici
mezzi e cento uomini che le gracchianti radio dei
vigili chiamano “colonna” (anche questo in fondo
ha un suono classico) si mette in moto, avanza,
si ferma, sembra esitare. Bisognerà prendere bene
le misure di questo serpente rosso di quindici
automezzi, che anche stretti uno dopo l’altro
occupano duecento metri di strada. I lampeggianti
forano l’ombra come lucciole blu. Poi, con uno
scatto risoluto, come riscuotendosi dall’indecisione,
si mette in marcia, varca i cancelli della base militare,
trova il suo passo lento verso nord, sfiorando le
fronde dei pini marittimi sulla Pontina, poi
imboccando il raccordo anulare, poi finalmente
l’autostrada. Sono quasi le due, ma prima del
casello ci si ferma, si scende, si fa una piccola
assemblea: ora comincia il viaggio vero, bisogna
essere sicuri di quel che si fa. La carlinga misura
oltre quattro metri di diametro, occuperà due
corsie: per undici ore il convoglio sarà un tappo
che lentamente risalirà il collo di bottiglia dell’A1,
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bloccandola man mano. Non un drammatico disagio,
per for tuna: dopo una mezz’ora i piloti hanno già
preso le misure, si viaggia ai settanta-ottanta, dietro
non s’accumulano mai più di duecento metri di auto in
coda, lasciate defluire ogni tanto dalla Polstrada
con oppor tune soste strategiche agli autogrill. “Un
trasporto due volte eccezionale”, dice il capocolonna,
il comandante dei vigili del fuoco Gregorio
Agresta, “ma spero sia il primo e l’ultimo del suo
genere”, e non allude ai disagi al traffico.
I pompieri sono una congrega maschile, quindi
facile agli scherzi, ma non questa sera. Luigi
Costantini, per un mese smontatore, stanotte autista,
tocca il grande volante del suo Scania col rispetto
che si deve alle cose sacre. Antonio Trifiletti, che
chiude il cor teo, confessa che prima di par tire ha
voluto rivedere il film Il muro di gomma. Le polo
rosso-mattone dei vigili, tutte uguali, li fanno somigliare
a sacerdoti. Giorgio Alocci, ingegnere della logistica,
ogni tanto impar tisce via radio sommessi semplici
ordini, “chiudi, allunga”, che sembrano versetti; e in
sottofondo, come una litania, RadioDue trasmette
la lunghissima (sei ore) diretta del programma
Caterpillar, chiamando all’altare del microfono i
protagonisti del più misterioso dei misteri d’Italia:
il pm Priore, il cantore Paolini, la patrona delle vittime
Bonfietti, i periti, gli avvocati, i giornalisti...
Il rito fa il suo dovere. Tutto funziona. Brivido calcolato
a Or te, dove ci sono solo sei centimetri tra il
ponte ferroviario e la punta della coda del Dc9.
Solo verso le sei del mattino, all’uscita di una galleria
vicino ad Arezzo, una scaglia della martoriata fusoliera
si stacca dal suppor to e vola sull’asfalto: subito
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recuperata. Perfino gli incolonnati, costretti a
dimezzare la velocità non protestano. Qualche
volta una mano esce dal finestrino, ma per scattare
una foto col cellulare. Quando, ormai verso l’alba,
si affronta il passaggio più delicato, il tratto appenninico
dell’A1, pieno di cur ve e di cantieri, la confidenza
è ormai salda. Per festeggiare il nuovo giorno, ci si
scambiano suonerie dei cellulari via radio. La tensione
è ormai sfumata, resta l’ultimo sforzo. Occhio
all’orologio: tabella di marcia più che rispettata:
per non arrivare troppo presto sarà sosta lunga al
Cantagallo. Alle 8.09, scavallato il crinale, il Dc9
inizia la sua ultima discesa. Il benvenuto lo dà il
rumore dei due elicotteri che sorvegliano e insieme
documentano dall’alto l’arrivo della colonna. A
Bologna è di nuovo sole caldo quando la processione
imbocca la tangenziale. E ci sono i bolognesi a
salutarla, dai balconi dei cavalcavia, dai bordi della
strada. Non molti, ma commossi. I cittadini
dovranno pazientare ancora per qualche mese: il
museo della memoria (più monito che monumento,
più cenotafio che mausoleo) sarà pronto per
l’anniversario 2007. Il “convoglio che sconvolge”,
come l’ha definito l’attore Alessandro Bergonzoni,
è finito. I sacerdoti in polo si comunicano con
aranciate e panini prima del rientro. La messa
laica è finita. La pace per i mor ti di Ustica ancora
non c’è.