Intervista a Mario Crosta pubblicata su Carta.

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Intervista a Mario Crosta pubblicata su Carta.
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Mutua
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Intervista a Mario Crosta di E. M.
«
a crisi potrebbe servire a riscrivere le regole del credito e del modo di fare banca – dice Mario Crosta, direttore generale di Banca
Etica – Sembra però che tanto nelle analisi quanto nelle soluzioni che si cercano, questo livello di riflessione venga tenuto a debita distanza». Può
sembrare paradossale parlare con Banca Etica dello tsunami finanziario che ha bruciato centinaia di miliardi di euro e di dollari. Crosta, però, già nel 2004 avvertiva del rischio dei derivati e della finanza che di creativo ha ben poco. Ora si trova,
assieme al presidente Fabio Salviato, a traghettare la più originale banca italiana
in mezzo a una crisi non solo tecnica ma anche, appunto, etica. «Credo che ci siano due considerazioni da fare – dice Crosta – La prima riguarda la divaricazione tra
l’economia reale e la finanza, che ormai ha raggiunto un livello parossistico. Questo ha cambiato il modo di pensare al credito: non
più uno strumento di accompagnamento per proFOTO EIDON
getti di sviluppo, ma un modo per creare ricchezza sulla carta. Il secondo aspetto, più specifico, che
riguarda la conduzione di banche e finanziarie, è lo
scarso rispetto, la poca attenzione riservata al cittadino. Da qui viene la scelta di collocare sul mer-
Come il direttore generale di Banca Etica analizza la crisi finanziaria globale.
Una strana banca con uno strano punto di vista: un controllo sovranazionale,
un’altra idea di sviluppo economico e una informazione indipendente
cato titoli ad alto rischio il cui unico scopo era quello di aumentare il profitto delle banche, senza tenere presenti né le necessità né le caratteristiche delle persone».
Non è dunque, secondo te, una crisi limitata a un
certo tipo di titoli?
Si continua a parlare di crisi dei subprime, ma i subprime sono stati solo il detonatore di una crisi che
è di sistema, determinata da questa ingordigia di
profitti, che ha portato alla astrattezza del sistema
finanziario, diventato un meccanismo per creare
valore virtuale. Ora, però, quando si dice «tornare
al ruolo dell’economia reale», bisogna tenere presente che non si tratta solo di fabbriche, ma anche
per esempio, di turismo, di investimenti in cultura,
perfino di economia sociale. Tutto quello che insomma crea un valore che non stia solo nelle alchimie dei titoli.
C’è secondo te uno specifico italiano, in questa crisi, o il capitalismo italiano, provinciale e familiare, rischia di salvarsi proprio per la sua chiusura?
La specificità italiana sta proprio in questo, l’arretratezza del sistema comporta che ci sia un’esposizione meno importante nell’ambito dei derivati e
della finanza più spinta. Questo però può essere al
massimo un colpo di fortuna, non significa che le
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cose vadano bene. Il sistema finanziario italiano è
asfittico, la capitalizzazione della Borsa di Milano è
molto ristretta rispetto alle dimensioni dell’economia.
Anche da questo punto di vista, riteniamo, come Banca Etica, che si debba riformare il sistema. La finanza non va demonizzata, ma compresa e usata in funzione di un modello di sviluppo che metta al centro la
persona e le attività economiche che sono fatte per il
bene comune. Penso per esempio alla possibilità di sostegno al terzo settore, non con uno spirito assistenziale ma come volano per la creazione di posti di lavoro. O penso a quello che si potrebbe fare per il sud
del paese e per incoraggiare quelle forme di economia
che cercano di sottrarsi anche alla logica delle mafie.
Il credito, le banche, la finanza potrebbero essere al
servizio di uno sviluppo economico di qualità e non
solo di quantità. Se anche l’Italia dovesse essere risparmiata dal peggio di questa crisi, ciò non esime il
sistema dal dover ripensare le proprie regole.
In sostanza, dici che questa crisi potrebbe essere
un’occasione per ripensare i sistemi del credito e il
sistema bancario?
ISLAM Dal 13 al 17 ottobre a Istanbul si è svolto il Forum
internazionale della finanza islamica, che offre investimenti
«halal», cioè rispettosi dei precetti dell’Islam, e osserva
la proibizione coranica della riba, ossia dell’interesse.
FOTO EMBLEMA
Esattamente. È proprio nei momenti di crisi che bisogna trovare le energie progettuali per evitare che i disastri si possano ripetere o per approntare dei salvagente da tirar fuori quando si ripetono.
Non sembra che gli interventi dei governi vadano in
questa direzione. C’è secondo te il rischio che a pagare le conseguenze di questa crisi siano proprio i singoli risparmiatori o le piccole imprese, per le quali il
credito potrebbe diventare più caro e difficile?
Questo è l’altro capitolo della questione su cui noi stiamo insistendo da tempo. Le norme di vigilanza bancaria del sistema di Basilea indicano, per esempio, che
l’impresa a carattere sociale è considerata a rischio
massimo, per definizione. Ciò vuol dire che per ogni
euro investito in un’impresa sociale la banca che investe deve avere una copertura equivalente. Per le imprese non-sociali, cioè destinate a produrre profitti,
questo principio non vale, la copertura varia, può essere del 70 per cento o perfino del 30. E invece sono
proprio le «imprese» considerate a basso rischio quelle che stanno saltando. Allora, il nostro suggerimento è che forse è il caso di ripensare questi criteri, elaborati solo sulla base di una visione quasi autistica
della finanza e del credito. Dall’altra parte, le regole
contabili adottate ormai a livello internazionale pri3 2 • C A R TA N . 3 8
vilegiano la «quotabilità» e la «commerciabilità» delle aziende e non considerano la storia di un’impresa,
che può avere momenti alti e momenti bassi pur restando sostanzialmente sana. Di nuovo, queste regole sono messe in discussione proprio da chi ha spinto perché diventassero dominanti. Infine, occorre un
meccanismo, un’authority di controllo sopranazionale. Perché anche l’incertezza e le differenze tra un paese e l’altro lasciano spazio alla speculazione e rendono più difficile intervenire, con il rischio concreto che
centinaia di miliardi di dollari e di euro vengano letteralmente buttati.
La crisi, d’altra parte, sta facendo aumentare l’attenzione verso altre forme di finanza come la vostra.
Possono essere esperimenti di costruzione di un rapporto più sano con il denaro?
Ormai ci sono molti rapporti, anche di grandi istituzioni finanziarie internazionali, su questi temi. Per
esempio il microcredito sta attirando molta attenzione, tanto che qualcuno inizia a guardarlo come un’alternativa seria al credito tradizionale o perfino agli
aiuti pubblici allo sviluppo. Dal nostro punto di vista,
più aumentano le quantità di denaro impegnate in
queste attività meglio è. Però c’è il rischio che perfino queste forme di finanza alternativa vengano viste
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Mattoni di finanza pulita
di G. Ca.
L 16 NOVEMBRE 2008 la cooperativa Mag 6, una delle prime mutue per
l’autogestione che in Italia hanno diffuso i principi e gli strumenti della cosiddetta finanza etica, compie vent’anni. Ma i motivi per fare festa
a Reggio Emilia sono anche altri: il 2008 è l’anno nel quale la libreria Infoshop Mag 6 compie dieci anni e la rivista Pollicino Gnus ne compie quindici. Insomma, i circa duecento progetti che la Mag ha finanziato in questi anni [tra i quali una delle esperienze di microcredito più importanti realizzate in Italia, quella della comunità delle Piagge di Firenze: http://fondoetico.blogspot.com/] sono stati accompagnati anche da iniziative che favoriscono la cultura della finanza critica, compreso il sostegno a Carta. Per
questi motivi da ottobre a dicembre sono molti gli appuntamenti organizzati dai soci di Mag 6: spettacoli teatrali, presentazioni di libri, video proiezioni, dibattiti [e domenica 26 ottobre c’è l’assemblea con tutti i soci, in
attesa della grande festa finale del 26 novembre al centro sociale Rosta Nuova: www.mag6.it, tel./fax 0522 454832].
Compleanno importante anche per un’altra Mag «storica», quella di Verona, che in dicembre compie invece trent’anni [www.magverona.it]. Le
I
Molte Mag, le finanziarie etiche,
festeggiano anniversari:
che cosa faranno da grandi?
come un modo per diversificare gli impegni degli istituti bancari o per aumentarne ancora i profitti, mentre non dovrebbero essere sganciati da un’idea di qualità dello sviluppo che si vuole. È importante che tutto il parlare di queste settimane attorno all’etica trovi una rapida traduzione in norme che ne facciano un
valore strutturale. Per ottenerlo, però, dovrebbe essere un maggior distacco tra la finanza e la politica,
troppo suddita e incapace di articolare un discorso sul
modello di sviluppo.
E i media?
Lo stesso distacco ci dovrebbe essere con i media, perché è fin troppo facile sospettare della buona fede dei
giornali che sono quotati in borsa, quando si tratta di
dare o non dare notizie che possono influenzare il corso delle loro stesse azioni. È un altro aspetto della questione dell’indipendenza dei controlli. I media dovrebbero avere questo compito, e regole più chiare aiuterebbero anche la presenza di una stampa indipendente. Anche in questo caso, invece, che vi riguarda peraltro direttamente, le paventate novità normative
non vanno nel senso che sarebbe utile e auspicabile.
E cioè quello di creare e incoraggiare l’informazione
che ha per obiettivo un tipo diverso di impresa, un tipo diverso di sviluppo e di relazioni sociali.
altre quattro mutue attive sono a Milano
[www.mag2.it], Torino [www.mag4.it], Venezia
[www.magvenezia.it] e da poco più di un anno anche
Roma [nuke.magroma.it]. Ma a occuparsi di finanza etica sono anche organizzazioni del commercio equo come
Ctm [www.altromercato.it] e la Rete italiana di microfinanza Ritmi, che in collaborazione con la rete europea
di microfinanza Emn promuove proprio in questi giorni
a Venezia il primo corso di microfinanza per agenti di credito [www.microfinanza.it]. Di certo, secondo molti la finanza etica, dopo l’esplosione degli anni novanta che ha
favorito la nascita, dieci anni fa, di Banca etica, vive oggi una fase di stallo.
Restano da capire alcune cose: ad esempio se e come la
finanza critica sia un modo diverso di gestire il denaro per
dare forza all’altra economia o invece un movimento capace di essere da subito concorrente alla finanza tradizionale; e come può un movimento di questo tipo superare
quella che alcuni chiamano «la sindrome di trincea», mentre l’alta finanza mostra tutti i suoi disastri globali e il microcredito vince i premi Nobel. Per capire qualcosa in più
di finanza etica vale la pena di leggere il «Manuale del risparmiatore etico e solidale» [di Marco Gallicani, www.altreconomia.it]: cinquantasei pagine di consigli su dove
aprire un conto corrente, chiedere un prestito o un mutuo, investire i propri risparmi.
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