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Un corteggiamento serrato
Svolta storica: Shinzo Abe propone a Mosca di «diventare amici» in funzione
anticinese
/ 10.10.2016
di Anna Zafesova
Il G20 da poco concluso in Cina è stato per Vladimir Putin l’occasione per giocare una partita
multilaterale che l’ha visto impegnato con Barack Obama e Xi Jinping, Angela Merkel e Recep Tayyip
Erdogan, su fronti che spaziano dalla Siria all’Ucraina all’economia globale. Ma il suo successo
maggiore l’ha incassato pochi giorni prima, a Vladivostok, su un fronte che per la Russia
tradizionalmente è stato problematico: il Giappone. Il premier Shinzo Abe ha proposto al presidente
russo una svolta storica nelle relazioni tra i due Paesi, oscurate da un conflitto territoriale, quello
per le isole Kurili del Sud, che tuttora blocca la firma del trattato di pace che chiuda la Seconda
guerra mondiale. E che ora Abe vuole riportare a casa, con un’offensiva diplomatica che i
commentatori definiscono «corteggiamento». «Vladimir, siamo persone della stessa generazione,
possiamo camminare nella foresta vergine della taigà sotto i raggi del sole, calpestando le foglie,
come nel “Dersu Uzala” di Akira Kurosawa, parlando del futuro della Russia e del Giappone», è stato
l’invito al limite del romantico del premier giapponese, che dopo ben cinque visite in Russia è
riuscito a convincere Putin a venirlo a trovare, il 15 dicembre prossimo, alle fonti termali di
Yamaguchi: il primo di una serie di vertici che, nei piani di Abe, devono essere annuali, in un
rapporto privilegiato che potrebbe ribaltare gli equilibri asiatici.
Due anni fa Washington aveva costretto Tokyo a cancellare un invito per Putin. Ma ora Abe vuole
andare avanti: ha istituito un ministero apposito per la cooperazione economica con la Russia, caso
unico di un ente interamente dedicato a un solo Paese, e ha affidato al suo fratello Nobuo Kishi la
gestione della diplomazia con Mosca. E soprattutto si offre al Cremlino come alleato strategico
nell’Asia, quasi «supplicando», titola il «Financial Times», di diventare «amico della Russia».
Quest’anno cade il 60° anniversario del Trattato di San Francisco, firmato da 49 nazioni ma non
dalla Russia, che stabiliva che Tokyo doveva riprendersi almeno due delle quattro isole Kurili del Sud
(in Giappone sono chiamate «territori del nord») occupate nel 1945. A Tokyo ogni anno i militanti
della destra revisionista e nazionalista - ambiente dal quale proviene lo stesso Abe - manifestano per
il ritorno dei «territori del Nord», che vengono visti come parte essenziale del superamento
dell’umiliazione della sconfitta e della restaurazione della grandezza imperiale.
Mosca per ora manifesta prudenza. Putin ha ricordato che il trattato non stabiliva le condizioni e la
sovranità ultima dell’isola di Shikotan e dell’arcipelago disabitato Habomai. Si tratta di «trovare un
compromesso che non faccia sentire nessuno vincitore o perdente». Ma il regalo offerto da Abe è un
successo insperato, dopo due anni in cui il Cremlino ha cercato di spezzare il fronte delle sanzioni
(alle quali aderisce anche il Giappone) cercando alleati in Europa. Il problema principale per un
leader non meno nazionalista di Abe è come cedere eventualmente le isole: perfino in tempi molto
più distesi Boris Eltsin non aveva osato «vendere» le Kurili. «Putin deve accertarsi che Abe non solo
sta tentando di “comprare qualcosa” ma in cambio si offre di diventare quell’alleato in Estremo
Oriente che serve alla Russia». Negli anni sono state proposte varie ipotesi intermedie - una gestione
congiunta, un periodo di transizione di vari decenni, concessioni di pesca ed esplorazioni
energetiche nel mare ai russi - ma dopo l’annessione della Crimea e la rottura con l’Occidente
parlarne sembrava impossibile, e la visita del premier Dmitry Medvedev alle Kurili era stata letta da
Tokyo come una rivendicazione di sovranità, insieme alla decisione russa di piazzare su una delle
isole non contese una base militare in funzione anti-Usa.
Il Giappone però ha bisogno della Russia anche perché si sente minacciato dall’espansione cinese. Il
calcolo di Abe non è privo di fondamento: le forniture energetiche russe sono complementari a
un’economia altamente tecnologica ma scarsa di risorse, e gli investimenti di Tokyo nell’Estremo
Oriente russo potrebbero arginare l’espansione cinese che preoccupa Mosca. Inoltre i russi hanno
disperatamente bisogno di investimenti, e soprattutto di un interlocutore politico di peso massimo
dell’Occidente «politico», rompendo il fronte guidato da Washington e Bruxelles. Il vecchio principio
della diplomazia giapponese subordinava ogni miglioramento delle relazioni al trattato di pace che
chiudeva la Seconda guerra mondiale. «Un vecchio mantra che non porta da nessuna parte», ha
detto al «Financial Times» un collaboratore del premier giapponese. Ora Tokyo spera di mandare
avanti l’economia contando sui suoi effetti benefici sulla politica. Abe, che fa parte della scuola
politica giapponese che esige il «contenimento» della Cina, spera di offrire più di Xi Jinping. Non è
chiaro però quanto i russi possano farsi coinvolgere in una alleanza dal chiaro sapore anti-Pechino,
proprio mentre appoggiano la Cina anche sulle dispute territoriali con gli altri Paesi asiatici,
Giappone incluso.
La prudenza di Mosca viene interpretata come «una partita a poker che sta vincendo» da «Asia
Times». La chiusura della disputa sulle Kurili e l’avvicinamento con il Giappone sarebbero una
vittoria strategica per la Russia. Che però dovrebbe fare i conti sia con Pechino, sia con gli Usa,
storico alleato di Tokyo. L’«Asahi Shimbun» ha scritto un editoriale di fuoco contro il premier
ricordando che «il Giappone è l’unico Paese del G7 a cercare di espandere la cooperazione con la
Russia» e che «un atteggiamento troppo di compromesso rischia di essere visto criticamente dalla
comunità internazionale con la quale condivide i valori della supremazia del diritto». Anche perché,
nota «The Diplomat», chiudere gli occhi sull’annessione della Crimea rischia di rendere difficile
condannare poi le rivendicazioni territoriali cinesi. Una «scommessa rischiosa», nella quale per ora
Abe è nella posizione di colui che chiede favori, con Putin che decide se concedersi, e fino a quale
punto