Untitled - Barz and Hippo
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Untitled - Barz and Hippo
Red si ispira all'omonima serie di comics movie (Dc Comics, 2003-2004, firmata da Warren Ellis e Cully Hamner), il cui titolo è l'acronimo di Retired Extremely Dangerous (pensionati estremamente pericolosi). Dal fumetto, Schwentke trae il suo punto di forza, la vena ironica nei confronti del genere cinematografico del film di spionaggio, da cui prende le distanze sovvertendone benevolmente alcune regole. Ne deriva un effetto di comicità che è nello stesso tempo un omaggio a un genere anch'esso ormai 'in pensione', e ad alcuni grandi attori che ne sono stati protagonisti Le storie alla Bond hanno avuto infatti il loro massimo successo negli anni della guerra fredda e poco oltre, e l'aggiornamento costante che li ha trasformati in film 'sparatutto' e pieni di tecnologia (esattamente come Red) non li preserva dal declino. Unica salvezza è allora forse proprio l'ironia. Un cast eccezionale per un regista che sa confezionare un film gustoso, onestamente privo di grandi ambizioni. scheda tecnica durata: 110 MINUTI nazionalità: USA, CANADA anno: 2011 regia: ROBERT SCHWENTKE soggetto WARREN ELLIS, CULLY HAMNER sceneggiatura: ERICH HOEBER, JON HOEBER fotografia: FLORIAN BALLHAUS montaggio: THOM NOBLE colonna sonora: DAVID HOLMES distribuzione: MEDUSA Interpreti: BRUCE WILLIS (Frank Moses), MORGAN FREEMAN (Joe Matheson), JOHN MALKOVICH (Marvin Boggs), HELEN MIRREN (Victoria), MARY-LOUISE PARKER (Sarah), KARL URBAN (William Cooper), ERNEST BORGNINE (Henry), JAMES REMAR (Gabriel Loeb), BRIAN COX (Ivan Simanov), RICHARD DREYFUSS (Alexander Dunning), JULIAN MCMAHON (VP Stanton), REBECCA PIDGEON (Cynthia Wilkes). Robert Schwentke Nato a Stoccarda nel 1968, Schwentke è noto per i suoi thriller ad alta tensione. Si racconta che da bambino trovò nella cantina dei nonni una macchina fotografica e un Super 8. Da quel momento in poi, l’idea di fare cinema non lo abbandonò più. Dapprima iscritto a corsi di filosofia e letteratura, si trasferì negli Stati Uniti per studiare cinema alla Columbia College Hollywood di Los Angeles. In quel periodo girò il suo primo cortometraggio, Heaven! (1993), storia di avidità e di mafia. Alla fine degli anni Novanta, Schwentke tornò in Germania, dove lavorò come sceneggiatore televisivo, soprattutto in telefilm polizieschi. Un thriller è anche il suo primo lungometraggio, Tattoo (2002) con Christian Redl e August Diehl. Il film parla di due poliziotti a caccia di un serial killer che colleziona tatuaggi di un artista defunto. Per la critica italiana, il film è più rozzo che pauroso, sceneggiato male e narrativamente inefficace, ma al pubblico piace, soprattutto per l’opprimente fotografia dark e per l’inserimento di shock visivi in stile Seven (1997). Del resto, David Fincher è, assieme a Jean-Luc Godard e a Jacques Rivette, uno dei suoi registi preferiti. Chiamato a Hollywood, dirige Jodie Foster in Flightplan – Mistero in volo (2005). La storia è quella di una madre che cerca disperatamente sua figlia, persa durante un volo, ma che, secondo il personale di bordo, non è mai salita sull'aereo. Nel 2009, prodotto da Brad Pitt, arriva il suo secondo film americano, Un amore all’improvviso, tratto da un romanzo di Audrey Niffenegger che mescola amore e fantascienza, ma non convince. Va molto meglio con Red (2010), che traspone sul grande schermo l’omonima serie a fumetti ideata da Warren Ellis e illustrata da Cully Hamner. Recensioni Alessandra Levantesi Kezich. La Stampa Ispirato a una graphic novel realizzata da Ellis & Hammer (Magic Press) Red, che sta non per rosso ma per «Retired: extremely dangerous», è interpretato da un gruppo di attori fra i 56 e i 74 anni di età, e magari non proprio in auge come divi, tanto che il sempre spiritoso Roger Ebert ha commentato: «Sembra un film fatto per mia zia Mary». Eppure, a dispetto della battuta del critico del Chicago Sun i cento milioni di dollari del botteghino Usa dimostrano che al cinema non ci sono andati solo gli anziani; e che l’accattivante tono retrò dello spionistico deve aver incontrato anche il gusto di parecchi giovani. Primo a entrare in scena, Willis appare come un tipo solitario e tranquillo, con abitudini precise e un piccolo flirt telefonico in corso con Mary-Louise Parker, romantica impiegata incaricata del suo assegno mensile di pensione. Ma quando dei killer dal volto coperto gli penetrano in casa, il mite individuo tira fuori la sua grinta di ex agente della Cia con licenza di uccidere. Poi, imbarcata nell’avventura la Parker, va alla ricerca dei vecchi compagni di squadra per avvertirli: qualcuno li vuole morti, si tratta di capire chi e perché. Morgan Freeman è ricoverato in un istituto per vecchi, il paranoico John Malkovich vive segregato in un bunker, Helen Mirren risiede in una lussuosa villa di campagna; al quartetto si unisce l’ex spia del Kgb Brian Cox, che ormai non ha problemi a fraternizzare con i nemici d’epoca americani. La verità è che tutti si annoiano molto e accolgono festosamente l’idea di riprendere le armi in mano. Il punto di forza del film non è certo il labile e poco originale spunto narrativo, quanto la presenza di bravi interpreti capaci di conferire umorismo e simpatia ai loro personaggi di agenti segreti in congedo che, mentre scherzano sugli acciacchi dell’età, dimostrano di non aver perso lo smalto e il sangue freddo. Che Willis sia dotato nel registro brillante lo si sapeva, ma bisogna vedere quanto sono divertenti lo stralunato Malkovich con il porcellino rosa di peluche in mano e la signorile dame Mirren con la pistola in pugno; per non parlare del delizioso cammeo dell’ultranovantenne Ernest Borgnine. Già regista del poco memorabile sentimental/fantascientifico Un amore all’improvviso, il tedesco Robert Schwentke si adegua al gioco degli attori, mantenendo moderato il tasso di violenza e imprimendo al thriller un ritmo di commedia. Giorgio Carbone. Libero «Red» non sta per “rosso” (di colore o di idee) ma è una sigla. Che per esteso fa “Retired extremely dangerous”, pensionato estremamente pericoloso. Pericoloso perché? Perché sa troppe cose e quindi va eliminato. Bruce Willis è Frank Moses che è un “red” ma non lo sa. Ex agente della Cia, è andato in pensione dopo 30 anni di (non sempre) onorato servizio. Vive tranquillo (fin troppo tranquillo) in una casa bella e confortevole, fa lavori di giardinaggio e si tiene in forma con flessioni e footing. Insomma s’annoia. Perciò forse gli sembra una bella novità (si fa per dire) quando una squadra di killer gli piomba addosso. Nient’affatto arrugginito dall’inazione, Frank fa fuori tutti. Poi scappa (non è il caso di aspettare un’altra squadra). Mentre scappa apprende che gli aggressori non sono vecchi nemici, ma nuovi amici, cioè di una nuova generazione di funzionari della Cia. Che han deciso di fare una ripulita ai loro vecchi quadri. Cioè di eliminare gli agenti che in passato parteciparono a porcherie predisposte dalla Central Agency (Frank ha sulla coscienza una fetida operazione in Guatemala). Sempre scappando, Frank apprende di non essere il solo sulla lista nera dei “red”. Frank scova Joe (Morgan Freeman) che da anni fa il tranquillo vecchietto in una casa di riposo. E in un bunker che s’è fatto costruire per sfuggire agli attentati il paranoico Boggs (John Malkovich). Mica tanto paranoico in fondo. Gli agguati sono tutt’altro che immaginari. Last, but not least, nella lista c’è anche una donna, Victoria (Helen Mirren), che è probabilmente quella che conosce il maggior numero di segreti (campionessa del doppio gioco, fu per anni amante del suo pari grado sovietico). I quattro decidono di unire le loro forze nell’operazione sopravvivenza. Cooptata involontariamente nel team, una centralinista (Mary Louise Parker,) gasatissima dall’idea di vivere una vicenda alla 007. Riusciranno i nostri eroi a dare la paga ai killer della Cia? Ovviamente sì, le spie sfigate destinate a farsi impiombare nell’ultima sequenza sono andate in pensione (loro sì) al tempo della “Spia che venne dal freddo”. Piacerà a chi da anni segue Willis e Freeman, Malkovich e la Mirren, consapevole che basta metterli su uno schermo per assicurare il divertimento. Stavolta lo spasso è aumentato dall'ironia che corre sottopelle anche durante le sequenze più "dure" e cruente. E anche dalla sottile vena reazionaria che percorre tutto il film. "Red" non è solo un'esaltazione della senilità (i "vecchi" con la loro debordante umanità sono sempre e comunque preferibili ai "giovani" rappresentati dal funzionario della Cia, frigido spietato, sistematicamente demolito nel suo mito dell'efficienza). Ma anche una convinta reiterata ricerca del tempo perduto. Tutti (dai personaggi agli autori del film) sembrano rimpiangere da matti la guerra fredda. Dove ogni cosa era chiara e distinta. Il nemico era quello che ti sparava addosso. E non il supposto amico che cercava d'inchiodarti alle spalle. Marianna Cappi. Mymovies Frank Moses è un ex agente della CIA in pensione, che vive in una villetta uguale alle altre cercando di fare una vita uguale alle altre. Purtroppo per lui e per Sarah, la ragazza ingenua e sognatrice che ha conosciuto al telefono, i segreti di stato in possesso di Frank lo hanno trasformato da strumento di morte a bersaglio dell'Intelligence: qualcuno da eliminare e in fretta. Inizia così quella che può apparire come la fuga di Frank Moses ma altro non è che il giro di reclutamento dei vecchi compagni: il vecchio Joe, il folle Marvin, il russo Ivan, lady Victoria, dopo di che la canna della pistola compie un giro di 180 gradi e la fuga si fa vendetta, la diaspora riunione, la pensione una nuova missione. Tratto dal breve fumetto DC Comics scritto da Warren Ellis e illustrato da Cully Hammer, Red è stato completamente reinventato nella sceneggiatura dei fratelli Hoeber, responsabili dell'inserimento dei compagni di ventura del protagonista e del tono divertito e alleggerito del film. Non è, infatti, come uno dei più significativi adattamenti da un fumetto che si fa apprezzare e ricordare questo film, ma piuttosto come una riuscita composizione di quadri, personaggi e situazioni provenienti da spezzoni di pellicole diverse e originalmente e gradevolmente assemblati. I film come materiali di partenza e il racconto come risultato, dunque, anziché viceversa. Ecco allora che nel bel prologo con Bruce Willis, ex supereroe in vestaglia, che prende a pugni il sacco dopo colazione, non c'è solo l'eco del suo Butch in Pulp Fiction (il pugile, la colazione, il mitra) ma c'è anche mister Incredibile e Léon (la piantina), mentre arrivati alla scena del ricevimento di gala, vien da chiedersi quando ci siamo già stati, se in un episodio cinematografico della saga di Danny Ocean o in uno televisivo di Alias. Eppure non sono citazioni soffocanti, forse non sono neppure citazioni, e c'è spazio per molto altro, compreso il sublime personaggio di John Malkovich, un panzone paranoico con un maialino di peluche sotto braccio dal quale estrarrà l'arma con cui umiliare una signorotta col bazooka, in una sequenza emblematica dell'operazione nel suo insieme, quanto a connubio tra ironia e spettacolarità. Ma Willis e Malkovich non sono i soli a portare un valore aggiunto al proprio ruolo: a loro modo lo fanno anche “la regina” Helen Mirren, con il richiamo sornione alla passione tutta inglese per il giardinaggio, e Brian Cox, con la trilogia di Bourne nel curriculum. In assoluto, oltre a qualche buona battuta e a qualche ambientazione più originale del solito, è essenzialmente a quest'alchimia tra attore e personaggio che si deve il piacere della visione. Da segnalare, in coda, un motivo di interesse anche nella figura di Sarah che, nel campionario dei caratteri femminili cinematografici, si può ascrivere come appartenente alla categoria della “palla al piede”. Con i romanzetti rosa in testa e le manette alle mani (quando non la pistola alla tempia), pretende ed ottiene di essere portata in prima linea e salvata ogni volta, contribuendo a fare del consenziente Bruce Willis un gentleman come pochi altri. Gabriele Niola. Mymovies Pensionati ed estremamente pericolosi, Retired and Extremely Dangerous, l’acronimo R.E.D. nasconde la perfetta sinossi del film di Robert Schwentke, il contraltare ironico di I mercenari e contemporaneamente il suo complemento. Se le grandi dive ricorrono alla chirurgia per non invecchiare mai, Bruce Willis e soci si appoggiano agli effetti in computer grafica per non far invecchiare mai le proprie scene d’azione (e se stessi con esse). Con atteggiamento molto meno sofisticato rispetto alla banda di Danny Ocean, i pensionati d’eccezione di RED hanno in comune con I mercenari di Stallone non solo la presenza di Bruce Willis (lì comprimario, qui capobanda) ma soprattutto l’idea del grande crossover che non è mai accaduto, l'unione fuori tempo massimo di un manipolo di star che oggi sono sempre meno tali. Hollywood non è benevola con gli attori quando hanno superato una certa età, è noto, e in un periodo in cui il cinema al grande eroe solitario predilige il team di eroi (da The losers ad A-Team fino al prossimo I vendicatori), gli over 50 (e in molti casi over 60) portati alla ribalta anni fa dal cinema d’azione devono mettersi insieme per tornare in sala. Gli anni ‘80 che ritornano non sono solo quelli rianimati a forza da Sylvester Stallone o quelli più sognatori e raffinati che J. J. Abrams ci mostrerà con il suo Super 8, modellato su un cinema spielberghiano d’epoca, ma anche quelli incarnati da un numero di attori ugualmente importanti e di primo piano attualmente senza collocazione. Troppo anziani per essere ancora credibili come protagonisti di un film d'azione (al massimo possono fare i mentori), troppo legati ad un cinema autoriale e alto per essere “rivalutabili” (erano già valutati all’epoca) o infine troppo tenaci per mollare (per Bruce Willis non sembra mai essere passato un giorno). RED non teme di essere un film aperto a possibili sequel (si vedranno gli incassi, per il momento non eccezionali) né teme di sfiorare il ridicolo e per questo sceglie il registro del grottesco. Ci vuole coraggio per portare davvero degli ultrasessantenni in un film di pura azione come ha fatto Stallone, e Schwentke e i suoi scelgono la strada più facile dell’ironia sull’età dei personaggi (“Me li ricordavo più tosti quelli della CIA”, “Nonno a chi?”). Una via di mezzo, quella tra audacia dell’operazione e timore di sembrare ridicoli, che probabilmente è il difetto maggiore di un film che non è davvero divertente nè sa imporre la sua scelta di riportare ai vertici attori che Hollywood solitamente relega a ruoli piccoli e carismatici. Qui l'azione arriva da chi non se ne intende. Lo ha spiegato bene Vin Diesel presentando il suo Fast & Furious 5, un altro film d’azione che fa dell’accumulo di personaggi e della presentazione di un “team” il proprio punto di forza, che ad oggi vediamo quelle unioni che avremmo tanto desiderato vedere anni fa. Se infatti Schwarzenegger e Stallone si incontrano per la prima, fugace ed insoddisfacente volta in I mercenari, Diesel (da produttore) ha costruito un film intero sull’opposizione tra il fisico di Dwayne The Rock Johnson e il suo (nell’inedita veste di “quello gracile”). RED invece si appoggia su una serie di carriere e corpi che più che all’azione sono abbinati allo spionaggio e al thriller (con l’inserimento “straniante” di Helen Mirren e Jonh Malkovich), menti da action movie più che fisici. Il cinema da 007 al posto di quello da Commando, i grandi viaggi e i molti scenari diversi ed esotici, cambiando il paesaggio e cambia di conseguenza l’orizzonte del genere, così il romanticismo e la seconda occasione hanno un ruolo più importante. C’è sempre una donna nei film d’azione, solitamente motore (immobile) della storia, ma in RED la donna rappresenta, oltre all’oggetto da salvare, la possibilità concreta di una seconda occasione per non far finire la vita all’arrivo della pensione. La differenza tra RED e I mercenari (e con loro tutto il cinema del manipolo di eroi) è che RED si rivolge a un pubblico della medesima età dei suoi protagonisti, parla dei loro problemi e carezza le loro insicurezze, mentre I mercenari prendono di petto il pubblico giovane per dimostrarsi ancora una volta i migliori sulla piazza. Pietro Ferraro. Cinemaniaco Frank Moses (Bruce Willis) è un-ex agente CIA che ha svolto lavori sporchi per l’Agenzia sino a che quest’ultima non lo ha considerato troppo vecchio congedandolo con tanto di pensionamento, una situazione che a Moses abituato ad adrenalina ed azione proprio non va giù, tanto che distrugge sistematicamente gli assegni d’indennità che gli arrivano mensilmente solo per avere una scusa per scambiare quattro chiacchiere con Sarah Ross (Mary-Louise Parker), bella telefonista del servizio clienti con la quale Moses stabilisce un bel feeling. Moses scoprirà ben presto di essere finito su una lista nera redatta dall’Agenzia che vede la maggioranza dei nomi elencati vittime di strani e repentini decessi, dopo essere scampato ad una squadra di pulizia Moses prende con se Sarah e cerca alcuni ex-colleghi per far chiarezza sui motivi per cui la CIA e l’agente speciale William Cooper (Karl Urban) assegnato all’operazione stanno eliminando tutti i nomi della lista. La soluzione dell’enigma sembra essere legata ad una giornalista del New York Times prima vittima dell’operazione insabbiamento e ad una missione svolta in Guatemala negli anni ’80, missione che ha visto all’epoca Moses ed altri agenti ripulire le conseguenze di una missione finita fuori controllo. Dopo la brutta esperienza patita con la visione del disastroso Jonah Hex, ecco un altro fumetto targato DC Comics fare il suo debutto su grande schermo, trattasi della miniserie RED creata da Warren Ellis e Cully Hamner, adattamento che vede dietro la macchina da presa il tedesco Robert Schwentke di cui ricordiamo l’intrigante debutto in patria Tattoo e il thriller Flightplan con Jodie Foster. Red si presenta come uno strano ed intrigante ibrido diretto con notevole dovizia e uno stile che miscela la spy-comedy che ha fatto la fortuna di serial televisivi come Chuck, un look stiloso da cinefumetto di ultima generazione con sequenze action spettacolari e ben coreografate, vedi il recente The losers e un cast stellare che vede riuniti Bruce Willis, Morgan Freeman, John Malkovich ed Helen Mirren a cui si aggiunge la diva da piccolo schermo Mary-Louise Parker, protagonista del fortunato serial tv Weeds. Schwentke si tiene in equilibrio tra il serio e il faceto con notevole stile, insomma utilizza al meglio la rodata formula dramedy tanto cara la piccolo schermo per due ore che volano via senza intoppi tra scazzottate, battute, scontri a fuoco e una spruzzata di Mission: impossible che non guasta mai. Bruce Willis sfoggia la vis ironica e sorniona che lo ha trasformato in un divo, Freeman e Mirren gigioneggiano con gran classe, Malkovich si diverte un mondo e la Parker pur se un pò sacrificata dal ruolo romance, che tra l’altro è praticamente lo stesso di Cameron Diaz nella recente action-comedy Innocenti bugie, non passa certo inosservata. Red andrebbe premiato solo per la levità con cui approccia il genere e il cast che sfoggia, insomma un buon film, divertente e recitato sempre sul filo dell’ironia anche quando su schermo impazza la violenza. Federico Gironi. Coming Soon Non ci sono solo i supereroi. La sempre più complessa ibridazione produttiva e linguistica tra cinema e fumetto sta rappresentando un nuovo step nel complesso percorso evolutivo del cinema d’azione come inteso dagli anni Ottanta ai giorni nostri, riconfigurandone molti degli aspetti formali e dei toni e registri utilizzati. Dopo titoli in questo senso esemplari come Wanted e The Losers, ecco che il Red diretto da un sorprendente Robert Schwentke ne è l’ennesima dimostrazione. Non è un caso che, nella sua sequenza d’apertura, Red faccia tornare in qualche modo alla memoria dei momenti tratti da due delle saghe che hanno fondato l’action contemporaneo come quella di Die Hard e quella di Arma letale, prendendone al tempo stesso le distanze in maniera evidente. Perché il nuovo cinema d’azione si riappropria della fisicità pesante ed esplosiva di quegli anni e quei modelli, non alleggerendola più secondo le coordinate elastiche e aeree che erano state imposte dal cinema orientale ma attraverso una sottolineatura forte ed espansiva dell’ironia e un impianto formale dalle coordinate (anche balistiche) geometriche e iperrealiste, la cui esagerazione - fumettistica, cartoonesca, appunto – è specularmente corrispondente alla leggerezza dei toni. Grazie anche al fatto di avere a disposizione un gruppo d’attori di grande spessore e in grandissima forma, Schwentke trova con il materiale di partenza (una graphic novel di Warren Ellis e Cully Hamner adattata da Erich e Jon Hoeber) e soprattutto con la sua trasposizione linguistica un feeling che in precedenza non aveva mai dimostrato di avere, e lascia che siano il divertimento e la spensieratezza a dettare il ritmo del tutto. Linee narrative che nella saga di Jason Bourne o in film come Spy Game venivano trattate con toni sostanzialmente cupi, con quel senso di paranoia che nemmeno la fine della Guerra Fredda ha estinto ma anzi amplificato, qui vengono sviluppate secondo coordinate ammiccanti e sardoniche e i protagonisti vengono ammantati di quella nonchalance ricca di eleganza che getta le sue radici in certo cinema degli anni Sessanta, quello post-bondiano e del Rat Pack. Ed ecco che allora tutto torna, e diventa chiaro come mai Red sia considerabile come l’Ocean’s Eleven del cinema d’azione contemporaneo: Schwentke cita (e aggiorna) le atmosfere di Soderbergh (che citava e aggiornava quelle di Lewis Milestone), riprende persino certe sonorità della colonna sonora e lascia che la sua banda di all-star porti avanti un piano di rivalsa spionistica con numerose affinità nella tecnica e nelle inflessioni con quello ordito da Clooney, Pitt e compagnia. Come in quel caso, anche in questo, quello di Red, la macchina funziona liscia e ben oliata, lasciando che lo spettatore possa godere nel massimo del disimpegno del divertimento, della bizzarria, del sentimento e – ovviamente – dell’azione del film. E se in questo elegante tour de force il fiato del regista appare un po’ corto nel finale, portando alla perdita di qualche battuta, basta che riappaia Bruce Willis a fare da metronomo umano per riportare il film in carreggiata prima e in porto poi. Roberto Nepoti. La Repubblica L'anno scorso, con "I Mercenari - The Expendables", Sylvester Stallone aveva richiamato in servizio se stesso e altri veterani per raccontare le imprese di un gruppo di eroi dai capelli grigi. Tra gli ingredienti mancava il senso dell'umorismo (come pretenderlo da Sly?); ora, alla mancanza mette rimedio Red, storia di "vecchietti" da combattimento tratta da una graphic novel di Warren Ellis e Cully Hamner. Non un capolavoro, certo, ma un film molto pop e, soprattutto, interpretato da una compagnia d'attori che da sola meriterebbe la visita. Già il titolo fa simpatia: "red", infatti, è l'acronimo di Retired Extremely Dangerous, pensionati estremamente pericolosi. La definizione sta scritta sul dossier di Frank Moses (un Bruce Willis tornato cool come ai tempi della serie "Die Hard"), messo a riposo dalla Cia e che ora si annoia, salvo quando flirta al telefono con la ragazza (Mary-Louise Parker) che si occupa della sua pensione. La noia dura poco, perché un commando cerca di fargli la pelle; ma Moses è ancora un osso duro e decima i killer in uniforme. Verrà fuori che i servizi segreti vogliono eliminarlo perché non spifferi nulla su un vecchio affare, in cui era coinvolto un personaggio oggi molto in vista. Il meglio arriva quando Moses va a recuperare i compagni della sua antica unità d'élite, in ritiro forzato come lui: Joe (Morgan Freeman), che vegeta in una casa di riposo; Marvin (John Malkovich) il quale, strafatto di anfetamine, si è ritirato in un bunker in Florida; la soave Victoria (Helen Mirren), costretta a lavoretti occasionali per sbarcare il lunario. Mentre apprendiamo che nei loro rapporti non sono mancate le turbolenze (Victoria chiede a Frank se sia venuto per ucciderla), si aggiunge al gruppo Ivan, agente segreto russo un tempo in conflitto con loro, ora disposto ad aiutarli. Alternando l'azione violenta con i toni di commedia, il film offre agli attori parecchie buone occasioni per autoderidersi con humour. Tra tutti gigioneggia Malkovich, tipo di schizzato che si porta appresso un pupazzo di porcellino rosa. Freeman sprizza simpatia col suo personaggio di vecchio tosto ma amichevole ("non sono morto... sono solo in pensione"). Però il vero regalo è Helen Mirren, premiata con l'Oscar per "The Queen" e qui trasformata in tiratore scelto della Cia senza perdere un briciolo del suo aplomb da gran dama: basterebbe osservare la "mimetica" che indossa sulla neve, pezzo di alta sartoria in bianco con motivo di foglie secche e cappellino in tono. E' carina anche la giovane Mary-Louise Parker, coinvolta nell¿intrigo per amore del suo "assistito" Frank. Se più di una volta le gag non vanno a segno, sono invece riuscite le scene d'azione: vedi il pestaggio furibondo tra Willis e l'agente di nuova generazione Karl Urban; o la sequenza in stile Tarantino, concepita come un fumetto, dove Malkovich intercetta con le pallottole il missile di una killer che ha avuto l'impudenza di chiamarlo "vecchio".