Untitled - Barz and Hippo

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Untitled - Barz and Hippo
Red si ispira all'omonima serie di comics movie (Dc Comics, 2003-2004, firmata da Warren Ellis e Cully
Hamner), il cui titolo è l'acronimo di Retired Extremely Dangerous (pensionati estremamente
pericolosi). Dal fumetto, Schwentke trae il suo punto di forza, la vena ironica nei confronti del genere
cinematografico del film di spionaggio, da cui prende le distanze sovvertendone benevolmente alcune
regole. Ne deriva un effetto di comicità che è nello stesso tempo un omaggio a un genere anch'esso
ormai 'in pensione', e ad alcuni grandi attori che ne sono stati protagonisti Le storie alla Bond hanno
avuto infatti il loro massimo successo negli anni della guerra fredda e poco oltre, e l'aggiornamento
costante che li ha trasformati in film 'sparatutto' e pieni di tecnologia (esattamente come Red) non li
preserva dal declino. Unica salvezza è allora forse proprio l'ironia. Un cast eccezionale per un regista
che sa confezionare un film gustoso, onestamente privo di grandi ambizioni.
scheda tecnica
durata:
110 MINUTI
nazionalità:
USA, CANADA
anno:
2011
regia:
ROBERT SCHWENTKE
soggetto
WARREN ELLIS, CULLY HAMNER
sceneggiatura:
ERICH HOEBER, JON HOEBER
fotografia:
FLORIAN BALLHAUS
montaggio:
THOM NOBLE
colonna sonora:
DAVID HOLMES
distribuzione:
MEDUSA
Interpreti:
BRUCE WILLIS (Frank Moses), MORGAN FREEMAN (Joe Matheson), JOHN
MALKOVICH (Marvin Boggs), HELEN MIRREN (Victoria), MARY-LOUISE PARKER (Sarah), KARL
URBAN (William Cooper), ERNEST BORGNINE (Henry), JAMES REMAR (Gabriel Loeb), BRIAN COX
(Ivan Simanov), RICHARD DREYFUSS (Alexander Dunning), JULIAN MCMAHON (VP Stanton),
REBECCA PIDGEON (Cynthia Wilkes).
Robert Schwentke
Nato a Stoccarda nel 1968, Schwentke è noto per i suoi thriller ad alta tensione. Si racconta che da
bambino trovò nella cantina dei nonni una macchina fotografica e un Super 8. Da quel momento in poi,
l’idea di fare cinema non lo abbandonò più. Dapprima iscritto a corsi di filosofia e letteratura, si trasferì
negli Stati Uniti per studiare cinema alla Columbia College Hollywood di Los Angeles. In quel periodo
girò il suo primo cortometraggio, Heaven! (1993), storia di avidità e di mafia.
Alla fine degli anni Novanta, Schwentke tornò in Germania, dove lavorò come sceneggiatore televisivo,
soprattutto in telefilm polizieschi. Un thriller è anche il suo primo lungometraggio, Tattoo (2002) con
Christian Redl e August Diehl. Il film parla di due poliziotti a caccia di un serial killer che colleziona
tatuaggi di un artista defunto. Per la critica italiana, il film è più rozzo che pauroso, sceneggiato male e
narrativamente inefficace, ma al pubblico piace, soprattutto per l’opprimente fotografia dark e per
l’inserimento di shock visivi in stile Seven (1997). Del resto, David Fincher è, assieme a Jean-Luc
Godard e a Jacques Rivette, uno dei suoi registi preferiti. Chiamato a Hollywood, dirige Jodie Foster in
Flightplan – Mistero in volo (2005). La storia è quella di una madre che cerca disperatamente sua figlia,
persa durante un volo, ma che, secondo il personale di bordo, non è mai salita sull'aereo.
Nel 2009, prodotto da Brad Pitt, arriva il suo secondo film americano, Un amore all’improvviso, tratto da
un romanzo di Audrey Niffenegger che mescola amore e fantascienza, ma non convince.
Va molto meglio con Red (2010), che traspone sul grande schermo l’omonima serie a fumetti ideata da
Warren Ellis e illustrata da Cully Hamner.
Recensioni
Alessandra Levantesi Kezich. La Stampa
Ispirato a una graphic novel realizzata da Ellis & Hammer (Magic Press) Red, che sta non per rosso ma
per «Retired: extremely dangerous», è interpretato da un gruppo di attori fra i 56 e i 74 anni di età, e
magari non proprio in auge come divi, tanto che il sempre spiritoso Roger Ebert ha commentato:
«Sembra un film fatto per mia zia Mary». Eppure, a dispetto della battuta del critico del Chicago Sun i
cento milioni di dollari del botteghino Usa dimostrano che al cinema non ci sono andati solo gli anziani;
e che l’accattivante tono retrò dello spionistico deve aver incontrato anche il gusto di parecchi giovani.
Primo a entrare in scena, Willis appare come un tipo solitario e tranquillo, con abitudini precise e un
piccolo flirt telefonico in corso con Mary-Louise Parker, romantica impiegata incaricata del suo assegno
mensile di pensione. Ma quando dei killer dal volto coperto gli penetrano in casa, il mite individuo tira
fuori la sua grinta di ex agente della Cia con licenza di uccidere. Poi, imbarcata nell’avventura la Parker,
va alla ricerca dei vecchi compagni di squadra per avvertirli: qualcuno li vuole morti, si tratta di capire
chi e perché. Morgan Freeman è ricoverato in un istituto per vecchi, il paranoico John Malkovich vive
segregato in un bunker, Helen Mirren risiede in una lussuosa villa di campagna; al quartetto si unisce
l’ex spia del Kgb Brian Cox, che ormai non ha problemi a fraternizzare con i nemici d’epoca americani.
La verità è che tutti si annoiano molto e accolgono festosamente l’idea di riprendere le armi in mano.
Il punto di forza del film non è certo il labile e poco originale spunto narrativo, quanto la presenza di
bravi interpreti capaci di conferire umorismo e simpatia ai loro personaggi di agenti segreti in congedo
che, mentre scherzano sugli acciacchi dell’età, dimostrano di non aver perso lo smalto e il sangue
freddo. Che Willis sia dotato nel registro brillante lo si sapeva, ma bisogna vedere quanto sono
divertenti lo stralunato Malkovich con il porcellino rosa di peluche in mano e la signorile dame Mirren
con la pistola in pugno; per non parlare del delizioso cammeo dell’ultranovantenne Ernest Borgnine.
Già regista del poco memorabile sentimental/fantascientifico Un amore all’improvviso, il tedesco Robert
Schwentke si adegua al gioco degli attori, mantenendo moderato il tasso di violenza e imprimendo al
thriller un ritmo di commedia.
Giorgio Carbone. Libero
«Red» non sta per “rosso” (di colore o di idee) ma è una sigla. Che per esteso fa “Retired extremely
dangerous”, pensionato estremamente pericoloso. Pericoloso perché? Perché sa troppe cose e quindi
va eliminato. Bruce Willis è Frank Moses che è un “red” ma non lo sa. Ex agente della Cia, è andato in
pensione dopo 30 anni di (non sempre) onorato servizio. Vive tranquillo (fin troppo tranquillo) in una
casa bella e confortevole, fa lavori di giardinaggio e si tiene in forma con flessioni e footing. Insomma
s’annoia. Perciò forse gli sembra una bella novità (si fa per dire) quando una squadra di killer gli
piomba addosso. Nient’affatto arrugginito dall’inazione, Frank fa fuori tutti. Poi scappa (non è il caso di
aspettare un’altra squadra). Mentre scappa apprende che gli aggressori non sono vecchi nemici, ma
nuovi amici, cioè di una nuova generazione di funzionari della Cia. Che han deciso di fare una ripulita ai
loro vecchi quadri. Cioè di eliminare gli agenti che in passato parteciparono a porcherie predisposte
dalla Central Agency (Frank ha sulla coscienza una fetida operazione in Guatemala). Sempre
scappando, Frank apprende di non essere il solo sulla lista nera dei “red”. Frank scova Joe (Morgan
Freeman) che da anni fa il tranquillo vecchietto in una casa di riposo. E in un bunker che s’è fatto
costruire per sfuggire agli attentati il paranoico Boggs (John Malkovich). Mica tanto paranoico in fondo.
Gli agguati sono tutt’altro che immaginari. Last, but not least, nella lista c’è anche una donna, Victoria
(Helen Mirren), che è probabilmente quella che conosce il maggior numero di segreti (campionessa del
doppio gioco, fu per anni amante del suo pari grado sovietico). I quattro decidono di unire le loro forze
nell’operazione sopravvivenza. Cooptata involontariamente nel team, una centralinista (Mary Louise
Parker,) gasatissima dall’idea di vivere una vicenda alla 007. Riusciranno i nostri eroi a dare la paga ai
killer della Cia? Ovviamente sì, le spie sfigate destinate a farsi impiombare nell’ultima sequenza sono
andate in pensione (loro sì) al tempo della “Spia che venne dal freddo”.
Piacerà a chi da anni segue Willis e Freeman, Malkovich e la Mirren, consapevole che basta metterli su
uno schermo per assicurare il divertimento. Stavolta lo spasso è aumentato dall'ironia che corre
sottopelle anche durante le sequenze più "dure" e cruente. E anche dalla sottile vena reazionaria che
percorre tutto il film. "Red" non è solo un'esaltazione della senilità (i "vecchi" con la loro debordante
umanità sono sempre e comunque preferibili ai "giovani" rappresentati dal funzionario della Cia, frigido
spietato, sistematicamente demolito nel suo mito dell'efficienza). Ma anche una convinta reiterata
ricerca del tempo perduto. Tutti (dai personaggi agli autori del film) sembrano rimpiangere da matti la
guerra fredda. Dove ogni cosa era chiara e distinta. Il nemico era quello che ti sparava addosso. E non
il supposto amico che cercava d'inchiodarti alle spalle.
Marianna Cappi. Mymovies
Frank Moses è un ex agente della CIA in pensione, che vive in una villetta uguale alle altre cercando di
fare una vita uguale alle altre. Purtroppo per lui e per Sarah, la ragazza ingenua e sognatrice che ha
conosciuto al telefono, i segreti di stato in possesso di Frank lo hanno trasformato da strumento di
morte a bersaglio dell'Intelligence: qualcuno da eliminare e in fretta.
Inizia così quella che può apparire come la fuga di Frank Moses ma altro non è che il giro di
reclutamento dei vecchi compagni: il vecchio Joe, il folle Marvin, il russo Ivan, lady Victoria, dopo di che
la canna della pistola compie un giro di 180 gradi e la fuga si fa vendetta, la diaspora riunione, la
pensione una nuova missione.
Tratto dal breve fumetto DC Comics scritto da Warren Ellis e illustrato da Cully Hammer, Red è stato
completamente reinventato nella sceneggiatura dei fratelli Hoeber, responsabili dell'inserimento dei
compagni di ventura del protagonista e del tono divertito e alleggerito del film. Non è, infatti, come uno
dei più significativi adattamenti da un fumetto che si fa apprezzare e ricordare questo film, ma piuttosto
come una riuscita composizione di quadri, personaggi e situazioni provenienti da spezzoni di pellicole
diverse e originalmente e gradevolmente assemblati. I film come materiali di partenza e il racconto
come risultato, dunque, anziché viceversa.
Ecco allora che nel bel prologo con Bruce Willis, ex supereroe in vestaglia, che prende a pugni il sacco
dopo colazione, non c'è solo l'eco del suo Butch in Pulp Fiction (il pugile, la colazione, il mitra) ma c'è
anche mister Incredibile e Léon (la piantina), mentre arrivati alla scena del ricevimento di gala, vien da
chiedersi quando ci siamo già stati, se in un episodio cinematografico della saga di Danny Ocean o in
uno televisivo di Alias. Eppure non sono citazioni soffocanti, forse non sono neppure citazioni, e c'è
spazio per molto altro, compreso il sublime personaggio di John Malkovich, un panzone paranoico con
un maialino di peluche sotto braccio dal quale estrarrà l'arma con cui umiliare una signorotta col
bazooka, in una sequenza emblematica dell'operazione nel suo insieme, quanto a connubio tra ironia e
spettacolarità.
Ma Willis e Malkovich non sono i soli a portare un valore aggiunto al proprio ruolo: a loro modo lo fanno
anche “la regina” Helen Mirren, con il richiamo sornione alla passione tutta inglese per il giardinaggio, e
Brian Cox, con la trilogia di Bourne nel curriculum. In assoluto, oltre a qualche buona battuta e a
qualche ambientazione più originale del solito, è essenzialmente a quest'alchimia tra attore e
personaggio che si deve il piacere della visione.
Da segnalare, in coda, un motivo di interesse anche nella figura di Sarah che, nel campionario dei
caratteri femminili cinematografici, si può ascrivere come appartenente alla categoria della “palla al
piede”. Con i romanzetti rosa in testa e le manette alle mani (quando non la pistola alla tempia),
pretende ed ottiene di essere portata in prima linea e salvata ogni volta, contribuendo a fare del
consenziente Bruce Willis un gentleman come pochi altri.
Gabriele Niola. Mymovies
Pensionati ed estremamente pericolosi, Retired and Extremely Dangerous, l’acronimo R.E.D. nasconde
la perfetta sinossi del film di Robert Schwentke, il contraltare ironico di I mercenari e
contemporaneamente il suo complemento. Se le grandi dive ricorrono alla chirurgia per non invecchiare
mai, Bruce Willis e soci si appoggiano agli effetti in computer grafica per non far invecchiare mai le
proprie scene d’azione (e se stessi con esse).
Con atteggiamento molto meno sofisticato rispetto alla banda di Danny Ocean, i pensionati d’eccezione
di RED hanno in comune con I mercenari di Stallone non solo la presenza di Bruce Willis (lì
comprimario, qui capobanda) ma soprattutto l’idea del grande crossover che non è mai accaduto,
l'unione fuori tempo massimo di un manipolo di star che oggi sono sempre meno tali.
Hollywood non è benevola con gli attori quando hanno superato una certa età, è noto, e in un periodo
in cui il cinema al grande eroe solitario predilige il team di eroi (da The losers ad A-Team fino al
prossimo I vendicatori), gli over 50 (e in molti casi over 60) portati alla ribalta anni fa dal cinema
d’azione devono mettersi insieme per tornare in sala.
Gli anni ‘80 che ritornano non sono solo quelli rianimati a forza da Sylvester Stallone o quelli più
sognatori e raffinati che J. J. Abrams ci mostrerà con il suo Super 8, modellato su un cinema
spielberghiano d’epoca, ma anche quelli incarnati da un numero di attori ugualmente importanti e di
primo piano attualmente senza collocazione.
Troppo anziani per essere ancora credibili come protagonisti di un film d'azione (al massimo possono
fare i mentori), troppo legati ad un cinema autoriale e alto per essere “rivalutabili” (erano già valutati
all’epoca) o infine troppo tenaci per mollare (per Bruce Willis non sembra mai essere passato un
giorno).
RED non teme di essere un film aperto a possibili sequel (si vedranno gli incassi, per il momento non
eccezionali) né teme di sfiorare il ridicolo e per questo sceglie il registro del grottesco. Ci vuole coraggio
per portare davvero degli ultrasessantenni in un film di pura azione come ha fatto Stallone, e
Schwentke e i suoi scelgono la strada più facile dell’ironia sull’età dei personaggi (“Me li ricordavo più
tosti quelli della CIA”, “Nonno a chi?”).
Una via di mezzo, quella tra audacia dell’operazione e timore di sembrare ridicoli, che probabilmente è
il difetto maggiore di un film che non è davvero divertente nè sa imporre la sua scelta di riportare ai
vertici attori che Hollywood solitamente relega a ruoli piccoli e carismatici.
Qui l'azione arriva da chi non se ne intende. Lo ha spiegato bene Vin Diesel presentando il suo Fast &
Furious 5, un altro film d’azione che fa dell’accumulo di personaggi e della presentazione di un “team” il
proprio punto di forza, che ad oggi vediamo quelle unioni che avremmo tanto desiderato vedere anni fa.
Se infatti Schwarzenegger e Stallone si incontrano per la prima, fugace ed insoddisfacente volta in I
mercenari, Diesel (da produttore) ha costruito un film intero sull’opposizione tra il fisico di Dwayne The
Rock Johnson e il suo (nell’inedita veste di “quello gracile”).
RED invece si appoggia su una serie di carriere e corpi che più che all’azione sono abbinati allo
spionaggio e al thriller (con l’inserimento “straniante” di Helen Mirren e Jonh Malkovich), menti da
action movie più che fisici. Il cinema da 007 al posto di quello da Commando, i grandi viaggi e i molti
scenari diversi ed esotici, cambiando il paesaggio e cambia di conseguenza l’orizzonte del genere, così
il romanticismo e la seconda occasione hanno un ruolo più importante.
C’è sempre una donna nei film d’azione, solitamente motore (immobile) della storia, ma in RED la
donna rappresenta, oltre all’oggetto da salvare, la possibilità concreta di una seconda occasione per
non far finire la vita all’arrivo della pensione.
La differenza tra RED e I mercenari (e con loro tutto il cinema del manipolo di eroi) è che RED si rivolge
a un pubblico della medesima età dei suoi protagonisti, parla dei loro problemi e carezza le loro
insicurezze, mentre I mercenari prendono di petto il pubblico giovane per dimostrarsi ancora una volta i
migliori sulla piazza.
Pietro Ferraro. Cinemaniaco
Frank Moses (Bruce Willis) è un-ex agente CIA che ha svolto lavori sporchi per l’Agenzia sino a che
quest’ultima non lo ha considerato troppo vecchio congedandolo con tanto di pensionamento, una
situazione che a Moses abituato ad adrenalina ed azione proprio non va giù, tanto che distrugge
sistematicamente gli assegni d’indennità che gli arrivano mensilmente solo per avere una scusa per
scambiare quattro chiacchiere con Sarah Ross (Mary-Louise Parker), bella telefonista del servizio
clienti con la quale Moses stabilisce un bel feeling.
Moses scoprirà ben presto di essere finito su una lista nera redatta dall’Agenzia che vede la
maggioranza dei nomi elencati vittime di strani e repentini decessi, dopo essere scampato ad una
squadra di pulizia Moses prende con se Sarah e cerca alcuni ex-colleghi per far chiarezza sui motivi
per cui la CIA e l’agente speciale William Cooper (Karl Urban) assegnato all’operazione stanno
eliminando tutti i nomi della lista.
La soluzione dell’enigma sembra essere legata ad una giornalista del New York Times prima vittima
dell’operazione insabbiamento e ad una missione svolta in Guatemala negli anni ’80, missione che ha
visto all’epoca Moses ed altri agenti ripulire le conseguenze di una missione finita fuori controllo.
Dopo la brutta esperienza patita con la visione del disastroso Jonah Hex, ecco un altro fumetto targato
DC Comics fare il suo debutto su grande schermo, trattasi della miniserie RED creata da Warren Ellis e
Cully Hamner, adattamento che vede dietro la macchina da presa il tedesco Robert Schwentke di cui
ricordiamo l’intrigante debutto in patria Tattoo e il thriller Flightplan con Jodie Foster.
Red si presenta come uno strano ed intrigante ibrido diretto con notevole dovizia e uno stile che
miscela la spy-comedy che ha fatto la fortuna di serial televisivi come Chuck, un look stiloso da
cinefumetto di ultima generazione con sequenze action spettacolari e ben coreografate, vedi il recente
The losers e un cast stellare che vede riuniti Bruce Willis, Morgan Freeman, John Malkovich ed Helen
Mirren a cui si aggiunge la diva da piccolo schermo Mary-Louise Parker, protagonista del fortunato
serial tv Weeds.
Schwentke si tiene in equilibrio tra il serio e il faceto con notevole stile, insomma utilizza al meglio la
rodata formula dramedy tanto cara la piccolo schermo per due ore che volano via senza intoppi tra
scazzottate, battute, scontri a fuoco e una spruzzata di Mission: impossible che non guasta mai.
Bruce Willis sfoggia la vis ironica e sorniona che lo ha trasformato in un divo, Freeman e Mirren
gigioneggiano con gran classe, Malkovich si diverte un mondo e la Parker pur se un pò sacrificata dal
ruolo romance, che tra l’altro è praticamente lo stesso di Cameron Diaz nella recente action-comedy
Innocenti bugie, non passa certo inosservata.
Red andrebbe premiato solo per la levità con cui approccia il genere e il cast che sfoggia, insomma un
buon film, divertente e recitato sempre sul filo dell’ironia anche quando su schermo impazza la
violenza.
Federico Gironi. Coming Soon
Non ci sono solo i supereroi. La sempre più complessa ibridazione produttiva e linguistica tra cinema e
fumetto sta rappresentando un nuovo step nel complesso percorso evolutivo del cinema d’azione come
inteso dagli anni Ottanta ai giorni nostri, riconfigurandone molti degli aspetti formali e dei toni e registri
utilizzati.
Dopo titoli in questo senso esemplari come Wanted e The Losers, ecco che il Red diretto da un
sorprendente Robert Schwentke ne è l’ennesima dimostrazione.
Non è un caso che, nella sua sequenza d’apertura, Red faccia tornare in qualche modo alla memoria
dei momenti tratti da due delle saghe che hanno fondato l’action contemporaneo come quella di Die
Hard e quella di Arma letale, prendendone al tempo stesso le distanze in maniera evidente.
Perché il nuovo cinema d’azione si riappropria della fisicità pesante ed esplosiva di quegli anni e quei
modelli, non alleggerendola più secondo le coordinate elastiche e aeree che erano state imposte dal
cinema orientale ma attraverso una sottolineatura forte ed espansiva dell’ironia e un impianto formale
dalle coordinate (anche balistiche) geometriche e iperrealiste, la cui esagerazione - fumettistica,
cartoonesca, appunto – è specularmente corrispondente alla leggerezza dei toni.
Grazie anche al fatto di avere a disposizione un gruppo d’attori di grande spessore e in grandissima
forma, Schwentke trova con il materiale di partenza (una graphic novel di Warren Ellis e Cully Hamner
adattata da Erich e Jon Hoeber) e soprattutto con la sua trasposizione linguistica un feeling che in
precedenza non aveva mai dimostrato di avere, e lascia che siano il divertimento e la spensieratezza a
dettare il ritmo del tutto. Linee narrative che nella saga di Jason Bourne o in film come Spy Game
venivano trattate con toni sostanzialmente cupi, con quel senso di paranoia che nemmeno la fine della
Guerra Fredda ha estinto ma anzi amplificato, qui vengono sviluppate secondo coordinate ammiccanti
e sardoniche e i protagonisti vengono ammantati di quella nonchalance ricca di eleganza che getta le
sue radici in certo cinema degli anni Sessanta, quello post-bondiano e del Rat Pack.
Ed ecco che allora tutto torna, e diventa chiaro come mai Red sia considerabile come l’Ocean’s Eleven
del cinema d’azione contemporaneo: Schwentke cita (e aggiorna) le atmosfere di Soderbergh (che
citava e aggiornava quelle di Lewis Milestone), riprende persino certe sonorità della colonna sonora e
lascia che la sua banda di all-star porti avanti un piano di rivalsa spionistica con numerose affinità nella
tecnica e nelle inflessioni con quello ordito da Clooney, Pitt e compagnia.
Come in quel caso, anche in questo, quello di Red, la macchina funziona liscia e ben oliata, lasciando
che lo spettatore possa godere nel massimo del disimpegno del divertimento, della bizzarria, del
sentimento e – ovviamente – dell’azione del film.
E se in questo elegante tour de force il fiato del regista appare un po’ corto nel finale, portando alla
perdita di qualche battuta, basta che riappaia Bruce Willis a fare da metronomo umano per riportare il
film in carreggiata prima e in porto poi.
Roberto Nepoti. La Repubblica
L'anno scorso, con "I Mercenari - The Expendables", Sylvester Stallone aveva richiamato in servizio se
stesso e altri veterani per raccontare le imprese di un gruppo di eroi dai capelli grigi. Tra gli ingredienti
mancava il senso dell'umorismo (come pretenderlo da Sly?); ora, alla mancanza mette rimedio Red,
storia di "vecchietti" da combattimento tratta da una graphic novel di Warren Ellis e Cully Hamner. Non
un capolavoro, certo, ma un film molto pop e, soprattutto, interpretato da una compagnia d'attori che da
sola meriterebbe la visita. Già il titolo fa simpatia: "red", infatti, è l'acronimo di Retired Extremely
Dangerous, pensionati estremamente pericolosi. La definizione sta scritta sul dossier di Frank Moses
(un Bruce Willis tornato cool come ai tempi della serie "Die Hard"), messo a riposo dalla Cia e che ora
si annoia, salvo quando flirta al telefono con la ragazza (Mary-Louise Parker) che si occupa della sua
pensione. La noia dura poco, perché un commando cerca di fargli la pelle; ma Moses è ancora un osso
duro e decima i killer in uniforme. Verrà fuori che i servizi segreti vogliono eliminarlo perché non spifferi
nulla su un vecchio affare, in cui era coinvolto un personaggio oggi molto in vista. Il meglio arriva
quando Moses va a recuperare i compagni della sua antica unità d'élite, in ritiro forzato come lui: Joe
(Morgan Freeman), che vegeta in una casa di riposo; Marvin (John Malkovich) il quale, strafatto di
anfetamine, si è ritirato in un bunker in Florida; la soave Victoria (Helen Mirren), costretta a lavoretti
occasionali per sbarcare il lunario. Mentre apprendiamo che nei loro rapporti non sono mancate le
turbolenze (Victoria chiede a Frank se sia venuto per ucciderla), si aggiunge al gruppo Ivan, agente
segreto russo un tempo in conflitto con loro, ora disposto ad aiutarli. Alternando l'azione violenta con i
toni di commedia, il film offre agli attori parecchie buone occasioni per autoderidersi con humour. Tra
tutti gigioneggia Malkovich, tipo di schizzato che si porta appresso un pupazzo di porcellino rosa.
Freeman sprizza simpatia col suo personaggio di vecchio tosto ma amichevole ("non sono morto...
sono solo in pensione"). Però il vero regalo è Helen Mirren, premiata con l'Oscar per "The Queen" e qui
trasformata in tiratore scelto della Cia senza perdere un briciolo del suo aplomb da gran dama:
basterebbe osservare la "mimetica" che indossa sulla neve, pezzo di alta sartoria in bianco con motivo
di foglie secche e cappellino in tono. E' carina anche la giovane Mary-Louise Parker, coinvolta
nell¿intrigo per amore del suo "assistito" Frank. Se più di una volta le gag non vanno a segno, sono
invece riuscite le scene d'azione: vedi il pestaggio furibondo tra Willis e l'agente di nuova generazione
Karl Urban; o la sequenza in stile Tarantino, concepita come un fumetto, dove Malkovich intercetta con
le pallottole il missile di una killer che ha avuto l'impudenza di chiamarlo "vecchio".