Pier Martire Vermigli, docente a Zurigo di Antico Testamento (1556

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Pier Martire Vermigli, docente a Zurigo di Antico Testamento (1556
GIULIO ORAZIO BRAVI
Pier Martire Vermigli,
docente a Zurigo di Antico Testamento(1556-1562)1
Testo (rivisto e aggiornato) della conferenza tenuta al Centro Culturale Protestante di Bergamo
il 24 novembre 2012 nell’ambito del ciclo : La riforma protestante nella città di Zurigo
Ora io mi trovavo per la prima volta in una repubblica
che con l’imperatore e la sua amministrazione non aveva nulla a che fare,
e mi buttai a capofitto a studiarne la storia.
Era dunque possibile liberarsi da un imperatore, ma bisognava lottare per la propria libertà.
(ELIAS CANETTI, La lingua salvata, Milano 1994, p. 201)
Vermigli a Strasburgo
Nella primavera del 1556 il teologo riformato Pier Martire Vermigli è a Strasburgo, come docente di Antico
Testamento presso il Ginnasio della città. Nella scuola commenta il Libro dei Giudici; è inoltre incaricato, in via
straordinaria, di esporre l’Etica a Nicomaco di Aristotele.
È la seconda volta che Vermigli sosta nella città alsaziana. Già vi aveva soggiornato dall’ottobre 1542 alla fine del
15472. Nell’ottobre del 1542 vi era giunto proveniente dall’Italia, che aveva lasciato nell’agosto mentre era priore nel
Monastero di S. Frediano a Lucca dei Canonici Lateranensi. In una accorata lettera del 25 dicembre 1542 alla
‘comunità’ di Lucca, aveva palesato di aver scelto l’esilio per vivere in piena libertà e con pacificata coscienza la fede
evangelica nella sola grazia, senza più infingimenti e ipocrisie, membro ora di una Chiesa riformata nel culto, semplice
e puro, nella disciplina, negli studi.
Ammirato docente biblico
Fin dal suo primo incontro con le comunità riformate del Nord, Vermigli aveva suscitato tra i pastori e i docenti
protestanti una straordinaria ammirazione per la sua vasta erudizione, la conoscenza delle lingue greca ed ebraica, la
profonda cultura classica e patristica, l’aggiornato metodo esegetico che risentiva dei princìpi filologici, linguistici e
storici dell’umanesimo italiano. Per tutto il corso della sua vita Pier Martire volle sempre dare di sé l’immagine del
docente biblico, con preferenza per l’Antico Testamento. Questa fu sempre anche l’immagine che i contemporanei
ebbero di lui.
Alla scuola di Marcello Virgilio Adriani
La formazione di Vermigli in Italia aveva beneficiato di un
cursus studiorum regolare, completo, eccezionale per la qualità
delle sedi, dei maestri, dei contenuti, dei metodi.
Nato a Firenze l’8 settembre 1499, dopo che in casa aveva
appreso dalla madre i rudimenti della lingua latina, a 11 anni
era stato mandato alla scuola di Marcello Virgilio Adriani
(1464-1521), segretario della Repubblica fiorentina, che era
stato allievo di Cristoforo Landino (1424-1504) e di Angelo
Poliziano (1454-1494). Il suo insegnamento e le sue
convinzioni politiche si fondavano sull’esempio di Leonardo
Bruni detto l’Aretino (1370-1444): un appassionato umanesimo
civico e repubblicano nutrito di cultura classica, in particolare
ciceroniana. Tra i compagni di scuola ebbe Pier Vettori (14991585) e altri membri delle famiglie più in vista di Firenze.
1
Questo stesso argomento è stato ampiamente trattato con ricchezza di particolari biografici, di approfondimenti teologici e pastorali da MICHAEL
BAUMANN, Petrus Martyr Vermigli in Zürich (1556-1562). Dieser Kylchen in der heiligen geschrifft professor un laeser, Inaugural Dissertation zur
Erlangung der Doktorwürde der Theologischen Fakultät der Univ. Zürich, 21 dicembre 2009, pubblicata in formato Pdf nel 2010 sul catalogo della
Zentralbibliothek di Zurigo; per la conoscenza del momento storico-religioso in cui cade il soggiorno di Vermigli a Zurigo rinvio il lettore a questa
documentatissima dissertazione; di essa mi sono giovato per le notizie biografiche riguardanti il soggiorno zurighese del teologo fiorentino, in
particolare per le notizie sulla sua famiglia.
2
Per un più ampio e documentato profilo biografico di Vermigli, che qui riassumo per sommi capi, vedi la “Nota bibliografica” in Appendice II.
Nelle note seguenti mi limito a citare solo titoli specifici, non presenti nella “Nota bibliografica”. Sulla Scuola di Strasburgo ANTON SCHINDLING,
Humanistische Hochschule und freie Reichstadt. Gymnasium und Akademie in Strassburg 1538-1621, Wiesbaden, Franz Steiner Verlag, 1977, in
particolare le pp. 263-264; in lingua italiana si può vedere SIMONA NEGRUZZO, L’armonia contesa. Identità ed educazione nell’Alsazia moderna,
Bologna, Il Mulino, 2005, alle pp. 58-99.
1
Novizio nella Congregazione Lateranense
Verso i 15 anni, attratto dalla vita religiosa e dalla passione per i libri, era entrato nella Badia Fiesolana della
Congregazione Lateranense dei Canonici Regolari di Sant’Agostino 3.
Presso la biblioteca della Badia si custodiva allora la raccolta di libri più bella e fornita di Firenze. L’aveva voluta
nel 1456 Cosimo de’ Medici, che per realizzarla si era rivolto al più capace e intraprendente libraio fiorentino,
Vespasiano da Bisticci (1421-1498), commissionandogli l’esecuzione di duecento codici. Il canone librario sul quale si
fondava la raccolta era quello fissato da Tommaso Parentucelli (1397-1455), poi papa Nicolò V (1447-1455), che
comprendeva grammatica e retorica, cultura classica e patristica, diritto canonico e civile, teologia scolastica dei secoli
XIII-XIV. La formazione intellettuale di Pier Martire, come quella dei novizi della sua età, è costruita sulle basi di
questo canone librario4.
All’Università di Padova
Le gerarchie della Congregazione inviarono Pier Martire, diciottenne, all’Università di Padova. Era la destinazione
riservata ai novizi più studiosi e promettenti.
Il giovane fiorentino giungeva a Padova negli anni in cui lo Studio, ripresosi dopo decenni di vita travagliata, si
incamminava a divenire uno dei più rinomati centri universitari d’Europa. A Padova, Vermigli scoprì Aristotele. Per
meglio comprenderne il pensiero, di cui lo affascinava il metodo d’indagine dei saperi, decise di studiare il greco,
ritenendo che per la sicura comprensione di un testo fosse necessaria la conoscenza della lingua nella quale era stato
scritto: fondamentale, primo punto del programma umanistico di ritorno alle fonti. Studiò il greco con Romolo Quirino
Amaseo (1464-1541) sino a quando questi restò a Padova, poi continuò da autodidatta, passando spesso la notte sui testi
greci nella biblioteca del Monastero di S. Giovanni in Verdara insieme all’amico confratello Benedetto Cusano.
Il 23 settembre 1525 fu ordinato sacerdote; il 29 aprile 1526 fu promosso predicatore. Chiamato in diverse città
italiane a predicare l’Avvento e la Quaresima, soggiornò in vari monasteri della Congregazione. Nel Monastero S.
Andrea di Vercelli, per consolidare la conoscenza del greco, tenne lezioni su Omero ai confratelli.
Studio dell’ebraico a Bologna
Trovandosi negli anni 1530-1533 nel Monastero S. Giovanni in Monte a Bologna, decise di iniziare lo studio
dell’ebraico e prese come maestro un medico ebreo di nome Isacco. Se per capire a fondo Aristotele aveva sentito il
bisogno di imparare il greco, ora voleva apprendere l’ebraico per meglio comprendere le Sacre Scritture, che stavano
per divenire l’oggetto principale, se non ancora esclusivo, dei suoi studi: segno di avviato mutamento del canone
librario sul quale era stato educato. La filosofia scolastica cedeva il passo all’esegesi e alla teologia biblica. Forse è
proprio a Bologna che Vermigli acquistò le monumentali edizioni bibliche in ebraico dello stampatore Daniel Bomberg,
con i commenti dei rabbini medievali, uscite in quattro volumi in-folio a Venezia negli anni 1524-15255. Questi volumi
accompagneranno Vermigli per tutta la vita. Sono ancora oggi conservati alla Biblioteca universitaria di Ginevra 6.
A Napoli nel gruppo degli evangelici
Fu invece a Napoli, dove giunse come Abate nel Monastero di San Pietro ad Aram nel 1537, che Vermigli conobbe
e studiò per la prima volta le dottrine teologiche riformate 7 . Frequentò Juan de Valdés, Marcantonio Flaminio,
Bernardino Ochino, Pietro Carnesecchi, il gruppo di evangelici e spirituali coi quali discuteva della giustificazione per
sola fede. Lesse Erasmo, le opere di Zwingli, De providentia e De vera et falsa religione, i commenti ai Vangeli e ai
Salmi di Martin Bucer. La scoperta della teologia della grazia, come la intendevano gli evangelici e i riformatori
d’oltralpe, seguì, quasi moto naturale, alla scoperta bolognese delle Sacre Scritture. Nuove letture, conversazioni
teologiche libere ed aperte, considerazione critica delle attuali condizioni della Chiesa, rielaborazione interiore delle
esperienze fino ad allora compiute portarono Vermigli a maturare una coscienza religiosa nuova, che si fondava sulla
3
Per la storia della Congregazione: NICOLA WIDLÖCHER, La Congregazione dei Canonici Lateranensi: periodo di formazione (1402-1483), Gubbio,
Scuola Tipografica Oderisi, 1929.
4
VESPASIANO DA BISTICCI, Le vite, Firenze, Istituto Nazionale di studi sul Rinascimento, 1970-1976, vol. II, pp. 183-189; ARMANDO PETRUCCI, Le
biblioteche antiche, in Letteratura italiana, vol. II, “Produzione e consumo”, Torino, Einaudi, 1983, alle pp. 547-551; il “canone librario” in:
GIOVANNI SFORZA, La patria, la famiglia e la giovinezza di papa Nicolò V. Ricerche storiche, Lucca, Tipografia Giusti, 1884, alle pp. 359-381.
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Sulle edizioni bibliche di Bomberg: GIULIANO TAMANI, Le bibbie ebraiche stampate in Italia nei secoli XV-XVIII, in «Bergomum. Bollettino della
Civica Biblioteca di Bergamo», n. 1-2, 1984, pp. 41-57.
6
Sulla biblioteca personale di Vermigli, in parte finita, dopo la sua morte, all’Accademia di Ginevra, oggi Biblioteca Pubblica e Universitaria di
Ginevra dove ancora si conserva, vedi: ALEXANDRE CANOCZY, La Bibliothèque de l’Académie de Calvin, Genève, Librairie Droz, 1969, alle pp. 1927, dove l’autore identifica i libri che Vermigli avrebbe portato con sé dall’Italia; sul significato culturale della biblioteca di Vermigli come contributo
alla conoscenza nel mondo riformato dell’umanesimo italiano: JOHN TEDESCHI, The cultural contributions of Italian Protestant Reformers in the Late
Renaissance, in Libri, idee e sentimenti religiosi nel Cinquecento italiano, Modena, Panini, 1987, pp. 81-108.
7
Non sto a citare i numerosissimi studi riguardanti i movimenti evangelici e di Riforma in Italia. Mi limito a segnalare: SALVATORE CAPONETTO, La
Riforma protestante nell’Italia del Cinquecento, Torino, Claudiana, 1992; MASSIMO FIRPO, Riforma protestante ed eresie nell’Italia del Cinquecento,
Bari, Laterza, 1993; ID., Dal sacco di Roma all’Inquisizione. Studi su Juan de Valdés e la Riforma italiana, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 1998;
MICHELE CASSESE, Inquisizione, Chiesa e vita religiosa nell’Italia moderna, in «Rivista di Storia e Letteratura Religiosa», n. 2, 2006, pp. 357-372:
rassegna critica della bibliografia sull’argomento apparsa negli ultimi anni; La Réforme en France et en Italie. Contacts, comparaisons et contrastes.
Etudes réunies par Philip Benedict, Silvana Seidel Menchi et Alain Tallon, Rome, Ecole française de Rome, 2007.
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certezza del legame tra ascolto dell’evangelo e dono della grazia, tra ritorno alla purezza e semplicità delle fonti
bibliche e urgente riforma della Chiesa.
La predicazione in San Pietro ad Aram
Con questa nuova, acquisita consapevolezza teologica e biblica, nel 1539 l’Abate avviò in S. Pietro ad Aram una
esposizione pubblica e continua della Prima lettera di Paolo ai Corinti. E qui si verificò il primo attrito di Vermigli con
l’autorità costituita, il Vicerè di Napoli, nominato da Carlo V, Pedro Alvarez de Toledo (vicerè dal 1532 al 1553).
Questi intervenne a bloccare la predicazione quando Pier Martire, giunto ai versetti 11-15 del cap. 3, non commentò
questo passo, seguendo una secolare tradizione, come fondamento biblico dell’esistenza del fuoco del Purgatorio, ma
semplicemente come mezzo retorico usato da Paolo per descrivere la condizione di chi ha male operato. L’esegesi
storico-letterale di impronta filologica, inaugurata da Lorenzo Valla e poi continuata da Erasmo, e che Vermigli faceva
propria, si scontrava con le tradizionali credenze, col magistero della Chiesa, con le pubbliche autorità.
A Lucca nel Monastero di S. Frediano
Pier Martire Vermigli negli anni 1541-1542 è Priore nel Monastero S. Frediano di Lucca. La città toscana, per
costituzione politica, era una libera repubblica, che aveva costruito la sua fortuna grazie all’intraprendenza di ricche
famiglie di mercanti, che tenevano il governo della città, viaggiavano per l’Europa, amavano la libertà8. In questa città
indipendente e dinamica, le rinnovate concezioni evangeliche si erano già diffuse tra il ceto patrizio fin dagli anni Venti,
con la lettura di opere dei riformatori, introdotte in città con i traffici mercantili, e con la predicazione di frati itineranti.
In città Erasmo era un autore letto e ammirato. Due ricchi mercanti, Ludovico Buonvisi e Martino Gigli, avevano
progettato nel 1539 di finanziare la traduzione in italiano delle sue opere9. Vermigli, che trovava quindi in città uno
spirito ben disposto nei riguardi della sua innovativa azione pastorale, sicuramente di indirizzo riformato anche se non
del tutto palese, almeno nella pratica esteriore delle cerimonie, diede vita nel Monastero a una scuola biblica che, nelle
forme e nei contenuti, non aveva precedenti in Italia e non avrà più seguiti. Vi si insegnavano le lingue latina, greca ed
ebraica, vi si commentavano le lettere di Paolo e i Salmi. La scuola aveva diversi gradi, per ragazzi, per giovani, per il
pubblico degli adulti con corso serale prima di cena. La scuola di Vermigli è stata un’esperienza unica nel panorama
della vita religiosa italiana del Cinquecento: sembra pensata sul modello di iniziative analoghe introdotte nelle città
riformate di Zurigo e Ginevra.
Le reazioni della Città
Quali reazioni suscitarono le lezioni pubbliche di Vermigli e dei suoi
confratelli Paolo Lacisio di Verona e Celso Martinengo di Brescia, e
dell’ebreo convertito Emmanuele Tremelli di Ferrara? In un primo tempo
le autorità cittadine appoggiarono l’azione didattica e pastorale di
Vermigli, e la prova sta nel fatto che il Senato della città scrisse il 12
aprile 1542 una lettera ai Definitori della Congregazione Lateranense
perché fosse accordata a Vermigli la possibilità di rimanere a Lucca
anche alla scadenza del suo mandato, adducendo questo motivo: la città
deve avere «persone religiose et da bene et di una sana dottrina, le quali
col buono esempio della vita loro et con le continue exortationi et lectioni
delle sacre littere solamente alla salute delle anime ammaestrino […] il
nostro popolo nella vera via della salute».
Chiesa di S. Frediano a Lucca
Un nuovo clima con l’istituzione del S. Uffizio
Ma all’altezza dell’anno 1542, soprattutto dopo la ricostituzione nel luglio di quell’anno del Sant’Uffizio, massimo
organismo inquisitoriale della Curia Romana, si era notevolmente ridotto lo spazio di manovra di quei circoli e gruppi,
come il circolo di Viterbo, il circolo del Valdés a Napoli, il gruppo di Lucca, che avevano contribuito in campo cattolico
a promuovere iniziative per il rinnovamento religioso, sorrette dalla comune cultura umanistica, dal desiderio di
purificare la Chiesa da abusi e superstizioni, da spirito di conciliazione verso il mondo protestante. E gli occhi del
Sant’Uffizio cominciarono a fissarsi con particolare attenzione e determinazione proprio sulla città di Lucca. Nell’estate
del 1542, la situazione religiosa della città si fece drammatica. Il 12 luglio il Senato invitava in forma privata, senza
ricorrere al bando pubblico, l’umanista e pedagogo Celio Secondo Curione a lasciare Lucca. Il 13 luglio i Senatori, con
lettera al cardinale lucchese Bartolomeo Guidiccioni, mentre respingevano le accuse di eresia mosse alla città,
8
Sempre fondamentale MARINO BERENGO, Nobili e mercanti nella Lucca del Cinquecento, Torino, Einaudi, 1974 (I ediz. 1965).
EMILIANO GANDOLFI, La Riforma a Lucca: un quadro dell’origine e della diffusione del movimento riformatore, in «Actum Lucae. Rivista di studi
lucchesi», n. 1-2, 1980, pp. 31-65; SIMONETTA ADORNI BRACCESI, Libri e lettori a Lucca tra Riforma e Controriforma: un’indagine in corso, in Libri,
idee e sentimenti…, cit. pp. 39-46; ID.“Una città infetta”. La repubblica di Lucca nella crisi religiosa del Cinquecento, Firenze, L. S. Olschki, 1994,
in particolare le pp. 109-143.
9
3
rassicuravano il cardinale che i lucchesi erano «obedienti alla sede apostolica». Il 21 luglio il Senato, con decreto,
ripristinava processioni, elemosine, antiche devozioni10.
La situazione politica di Lucca
Che cosa era intervenuto nel Senato lucchese per determinare un tale cambiamento di politica religiosa?
Sicuramente la paura di perdere la libertà e l’indipendenza a scapito dell’espansionismo mediceo, appoggiato e
sostenuto dall’imperatore Carlo V. La Firenze repubblicana di Vermigli, dopo aspre e continue lotte tra fazioni, nel
1530 aveva perso la sua libertà. Il 12 agosto la città si era sottomessa all’imperatore e gli aveva giurato obbedienza. Il
27 aprile 1532 venne decretata la provvisione che stabiliva la costituzione del principato11.
Sia nel Nord Europa, sia in Italia la Riforma ha vinto o ha perso per la presenza o meno di comunità convinte e
perseveranti nonché di personalità dotate di forte fede e di indubbio carisma, ma anche, non si può mai dimenticare, per
la determinante e decisiva azione delle forze politiche in campo.
Vermigli raggiunge Zurigo nell’agosto 1452
1l 12 agosto Vermigli lasciò il Monastero di S. Frediano e cavalcò verso Firenze. Nella città natale si incontrò con
Bernardino Ochino, vicario generale dei Cappuccini. L’incontro fu decisivo per concordare insieme quale fosse la scelta
migliore da prendere in quel momento, la via dell’esilio12. Alla fine di agosto Vermigli raggiunse Zurigo. Che la prima
meta del suo esilio in terra protestante fosse Zurigo, non è che una conferma dell’immagine positiva che agli occhi del
fiorentino doveva avere la Chiesa riformata di Zurigo, di cui condivideva la confessione di fede e l’organizzazione. A
Zurigo Vermigli si offrì come docente biblico, ma in quel momento nessun posto era vacante nella Schola Tigurina.
Vermigli docente di Antico Testamento a Strasburgo
Da Zurigo passò a Basilea, dove rimase per circa un mese. Qui lo raggiunse il gradito invito del pastore della
Chiesa di Strasburgo, Martin Bucer, ad assumere alla Scuola della città alsaziana il posto di docente di Antico
Testamento che era stato di Wolfgang Capitone (1478-1541), scomparso da ormai un anno, uno dei primi grandi e
celebrati ebraisti della cosiddetta ‘scuola renana’. Vermigli iniziò le lezioni a novembre commentando i profeti minori,
passò alle Lamentazioni di Geremia; commentò poi Genesi, Esodo e Levitico.
La sconfitta della Lega protestante
La sconfitta della Lega protestante di Smalcalda, il 24 aprile 1547 a Mühlberg, per opera dell’esercito imperiale di
Carlo V, che rappresentò in Europa un primo punto di arrivo e poi di accelerata ripartenza della riscossa cattolica, venne
improvvisamente a modificare le condizioni della politica religiosa di Strasburgo 13.
Per costituzione politica Strasburgo era una libera città imperiale, governata da un regime repubblicano. Ma lo
statuto di ‘città imperiale’ legava in qualche modo la città alla politica dell’Impero. La sconfitta a Mühlberg della Lega
protestante, cui Strasburgo con altre città del Sud della Germania aveva aderito, non poteva non avere ripercussioni in
città, nella quale dal 1524, grazie all’azione riformatrice di Martin Bucer e alla politica del borgomastro Jakob Sturm,
erano state introdotte e consolidate riforme dottrinali, liturgiche e scolastiche.
Carlo V impose alle città imperiali la soluzione da lui auspicata per il problema religioso germanico: un
compromesso che i luterani più moderati potessero accettare.
Vermigli raggiunge l’Inghilterra
Il professore italiano di Antico Testamento, in questa distretta, non volendo accettare le condizioni imposte dalla
Dieta riunita ad Augusta nell’agosto 1547, che di fatto non prendevano nemmeno in considerazione le posizioni
teologiche riformate delle città imperiali, molto più vicine alle Chiese riformate svizzere che non alle Chiese dei
Principi territoriali della Germania, decise verso la fine del 1547 di lasciare Strasburgo, accettando l’invito
dell’Arcivescovo di Canterbury, Thomas Cranmer (1489-1556), di diventare regius professor all’Università di Oxford.
Martin Bucer, che per qualche mese cercò di resistere alle pretese imperiali, dovette anch’egli lasciare Strasburgo e
trasferirsi in Inghilterra con il collega Paul Fagius nel febbraio 1549. Alle città della Germania meridionale, Augusta e
Ulm, che si erano opposte con forza alle condizioni poste dell’imperatore, Carlo V abrogò privilegi e libertà.
Dopo la morte di Enrico VIII, avvenuta il 31 gennaio 1547, al trono inglese era salito il figlio, decenne, Edoardo VI
Tudor (1537-1553). Sotto il suo regno venne riformata in senso protestante la Chiesa d’Inghilterra per l’influenza dello
zio Edward Seymour duca di Somerset, reggente per conto del nipote, oltre che dell’Arcivescovo Cranmer. In questa
fase Vermigli, molto stimato e ascoltato dall’Arcivescovo, ebbe parte considerevole nella riforma organizzativa e
10
BERENGO, cit., p. 290.
RUDOLPH VON ALBERTINI, Firenze dalla Repubblica al Principato, Torino, Einaudi, 1970 (ediz. orig. Bern 1955).
12
Sull’incontro dei due religiosi: ROLAND H. BAINTON, Bernardino Ochino, esule e riformatore senese del Cinquecento (1487-1563), Firenze,
Sansoni, 1940, alle pp. 39-60.
13
THOMAS A. BRADY, Ruling Class, Regime and Reformation at Strasbourg 1520-1555, Leiden, E. J. Brill, 1978, con ricca bibliografia,
un’appendice prosopografica dei membri del Consiglio di Strasburgo dal 1520 al 1555, lunga disamina dell’azione diplomatica di Jakob Sturm;
Strasbourg au coeur religieux du XVI siècle, Actes du Colloque International de Strasbourg (25-29 mai 1975) a cura di Georges Livet e Francis Rapp,
Strasbourg, Librairie Istra, 1977.
11
4
liturgica della Chiesa inglese. Prese parte alle interminabili discussioni sul tema eucaristico. Commentò come regius
professor a Oxford la Prima lettera di Paolo ai Corinti e la Lettera di Paolo ai Romani.
La riscossa cattolica
Ma l’improvvisa morte di Edoardo VI il 6 luglio 1553, appena sedicenne, e la conseguente salita al trono di Maria I
Tudor, di fede cattolica, che impose la reintroduzione nel regno del culto e delle pratiche cattoliche e che represse con
forza ogni forma di dissenso (l’Arcivescovo Cranmer sarà arso vivo a Oxford il 21 marzo 1556), provocarono
un’ondata di esuli protestanti inglesi, soprattutto giovani, che lasciarono l’Inghilterra per raggiungere le città di
Francoforte, Zurigo, Ginevra, Strasburgo. Anche Vermigli lasciò l’Inghilterra e raggiunse il 30 ottobre 1553
nuovamente Strasburgo.
Di nuovo a Strasburgo
La città alsaziana, grazie all’accorta diplomazia di Jakob Sturm, era riuscita a mantenere buoni rapporti con
l’imperatore, pur dovendo sottostare all’imposizione dell’Interim, che tollerava la presenza di una chiesa protestante di
moderato luteranesimo. Con l’arrivo in città nel 1552, come capo dei pastori strasburghesi, del luterano Johann
Marbach, deciso propugnatore della Confessio augustana, prendono sempre più piede nella Chiesa alsaziana le direttive
teologiche ed ecclesiastiche del luteranesimo ufficiale, sostenute e condivise da una consistente parte delle autorità
cittadine. Anche a Strasburgo si avvertiva il nuovo clima che dalla seconda metà del secolo percorreva l’Europa, nella
quale, al lento crescere e svilupparsi degli assolutismi in politica, cominciava a corrispondere nella vita religiosa il
confessionalismo e l’ortodossia: ogni principe imponeva al suo territorio la sua Religio, cioè la sua confessione.
Accanto a un’Europa luterana, ne era sorta una zwinglio-calvinista, ambedue contrapposte a un’Europa cattolica: di lì a
pochi anni, nel 1555, questa situazione sarebbe stata politicamente e giuridicamente ratificata. Strasburgo non poteva
sottrarsi a questo processo: essere una città imperiale non le consentiva di opporsi alla volontà dell’imperatore, che fin
dal 1530 aveva mostrato verso i luterani un diverso atteggiamento, più tollerante e compromissorio, a confronto delle
chiese riformate, per cui l’adeguarsi della città al confessionalismo luterano non poteva che essere l’esito scontato della
sua stessa costituzione politica.
A Strasburgo Vermigli poteva comunque contare sull’amicizia e sulla protezione di non pochi membri del
Consiglio, educati e formatisi ai tempi di Martin Bucer, e che erano sempre rimasti legati alla fede riformata; la Scuola
era retta dall’amico Johann Sturm, umanista e riformato, di mentalità aperta, tollerante; giunto in città, aveva poi scelto
di fare parte della comunità francese, nella quale sopravviveva, tollerato, lo spirito riformatore di Calvino.
A Strasburgo Pier Martire ritrova Girolamo Zanchi
Dopo che a Oxford Vermigli aveva dovuto commentare le lettere paoline, alla Scuola di Strasburgo il biblista
fiorentino può ora ritornare a commentare l’amato Antico Testamento.
Come collega alla Scuola ritrova l’amico e un tempo in Italia suo allievo e confratello Girolamo Zanchi,
bergamasco, di diciassette anni più giovane di lui, che ha lasciato l’Italia per motivi di fede alla fine dell’estate 1551 e
che, dopo una lunga sosta a Ginevra, è stato assunto il 25 febbraio 1553 alla Scuola di Strasburgo in sostituzione del
defunto Kaspar Hedio14. Vermigli ha in questo momento 54 anni, Zanchi 37. Ambedue insegnano Antico Testamento.
Vermigli commenta il Libro dei Giudici, Zanchi il profeta Isaia.
A Strasburgo Vermigli è in stretti rapporti con gli esuli inglesi, che sono assidui frequentatori delle sue lezioni.
Stringe amicizia con alcuni giovani francesi, studiosi di storia del diritto, come François Hotmann e François Baudouin,
assidui ospiti in casa sua. Frequenta e stima lo storico Johann Sleidan (1506-1556), che sta componendo la sua opera
storica sull’Impero e la Chiesa al tempo di Carlo V, che appare nel 1555, e di cui Vermigli corregge le bozze15.
Dissidi con i pastori luterani della Città
Ma il clima religioso di Strasburgo, con i pastori ormai tutti schierati nel sostenere il confessionalismo luterano, e
che nelle chiese della città non mancano durante i sermoni di attaccare aspramente quanto i due italiani, Vermigli e
Zanchi, espongono alla Scuola in materia di predestinazione ed eucarestia, porta il fiorentino a maturare lentamente
l’idea che gli convenga ancora una volta cambiare aria. L’idea si fa progetto concreto quando il Consiglio della Città gli
vieta formalmente di trattare nella Scuola il tema della sacra Cena.
Siamo nella primavera del 1556, il momento da dove siamo partiti. Vermigli sa che Calvino lo vedrebbe volentieri a
Ginevra, e non mancano altre proposte.
Successore di Conrad Pellikan a Zurigo
I rapporti con i pastori luterani sul tema della Cena si fanno sempre più tesi, quando il 1° maggio 1556 Pier Martire
riceve da Zurigo una lettera di Heinrich Bullinger, capo della chiesa zurighese, che lo invita a prendere il posto alla
Schola Tigurina del defunto Conrad Pellikan, come docente di Antico Testamento.
Zurigo, dopo la morte di Pellikan, vuole assumere alla Scuola un professore dal nome prestigioso, una figura dallo
spessore internazionale che nella Scuola zurighese era sempre mancato: una scelta che bene si accordava sia con la
14
15
GIULIO ORAZIO BRAVI, Girolamo Zanchi, da Lucca a Strasburgo, in «Archivio storico bergamasco», n. 1, 1981, pp. 35-64.
JEAN SLEIDAN, De statu religionis et reipublicae , Carolo quinto Caesare, commentarii, [Strasbourg, Wendelin Rihel], 1555.
5
politica perseguita dalla città sia con il carattere di Bullinger, successore di Zwingli, uomo dalla mentalità aperta, che
con la sua sterminata corrispondenza aveva creato relazioni con tutte le chiese protestanti, con principi e autorità
cittadine, con umanisti, pastori, teologi.
La lettera d’invito che Bullinger scrive a Vermigli merita la più attenta considerazione. Si tratta di un documento di
notevole significato sotto vari punti di vista, teologico, ecclesiastico, politico, personale. Ritengo opportuno fornirne
una traduzione parziale in italiano, rinviando il lettore più interessato all’edizione critica del testo originale latino in
Appendice I al presente saggio.
A Pietro Martire, salute.
[…] Avrai saputo sicuramente della morte del nostro carissimo fratello Conrad Pellikan, avvenuta proprio il giorno di Pasqua.
Egli fu professore di lingua ebraica qui nella nostra Scuola, collega di Theodor Bibliander nell’esposizione dell’Antico Testamento.
Aperte le consultazioni per trovare un degno sostituto del professore defunto, tutti i colleghi unanimemente hanno indicato ed eletto
Pier Martire. Recata questa decisione al Gran Consiglio della nostra Repubblica, questi l’ha approvata e confermata con voto
unanime. Ora scrive al Gran Consiglio della Repubblica di Strasburgo per pregarlo di autorizzarti a lasciare la città e ad accogliere la
nostra chiamata.
Anche a me è stato ingiunto dai colleghi di scriverti a nome di tutto il collegio per esortarti a venire tra noi, che ti siamo amici.
Sono molte le ragioni che si possono accampare per farti decidere ad accettare la nostra richiesta: finalmente ti libererai da contese
che infestano gli animi, mentre qui vi sono persone che ti amano e che odiano le polemiche. Troverai qui a Zurigo un tuo vecchio
amico e fratello, Bernardino Ochino. Troverai una Chiesa italiana che simile non si trova in alcuna parte della Germania. Sarai più
vicino all’Italia. Avrai uno stipendio abbastanza liberale e munifico. Dovrai sostenere impegni non gravosi; tieni conto della tua età:
se accadrà di ammalarti o, vecchio, di non poter più far fronte ai tuoi doveri, lo stipendio, trattandosi di una porzione canonica, ti sarà
garantito comunque sino alla fine della tua vita. Se riesci a sistemare le tue cose, ti
aspettiamo per la festa di S. Giovanni Battista, 24 giugno.
Mentre scrivo questa lettera, me ne viene recapitata una indirizzatami da Pier
Paolo Vergerio, dalla quale vengo a sapere che nel frattempo anche il principe elettore
del Palatinato ti invita come professore all’Università di Heidelberg. La notizia ci
rattrista e non poco. Ma voglio che tu consideri con molta ponderazione la cosa. Hai
imparato a tue spese in Inghilterra che cosa vuol dire mettersi al servizio di un principe;
e sì che Edoardo VI era giovane; il principe del Palatinato è invece anziano e ha già,
come si dice, un piede nella tomba. Sai bene quante mutazioni porta con sé la morte di
un principe. Sei esperto di quanti impegni deve sobbarcarsi uno che insegna
all’Università: hai un’età che non può essere ulteriormente aggravata di lavoro,
semmai sollevata. Sai anche bene quanto i Principi dell’Impero devono dipendere dal
comando dell’Imperatore e come a causa degli editti di quest’ultimo molte cose sono
cambiate nelle Chiese della Germania. Se vieni da noi vieni tra gente libera, che non ha
nulla a che fare con l’Imperatore e con i velenosi maneggi delle Diete. Questa Chiesa
di Zurigo mantiene e conserva la stessa fede che ha ricevuto ormai da trent’anni e
aborre da novità e dissidi. Credo che a un uomo pio e studioso nulla importi di più di
una vera libertà e di poter vivere tra amici.
Non aggiungo altro. Tutti ti preghiamo di venire. Ti saluto a nome di tutti. Zurigo,
1° maggio 1556.16
Ritratto di Heinrich Bullinger, sec. XVI.
La realizzazione di un sogno
Per Vermigli, poter andare a vivere e a insegnare a Zurigo vuol dire coronare il sogno di una vita. Già aveva chiesto
di poter rimanere nella città sulla Limmat nell’agosto del 1542, quando aveva appena lasciato l’Italia, e solo per la
mancanza di un posto vacante alla Scuola il suo desiderio non era stato appagato. Si era trovato sempre d’accordo con la
confessione di fede della città, in particolare circa la tanto dibattuta dottrina sacramentaria della Cena; aveva sempre
ammirato l’assoluta priorità che nella Schola Tigurina veniva data all’insegnamento biblico; approvava il rapporto tra
Chiesa e Magistrato civile che Bullinger aveva sostenuto come di due funzioni di uno stesso corpo avente come scopo
la felicità, il benessere spirituale, la pace del popolo; nel carteggio di Vermigli, costituito da circa 350 lettere oggi
conservate, i pastori e i docenti di Zurigo occupano il primo posto, con Bullinger in testa. Poi Zurigo era una vera
Repubblica libera, che non poteva non ricordare a Vermigli la sua Firenze dell’infanzia e della prima giovinezza.
Toccando nella sua lettera la corda politica, Bullinger, che conosceva bene Vermigli e forse anche l’indole dei fiorentini,
colpiva nel segno.
Il lettore che ha seguito sin qui, con attenzione, le tappe della vita del teologo fiorentino avrà constatato come le
condizioni dei regimi politici dei luoghi nei quali egli soggiornò, Napoli, Lucca, Strasburgo, Oxford, poi ancora
Strasburgo, hanno fortemente influenzato le sue scelte, costringendolo ogni volta a mutare i suoi progetti di vita. Le
condizioni storico-politiche si sono costantemente intrecciate a inderogabili questioni di coscienza, a un desiderio di
libertà, per il suo credo religioso e per i suoi amati studi, mai pienamente soddisfatto. La parabola della sua vita, che è
quella di un uomo di profonda fede riformata e di convinzioni repubblicane, iniziata nella libera repubblica di Firenze
non poteva forse che concludersi nella libera repubblica di Zurigo.
16
Rimando per l’annotazione storica all’edizione critica della lettera in Appendice I.
6
Vermigli lascia Strasburgo
Dopo non poche tergiversazioni del Consiglio di Strasburgo, che vorrebbe ritardare la partenza dell’italiano nella
speranza di un suo ripensamento; dopo che alcuni colleghi hanno cercato in tutti i modi di convincere Vermigli a restare
nella città alsaziana; dopo che fallisce anche l’ultimo tentativo, quello dell’amico Girolamo Zanchi, che cerca di
convincere il compatriota e maestro a rimanere a Strasburgo per resistere insieme ai polemisti luterani, Pier Martire il
13 luglio lascia Strasburgo e il 17 arriva a Zurigo, dove viene ospitato nella casa di Bullinger. Il 20 viene presentato al
Gran Consiglio della Città; il 28 giura di osservare gli ordini e i regolamenti della Scuola, che erano stati compilati da
Bullinger nel 1532 17 . Sono venuti con lui a Zurigo il fedele segretario Giulio Santerenziano con moglie e figlio,
l’allievo prediletto inglese John Jewel (1522-1571) che alle lezioni del maestro, sin dai tempi di Oxford, ha il compito
di stenografare l’esposizione di Vermigli per poi redigerne in bella copia, insieme col docente, il testo definitivo18.
Dopo aver goduto per qualche giorno dell’ospitalità di Bullinger, vanno tutti ad abitare nella casa Haus zur Sul, che
fa angolo tra Kirchgasse e Neustadtgasse, posta dietro la Grossmünster, di fronte alla Scuola e poco distante
dall’abitazione dell’antistes Bullinger. (Nell’immagine: veduta parziale della Città di Zurigo di Jos Murer, 1576. Una freccia
rossa indica la casa dove abitò Vermigli. In primo piano il fiume Limmat; in basso sulla sinistra il Palazzo del Consiglio, Rathaus).
La famiglia di Vermigli
Quando il fiorentino si trovava a Strasburgo
durante il suo primo soggiorno aveva sposato una
religiosa francese, Catherine Dummartin, di Metz,
anch’ella rifugiata nella città alsaziana a motivo
della fede. Seguito il marito in Inghilterra nel 1547,
era morta a Oxford il 15 febbraio 1553.
A Zurigo Vermigli si risposa con Caterina
Merenda di Brescia, appartenente alla comunità
riformata italiana di Ginevra. È il marchese
Galeazzo Caracciolo di Napoli, anch’egli esule per
fede in Svizzera, a propiziare le nozze, di cui è
testimone insieme a Bullinger il 9 maggio 1559.
Vermigli ha 60 anni, la sposa è molto più giovane.
Da questa seconda moglie Vermigli ha tre figli,
mentre nessun figlio era nato dal primo matrimonio.
I primi due figli, di nome Gerodora (dono del
vecchio?) e Eliperio muoiono poco dopo il parto.
Quando Pier Martire morirà il 12 novembre 1562
la moglie Caterina era al quinto mese di gravidanza.
Sul letto di morte il professore nominerà, con
l’autorizzazione del Consiglio, tutore del nascituro
l’amico Bernard Sprüngli. Il 3 marzo 1563 nascerà una bimba alla quale non si poteva dare nome più bello: Maria
Vermiglia. La vedova Caterina Merenda si risposerà con il locarnese Lodovico Ronco. Maria Vermiglia si sposerà con
Hans Bernard Zain e avrà ben tredici figli. Era ancora viva nel 1637, quindi a 74 anni, perché negli archivi di Zurigo si
conserva una sua raccomandazione per il genero Hans Heinrich Waser, cordaio, inoltrata al Consiglio della città,
ricordando i grandi meriti acquisiti da suo padre presso la Scuola cittadina.
Il metodo di insegnamento di Vermigli biblista
Pier Martire arriva a Zurigo come esegeta biblico. Il suo metodo è finalizzato all’esposizione storico-letterale,
perseguita mediante un’attenta analisi grammaticale e lessicale del testo 19 . Per questa prima fase del lavoro
interpretativo si fonda sull’originale ebraico della Bibbia masoretica, che confronta con la versione aramaica del
Targum; legge e utilizza i commenti dei rabbini medievali, tra i più citati Avrahàm ibn Ezrà (1089-1164) e David
Qimchi (1160-1230), della scuola ispano-provenzale dei secoli XII-XIII, e del rabbino Shelomòh ben Yitzchàq (10401105), della scuola della Francia settentrionale dell’XI secolo, meglio conosciuto come Rashi. Vermigli legge questi
testi (Bibbia masoretica, Targum, commenti rabbinici) nei monumentali quattro volumi in-folio pubblicati da Daniel
Bomberg a Venezia negli anni 1524-1525, che poté contare sulla collaborazione dell’ebreo tunisino Yaaqòv ben
17
Sulle origini e lo sviluppo della Scuola: ERNST ULRICH, Geschichte des Zürcherischen Schulwesens bis gegen das Ende des sechzehnten
Jahrhunderts, Winterthur, Bleuler-Hausheer, 1879; Schola Tigurina. Die Zürcher Hohe Schule und ihre Gelehrten um 1550, Katalog zur Ausstellung
vom 25. Mai bis 10. Juli 1999 in der Zentralbibliothek Zürich, a cura di HANS ULRICH BÄCHTOLD, Zürich und Freiburg i. Br., Pano Verlag, 1999:
schede dedicate a Vermigli alle pp. 34-37 (di MICHAEL BAUMANN) e alle pp. 54-66 (di EMIDIO CAMPI).
18
Con la salita al trono di Elisabetta I il 17 novembre 1558, John Jewel ritornerà in Inghilterra; sarà vescovo di Salisbury dal 1560 al 1571; il lavoro
di questo giovane inglese, che stenografa le lezioni del maestro, è documentato in LAWRENCE HUMPHREY, Ioannis Iuelli angli espiscopi
Sarisburiensis vita et mors, Londra, apud Iohannem Dayum typographum, 1573, p. 40: Jewel stava alle lezioni di Pier Martire «calamo et atramento
armatus ne quid effugeret»; Jewel giovò molto a Vermigli nella edizione del commento al Libro dei Giudici, p. 89; anche Humphrey era esule a
Zurigo quando vi insegnava Vermigli, p. 89, e abitava nella casa dello stampatore Froschauer.
19
Su Vermigli esegeta vedi in Appendice II la “Nota bibliografica”, paragrafo 5.
7
Chayyìm. Il senso del testo viene spiegato, oltre che col ricorso alla grammatica e al lessico, anche al contesto storico e
religioso del popolo ebraico, alle istituzioni, leggi, costumi giudaici. Passi oscuri o dubbi vengono interpretati alla luce
di passi delle Scritture più chiari ed espliciti, in base al principio, sempre tenuto in gran conto nelle scuole riformate,
che le Scritture, per sé sufficienti, si interpretano con le Scritture. Cura con attenzione la cronologia e la successione dei
fatti. Ricorre alla apprezzata versione greca dei Settanta. Conosce e utilizza le versioni latine moderne, di Sante Pagnino
(1528) e di Sebastian Münster (1535), condotte sull’originale ebraico, ma non disdegna la Volgata di s. Girolamo.
Conosce e cita gli interpreti moderni, esponenti di quella scuola cosiddetta ‘renana’, sviluppatasi tra ZurigoBasilea-Strasburgo, che prende le sue origini dall’ebraista Johannes Reuchlin, caratterizzata dalla ricerca del senso
letterale del testo, formata da teologi biblisti conoscitori dell’ebraico e dei commenti rabbinici. Esponenti di questa
scuola sono Martin Bucer, Johannes Ecolampadio, Wolfgang Capitone (di cui Vermigli fu successore nel 1542 a
Strasburgo), Paul Fagius, Sebastian Münster, Conrad Pellikan (di cui Vermigli è ora successore a Zurigo), Leo Jud,
Theodor Bibliander. Alcuni di loro sono autori di nuove versioni latine dall’originale, di commenti biblici e di
grammatiche ebraiche. Sono solitamente chiamati ebraisti cristiani. Se furono in prevalenza di fede riformata non
mancarono nemmeno in campo cattolico, come Sante Pagnino (1470-1541), Agostino Giustiniani (1470-1536), Felice
da Prato (? – 1559), Tommaso de Vio (1469-1534). Vermigli non diventa un ebraista soggiornando nelle Chiese
riformate del Nord, lo era già in Italia 20.
Stabilito l’esatto (o il più attendibile) significato delle parole e delle locuzioni, Vermigli applica poi all’analisi del
testo le regole della retorica, evidenziando sia l’impianto generale («genus orationis») sia le singole figure retoriche. A
questo lavoro grammaticale, lessicale, retorico, si accompagna poi, sempre al fine di fornire un’interpretazione
esauriente, il ricorso a Filone di Alessandria, a Giuseppe Flavio, ai commenti e alle opere dei padri della Chiesa, dei
teologi scolastici, dei classici greci e latini di cui ha una conoscenza straordinaria. Fa anche uso della psicologia, quando
invita l’ascoltatore a immedesimarsi nelle situazioni e condizioni dei personaggi delle vicende storiche descritte, per
meglio comprenderle e riviverle.
La storia magistra vitae, testis veritatis
L’esegesi storico-letterale offre materia per giudizi storici e morali. Vermigli è profondamente convinto, lo ripete
spesso nei suoi commenti, che la storia è magistra vitae, testis veritatis, miniera di exempla sia buoni sia cattivi. Per
questo ama stabilire confronti e paralleli tra la storia sacra e la storia antica di Roma. Coniugando l’esposizione letterale
e storica all’attualizzazione morale del testo, ritenuto capace di offrire regole di vita e di comportamento, Vermigli
appartiene alla tradizione più nobile e viva dell’umanesimo italiano21.
Il fascino delle lezioni di Vermigli
Da quanto in breve si è detto circa il metodo esegetico di Vermigli, ben si comprendono e si giustificano i giudizi
entusiastici dei contemporanei del docente fiorentino che ebbero modo di assistere alle sue lezioni o di leggere i suoi
commenti dati alle stampe. Erano colpiti e affascinati dalla sua vasta cultura biblica, linguistica, patristica, scolastica e
letteraria, saperi che egli riusciva a fondere col rappresentare davanti agli occhi degli ascoltatori, o dei lettori, un quadro
esauriente e convincente delle vicende dell’antica storia d’Israele. Il lettore potrà farsi un’idea più precisa delle qualità
espositive di Vermigli quando più oltre riporterò, quasi per intero, il suo commento al cap. XI del secondo Libro dei Re.
Il 3 agosto 1556 viene stabilito il calendario delle lezioni. Vermigli e Theodor Bibliander si alterneranno ogni
settimana nella esposizione dell’Antico Testamento.
Il programma delle lezioni: continuare quanto iniziato a Strasburgo.
Il 24 agosto Vermigli inizia alla Schola Tigurina il corso su Samuele. A Strasburgo aveva ultimato il corso sui
Giudici, di cui nel 1561 uscirà a Zurigo da Froschauer il commento a stampa. Una volta rientrato dall’Inghilterra, il
teologo italiano ha concepito un progetto esegetico, unitario e organico, che comprende in successione Giudici, Samuele,
Re. Vuole indagare ed esporre le vicende del popolo di Israele dall’età dei Giudici alla monarchia. Commenta i Giudici
a Strasburgo, Samuele e Re a Zurigo.
Come ho sottolineato in un saggio uscito in tedesco nel 2002, che ora si può leggere anche in italiano su questo sito
(Fonti e motivi del repubblicanesimo del teologo riformato fiorentino Pier Martire Vermigli, 1499-1562), Pier Martire
20
GERALD R. HOBBS, Martin Bucer on psalm 22: a study in the application of rabbinic esegesis by christian hebraist, in Histoire de l’exégèse au XVI
siècle, Genève, Droz, 1978, pp. 144-163; Id., Monitio amica: Pellikan a Capiton sur lo ranger des lectures rabbiniques, in Horizons européens de la
Réforme en Alsace, Strasbourg, Librairie Istra, 1980, pp. 82-93; JEROME FRIEDMAN, The Most Ancient Testimony: Sixteenth-Century ChristianHebraica in the Age of Remaissance Nostalgia, Athens - Ohio, Ohio University Press, 1983. Sullo studio dell’ebraico nel Convento di S. Marco a
Firenze: TIMOTEO M. CENTI, L’attività letteraria di Santi Pagnini (1470-1536) nel campo delle scienze bibliche, in «Archivum fratrum
praedicatotrum», XV, 1945, pp. 5-51; sugli studi biblici del card. de Vio: FRANZ A. VON GUNTEN, La contribution des Hebreux à l’oeuvre exégetique
de Cajetan, in Historire de L’exégèse…, cit., pp. 46-83; sullo studio dell’ebraico per la comprensione dell’Antico Testamento nell’Umanesimo
italiano PAOLO LOMBARDI, La Bibbia contesa. Tra umanesimo e razionalismo, Firenze, La Nuova Italia, 1992, alle pp. 38-49; su ebraismo e riforma
LOUIS ISRAEL NEWMAN, Jewish Influence on Christian Reform Movements, New York, Columbia University Press, 1925; sulle nuove versioni latine
nel Cinquecento SAMUEL BERGER, La Bible au XVIe siècle. Etudes sur les origines de la critique biblique, Paris, Berger-Levrault, 1879.
21
L’applicazione morale dei fatti e degli exempla della storia era comunque molto apprezzata anche da HEINRICH BULLINGER, di cui si veda
Studiorum ratio – Studienanleitung, a cura di Peter Stotz, 2 voll., Zürich, Theologischer Verlag, 1987; tra le molte fonti di Bullinger citate al cap. 9:
De lectione historiae, CICERONE, De Oratore, II: che cosa è la storia? «testis temporum, magistra vitae, nuntiam vetustatis, lucem veritatis»; conosce
anche e utilizza la versione latina di Leonardo Bruni Ad adolescentes di Basilio.
8
interpreta le vicende storiche dell’antico Israele, oltre naturalmente che con le dovute e sempre prioritarie motivazioni e
considerazioni religiose, anche con argomentazioni politiche e giuridiche, manifestando di possedere un’ottima
conoscenza di quel pensiero politico antico, medievale e umanistico, che si colloca nella tradizione del
repubblicanesimo classico22.
Il mio interesse per il riformatore italiano Pier Martire Vermigli è iniziato, negli anni Ottanta dello scorso secolo,
proprio da qui: dalla constatazione della organicità e della chiarezza delle sue riflessioni politiche applicate allo studio
delle vicende veterotestamentarie; e dal conseguente desiderio di approfondire questo aspetto della sua esegesi biblica,
dopo aver conosciuto che quelle sue riflessioni “politiche” erano state riprese da vari autori in Francia, Germania e
Inghilterra. Considerato poi che alcuni elementi fondamentali del pensiero politico di Vermigli affondano le loro radici
nella tradizione giuridica e politica italiana che va dall’esperienza dei liberi Comuni all’Umanesimo civico e
repubblicano, perseguendo questi studi sul teologo fiorentino avevo e ho l’ambizione di allargare l’ambito e la portata
del contributo italiano alla formazione della cultura moderna europea che Delio Cantimori ha studiato nei suoi Eretici
italiani del Cinquecento del 1939, volutamente limitato quel contributo, nelle intenzioni di Cantimori, a un gruppo ben
definito di personalità della cultura italiana, dal quale uno come Pier Martire era escluso perché non “eretico”
nell’accezione cantimoriana di «ribelli ad ogni forma di comunione ecclesiastica»23, e volutamente limitato, sempre
nelle intenzioni di Cantimori, alle concezioni filosofiche e filologiche della libertà di ricerca e di critica, della tolleranza
e del libero pensiero. Mosso da questi miei interessi, anche l’analisi che ora condurrò dell’insegnamento di Vermigli a
Zurigo sarà circoscritta prevalentemente al tema politico.
L’aula dove il professore fiorentino tiene le lezioni è sempre affollata. Vi assistono Bullinger, docenti della Scuola,
pastori di Zurigo e del circondario, studenti che saranno futuri pastori, esuli inglesi24, molti cittadini.
La prima ora di lezione: scopo dei Libri di Samuele
Chiarito subito che i Libri di Samuele sono del genere storico, come lo era quello dei Giudici e lo saranno quelli dei
Re, Vermigli si diffonde nella prima lezione a illustrare quale è lo scopo di questi libri. Essi vogliono mostrare per quali
motivi, in che modo, attraverso quali vicende, con quali protagonisti, con quali conseguenze il popolo d’Israele ha
mutato il suo regime politico, passando da un regime repubblicano, quale era quello al tempo dei Giudici, al regime
monarchico: «ut hinc mutationem Reipublicae, vicissitudinem varietatemque administrationis populi Dei cognoscamus»
(Samuele, c. 1r)25. Gli ascoltatori (e i futuri lettori) dovranno trarre da queste vicende materia di riflessione, esempi da
seguire o da respingere, perche la storia è «magistra vitae», e lo è ancora di più, al grado massimo, la storia d’Israele, la
cui narrazione è parola di Dio. Gli esempi forniti dalla storia varranno per la Chiesa ma anche per la Repubblica («ad
rempublicam in pace et in bello bene administrandam»26).
Pier Martire, addentrandosi nello svolgimento del tema, per fornire agli uditori il contesto storico in cui i Libri di
Samuele si collocano, tratteggia per grandi linee quello che era il regime politico del popolo di Israele nell’età dei
Giudici, vale a dire in quella fase storica in cui il popolo, distribuito nelle dodici tribù, una volta uscito dall’Egitto, si era
stabilito nella terra di Canaan.
L’età d’oro della repubblica di Israele
In quel periodo vigeva in Israele un regime repubblicano, di cui Vermigli esalta i valori: «optimus status
Reipublicae ab omnibus regebatur». Nel commento tenuto a Strasburgo negli anni 1553-1556 aveva esposto i caratteri e
le vicende di quella repubblica. In quel periodo, «aetas aurea», le tribù tra loro federate costituivano uno Stato
governato da settanta anziani, «seniores, senatus»: una aristocrazia di persone ottime e pie, scelte con il voto del popolo,
«suffragiis», a prescindere dalla loro condizione sociale (Giudici, c. 10v; c. 46v). La forma di questo Stato non era
tuttavia da intendere come una “aristocrazia”. Decisioni di grave importanza venivano sempre prese dal popolo riunito
in assemblea: «res magnas inconsulto populo aggredi non licebat» (Giudici, c. 1v). È più corretto dunque parlare di
forma repubblicana dello Stato d’Israele: «rempublicam fuisse iure possumus existimare» (Giudici, c. 1v). Le assemblee
del popolo si tenevano a Mispah, dove era un santuario. Qui gli Israeliti convenivano nei momenti di crisi, ad esempio
prima di intraprendere una importante battaglia (Giudici, c. 132r). Mispah, per la sua collocazione geografica e per le
caratteristiche del sito, era «locus aptissimus ad conventus habendos». Jefte stabilisce qui il patto con i Galaaditi,
22
Per gli studi sul pensiero politico di Vermigli vedi in Appendice II la “Nota Bibliografica”, paragrafo 6.
DELIO CANTIMORI, Eretici italiani del Cinquecento, Firenze, Sansoni, 1967 (I ediz. 1939), “Avvertenza”. Per ciascuno di noi ci sono dei libri che
segnano le tappe salienti della nostra evoluzione spirituale e intellettuale. Lo straordinario libro di Cantimori, che lessi per la prima volta nel 1975, è
stato per me uno di questi libri.
24
Altri inglesi vorrebbero seguirlo a Zurigo: John Ponet, che scrive a Bullinger una lettera non datata ma sicuramente dell’estate del 1556 (Epistolae
tigurinae de rebus potissimum ad ecclesiae Anglicanae reformationem pertinentibus conscriptae A. D. 1531-1558, Cantabrigiae, Parker, 1848, lettera
LVI, p. 76); anche Jakob Pilkinton da Ginevra vorrebbe venire a Zurigo per ascoltare Vermigli: Epistolae Tigurinae…, cit. n. LXVIII, p. 89-90, scrive
a Bullinger «in vestra liberrima libertate». A Zurigo c’erano già esuli inglesi giunti nel 1553 dopo la salita al trono di Maria Tudor (Epistolae
Tigurinae …, cit., n. CCCLVI, p. 487: 15 esuli chiedono alla repubblica di Zurigo di essere accolti.
25
In librum Iudicum […] commentarii doctissimi […], Tiguri, excudebat Christoph Froschouerus, 1561, citato nel testo: Giudici, seguito dal numero
di carta. In duos libros Samuelis prophetae […] commentarii doctissimi […], Tiguri, excudebat Christophorus Froschouerus, 1564, citato nel testo:
Samuele, seguito dal numero di carta. Melachim id est Regum libri duo posteriores cum commentariis […],Tiguri, excudebat Christophorus
Froschouerus, 1566, citato nel testo: Re, seguito dal numero di carta. Il commento ai Giudici viene svolto a Strasburgo dal novembre 1553 all’estate
1556 ed è pubblicato a Zurigo nel 1561. Le lezioni su Samuele e sui Re sono tenute a Zurigo e qui pubblicate rispettivamente nel 1564 e nel 1566.
26
Dall’ Introduzione di Iosias Simler all’edizione del commento di Samuele, cit., c.[2r].
23
9
«conventiones de principatu» (Giudici, c. 132r). Nel libro dei Giudici è una volta documentato, per l’elezione dei
magistrati, anche il ricorso alla sorte (Giudici, c. 192v) e ciò è per Vermigli una prova di «actio popularis». La sorte
infatti, commenta, è spesso usata nel governo popolare, «in imperio populari», in quanto ritenuta «commodissima»
perché si fonda sull’uguaglianza. L’osservazione è presa da Aristotele (Politica, VI, 2). L’aver mantenuto quella forma
bellissima di governo repubblicano era valso al popolo di Israele il mantenimento della libertà. Seguendo la tradizione
repubblicana Vermigli identifica la repubblica con la libertà, termini che usa come sinonimi, «respublica hoc est libertas
populi» (Giudici, c. 75v). L’identità dei due concetti è già in Aristotele (Politica, VI, 2) e in Cicerone. È costante in
Machiavelli e negli scrittori politici fiorentini repubblicani per i quali vivere nella repubblica è “vivere libero”.
Mentre procediamo in questa disamina, mi pare quasi superfluo ricordare ai lettori che Vermigli, pur avendo scelto
di mantenersi aderente al metodo esegetico storico-letterale, è ben lontano dal conoscere la strumentazione storiografica
moderna che, e non solo per gli studi biblici, si imporrà nel XIX secolo. È naturale che egli adotti categorie giuridiche e
politiche della sua cultura e del suo tempo per interpretare fatti e condizioni storiche di due mila anni prima. Ma a noi
deve interessare non tanto quello che ci dice sull’antico Israele, per la cui storia oggi disponiamo di una bibliografia
scientifica sterminata, quanto piuttosto il “come” lo dice, perché è questo “come” della sua interpretazione della storia
di Israele che ha avuto influenza sui contemporanei e sulle generazioni successive.
Il ruolo costituzionale dei Giudici
La libertà di Israele era salvaguardata anche nei momenti di grave crisi, grazie all’azione straordinaria dei Giudici.
Nei momenti difficili, quando Israele era chiamato a combattere con i vicini nemici per scrollarsi di dosso la loro
tirannia, essendo la forma dello Stato repubblicana e quindi lenta per sua natura nelle decisioni in quanto il governo era
retto da più persone e non da una sola (Giudici, c. 1v), Dio suscitava un Giudice, un liberatore, il quale agiva
accentrando in sé tutti i poteri. Suo unico scopo era di ripristinare la libertà del popolo, «vindicare, asserere in
libertatem», (Giudici, c. 1r); di liberare il popolo «a miseria et calamitate» (Giudici, c. 50v). Terminata la sua missione,
egli deponeva la carica e ritornava ad essere un cittadino privato. Il Giudice era dunque un magistrato straordinario che
agiva solo nei momenti di crisi dello Stato. Terminata la crisi, riprendevano a funzionare le magistrature ordinarie.
Parallelismo con la storia romana
La funzione dei Giudici d’Israele è simile per Vermigli a quella dei «dictatores» romani. Anch’essi, nel momento di
grave pericolo per la libertà dello Stato, assumevano poteri straordinari per organizzare con rapidità d’azione e massima
responsabilità la difesa dello Stato. La fonte è Tito Livio, dal quale Vermigli prende l’espressione per indicare la finalità
dell’azione dei Giudici: «ne quid respublica detrimenti capiat». Machiavelli nei Discorsi sopra la prima Deca di Tito
Livio dedica un capitolo fondamentale alla figura dei «dictatores» e ne spiega il ruolo alla luce della costituzione
repubblicana27. Una perfetta repubblica, se non vuole rovinare, deve prevedere nella sua costituzione poteri straordinari
regolati dalla legge, la quale ne fissa l’attribuzione, finalità, modi e tempi di esercizio. Queste concezioni politicocostituzionali sono alla base della interpretazione di Vermigli del ruolo dei Giudici in Israele.
Il popolo di Israele chiede un re
Il popolo d’Israele chiede ora un re, così come hanno un re i popoli circonvicini. Anche gli Isrealiti vogliono il loro
re. Nonostante Samuele tenti di dissuadere Israele dal prendere questa decisione, alla fine acconsente dopo aver
comunque avvisato il popolo: primo, dei pericoli a cui va incontro con questa scelta; secondo, che i re d’Israele
sarebbero stati costituiti e si sarebbero dovuti comportare secondo la «lex regia» stabilita da Dio in Deuteronomio 17.
Invano Samuele cerca di convincere il popolo a mantenere la sua libertà, «retineat libertatem suam»» (Samuele, c. 47r).
L’età felice dei Giudici arriva dunque per Vermigli sino a Saul, quando il governo dello Stato degenera,
«degeneravit», nella monarchia (Samuele, c. 1v). Se fino ad allora il popolo ha conosciuto la libertà, con la monarchia
conoscerà la deportazione e la schiavitù, «populum sibi commissum non semper asserverunt in libertatem, imo saepius
perdiderunt et in captivitatem denique compulerunt» (Ibidem). Ciò è avvenuto perché facilmente la monarchia degenera
nella tirannide (Giudici, c. 112r). Vermigli ha le stesse convinzioni di Aristotele (Politica III, 15).
I rischi del regime monarchico
All’apparenza, «sensui humano» (Giudici, c. 112r), può sembrare migliore il governo di uno solo: le decisioni sono
infatti più rapide e univoche, «omnia facile expediuntur» (Samuele, c. 45r); il popolo è tenuto meglio a freno, in
obbedienza, «in officio», dalla ammirazione per il re (Ibidem). Questi pregi della monarchia sono tuttavia validi sino a
quando i re sono buoni, ma questa è una eventualità rara. I rischi per lo Stato sono maggiori nella monarchia che nelle
altre forme di governo, in quanto una sola persona può più facilmente sbagliarsi e corrompersi che non più persone
preposte al governo. A un re buono può facilmente succedere un re incapace, quando non addirittura tiranno; e in una
serie di successioni sono di più i re cattivi di quelli buoni. Solo quattro re d’Israele possono considerarsi buoni 28. I re
cominciano sempre tutti bene poi finiscono per fare solo i loro interessi (Samuele, c. 46r). Nei re subentra spesso
27
NICOLÒ MACHIAVELLI, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, in Opere, Torino, UTET, vol. I, pp. 596-601 (Lib. I, 34).
Vermigli ha fatto una personale esperienza della instabilità dei regni; e Bullinger, nella lettera d’invito a Zurigo del 1° maggio 1556, che abbiamo
letta, non aveva mancato di ricordargliela. In Inghilterra, alla morte di Edoardo VI (1537-1553) era succeduta sul trono Maria I Tudor(1516-1558), la
quale aveva ripristinato il culto cattolico con la conseguenza che Vermigli si era ritrovato per la terza volta esule.
28
10
l’ambizione, il desiderio di potenza, la ricerca dell’interesse della propria famiglia, il desiderio di espandere il regno con
continue guerre. La preoccupazione dei re non è quella di bene amministrare i cittadini, ma di dominare sul maggior
numero di persone, una tendenza che Vermigli vede diffondersi nella sua età: «tanta hodie monarchae flagrant
ambitione, ut non quot possint regere, provideant, sed id unice spectent, ut quamplurimos regant» (Giudici, c. 8v). Oggi
i nostri re desiderano avere innumerevoli sudditi, e questo avviene perché i principi stimano che i popoli siano per
grazia dei principi e non invece che sono essi ad essere istituiti per il vantaggio e la felicità del popolo (Re, c. 27v).
Contano i redditi che provengono da un vasto territorio, non la cura dell’amministrazione dei cittadini. Se comportasse
di più quest’ultima si stabilirebbe un giusto equilibrio tra territorio, governo e cittadini.
I pregi del piccolo Stato
Per Vermigli, che segue anche qui Aristotele il quale aveva stabilito che l’estensione ottima della polis era quella
che si poteva abbracciare con uno sguardo, la migliore cura degli interessi dei cittadini si può avere in piccole
repubbliche o in regni di piccole dimensioni (Ibidem), dove ai magistrati è data la possibilità di mantenere un rapporto
diretto e costante con i sudditi, così da governare con «ratione atque consilio». I magistrati per governare bene devono
vedere, verificare, controllare, «inspiciere» (Ibidem), «inspiciere mores victus et instituta» (Giudici, c. 82r); nulla è più
utile al governo degli occhi del buon principe, «quam oculos boni principis» (Samuele, c. 44v); ciò è possibile se la
«plebs» non è «numerosissima» (Giudici, c. 82r). I re invece se ne stanno lontani dal popolo (Samuele, c. 44v). La
tendenza dei re è quella di «augere imperium», e anche i re d’Israele sono caduti in questa tentazione, mentre un
magistrato buono deve badare solo a conservare quello che ha ricevuto (Samuele, c. 46r). Un territorio troppo vasto,
oltre a non potere essere ben governato, finisce per travolgere lo stesso re, per le continue guerre che conseguono al
mantenimento di vasti confini (Giudici, c. 8v).
È evidente nelle riflessioni politiche del teologo fiorentino la contrarietà alla tendenza in atto nella sua epoca, quella
dell’affermarsi delle grandi monarchie nazionali e dei principati territoriali. Egli esalta al contrario i valori della piccola
repubblica e della città che si autogoverna, valori derivati dalla concezione classica della polis aristotelica,
dall’esperienza dei liberi Comuni italiani e dall’umanesimo repubblicano. Questi valori politici si saldano nelle
riflessioni di Vermigli con quelli religiosi. La fede riformata rigetta la monarchia assoluta del papa a favore della piena
autonomia delle chiese locali; la parola di Dio e non la successione degli uomini ha la priorità nella vita delle chiese;
nelle chiese riformate non conta l’estensione e il numero ma la qualità e l’intensità della vita di fede. Nel periodo in cui
Vermigli tiene le sue lezioni a Strasburgo e a Zurigo le grandi monarchie e gli stati territoriali si schierano con
l’assolutismo controriformato o con il luteranesimo, mentre la fede riformata è in prevalenza mantenuta nelle città libere
e repubblicane.
Il popolo col suo consenso costituisce i re
I re legittimi di Israele devono sottostare alla «lex regia» che per loro è stabilita in Deuteronomio 17. Benché unti
dal profeta o dal sacerdote essi entrano nel pieno esercizio delle loro funzioni solo quando subentra il «consensus
populi» (Samuele, c. 156v), che si manifesta nell’acclamazione del re, quando questi «receptus est publice ab omnibus»
(Ibidem). Davide pur avendone l’occasione non uccide Saul, re legittimo ma tiranno, in quanto, benché già unto dal
profeta, non è tuttavia ancora nelle funzioni di re che gli verranno conferite quando sarà accolto dal popolo come tale in
Gerusalemme (Samuele, c. 156v), «publice inauguratus» (Samuele, c. 133r). Davide vuole che dopo la consacrazione il
nuovo re Salomone venga approvato dal popolo con il grido: Viva il re! (Re, c. 6v). «Dominatum a populo Dei ratum
non haberi» (Ibidem). Il popolo che applaude il nuovo re è segno del suffragio pubblico (Re, c. 281r). I re sono fatti per
il popolo non i popoli per i re, «non enim populus propter reges factus est sed reges propter populum» (Samuele, c.
206v).
Che cosa è il popolo? Che cosa è la legge?
Nel commento al Libro dei Giudici Vermigli era più volte ritornato a chiarire che cosa intendeva per popolo e per
magistrato e quali dovevano essere i loro rapporti. Popolo non è una qualunque moltitudine, ma una comunità di
persone unite dal consenso del diritto e dalla concordanza degli interessi, «coetum iuris consensu et utilitatis
communione sociatum» (Giudici, c. 142r). Due sono i vincoli del popolo, «vincula populi», il consenso nelle medesime
leggi e la concordia in vista dell’utilità comune. Chiunque insorge contro il «consensus juris» è sedizioso; rompe i
vincoli dell’unità che sono «communes leges et publicam utilitatem» (Giudici, c. 142v). Questi due vincoli sono la
garanzia della libertà del popolo. Non c’è benessere e libertà per i «cives» se non in una società vincolata dalle leggi,
alle quali i cittadini danno il loro consenso. I cittadini devono osservare le leggi perché sono state emanate
«consentiente atque approbante populo» (Giudici, c. 136v). Nelle leggi consuetudinarie l’approvazione del popolo è
tacita, «assensu tacito populi» (Giudici, c. 137r), nelle altre è espressamente dichiarata. Ma che cosa è la legge? È una
regola stabile e certa, «est vera mens» (Giudici, c. 171v) che si contrappone alla volubilità del singolo. Il singolo
lasciato a se stesso cerca solo il suo interesse, segue solo la sua volontà, «nihil autem in coetu hominum perniciosius est,
quam ut quisque voluntatem suam sequatur» (Giudici, c. 171v). La legge è invece regola stabile e certa perché stabilisce
l’interesse generale, ciò che è di utilità comune. Essa origina dalla volontà popolare, anche se negli uomini è indotta per
divina rivelazione.
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La funzione del magistrato
I magistrati traggono la loro autorità dal popolo, «habent auctoritatem populi» (Giudici, c. 156r). Devono essere
legittimi e buoni. Legittimi, cioè costituiti secondo il diritto del popolo; buoni, vale a dire al servizio del benessere e
dell’utilità dei cittadini. I magistrati sono i custodi delle leggi. Nella nomina dei magistrati occorre tenere presente
l’interesse generale e non il proprio, «in magistratibus mandandis non proprii commodi, sed communis boni
emolumentum respiciendum est» (Giudici, c. 112v). Se il magistrato acconsente in qualcosa, la sua decisione ha il
valore del consenso del popolo: «est publicus populi consensus» (Ibidem). Per questo motivo il cittadino deve
consentire con il magistrato anche quando questi prende una decisione che gli pesa, come può essere il pagamento di un
tributo. Se le nozze di due giovani sono celebrate con il consenso del magistrato, i genitori, anche se non consenzienti,
devono accettare queste nozze come legittime (Ibidem). C’è uno stretto rapporto tra magistrato e popolo; in ogni età i
popoli si conformano sull’esempio delle loro autorità. Se il magistrato abbandona la cura del popolo, il popolo si perde,
«graviter lapsus est» (Ibidem). Se il magistrato è pio, lo sarà anche il popolo, se agisce turpemente anche il popolo
«turpiter vivit» (Giudici, c. 47r). In un regime di libertà l’obbedienza ai magistrati è naturale e volontaria, in quanto
obbediamo a persone che operano nell’interesse della nostra utilità, «nostrae utilitati consulentes» (Giudici, c. 57r). Lo
scopo della loro azione è che «feliciter cives ex virtute et pietate vivant». I magistrati devono provvedere alla felicità
politica, «politica felicitas»; il fine della felicità politica sta in questo: che il popolo, potendo godere di sufficiente
possibilità di vita e dei suoi beni, viva di virtù e di pietà, «sciendum est finem politicae felicitatis in eo situm esse, ut
populus habens commoda et sufficientem huius vitae facultatem, ex virtute et pietate vivat» (Giudici, c. 53v).
Come vengono costituiti i magistrati? Vi sono modi diversi, dice Vermigli: o con il consenso del senato o con il
voto del popolo o dalla volontà dei soldati o per successione ereditaria (Giudici, c. 183v). Questi sono tuttavia solo
mezzi umani con i quali l’autorità viene costituita. In realtà «propria vero causa magistratuum est ipse Deus». Una luce
divinamente accesa negli animi degli uomini fa loro capire che non possono vivere insieme senza un’autorità (Giudici, c.
183v). Come la legge, anche l’autorità viene da Dio. Dio agisce negli uomini illuminando la loro ragione a volere ciò
che è utile per il bene comune del popolo. La volontà del popolo è strumentale al compimento del piano provvidenziale
di Dio che è la felicità e il benessere degli uomini.
Il re deve sottostare alla legge
Questo è quanto Vermigli aveva più volte sostenuto nel commento ai Giudici. Torniamo ora alle lezioni di Zurigo.
Tra re e popolo è stabilito un patto. Il re pasce il popolo, cioè ne prende cura, lo conserva, lo governa come stabilisce la
«lex regia» di Deuteronomio 17; il popolo, in cambio, si impegna a obbedire al re e a onorarlo, «obsequeretur»
(Samuele, c. 206v). Il re che non governa secondo la legge si allontana dal popolo e perde la sua forza (Re, c. 96r).
Roboamo con la sua protervia perde stoltamente la grazia del popolo che fa, a giudizio di Vermigli, questo
ragionamento: se Roboamo non ci riconosce come sudditi cari, del pari noi non lo riconosciamo come nostro re, «si nos
Rehabeamus pro subditis charis non agnoscit, nos illum non cooptabimus nobis in regem» (Re, c. 97r). Ambedue poi, re
e popolo, devono osservare le leggi. Le leggi infatti sono da imporre anche ai re e ai principi; a nessuno è lecito
governare liberamente secondo il proprio volere, «videmus leges imponendas esse etiam principibus et regibus nec
licere cuiquam libere et ex sua libidine imperare» (Samuele, c. 206v). I re sono costituiti dal popolo non perché
governino a loro piacimento ma perché siano servitori delle leggi, «ministri legum» (Re, c. 168r). Il re non può dire:
voglio e così comando, «sic volo sic iubeo» (Ibidem): questo è un genere di governo tirannico. Regnare vuol dire «agere
in re publica aequaliter et iuste» (Re, c. 170v). Molti principi sono così corrotti, osserva Vermigli, da ritenere che i re
sono sciolti da tutte le leggi e che per loro non vale alcun diritto; che nessuna cosa può essere loro negata, ma che tutto
gli si deve (Re, c. 170v). Il re al momento della consacrazione tiene tra le mani la legge a significare che egli deve
reggere il popolo con la legge e che egli stesso deve sottomettersi alla legge (Re, c. 281r).
Il patto tra Dio, re e popolo
A loro volta re e popolo sono uniti a Dio con un patto. Se re e popolo osservano la legge, si tengono lontani dagli
idoli, praticano la giustizia e un culto semplice e puro, Dio resta costantemente loro vicino e compie ogni cosa per il
benessere e la felicità del popolo; la fedeltà a questo patto reca pace e benessere, «omnia feliciter successura», mantiene
gli Israeliti nella libertà (Re, c. 78r). L’inosservanza del patto porta alla lacerazione del regno, a congiure e lotte
intestine, a sofferenze e dolori, alla perdita della libertà. Joram si volge agli idoli e rompe il patto: perde di conseguenza
l’obbedienza dei suoi sudditi. Se il re rompe il patto con Dio («foedus divinum») si rompe anche il patto tra re e sudditi
(«foedus humanum») (Re, c. 261r).
Pier Martire muore il 12 novembre 1562
Vermigli termina l’esposizione dei due Libri di Samuele a metà dell’anno 1558. Inizia in autunno il commento ai
Libri dei Re, che non riesce a portare a termine, perché, colpito a fine ottobre da una grave malattia, muore il 12
novembre 1562, dopo che tra molte sofferenze e grande forza d’animo è riuscito nei primi giorni di novembre a tenere
ancora qualche lezione. Il corso si interrompe quando è giunto a concludere il commento dell’XI capitolo del secondo
Libro dei Re. Gli subentra a portare a termine il corso Johann Wolf, che poi curerà nel 1566 l’edizione di tutto il
commento.
12
Il capitolo XI del secondo Libro dei Re è uno dei più drammatici di tutta la Bibbia. Vi si narrano i fatti di Atalia: la
sua salita al trono di Giuda, la strage da lei perpetrata di tutta la stirpe reale, la messa in salvo del piccolo Joas, la
congiura per abbattere la regina usurpatrice del trono ordita dal sommo sacerdote Ioiada, la proclamazione di Joas re
legittimo di Giuda, l’uccisione di Atalia. Per offrire ai lettori un esempio dell’insegnamento di Vermigli, riporto,
traducendo dal testo originale latino, una parafrasi abbreviata del suo commento. Lascio nell’originale latino alcune
espressioni di rilevanza lessicale e concettuale, mentre riservo lo spazio delle note ad alcune mie considerazioni e agli
utili rimandi bibliografici. Ritengo che tutto quanto si è detto sin qui, sulle vicende personali di vita di Vermigli, sul suo
metodo esegetico, sulle sue concezioni giuridiche e politiche, sulla sua visione della storia come magistra vitae,
sull’attualizzazione morale della storia, trovi in questo capitolo, che è la sua ultima lezione tenuta alla Schola Tigurina
pochi giorni prima di morire, una esemplare concentrazione di raffinata qualità didattica, morale e intellettuale.
Come è nell’edizione a stampa, faccio precedere il commento dal testo biblico, che metto in corsivo e che traduco
dal testo latino di Vermigli. Il commento, come nell’edizione a stampa, è diviso in tre sezioni: la prima riguarda i
versetti 1-4; la seconda 5-12; la terza 13-16. Mi servo dell’edizione digitalizzata, in linea sul sito della Zentralbibliothek
di Zurigo: Malachim, id est, Regum libri duo, Tiguri, excudebat Chriostophorus Froschouerus, mense martio, 1571, cc.
276r-281v.
1 Dunque Atalia, madre di Acazia, vedendo che suo figlio era morto, insorse e sterminò tutta la stirpe reale29.
2 Ma Ioseba, figlia del re Ioram e sorella di Acazia, sottrasse Ioas, figlio di Acazia, di mezzo ai figli del re che
venivano uccisi e lo mise, assieme alla sua nutrice, nella camera dei letti; così lo nascosero ad Atalia e non fu ucciso.
3 Rimase nascosto con lei nella casa di Jahvé per sei anni, mentre Atalia regnava sul paese.
4 Il settimo anno, Ioiada mandò a chiamare i centurioni, i capitani e i cursori, li fece venire presso di sé nella casa
di Jahvé, stipulò con loro un patto, li fece giurare nella casa di Jahvé e mostrò loro il figlio del re.
Il culto di Baal viene soppresso nel Regno di Israele una volta estinta la famiglia di Acab30. Lo stesso avverrà nel
Regno di Giuda, sette anni dopo la strage perpetrata da Atalia.
Due sono le cause che hanno spinto Atalia a compiere tanta efferatezza: l’ambizione e la volontà di promuovere nel
Regno di Giuda il culto di Baal. Atalia aveva ereditato queste due pessime qualità dai genitori, in particolare dalla
madre Iezabel, la quale, donna forte e potente, aveva detenuto il potere nel Regno di Israele, dominando anche sul
marito, che le permetteva tutto31. Nel Regno di Israele Iezabel introdusse il culto di Baal e ne favorì i profeti. La figlia
Atalia imitò la madre: da una parte «tenebatur mira cupiditate regnandi», dall’altra voleva imporre il culto di Baal.
Come l’ambizione per il potere porti spesso a compiere eccidi, senza alcuna necessità, «nullo habito respectu alicuius
necessitudinis», ce lo mostrano sia la storia sacra sia la storia profana. Romolo per ambizione uccise Remo 32 ,
Domiziano «insidiabatur» Tito33, Antonio Caracalla uccise il fratello Geta 34. Anche certi figli, per brama di potere, non
hanno voluto attendere la morte del genitore; e ci sono stati genitori che hanno soppresso i figli, temendo che questi
volessero strappare loro il potere, «res novas molirentur», come fece Erode, di cui parla Augusto: si asteneva dal
mangiare carne di porco, in ossequio alla legge giudaica, ma non si astenne dall’uccidere i figli35. Uguali casi si ebbero
con le feroci proscrizioni dei Romani. Come poi cresca e insieme incrudelisca l’ardore di una perversa religione
29
La versione latina del testo biblico che Vermigli pone in testa al suo commento riprende quasi alla lettera la versione latina dall’originale ebraico
pubblicata dal domenicano ebraista Sante Pagnino a Lione nel 1528 (Biblia, Lugduni, impensis Francisci Turchi et Dominici Berticinium Lucensium
et Iacobi de Giuntis bibliopolae, 1528): l’ho stabilito collazionando la versione di Vermigli con le versioni della Volgata, di Sante Pagnino del 1528,
di Tommaso de Vio del 1533, di Conrad Pellikan del 1533, di Sebastian Münster del 1535, della Tigurina del 1543. Al medesimo risultato ero giunto
collazionando la versione latina delle Lamentazioni, commentate da Vermigli a Strasburgo nel 1543, con altre versioni dall’originale ebraico uscite
prima di quell’anno (GIULIO ORAZIO BRAVI, “Non voler predicare il falso né ingannare il Populo”: Pier Martire Vermigli a Lucca, in Riformatori
bresciani del ‘500. Indagini, a cura di ROBERTO ANDREA LORENZI, Atti del convegno tenuto a Brescia: Il dissenso religioso nel Bresciano, 8 maggio
2004, San Zeno Naviglio (BS), Grafo, 2006, pp. 33-60, in particolare p. 59. La versione di Sante Pagnino, sicuramente già conosciuta dal fiorentino in
Italia, è stata quella più apprezzata dall’esegeta Vermigli. TIMOTEO M. CENTI, L’attività letteraria di Sante Pagnini (1470-1536)nel campo delle
scienze bibliche, in «Arcivum fratrum praedicatorum», XV, 1945, pp. 5-51.
30
Giunti a questo punto del testo (2 Re, 11), gli uditori di Vermigli che avevano seguito le lezioni conoscevano bene i fatti precedenti. È opportuno
riassumerli: alla morte di Salomone, il regno si divise: al Nord il Regno d’Israele con capitale Samaria, retto dai discendenti di Geroboamo; al sud il
Regno di Giuda, più piccolo, con capitale Gerusalemme, retto dai discendenti di Davide. Tra i due Stati si stabilirono comunque buone relazioni.
Furono sicuramente motivi politici a suggerire il matrimonio tra il re di Giuda Ioram (852-845ca. a. C.) con Atalia, figlia del re d’Israele Acab e di
Iezabel. Che tra i due regni vi fosse anche un’alleanza militare lo si evince dal fatto che Acazia, figlio di Ioram e di Atalia, è al fianco del re d’Israele
nella guerra, nella quale troverà poi la morte, combattuta per contrastare la rivolta di Ieu. Ieu avrà la meglio e porrà fine alla dinastia di Omri nel
Regno d’Israele, ripristinandovi il culto di Jahvé che era stato sostituito da Acab a favore del culto di Baal. Cfr. MARTIN NOTH, Storia d’Israele,
Brescia, Paideia, 1975 (ediz. orig. 1950), pp. 277ss.
31
1 Re 21; 2 Re 9, 22.
32
LIVIO, Ab urbe condita, I, II, 7a; in questo giudizio su Romolo Vermigli segue PLUTARCO, Vite. Romolo, 10, 1, che scrive di inganno di Romolo ai
danni di Remo: τὴ ν ἀ πάτην, frode, tradimento.
33
Tito e Domiziano, figli di Vespasiano; secondo SVETONIO, Vite dei Cesari, Tito, 9, 3: «fratrem insidiari sibi non desinentem», e anche Domiziano,
2, 13 «neque cessavit ex eo insidias struere fratri».
34
CASSIO DIONE, Storia romana, LXXVII: Antonino Caracalla, 22.
35
Alessandro e Aristobulo, figli di Erode il Grande (73 – 4 a. C.), furono inviati da lui per educazione a Roma, ove trovarono benevola accoglienza
nella corte di Augusto. Ma, tornati che furono a Gerusalemme, Erode li mise a morte. Probabilmente questa fu l'occasione in cui l'imperatore espresse
quel suo parere, pronunziato certamente in greco e riportato da MACROBIO, I Saturnali, II, 4, 11, secondo cui era meglio essere un porco di Erode che
un suo figlio: Erode infatti, come osservante della religione giudaica, non poteva mangiare porco e perciò non l'ammazzava; mentre di fatto
ammazzava i propri figli.
13
idolatrica, non è il caso che dobbiamo riandare sempre alle antiche storie: abbiamo esempi sufficienti anche nella nostra
età36.
Atalia, visto che il figlio Acazia era morto, temendo di perdere il potere con l’elezione di un nuovo re, «animum
convertit», prese la terribile decisione di eliminare figli, nipoti, cognati. Tutti gli idolatri «horrenda crudelitate laborant».
A spingere Atalia a compiere un così orrendo eccidio fu forse anche un terzo motivo: voler vendicare la morte del figlio
Acazia, avvenuta per mano di Ieu, colui che aveva mosso guerra al Regno di Israele per ripristinarvi il puro e semplice
culto di Jahvé. Atalia estinse tutta la posterità del suocero Giosafat. Un atto disumano. Coloro che non hanno figli, per
consolarsi della mancanza, adottano figli di altri: questa donna invece uccide quelli che ha. Nonni e nonne nutrono un
grandissimo amore per i nipoti, questa donna invece, «belluino animo», li uccide.
Ma come è potuta maturare in Atalia una tale scellerata decisione? È molto probabile che quando Acazia salì in
Ramoth per combattere contro Ieu, abbia lasciato l’amministrazione del Regno nelle mani della madre, «matri suae
regni administrationem, ut est verisimile, commisit. Iam ergo regnum quodammodo potiebatur». Atalia deteneva già
quindi, per delega del figlio, il potere supremo. C’è poi da dire che molti dei pretendenti al trono erano morti. Come si
legge nel secondo libro delle Cronache al cap. 22 tutti i fratelli di Acazia erano stati uccisi da una banda di Arabi 37; altri
parenti, «pars bona regii seminis», che avevano accompagnato Acazia a Ramoth, erano stati uccisi da Ieu38.
Atalia non riuscì tuttavia a portare a pieno compimento il suo terribile intento. Le forze umane sono immensamente
inferiori alla potestà divina. Ioseba, sorella di Acazia, riuscì a sottrarre alla strage il figlio di Acazia, ancora lattante.
Secondo le promesse divine, la posterità di Davide non doveva infatti interrompersi, ma giungere sino a Cristo. Dio è
verace e costante nelle sue promesse. «Decrevit ab aeterno Deus eos tueri, quos voluit, nec quisquam potest illius
decretum irritum facere». Scrive Paolo: “Quid si quidam illorum non crediderunt, num quid incredulitas eorum Dei
fidem irritam fecit? Nequaquam”39. Né il faraone d’Egitto riuscì a sterminare la prole degli Israeliti, né gli imperatori
romani riuscirono a sradicare il nome dei Cristiani, né oggi i papisti possono impedire, per quante forze impieghino, il
progresso dell’Evangelo, «quantis possunt viribus Evangelii progressum, quorum furori tamen Deus admirandis modis
fraenum imponit».
Questa Ioseba era la figlia del re Ioram e sorella di Acazia. Da quanto suppongo, non figlia di Atalia ma di altra
madre. È possibile che Ioram abbia avuto, oltre ad Atalia, anche un’altra moglie. Ipotizzo questo dal fatto che Ioseba era
moglie del pontefice Ioiada, cosa impossibile se fosse stata figlia di Atalia. Ioiada, uomo pio e onorato, non si sarebbe
mai unito in matrimonio con una discendente dal re Acab, promotore, come tutta la sua famiglia, del culto di Baal.
Il piccolo Joas giaceva tra i cadaveri degli uccisi, forse messo lì dalla nutrice per illudere che anch’egli fosse stato
ucciso. La stessa nutrice può aver avvertito di ciò Ioseba. Mentre dunque Ioseba fingeva di aggirarsi con occhio
scrutatore tra i cadaveri degli uccisi, trafugò il bambino e lo portò con sé insieme con la nutrice. Il testo dice «in
cubiculo lectulorum». Alcuni interpretano che Joas e gli altri cadaveri fossero nella parte del palazzo reale dove erano le
camere da letto. Sbagliano. Ciò che qui viene detto in modo poco preciso «ecpliptica oratio», è invece detto chiaramente
nel secondo libro delle Cronache al cap. 22, dove è scritto che Ioseba sottrasse il piccolo Joas di mezzo ai figli del re e,
vi è aggiunto il verbo, lo mise insieme con la sua nutrice nella camera dei letti40. Queste camere non erano nel palazzo
reale, ma nelle pertinenze del tempio, destinate ai sacerdoti e ai leviti. Il rabbino Selomóh41 sostiene che il bambino fu
posto nel locale che stava sopra il Sancta Sanctorum, adibito alla custodia dell’arredo liturgico, ai vasi sacri, alle vesti,
ai profumi, agli oggetti d’oro e d’argento donati dai fedeli al tempio. Il bambino fu nascosto in questo locale insieme
con la sua nutrice. Può essere che in un primo momento sia stato portato nelle camere dei letti, per essere poi trasferito
in questo locale che stava sopra il tempio, ritenuto più sicuro. Comunque il testo dice che rimase nascosto per sei anni.
Alcuni pensano con la nutrice, altri con Ioseba. Essendo Ioseba moglie del sacerdote Ioiada può essere che, dovendo
stare per molto tempo presso il tempio, avesse facile accesso al locale dove era nascosto il bambino. Certuni dicono che
il bambino e la nutrice non potevano stare nel luogo sacro del tempio, riservato solo ai sacerdoti e ai leviti, classe cui
36
Motivo ricorrente nei commenti di Vermigli associare al pervertimento idolatrico e superstizioso della religione un pervertimento anche morale
dell’individuo e della collettività, motivo sicuramente biblico e profetico.
37
2 Cr. 22, 1: «Gli abitanti di Gerusalemme proclamarono re al suo posto (di Joram) il suo figlio minore Acazia, perché tutti i più anziani erano stati
uccisi da una banda che era penetrata nell’accampamento insieme con gli Arabi». Commentando 2 Re 11 Vermigli fa continui riferimenti ai capitoli
dei due libri delle Cronache, che egli chiama come i Settanta Paralipomena, dove si narrano gli stessi fatti ma con altri particolari, e ciò in ossequio a
una delle istanze del metodo interpretativo di Vermigli: che passi oscuri delle Scritture vanno spiegati con i passi più espliciti e chiari. Le Scritture
sono interpreti di se stesse.
38
2 Re 10, 13-14.
39
Rom. 3, 3: Vermigli non segue la Volgata; fidem irritam è nella nuova versione di Erasmo pubblicata per la prima volta a Basilea da Johann Froben
nel 1516. Ma non si può dire che Vermigli segue alla lettera la versione erasmiana. Come sempre, prende qualcosa da vari interpreti, non trascura mai
nemmeno la Volgata, adotta poi una sua personale versione.
40
2 Cr. 22, 11.
41
Shelomòh ben Yitzchàq (1040-1105), della scuola della Francia settentrionale dell’XI secolo, meglio conosciuto col nome di di Rashi; sul metodo
letterale di Rashi vedi BERYL SMALLEY, Lo studio della Bibbia nel Medioevo, Bologna, Società editrice il Mulino, 1972 (ediz. orig. London 1952),
alle pp. 216-217. Anche il francescano Niccolò di Lira (1270-1349), noto per la sua predilezione per il senso letterale, nelle postille a questo capitolo,
riporta l’opinione di Rashi: «Dicit autem re. sa. quod puer et nutrix sua fuerunt custoditi in solario templi domini: ubi nullus audebat accedere nisi
sacerdotes et levite qui custodiebant vasa sancta ibidem reposita, propter quod melius potuerunt ibi celari: et licet alias esset illicitum nutrici et puero
ibi esse: licitum tamen fuit in tali necessitate: sicut David et pueri eius comederunt panes sacerdotales in necessitate positi: quod tamen alias fuisset
eis illicitum» (Biblia cum postillis Nicolai de Lyra, Venezia, Giovanni da Colonia e Nicolas Jenson, 31 luglio 1481, t. II, postille al cap. XI del lib. IIII
dei Re).
14
non appartenevano né il bambino né la nutrice. Certo, la norma ordinaria era questa. Ma nei casi di grave necessità e
urgenza «rigor legis aliquo modo relaxabatur». Trovandosi in grave distretta anche Davide e i suoi compagni
mangiarono i sacri pani «propositionis» che soltanto i sacerdoti potevano mangiare42. Per mezzo del profeta il Signore
dice: “Misericordiam volo non sacrificium” 43. Che cosa vuol dire? Che l’osservanza rigorosa della legge deve cedere
quando subentrano doveri maggiori e ben più gravi, «ut necessitate premente, minora praecepta gravioribus et
maioribus cederent».
Per riuscire nella loro impresa, Ioseba e suo marito Ioiada avranno dovuto contare su amici fidati tra i sacerdoti e i
leviti, messi al corrente che quanto avveniva non era una frode; che i fatti che riguardavano quel bambino non erano una
pura supposizione; che Joas era il vero e legittimo successore al trono di Giuda.
Nel frattempo Atalia occupava il regno «tyrannica vi». Ciò non le era consentito, perché era una straniera,
«alienigena», e per via materna veniva dai Tiri e dai Sidoni44; a meno che non avesse voluto addurre come scusa per
tenere il potere quella di averlo ereditato dal figlio, ma nel Regno di Giuda tale diritto non aveva luogo. Deuteronomio
17 prescrive che il re non deve essere eletto tra stranieri «non eligatur ex alienigenis», ma tra i fratelli del re45. Con il
dominio tirannico di Atalia gli abitanti del Regno di Giuda intanto pagano le pene meritate per aver accolto l’idolatria e
per aver abbandonato il culto del Dio vero.
Quando il piccolo Joas compì il settimo anno, il sacerdote Ioiada pensò bene che fosse giunto il momento
opportuno per agire. Tre motivi lo spingevano all’azione: non lasciare che, col passare del tempo, il dominio di Atalia si
radicasse ancora di più nel paese, «in eo regno altius radices ageret»; il bambino aveva ora un’età che richiedeva
istruzione ed educazione, «liberaliter et regio more institui ac educari», cose che non si potevano dare tenendolo in un
locale segreto; era divenuto grandicello, «grandiusculus», per cui non era più tanto facile tenerlo nascosto più a lungo.
Ma chi era veramente questo Joas? Il testo pare farci intendere che fosse figlio di Acazia. Ma alcuni interpreti lo
negano e dicono che egli non discendeva da Acazia, e quindi da Salomone, ma dall’altro figlio di Davide, Nathan.
Erasmo, nel commentare la genealogia di Gesù al cap. terzo dell’evangelista Luca, nota che Luca fa succedere a Davide
Nathan. Erasmo spiega questo particolare col fatto che con la morte di Acazia si sarebbe interrotta la discendenza di
Salomone e che quindi la posterità di Davide sarebbe stata continuata da Joas, che discendeva da Nathan, fratello di
Salomone. Questa opinione è sostenuta anche da Faber Stapulensis nel commento alla Lettera agli Ebrei; e pure da
Ioannes Annius, che cita la storia di Filone, anche se io non ho trovato nulla su questo argomento in Filone 46.
Stando dunque a questa opinione, Atalia avrebbe ucciso tutti i pretendenti al trono di Giuda che appartenevano alla
discendenza di Nathan. L’espressione ebraica “fratelli del principe o del re” indicava quelli che avevano il diritto «ius
regni» una volta che era venuta meno la stirpe del re, «deficiente regia stirpe»: essi erano i primi a subentrare in quel
diritto. Questa interpretazione mi pare molto probabile. Atalia ha quindi ucciso i pretendenti al trono che discendevano
da Nathan, cui spettava per legge lo «ius regni», essendosi estinta con Acazia la discendenza di Salomone. Se Atalia
fosse stata infatti la nonna di Joas non aveva motivo di sopprimerlo, anzi lo avrebbe avocato a sé dopo la morte del
figlio Acazia e avrebbe avuto così un buon pretesto per continuare a regnare al posto del nipote minore, orfano del
padre. Nel testo Joas è detto figlio di Acazia per il fatto che qui figlio indica semplicemente colui che deve
legittimamente succedergli, figlio in senso legale non naturale. Se seguiamo questa interpretazione, comprendiamo
ancora meglio quanto si legge nel secondo libro delle Cronache al cap. 22, dove si dice che morto Acazia non vi era più
nella sua famiglia chi potesse avere il potere di succedergli «quod vis non esset in familia Achaziae retinendi regni» 47.
Questa visione dei fatti collima anche con quanto è detto nel libro delle Cronache, che cioè tutti i fratelli di Acazia
erano stati uccisi dagli Arabi e che era rimasto dei fratelli solo il più piccolo, appunto Acazia 48; collima anche con
42
Riferimento al fatto narrato in 1 Sam. 21, 1-7.
Os. 6, 6.
44
1 Re 16, 31.
45
Deut. 17, 14-15. Per Vermigli Atalia è tiranna in quanto detiene il potere senza averne titolo. Non usa però la formula consueta ex defectu tituli. A
me pare che nel caso specifico di Atalia il commentatore fiorentino intraveda una tirannide ex exercitio. In qualche passaggio del commento lo fa
anche capire, quando ad esempio dice che Atalia poteva essere stata delegata al governo dal figlio Acazia, oppure quando fa intendere che, trascorsi
sette anni dalla presa del potere, la sua autorità poteva considerarsi consolidata e accettata dal popolo. In questo caso la sollevazione contro Atalia
poteva essere provocata solo da persone che avevano autorità nello Stato e non da privati sudditi, come in effetti poi accade con la congiura ordita dal
sommo sacerdote Ioiada. Nel commento al Libro dei Giudici, tenuto a Strasburgo negli anni 1553-1556 e pubblicato a Zurigo nel 1561, Vermigli
aveva sviluppato compiutamente il suo concetto di tirannide: si veda quanto scrivo nel saggio, pubblicato su questo sito, Fonti e motivi del
repubblicanesimo del teologo riformato fiorentino Pier Martire Vermigli (1499-1562), al cap. 4: La resistenza al tiranno (pp. 4-5). A diversità di altri
riformati, soprattutto inglesi (ma allora eravamo negli anni di Maria Tudor) che avevano ravvisato la mancanza del titolo a regnare nel fatto di essere
donna (e anche l’autore delle Vindiciae contra tyrannos parlando di Atalia sosterrà la stessa cosa, si veda qui la nota 73), Vermigli vedeva invece la
mancanza del titolo nel fatto che Atalia era straniera; a suo giudizio anche le donne potevano accedere al trono, come aveva sostenuto nel commento
ai Giudici. Non dimentichiamo che il 15 gennaio 1559 era salita al trono inglese una donna, Elisabetta I Tudor, favorevole alla Riforma, per la quale
Vermigli aveva già avuto parole di incoraggiamento e di lode.
46
Novum Instrumentum omne diligenter ab Erasmo Roterodamo recognitum […] cum Annotationibus[…], apud inclytam Germaniae Basileam,
Johann Froben, 1516: il testo cui fa riferimento Vermigli è alle pp. 325-326; Faber Stapulensis (Le Fèvre d’Etaples, 1450?-1537, umanista francese) e
Ioannes Annius (Giovanni Nanni, 1437-1502, domenicano italiano) sono citati dallo stesso Erasmo.
47
2 Cr. 22, 9; la Volgata ha: «nec erat ultra spes aliqua ut de stirpe quis regnaret Ochoziae»; i Settanta traducono l’ebraico con δύναμιν περὶ τῆ ς
βασιλείας, da cui Vermigli prende «vis retinendi regni».
48
2 Cr. 22, 1.
43
15
quanto scritto nel secondo libro dei Re: che nella guerra di Acazia contro Ieu, quarantadue “fratelli” di Acazia furono
tutti uccisi49.
A questo punto, possiamo ben comprendere quella che è stata la causa principale, «praecipuam», della strage
operata da Atalia. Dopo la morte del figlio, Atalia è rimasta sola. Si avvede che il potere può passare a un’altra famiglia,
a un discendente di Nathan. La strage da lei compiuta aveva l’obiettivo di eliminare tutti i membri di questa famiglia.
Ioiada chiama a sé alcuni centurioni della classe dei leviti, persone fidate ed amiche50. Nel secondo libro delle
Cronache al cap. 23 si danno i nomi di questi centurioni51. Sono cinque. Li manda in tutto il territorio di Giuda perché
convochino «caeteros levitas primores nec non capita familiarum»; nelle Cronache abbiamo il termine «capita
patrum»52. Chiama a sé anche «primores ex militibus qui cursores dicuntur». Mossi dall’autorità del pontefice, che
agiva per impulso divino, «impulsus divino spiritu», questi vennero al tempio. Il pontefice stabilì con loro un patto,
pretese che giurassero «fidem, taciturnitatem et auxilum». Poi mostrò loro il re. Aveva le testimonianze dei leviti e dei
sacerdoti che sapevano che Joas era stato sottratto all’orrenda strage di sette anni prima. Iniziò così la congiura del
pontefice con quelli che aveva chiamato a sé.
Una congiura può essere sia giusta sia ingiusta, «est autem coniuratio res indifferens, quae interdum recte,
nonnunquam vero iniuste fieri potest». Molte sono le ragioni che si possono accampare per dimostrare che Ioiada
congiurò contro Atalia giustamente: il pontefice non era un privato suddito, «vir privatus», perché nello Stato deteneva
un’autorità sia in campo ecclesiastico sia in campo civile: i Giudei non avevano altro diritto che la Bibbia; Ioiada aveva
con sé come congiurati leviti e sacerdoti, capifamiglia e uomini nobili del regno, «nobilissimos viros totius regni» e i
capitani dei soldati, «et primores ex militibus»; vi erano poi le promesse di Dio circa la discendenza di Davide, delle
quali promesse era compito del pontefice essere vindice, «vindex»; la legge del Deuteronomio non ammetteva che il
Regno passasse nelle mani di stranieri; il pontefice era imparentato con la famiglia reale in quanto sposo della sorella di
Acazia, «coniunctus affinitate cum familia regia»; il pontefice doveva poi provvedere perché nel Regno fosse tolto ogni
disordine, «αταξία»53.
I colloqui furono, per necessità, segreti. In una congiura infatti si richiede «ordo et rerum gerendarum distributio,
quo ad tempus, locum, numerum virorum et officia obeunda». Tutte cose che Ioiada osservò molto bene. Stabilì il
tempo: un sabato, giorno nel quale vi era maggior concorso di popolo; un luogo: il tempio, luogo sacro, dove il re era
nascosto, luogo che destava anche meno sospetti.
5 Poi impartì loro questo ordine: «Questo è ciò che farete: una terza parte di voi, quelli che entrano al sabato per
il servizio, starà di guardia del palazzo reale;
6 una terza parte starà alla porta Sur; e una terza parte alla porta “post cursores”; custodirete la casa dalla
demolizione;
7 altre due parti di voi, tutti quelli che escono al sabato dal servizio, monteranno la guardia nel tempio di Jahvé,
presso il re;
8 così voi farete un cerchio intorno al re, ciascuno con le armi in pugno, e chiunque si avvicinerà agli schieramenti
sia ucciso. State vicino al re quando esce e quando entra».
9 I centurioni fecero tutto quello che il sacerdote Ioiada aveva loro comandato. Ciascuno prese i suoi uomini,
quelli che entravano in servizio al sabato assieme a quelli che uscivano al sabato, e andarono dal sacerdote Ioiada.
10 Il sacerdote diede ai centurioni le lance e gli scudi del re Davide che si trovavano nel tempio di Jahvé.
11 I cursori si schierarono, ciascuno con le armi in pugno, dal lato sud del tempio fino al lato nord, davanti
all’altare e al tempio, intorno al re.
49
2 Re 10, 12-14.
Chi ha veramente chiamato a sé il sacerdote Ioiada per la riuscita “militare” della congiura? Vermigli, come tutti i commentatori antichi di questo
passo, si trova in una certa difficoltà a interpretare correttamente il testo ebraico. La difficoltà nasce dal fatto che, come oggi sappiamo, qui il testo è
stato interpolato con l’aggiunta di una glossa. Secondo P. MAIBERGER, rȗ ṣ (alla voce) in Grande Lessico dell’Antico Testamento, Brescia, Paideia,
vol. VIII, 2008 (ediz. orig. Stuttgart 1993) alla col. 330: «in origine il sacerdote Ioiada fece chiamare solo i capi delle centurie a protezione
dell’insediamento del re, soldati che nei testi non hanno mai la funzione di guardie del corpo, ma sarebbero da identificare con i capitani dell’esercito,
che ai vv. 14, 19 e 20 sarebbe indicato con il suo nome tecnico “popolo del paese”. Ma quando più tardi la sua funzione politica non fu più che un
pallido ricordo e ci si immaginò l’insediamento del re piuttosto in termini di un colpo di stato ordito dai corridori [cursori], si sarebbero inseriti i
“Carii e i corridori” ai vv. 4 e 19 e i “corridori” al v. 6 (tutto il versetto sarebbe una glossa) e al v. 11». Viste le difficoltà del testo, Vermigli riporta
nel suo commento i termini ebraici di questo passo (scritti nel testo a stampa in caratteri ebraici), cercando di dare di questi il significato secondo lui
più appropriato; legge poi questo passo in parallelo con 2 Cr. 23. Ciò che preme di più a Vermigli è comunque mostrare che il sacerdote Ioiada cercò
e trovò il consenso di persone che in campo civile e militare avevano autorità.
51
2 Cr. 23, 1.
52
2 Cr. 23, 2.
53
I motivi qui addotti da Vermigli per sostenere che il tirannicidio ordito da Ioiada fu un’azione legittima e giusta sono gli stessi che egli discute nel
commento ai Giudici, quando affronta il tema del tirannicidio; si veda il mio saggio Fonti e temi del repubblicanesimo del teologo riformato Pier
Martrire Vermigli…cit., pubblicato in questo sito, alle pp. 4-7. La resistenza al tiranno è legittima perché operata non da privati cittadini, ma da
persone che hanno autorità nello Stato (il pontefice), da capifamiglia e nobili, dai capitani dei soldati, da persone che agiscono ex officio, cioè
nell’esercizio delle loro funzioni, tra le quali vi è quella di condursi secondo giustizia e che nulla si compia nello Stato contro la legge. Nella lettura
che si farà in campo monarcomaco di questi commenti vermigliani si vedrà la funzione del parlamento dietro queste persone che hanno autorità nello
Stato e che possono giudicare dell’operato del re.
50
16
12 Allora Ioiada fece uscire il figlio del re, gli impose il diadema e l’ornamento, lo proclamarono re e lo unsero e lo
applaudirono e gridarono «Viva il re!».
Nei capitoli 23-24 del primo libro delle Cronache apprendiamo come erano organizzati e distribuiti i compiti
assegnati ai leviti. È importante leggere questi capitoli, altrimenti non si comprende il testo che stiamo commentando,
che presuppone la conoscenza dei modi di organizzazione del servizio dei leviti presso il tempio. Inoltre, poiché in
questo punto la narrazione è piuttosto oscura, «obscurior est narratio», è anche bene leggere il cap. 23 del secondo libro
delle Cronache, dove sono pure narrati, con l’aggiunta di altri particolari, i medesimi fatti54.
Il piano escogitato dal pontefice Ioiada prevedeva di trattenere presso il tempio il gruppo di leviti che, finito il loro
turno settimanale, dovevano lasciare il servizio, sostituiti da quelli entranti del secondo turno. In questo modo avrebbe
avuto a disposizione molte più persone. Ogni gruppo addetto al tempio era di 1.600 leviti, quindi poteva contare quel
sabato su più di 3.000 uomini55. Di tutti questi uomini, sia di quelli che uscivano dal servizio sia di quelli che entravano,
Ioiada pensò di formare tre schieramenti. Un primo schieramento, costituito da coloro del secondo turno che dovevano
entrare in servizio, si sarebbe disposto sul luogo di accesso al tempio per il quale transitava chi veniva dalla reggia:
avrebbe così badato a possibili interventi dei soldati di Atalia. Quelli del primo turno che lasciavano il servizio
avrebbero formato gli altri due schieramenti: uno si sarebbe collocato alla Porta Orientale, chiamata anche nel cap. 23
delle Cronache «Porta fundamenti»56; l’altro alla porta detta “Post cursores” o Porta Australe. Il popolo sarebbe stato
tutto all’interno del cortile del tempio. Altri leviti si sarebbero disposti intorno al re, quasi «custodes eius corporis»,
mentre altri ancora coi capifamiglia e con i soldati si sarebbero collocati, da destra a sinistra, nello spazio che
circondava il sacro tempio e l’atrio dei sacerdoti. Il pontefice diede comandi precisi: primo, mantenere la disciplina
militare: il termine ebraico qui usato significa “demolizione”: sta a voler dire che chi non osserva gli ordini e abbandona
le posizioni è come se demolisse l’esercito; secondo comando, uccidere chiunque avesse tentato di forzare gli
schieramenti57.
L’impresa che il pontefice si trovava a organizzare e a dirigere non era da poco. Si trattava di abbattere la tirannide,
«abolere tyrannidem» e di ripristinare il giusto regno «iustum regnum». Le difficoltà non mancavano. Anche Atalia
aveva i suoi soldati, il re poi era piccolo e fragile.
Ci sono commentatori che criticano l’operato di Ioiada. Non avrebbe dovuto, secondo questi, abbattere un potere,
quello di Atalia, che orami era consolidato in autorità, «quae iam erat in magistratu» 58: è vero che le persone oneste,
«boni viri», devono opporsi a chi tenta di sovvertire l’ordinamento dello Stato, «in Republica status rerum praesentium
commutetur», ma quando ormai lo Stato è mutato e qualcuno detiene il potere, non è più lecito destituirlo «et quispiam
iam rerum potitur et magistratum iniit, non licet eum deijcere». In secondo luogo i sacerdoti devono astenersi da azioni
di questo tipo, per mantenere integra la loro innocenza, «innocentiam». Sacerdoti e leviti non possono usare armi.
A queste obiezioni rispondo così: è vero, non può una privata persona spodestare un magistrato che detiene il potere,
«magistratum iam constitutum»; ma come ho già detto, Ioiada non era una privata persona, perché nel regno di Giuda
deteneva il secondo posto dopo il re, e gli competevano compiti non solo religiosi ma anche civili, «civilia negotia»; la
posizione di Atalia era poi contro la legge, non solo perché straniera ma anche idolatra, per cui doveva essere deposta
«a primatibus et proceribus regni», come erano coloro che parteciparono alla congiura. Il pontefice dunque si mosse
nella sua azione contro Atalia «ex officio»: toccava a lui, in forza del suo grado e della sua autorità, non intervenendo
altre persone autorevoli del Regno, assumersi il compito della restaurazione del regno. È da lodare, non da riprendere.
C’è poi chi contesta il luogo scelto per la consumazione della congiura: il tempio. A questi bisogna rispondere che
non era assolutamente facile convocare un’assemblea generale del popolo a Mispah, la località dove per antica
tradizione si tenevano le assemblee degli anziani delle tribù di Israele, come è documentato nei libri dei Giudici e di
Samuele, «comitiorum usitatum locum in Mispah, ubi in difficilioribus casibus alias solebat populus congregari» 59. La
scelta del tempio era la più idonea, il luogo dava meno nell’occhio. Se si fosse indetta un’assemblea a Mispah, la
conseguenza sarebbe stata una guerra civile, «facile bellum civile ortum fuisset»; anche Atalia aveva i suoi fautori e i
suoi soldati. Per quanto riguarda l’uso delle armi da parte dei sacerdoti e dei leviti, dobbiamo distinguere tra Antico e
Nuovo Testamento. Nell’Antico Testamento i leviti avevano anche compiti giudiziari e abbiamo molti esempi in cui
essi usano le armi. Col Nuovo Testamento non abbiamo altro sacerdote che Cristo, unico redentore e mediatore. Coloro
che egli ha istituito per la predicazione e l’amministrazione dei sacramenti, li ha anche esortati ad astenersi dal potere e
dagli affari pubblici. Disse agli apostoli: - Voi sapete che i principi delle nazioni le dominano; ma tra voi non
54
Si capisce quanto sia oscuro in questo punto il testo ebraico anche dalla constatazione che dalla Volgata in poi non vi è una versione latina uguale
ad un’altra: è proprio qui il caso di dire tot capita tot sententiae.
55
Anche Niccolò di Lira, nelle postille già citate alla nota 41, sottolinea questo particolare della strategia seguita da Ioiada: «ut haberet maiorem
populum secum ad defendendum regem».
56
2 Cr. 23, 5
57
Collazionando i testi dei commentatori di questo passo, che Vermigli definisce «obscurior», noto che Pier Martire sia nell’interpretazione sia nel
lessico usato è più aderente alle Adnotationes di François Vatable, professore di ebraico a Parigi, solo in parte ascrivibili a lui, pubblicate a Parigi nel
1545: Bibia, Lutetiae, ex officina Roberti Stephani typographi regii, 1545, c. 69r-v (la numerazione delle carte ricomincia con il primo Libro di
Samuele).
58
Vedi quanto detto alla nota 31.
59
Sulle assemblee convocate a Mispah si veda il mio saggio Fonti e temi del repubblicanesimo…, cit., pubblicato in questo sito, alle pp. 1-2.
17
dev’essere così -60. E a uno che gli chiedeva di dire a suo fratello di dividere con lui l’eredità, Gesù rispose: - uomo, chi
mi ha costituito giudice o arbitro sopra di voi? -61, mostrando che non si accordava con la sua missione, mentre era in
terra, di avere voce in questioni ereditarie. Il bravo ministro, scrive Paolo a Timoteo, non deve immischiarsi negli affari
della vita civile62. Tuttavia vi sono casi in cui per legittima difesa, se un ministro è assalito e non può contare su alcun
aiuto, è lecito che respinga la violenza con la forza, «liceret ei vim vi repellere et armis uti si essent ad manum». Vi è un
altro caso in cui i ministri non devono accampare privilegi, quello di partecipare alla difesa della propria città, se
assalita, e vi è urgente bisogno di uomini; i ministri infatti sono «cives urbium et partes Reipublicae» 63. A motivo di
queste eccezioni, papi e vescovi dei nostri tempi non possono però sentirsi giustificati per le continue guerre che
indicono e che compiono, sembrando di non poter mai stare tranquilli se non ardono di lotte e di armi.
Ioiada distribuisce le armi ai capi e questi le consegnano a tutti gli uomini. Sono aste e scudi di Davide, che erano
conservate nel tempio: possiamo pensare che fossero trofei di guerra. Ricordiamo che Davide aveva deposto «in
tabernaculo Dei» la spada con la quale aveva reciso il capo del gigante Golia64. Dopo che Salomone costruì il tempio, vi
saranno state collocate anche le armi di Davide.
L’unzione del re era il simbolo esterno della spirituale facoltà che Dio conferiva al nuovo re. L’unzione non
avveniva se un figlio succedeva al padre, ma solo quando saliva al trono il membro di un’altra famiglia oppure quando
vi era stata una interruzione nella successione dinastica. Ioas viene unto perché è il primo a diventare re della stirpe di
Nathan. Tre sono gli ornamenti del re: l’unzione, l’insegna e la corona, come viene detto anche nel libro delle
Cronache65. L’unzione è simbolo della potestà, l’insegna è il libro della legge, la corona indica i costumi e le opere
illustri del re. Che cosa intendere per «testimonium» non tutti concordano: il termine ebraico ʻēdûth66 è ambiguo, può
significare sia «testimonium» sia «ornamentum»; quelli che interpretano con ornamento intendono che qui ci si riferisca
alla tunica regia. Io preferisco interpretare con «testimonium» il libro della legge67. Come è detto in Deuteronomio il re
deve avere in mano la legge, deve «perpetuo versari in eius lectione»68. Questa lettura lo forma nella vera pietà. Nel
Regno la legge deve essere conservata «incolumis et salva». Il re è chiamato «lex animata»: egli governa con la legge e
alla legge deve sottostare, «et eo monebatur, ut cum esset praepositus caeteris ad illos gubernandos et regendos: ita
quoque ille seipsum et gubernandum et regendum legi divinae subijceret».
Il popolo applaude, che è la forma di manifestazione del suo consenso all’elezione del nuovo re, «quod erat instar
suffragii publici ac communis, quo Rex novus eligebatur seu confirmabatur». Il popolo è in festa: primo, perché è stato
liberato dal dominio della donna; poi, perché ha ora un re stabilito sull’autorità ereditaria. Gridarono “Viva il re!”:
fausta acclamazione. Pregavano Dio perché lo Stato, «rempublicam» 69, durasse a lungo e fosse amministrato «iuste ac
fideliter».
13. All’udire il clamore dei cursori e del popolo, Atalia andò verso di esso nel tempio di Jahvé.
14. Osservò e vide il re accanto alla colonna, secondo l’usanza, con i capi e i trombettieri davanti a lui. Tutto il
popolo della terra era in festa e suonava le trombe. Allora Atalia si stracciò le vesti e gridò: «Congiura, congiura!».
15 Il sacerdote Ioiada ordinò ai centurioni che comandavano l’esercito: «Conducetela attraverso gli schieramenti
e chiunque la segue venga ucciso di spada». Il sacerdote infatti aveva detto: «Non venga uccisa nel tempio di Jahvé».
16 Le fecero largo, e quando giunse al palazzo reale per la porta dei Cavalli, lì fu uccisa.
Il clamore del popolo, il suono delle trombe giungono ad Atalia, il cui palazzo non distava molto dal tempio.
Accorre, vede il re sul podio con i regali ornamenti. Grida: “Congiura, congiura!”. E chiama sediziosi quelli che
60
Mt. 20, 25-26.
Lc. 12, 13-14.
62
Probabile riferimento a 2 Tim. 2, 3-4, forse anche a 2 Tim. 2, 16.
63
Esponendo questi concetti sulla legittima difesa e sull’uso delle armi per la difesa della patria, Vermigli pensava forse anche alle contrarie dottrine
degli anabattisti: UGO GASTALDI, Storia dell’anabattismo dalle origini a Münster 1525-1535, Torino, Claudiana, 1992, a p. 217 l’articolo sulla non
resistenza della Confessione anabattista di Schleitheim, 24 febbraio 1527: “…Perciò saranno respinte da noi indubbiamente anche le non cristiane
anzi diaboliche armi della violenza, come la spada, l’armatura e simili e ogni loro uso a favore degli amici e contro i nemici, in forza della parola di
Cristo: Non resistere al male”, vedi anche le pp. 328-329.
64
1 Sam. 21, 10.
65
2 Cr. 23,11.
66
In caratteri ebraici nel testo a stampa.
67
È l’unico punto di una certa importanza in cui Vermigli segue l’interpretazione di Pellikan, il suo predecessore alla scuola: KONRAD PELLIKAN,
Commentaria Bibliorum, Tomus secundus, Tiguri, in officina Froschoviana, 1533: il commento, per altro molto breve, a 2 Re 11 alle cc. 186r-187r,
«testimonium[…] legis Mosaicae librum tradidit in manum illius». Già Niccolò di Lira nelle postille citate aveva interpretato «testimonium» con il
libro della legge. François Vatable nelle annotazioni comparse a Parigi nel 1545, intende invece il termine ebraico come «ornamentum», che a suo
giudizio è «vestem regiam» (Biblia, Lutetiae, ex officina Roberti Stephani typographi regii, 1545, c. 69v, la numerazione delle carte ricomincia con il
primo libro di Samuele). H. SIMINA-YOFRE, ‘wd (alla voce), in Grande lessico dell’Antico Testamento, Brescia, Paideia, 2006 (ediz. orig. Stuttgart
1986), vol. VI, alla col. 505: «estremamente controverso è il significato di ʻēdûth in 2 Re 11, 12»: gli studi più accreditati e recenti propendono per
un documento scritto «che ricapitola i punti principali del patto di Jahvé con la casa di Davide».
68
Dt. 17, 18-20.
69
Respublica è termine usato da Vermigli con due accezioni: nella prima, indica la forma repubblicana dello Stato; nella seconda indica in senso
generale lo Stato, a prescindere dalla sua forma costituzionale; vedi il mio saggio Fonti e temi del repubblicanesimo…, cit., pubblicato in questo sito,
a p. 2.
61
18
proteggono il re legittimo. Anche noi oggi siamo chiamati sediziosi dai nostri avversari perché vogliamo ripristinare il
legittimo e giusto culto di Dio. Si straccia le vesti, come era costume degli antichi in caso di lutto, sia presso gli Ebrei
sia presso gli altri popoli. Leggiamo in Svetonio che anche Giulio Cesare, quando passò il Rubicone e si arrivò alla
guerra civile, si stracciò le vesti dopo aver saputo che a Roma i tribuni della plebe erano stati costretti a lasciare la
città70. Ioiada comanda ai centurioni di condurre via e di uccidere Atalia. Comanda anche di uccidere immediatamente
chiunque la segua per difenderla. Ma da quanto ci viene narrato nessuno si mosse e nessun altro, all’infuori di lei, fu
ucciso. È la sorte dei tiranni: perso il potere, sono da tutti abbandonati.
La fecero uscire per la porta dei cursori, che è la Porta Australe, come ho detto prima. Il pontefice aveva ordinato
che non fosse uccisa nel tempio. Attraversarono la piazza dei cavalli. Come giunsero alla reggia, qui i soldati la uccisero.
Così si manifestano i giudizi di Dio: la madre Iezabel fu defenestrata 71, la figlia giustiziata nella reggia. Ambedue sono
uccise e nuovi re procedono al rinnovamento dello Stato e al ripristino del culto divino.
Giuseppe Flavio scrive che Atalia fu gettata nel torrente Cedron72. Può essere che sia stata uccisa e poi gettata nel
torrente, come si faceva a Roma con i cadaveri dei principi scellerati, che venivano gettati nel Tevere73.
70
SVETONIO, Vite dei Cesari, Giulio Cesare, 33. Secondo Svetonio, Cesare si sarebbe stracciato le vesti («veste a pectore discissa») dopo aver
appreso che il Senato aveva adottato, per contrastare l’opposizione dei due tribuni che gli erano favorevoli, un Senatus consultum ultimum col quale
venivano affidati i pieni poteri ai magistrati ed a Pompeo, dopo che già il Senato aveva imposto a Cesare di rassegnare il comando nelle Gallie.
71
2 Re 9, 30-37.
72
GIUSEPPE FLAVIO, Antichità giudaiche, IX, 7.
73
Sin da quando lessi per la prima volta i commenti a Giudici, Samuele, Re di Pier Martire Vermigli (mi trovavo allora a Chicago come borsista alla
Newberry Library, anno 1989) ebbi subito la sensazione che i temi sviluppati nella più famosa opera dei monarcomachi francesi, Vindiciae contra
tyrannos edita nel 1579, sul cui autore i giudizi degli studiosi non sono ancora concordi, fossero già tutti presenti, seppure in forma sparsa, nei
commenti del fiorentino. Nel convegno promosso a Kappel dall’Università di Zurigo nel 1999, in occasione del V centenario della nascita di Vermigli,
avanzai a conclusione del mio intervento (pubblicato in italiano su questo sito) l’ipotesi che l’autore delle Vindiciae potesse aver letto direttamente, o
aver conosciuti per via indiretta tramite altri, i commenti di Vermigli. Avevo allora promesso di dedicare un saggio specifico a questo argomento,
cosa che ancora non ho fatto, e non so se mai farò. Mi piacerebbe tuttavia che qualche giovane studioso vi si potesse applicare. Il tema è questo: “I
commenti veterotestamentari di Pier Martire Vermigli come possibile fonte per l’autore delle Vindiciae contra tyrannos”. Intanto, a scopo istruttivo
per chi fosse interessato a questa ricerca, riporto tutto il brano che il testo delle Vindiciae dedica ai fatti di Atalia, così che il lettore possa fare le sue
utili considerazioni. Cito dalla prima edizione: Vindiciae contra tyrannos, sive de Principis in Populum, Populique in Principem, legitima poestate.
Stephano Iunio Bruto Celta auctore, Edimburgi [Basilea: Thomas Guarin], 1579, pp. 49-51:
«Athalia Regina, Ochozia filio Rege Iudae mortuo, universam fere stirpem Regiam delendam curat. Vix puer unicus Ioas, in cunis
adhuc vagiens, Iosabae amitae prudentia simul et pietate, superst. Illa vero rerum summam invadit, et sex annos in Iuda regnat.
Mussabat tum forte Populus: nec enim promere, quicquid animo premebat, tutum erat. Tandem Ioiadas summus Sacerdos, vir
Iosabae, consilio Principibus Israelis clanculum inito, coniurationeque rite peracta, Ioam septimo anno aetatis ungendum
coronandumque curat. Matrem vero non modo è solio exturbat, verum etiam è medio tollit, Baalisque idololatriam continuo destruit.
Probatur Ioiadae facinus, et merito. Iusta causa movebatur. Tyrannidem enim, non regnum oppugnabat. Tyrannidem, inquam,
primum sine titulo, ut loquuntur Iureconsulti neoterici. Lex enim Regni Iudaici mulieres ad sceptrum non vocabat. Deinde etiam
exercitio. Invaserat enim nepotum regnum summo scelere, et scelera innumera committebat; quod vero caput scelerum erat, neglecto
Deo vero, Baalem adorabat, adorarique iubebat. Iuste vero, et ab eo, cuius munus erat, vindicabatur. Ioiadas enim non erat privatus,
sed Pontifex summus, ad quem rerum etiam civilium cognitio tum pertinebat. Deinde habebat asseclas Principes Iudae et Levitas,
denique erat affinis Regis. Quod vero non indicit de more comitia in Mizpah, non culpatur, ut neque etiam, quod furtive consilia
iniret, et clanculum coniuraret. Alioqui enim res minime successisset, et in incassum cessisset. Coniuratio autem bona malave est, ut
bonum, malumve finem spectat, et ab iis, quorum est, aut secus, initur. Recte ergo Principes Iudae fecerunt; male vero, si secus se
gessissent. Ut enim tutor cavere debet, ne pupilli bona depereant; ac, ni faciat, actione tutelae tenetur; ita et hi Populi salutem tueri,
qui se totum ipsorum curae tradidit, et credidit, suasque in ipsos actiones omnes quodammodo transtulit. In summa: ut licet universo
populo repugnare, ita et Principibus Regni, qui universum repraesentant, non secus ac decurionibus pro corporis utilitate, contrahere.
Ut vero refertur ad universos, quod publice per maiorem partem geritur: ita, quod maior pars Principum seu optimatum fecerit, omnes;
quod omnes, universus Populus fecisse dicetur».
La lettura dei commenti vermigliani ha influito sul pensiero politico della Riforma nella seconda metà del Cinquecento e nel Seicento. La ricerca è
ancora tutta da fare. Dovrà indirizzarsi lungo quattro direttrici. La prima, tedesca, va da Vermigli a Giovanni Althusius (1563-1638) e passa per
Zacharias Ursinus (1534-1583), David Pareus (1548-1622), Kaspar Olevianus (1536-1587). Questa pista ha un centro di irradiazione, Heidelberg.
Una seconda pista, francese, passa per Théodore de Bèze (1519-1605) e François Hotman (1524-1590) e arriva all’autore delle Vindiciae contra
tyrannos (1579). Una terza pista, inglese, va da John Ponet (1514ca.-1556) e Christopher Goodman (1520-1603) sino a John Milton (1608-1674) e
alla cultura politica della Nuova Inghilterra. La pista inglese si interseca con quella tedesca nella figura di David Pareus. Una quarta pista, olandese,
comprende Lambert Daneau (1530-1595) e Ugo Grozio (1583-1645).
19
Appendice I
HEINRICH BULLINGER A PIETRO MARTIRE VERMIGLI
Zurigo, 1 maggio 1556
Autografo: Zurigo, Staatsarchiv des Kantons Zürich, E II, 342, 323 (carte 3)
Edizione: MICHAEL BAUMANN, Petrus Martyr Vermigli in Zürich (1556-1562). Dieser Kylchen in der heiligen geschrifft professor un
laeser, Inaugural Dissertation zur Erlangung der Doktorwürde der Theologischen Fakultät der Univ. Zürich, 21 dicembre 2009, pp. 124-130. Rinvio
a questa dissertazione, pubblicata nel 2010 in linea sul catalogo della Zentralbibliothek di Zurigo, per la puntuale annotazione storica e bibliografica
del contesto storico-religioso.
Bullinger, a nome suo e del collegio dei docenti della Schola Tigurina, invita caldamente Vermigli ad accettare la nomina del Consiglio
della città di Zurigo a docente di Antico Testamento nella Schola in sostituzione del defunto Conrad Pellikan. Elenca le ragioni utili a convincere
Vermigli ad accettare il nuovo incarico, tra le quali, da non sottovalutare, il regime repubblicano di Zurigo che garantisce libertà, a differenza dei
regimi principeschi soggetti più facilmente a mutazioni: Bullinger spera con questa considerazione di scoraggiare l’amico dall’accettare la proposta
venutagli dal principe del Palatinato Otto Heinrich di trasferirsi come docente all’Università di Heidelberg.
D. Petro Martyri
S.[alutem] D.[ico]. Gratulor mihi ipsi, vir clariss. idemque domine colendissime et frater charissime, quod Apologetica
expositio mea74 tibi sic placuerit quin imo gratias ago domino Deo nostro, ad quem unum referenda sunt omnia quaecumque a nobis
fiunt digna laude. Atque utinam sapiant aliquando adversarii nostri et de crassa illa opinione sua altercari materiamque exultandi
adversariis nostris communibus suppeditare desinant.
Audisti haudubie clariss. et sanctiss. virum D. Conradum Pellicanum coniunctissimum fratrem nostrum ipsa resurrectionis
dominicae die migrasse ad dominum75. Fuit hic Hebraicae linguae in Schola nostra76 professor, et D. Theodori Bibliandri77 collega in
expositione veteris Testamenti. Iam ergo cum de alio viro bono78 in optimi viri demortui locum surrogando consultatum est, principio
quidem a deputatis, mox ab integro collegio, semper concordibus suffragiis designatus est D. Petrus Martyr tandem et unanimiter ne
uno quidem dissentiente electus.
Res pro more patrio delata est ad amplissimum Senatum reipub. nostrae 79 , qui et ipse votis concordibus electionem
approbavit 80 et confirmavit. Scribit is ad clariss. reipub. Argentorat. Senatum 81 , orat ut bona cum ipsorum gratia liceat tibi
vocationem sequi divinam atque legitimam. Idem scriptis ad te quoque literis te vocat et omnem humanitatem pollicetur. Mihi
quoque a fratribus iniunctum est ut totius collegii fratrumque nomine te vocem atque adeo obtestarer ne ad tui amantissimos venire
dedignareris. Id quod praesentibus literis facio hortorque ut venias et mentes omnium potius respicias tibi devotas prorsus quam
verba non pro dignitate rei loquentis aut scribentis expendas.
74
Bullinger si riferisce alla sua pubblicazione inviata in dono a Vermigli: Apologetica expositio: qua ostenditur Tigurinae Ecclesiae ministros nullum
sequi dogma hereticum in Coena Domini, Tiguri, apud Andream Gesnerum et Jakobum Gesnerum fratres, [1556].
75
Conrad Pellikan (Kürschner), 1478-1556, nativo di Rouffach in Alsazia, umanista, filologo ebraista e teologo protestante. Frate minore sino agli
anni 1523-1524, quando, residente a Basilea come guardiano del convento francescano, aderisce alla Riforma, dopo aver conosciuto Erasmo e lette le
prime opere di Lutero. Nel 1526 è chiamato da Zwingli alla Schola Tigurina come docente di ebraico e di Antico Testamento in sostituzione del
defunto Jakob Ceporin. Un suo commento a tutta la Bibbia (Commentaria Bibliorum) è stampato a Zurigo da Froschauer negli anni 1532-1539.
Muore il 5 aprile 1556, giorno di Pasqua. Un breve profilo: HANS JACOB HAAG, Konrad Pellikan Hebraist von europäischen Ansehen, in Schola
Tigurina. Die Zürcher Hohe Schule und Ihre Gelehrten um 1550. Katalog zur Ausstellung vom 25. Mai bis 10. Juli 1999 in der Zentralbibliothek
Zürich, a cura di Hans Ulrich Bächtold, Zürich, Institut für Schweizerische Reformationsgeschichte – Pano Verlag, 1999, pp. 28-29. Quando Vermigli
era giunto a Zurigo nell’agosto 1542 proveniente dall’Italia, pochi giorni dopo, l’11 settembre, Pellikan aveva scritto a Bonifacio Amerbach, rettore
dell’Università di Basilea, lodando la conoscenza di Vermigli delle lingue latina, greca ed ebraica: Amerbachkorrespondenz, Basel, Verlag der
Universitätsbibliothek, 1942, vol. VI, 1537-1543, nr. 2495.
76
Schola tigurina, aperta da Zwingli nel 1525, inizialmente chiamata Prophezey, come istituzione aperta al pubblico ma principalmente destinata alla
formazione dei pastori evangelici secondo i principi della nuova dottrina riformata, di impronta fortemente biblica; per cui notevole importanza era
data allo studio delle lingue bibliche, ebraico e greco, e al commento dell’Antico e del Nuovo Trestamento: Schola Tigurina. Die Zürcher Hohe
Schule und Ihre Gelehrten um 1550…, cit.; sulle origini e lo sviluppo della Scuola: ERNST ULRICH, Geschichte des Zürcherischen Schulwesens bis
gegen das Ende des sechzehnten Jahrhunderts, Winterthur, Bleuler-Hausheer, 1879. La Schola Tigurina non era né una Università e nemmeno una
Scuola Superiore, come invece era il Ginnasio di Strasburgo. Vi si tenevano però lezioni pubbliche, lectiones publicae. Un altro punto da notare:
prima di Vermigli, se si esclude l’alsaziano Pellikan, nessuno straniero era mai stato chiamato a insegnare alla Schola: i docenti erano tutti zurighesi o
confederati.
77
Theodor Bibliander (Buchmann), 1506-1564, orientalista, ebraista, traduttore, pubblicò commenti biblici e una grammatica ebraica nel 1535. Sarà
coinvolto in una controversia dottrinale con Pier Martire Vermigli a proposito della predestinazione. Nel 1560 lascerà la cattedra della Schola
Tigurina. Un breve profilo: KURT JACOB RÜETSCHI, Theodor Bibliander Exeget end Sprachgelehrter, in Schola Tigurina. Die Zürcher Hohe Schule
und Ihre Gelehrten um 1550…, cit., pp. 30-31.
78
Vir bonus (espressione dell’antichità classica ripresa dall’umanesimo), vir pius, fidelis, christifidelis, frater noster, sono le espressioni solitamente
usate in ambienti riformati per denotare gli aderenti alle nuove dottrine, mentre restò sempre rara l’espressione viri evangelici, e sarà solo d’uso molto
più tardo la designazione di protestanti.
79
Notare questo passaggio: la nomina del nuovo docente che deve sostituire Pellikan è fatta dal Collegio dei docenti e dei ministri. Viene poi
trasmessa al Consiglio Grande della città per la ratifica formale. Sarà poi il Consiglio a inoltrare a Vermigli una lettera ufficiale e a sottoscrivere con il
nuovo docente le condizioni contrattuali.
80
Il 30 aprile 1556, stando a quanto annota sotto questa data Bullinger nel suo diario: recipitur a senatu d. Petrus Martyr (MARWIN W. ANDERSON,
Peter Martyr a reformer in exile (1542-1562). A chronology of biblical writings in England and Europe, Nieuwkoop, B. De Graaf, 1975, p. 422, nota
62). Il giorno dopo Bullinger scrive questa lettera a Vermigli.
81
Il Consiglio di Zurigo scrive una lettera al Consiglio di Strasburgo: anche questo fatto è annotato da Bullinger nel Diario: mittitur tabellio
Argentinam (ANDERSON, cit., p. 422 nota 62)
20
Sunt quidem innumera quae te ad recipiendam hanc conditionem oblatam invitare possunt, inprimis vero divina legitima et
concors electio82. Deinde quod liberatus aliquando a contentionibus83et tibi infestis symmystarum animis illorum aggregaris collegio,
qui te amant et contentiones oderunt. Habebis hic et invenies veterem tuum amicum et fratrem Bernardinum84, habebis et invenies
italicam ecclesiam85 qualem te non puto ullam inventurum in Germania, eris in vicinia Italiae, ut si quid agere volueris cum tuis illis
commodius hinc possis quam aliunde. Habebis et stipendium satis liberale ac munificum 86, labores sustinebis non graves, habebitur
ratio aetatis tuae: si aegrotare tibi contigerit non erit hoc tibi fraudi et si senio confectus tuae confessioni impar adeoque tibi et aliis
inutilis fias, portio canonica87, hoc est stipendium tuum nihilominus ad ultimum usque terminum vitae manet. Audisti alias ab aliis
Tigurinos inter omnes Helvetios non extremum in humanitate locum obtinere. Sunt aliae commoditates innumerae, quae commovere
possunt ut ad nos concedas. Si rebus tuis compositis ad festum d. Joa. Baptistae88 adfueris, satis mature adfueris.
Sed dum haec scribo, offerentur literae a D. Vergerio 89 significantes te vocari aut invitari ab illustriss. Principe
Heydelbergam ut ibi profitearis. Afflixit me atque alios nostros hoc nuncium non parum. Verum dum propius singula expendo, spem
rursus concipio fore ut ad nos potius concedere eligas quam Heidelbergam. Didicisti in Anglia quid sit uni alicui principi inservire90.
Atqui iuvenis erat sereniss. Eduardus 91 . Palatinus senex 92 atque adeo qui alterum pedem iam habet in cymba, quod dici solet,
Charontis. Scis quantas mutationes secum trahat mors principis 93 . Expertus es quantis laboribus obnoxium sit inservire
universitatibus, atqui tuam illam aetatem iam diu nimis adflictam laboribus sublevatam oportuerat non aggravatam magis ac magis.
Non nescis principes imperii pendere plus nimium a Caesaris nutu et pro huius edictis multa mutari in ecclesiis Germaniae94. Si ad
nos veneris eris in gente libera quae nihil negocii habet cum Caesare et cum versipellibus Imperii comitiis95. Eam religionem quam
haec ecclesia recepit ante annos 30 retinet etiam hodie et abhorret et abhorruit semper a novationibus et altercationibus. Non puto
homini pio at piarum literarum studioso obvenire posse bonum praestantius quam si libertate frui possit vera96, et habitare inter
amicos imo inter amantissimos eius. Non est ergo quod pluribus tecum agam. Omnes te oramus ut ad nos tui amiciss. venias.
Pollicemur quod et praestabimus tibi omnem humanitatem et benevolentiam. Saluto te omnium nomine. Dominus noster Iesus
Christus animum tuum commoveat et adigat ut venias. Vale aeternum.
Tiguri Calendis Maii anno 1556.
Bullingerus tuus.
82
Bullinger sembra quasi voler dire: per senso di responsabilità non ci si può sottrarre a un’elezione unanime, formalmente ineccepibile; mentre
divina può sembrare un’allusione a “divinamente ispirata”.
83
Bullinger si riferisce al clima che si era creato a Strasburgo, dove Vermigli si trovava sicuramente a disagio per la politica di luteranizzazione
voluta dalle autorità, che appoggiavano il pastore luterano Johann Marbach. Il collega Girolamo Zanchi era già coinvolto in un’apra diatriba con
Marbach: JAMES M. KITTELSON, Marbach vs. Zanchi: The Resolution of Controversy in Late Reformation Strasbourg, in «The Sixteenth Century
Journal», VIII, 3, 1977, pp. 32-44; si veda anche GIULIO ORAZIO BRAVI, Girolamo Zanchi, da Lucca a Strasburgo, in «Archivio storico Bergamasco»,
1, 1981, pp. 35-64, in particolare le pp. 52-64: questo saggio compare in formato digitale su questo sito.
84
Vermigli nel 1542 aveva lasciato l’Italia dopo essersi incontrato a Firenze e consultato con Bernardino Ochino, allora generale dei Cappuccini. Ora
Ochino vive a Zurigo, pastore della comunità locarnese. Nel 1560, gravemente ammalato, sarà sostituito da Vermigli nella carica di pastore. Le sue
idee sulla Trinità e sulla predestinazione finiranno sotto processo, terminato il 23 novembre 1563 con una sentenza di espulsione da Zurigo, che
lascerà il 2 dicembre recandosi a Basilea. Cacciato anche da Basilea, morirà in Moravia negli ultimi giorni del 1564 o i primi del 1565: KARL
BENRATH, Bernardino Ochino von Siena: ein Beitrag zur Geschichte der Reformation, Leipzig, Fues, 1875; ROLAND H. BAINTON, Bernardino
Ochino esule e riformatore senese del Cinquecento 1487-1563, Firenze, Sansoni, 1940.
85
Si riferisce alla comunità degli esuli locarnesi, composta da circa cento adulti: BAINTON, cit., pp. 107ss.; FERDINAND MEYER, Die evangelische
Gemeinde in Locarno, 2 voll., Zurigo, S. Höhr, 1836.
86
Gli viene confermato lo stipendio di Pellikan, 100 Gulden (fiorini) annui; all’Università di Heidelberg un professore guadagnava circa 300 Gulden
annui (MICHAEL BAUMANN, Petrus Martyr Vermigli: Doctor, Lehrer der heiligen Schrift und Zürcher, in Peter Martyr Vermigli. Humanism,
Republicanism, Reformation, a cura di Emidio Campi, Genève, Librairie Droz, 2002, pp. 213-224: notizie sullo stipendio, comparato con quello
dell’Università di Heidelberg, a p. 216).
87
Le rendite canonicali del Capitolo della cattedrale (Grossmünster), che non era mai stato formalmente soppresso, quando pure i suoi membri erano
passati alla Riforma, a mano a mano che i canonici morivano erano state trasferite al mantenimento dei docenti della Schola: per questo Bullinger usa
ancora il vecchio termine giuridico di portio canonica; FRANCESCO ERASMO SCIUTO, Ulrico Zwingli, Napoli, Giannini Editore, 1980, pp. 296-299.
88
La festa di S. Giovanni Battista cade il 24 giugno.
89
Mentre sta scrivendo questa lettera a Vermigli, Bullinger riceve una lettera da Pier Paolo Vergerio, l’ex vescovo di Capodistria, esule per fede in
Val Bregaglia dal 1549: Pier Paolo Vergerio il Giovane, un polemista attraverso l’Europa del Cinquecento. Convegno internazionale di studi,
Cividale del Friuli, 15-16 ottobre 1998, a cura di Ugo Rozzo, Udine, Forum, 2000. Dalla lettera di Vergerio, Bullinger apprende che a Vermigli è
stato offerto un posto all’Università di Heidelberg da parte del principe Otto Heinrich.
90
Vermigli è stato regius professor a Oxford dal 1547 al 1553.
91
Edoardo VI Tudor (1537-1553), che favoriva mediante i suoi reggenti la Riforma protestante in Inghiletrra, regnò dal 1547 al 6 luglio 1553,
quando morì all’età di 16 anni. Alla sua morte salì al trono Maria I Tudor, che ripristinò il culto cattolico costringendo Vermigli all’esilio.
92
Otto Heinrich della dinastia Wittelsbach (1502-1559), principe elettore del Palatinato, ha ora 54 anni. Morirà il 12 febbraio 1559.
93
Bullinger sottolinea qui un aspetto del regime monarchico che Vermigli svolgerà nel suo commento al Libro di Samuele: l’instabilità e la
mutevolezza di governo che possono conseguire col cambio di re: vedi GIULIO ORAZIO BRAVI, Fonti e temi del repubblicanesimo del teologo
fiorentino Pier Martire Vermigli (1499-1562, pubblicato nel testo italiano su questo sito, a p. 8 (cap. 7. Un patto tra re e popolo).
94
Il riferimento non è solo ai principi territoriali soggetti all’Impero ma anche alle libere città imperiali, come era il caso di Strasburgo, la cui politica
era condizionata dalle diete imperiali e dall’autorità dell’Imperatore, come la città alsaziana aveva sperimentato con l’Interim nel 1547.
95
Bullinger ci tiene a rimarcare la totale libertà della repubblica di Zurigo, non soggetta ad alcuna autorità imperiale.
96
Lo stesso concetto è ricordato da IOSIAS SIMLER, Oratio de vita et obitu clarissimi viri et praestantissimi theologi D. Petri Martyris Vermilii
divinarum literarum professoris in Schola Tigurina, Zurigo, Froschauer, 1563, c. 18r: Vermigli ebbe a Zurigo «docendi, disputandi et scribendi
libertatem».
21
Appendice II
NOTA BIBLIOGRAFICA
1. Una rassegna completa delle opere di Vermigli in A Bibliography of the Works of Peter Martyr Vermigli, a cura di JOHN
PATRICK DONNELLY e ROBERT M. KINGDON con la collaborazione di MARWIN W. ANDERSON, Kirksville, Sixteenth Century Journal
Publishers, 1990: di tutti i titoli viene fornita l’immagine del frontespizio, una accurata descrizione, l’indicazione delle sedi di
conservazione degli esemplari; alla fine del volume, pp. 160-197, compare un Register epistolarum Vermilii, che aggiorna quello
pubblicato nel 1975 da Marwin W. Anderson.
Da alcuni anni è in corso negli Stati Uniti la pubblicazione completa delle opere di Vermigli in versione inglese: The Peter
Martyr Vermigli Library, programmata in più volumi, a cura di JOHN PATRICK DONNELLY, JOSEPH C. MCLELLAND, FRANK A. JAMES
III, Kirksville, Truman State University press. Tre sono i testi di Vermigli editi in lingua italiana: Una semplice dichiarazione sopra
gli XII articoli della fede cristiana, Basilea, Johann Herwagen, 1544; Discorso fatto ne l’honoratissima scuola ossoniese in
Inghilterra intorno al sacramento de l’eucharestia, Ginevra, Jacopo Burgese, Antonio Davodeo e Francesco Jacchi, 1557; Trattato
della vera chiesa catholica, et della necessità di vivere in essa, Ginevra 1573, riedito a Firenze, Claudiana, 1884 (Biblioteca della
Riforma italiana, vol. IV, pp. 73-162: testo ripreso da un Locus presente nel commento ai Libri dei Re stampato a Zurigo, Froschauer,
1566; resta il dubbio se questo testo sia una libera traduzione del Locus o un ampliamento del Locus dovuto allo stesso Vermigli.
2. Un saggio bibliografico di studi vermigliani, editi a partire dal 1993, nella Nota Bibliografica, a cura di MICHELA CATTO
e ACHILLE OLIVIERI che compare alle pp. 395-397 di Pietro Martire Vermigli (1499-1562). Umanista, riformatore, pastore. Atti del
convegno per il V centenario (Padova, 28-29 ottobre 1999) a cura di ACHILLE OLIVIERI in collaborazione con PIETRO BOLOGNESI,
Roma, Herder Editrice e Libreria, 2003. Un secondo saggio bibliografico, completo delle opere a stampa di Vermigli, dei manoscritti
superstiti e degli studi è stato ben curato da JASON ZUIDEMA alle pp. 499-518 di A Companion to Peter Martyr Vermigli, a cura di W.
J. TORRANCE KIRBY, EMIDIO CAMPI, FRANK A. JAMES III, Leiden, Brill, 2009.
3. In ordine di apparizione questi sono i principali studi biografici: IOSIAS SIMLER, Oratio de vita et obitu clarissimi viri et
praestantissimi theologi D. Petri Martyris Vermilii divinarum literarum professoris in Schola Tigurina, Zurigo, Froschauer, 1563:
orazione funebre dell’allievo di Vermigli pronunciata nel 1562, pubblicata nel 1563, nuovamente ristampata in forma ampliata nel
1569 in testa al commento di Vermigli al libro della Genesi: In Primum Librum Moisis, qui vulgo Genesis dicitur, Zurigo, Froschauer,
1569 (sulla biografia di Simler da vedere: MICHAEL BAUMANN, Josias Simler’s Hagiography, in A Companion to Peter Martyr
Vermigli, a cura di W. J. TORRANCE KIRBY, EMIDIO CAMPI, FRANK A. JAMES III, Leiden, Brill, 2009, pp. 459-465. FRIEDRICH
CHRISTOPH SCHLOSSER, Leben des Theodor de Beza und des Peter Martyr Vermili, Heidelberg, Mohr & Zimmer, 1809; CHARLES
SCHMIDT, Vie de Pierre Martyr Vermigli, Strasbourg, Silbermann, 1835 e, dello stesso autore, Peter Martyr Vermigli. Leben und
ausgewählte Schriften, Elberfeld, Friderichs, 1858; MARY YOUNG, The Life and Times of Aonio Paleario, or a History of the Italian
Reformers in the sixtennth-Century, London, Bell and Daldy, 1860 (cap. X, pp. 397-493); JOSEPH C. MCLELLAND, The Visible Words
of God. An Exposition of the Sacramental Theology of Peter Martyr Vermigli, A.D.1500-1562, Edinburgh-London 1957; PHILIP
MCNAIR, Pietro Martire Vermigli in Italia. Un’anatomia di un’apostasia, Napoli, Edizioni Centro Biblico, 1971 (ediz. orig. Oxford
1967): opera fondamentale per gli anni di formazione in Italia e per l’attività di Vermigli come membro autorevole della
Congregazione Lateranense; KLAUS STURM, Die theologie Peter Martyr Vermiglis während seines ersten Aufenthalts in Strassburg
1542-1547, Neukirchen-Vluyn, Neukirchener Verlag, 1971; MARWIN W. ANDERSON, Peter Martyr a reformer in exile (1542-1562).
A chronology of biblical writings in England and Europe, Nieuwkoop, B. De Graaf, 1975 (resta a tutt’oggi la ricerca più completa,
imprescindibile per chiunque voglia studiare Vermigli: alle pp. 469-486 registro cronologico delle lettere con indicata per ciascuna
lettera l’edizione o la sede di conservazione con segnatura, alle pp. 540-585 bibliografia completa degli studi preceduta dalle fonti
primarie e secondarie); LUIGI SANTINI, Per Martire Vermigli (1499-1562): l’eredità umanistica e italiana di un riformatore europeo,
in Tra spiritualismo e Riforma, a cura di DOMENICO MASELLI, Firenze, J. Uncini Pierucci, 1979, pp. 143-159; Peter Martyr Vermigli
and Italian Reform, a cura di JOSEPH C. MCLELLAND, Waterloo, 1980: pubblicazione con più saggi, tra i quali per la biografia si
segnala: PHILIP MCNAIR, Peter Martyr in England, pp. 85-105; MARIANO DI GANGI, Peter Martyr Vermigli 1499-1562: Reanissance
man, Reformation master, Lanham-New York-Oxford, University press of America, 1993;; EMIDIO CAMPI, Petrus Martyr Vermigli
(1499-1562). Europäische Wirkunsfelder eines italienischen Reformators, in «Zwingliana», XXVII, 2000, pp. 29-46; GIULIO ORAZIO
BRAVI, “Non voler predicare il falso né ingannare il Populo”: Pier Martire Vermigli a Lucca, in Riformatori bresciani del ‘500.
Indagini, a cura di ROBERTO ANDREA LORENZI, Atti del convegno tenuto a Brescia: Il dissenso religioso nel Bresciano, 8 maggio
2004, San Zeno Naviglio (BS), Grafo, 2006, pp. 33-60; MICHAEL BAUMANN, Petrus Martyr Vermigli in Zürich (1556-1562),
Inaugural Dissertation zur Erlangung der Doktorwürde der Theologischen Fakultät der Univ. Zürich, 21 dicembre 2009, consultabile
in linea sul catalogo della Zentralbibliothek di Zurigo: testo basato su nuova e ricca documentazione d’archivio, fondamentale per la
conoscenza degli anni zurighesi di Vermigli.
4. Sulla teologia, oltre ai due citati lavori di MCLELLAND del 1957 e di ANDERSON del 1975, che intrecciano alla cronologia
della vita la riflessione sul pensiero teologico, da vedere: SALVATORE CORDA, Veritas Sacramenti. A Study in Vermigli’s Doctrine of
the Lord’s Supper, Zurigo, Theologischer Verlag, 1975; JOHN PATRICK DONNELLY, Calvinism and Scholasticism in Vermigli’s
Doctrine of Man and Grace, Leiden, E. J. Brill, 1976 (in Appendice, alle pp. 208-217, il catalogo dei libri appartenuti a Vermigli e
oggi conservati alla Biblioteca dell’Università di Ginevra); Peter Martyr Vermigli. Philosophical Works on the Relation of
Philosophy to Theology, a cura di Frank A. James III, Kirksviulle, Sixteenth Century Journal Publishers, 1996; FRANK A. JAMES III,
Peter Martyr Vermigli and Predestination. The Augustinian Inheritance of an Italian Reformer, Oxford-New York, Clarendon Press
and Oxford University, 1998; JASON ZUIDEMA, Peter Martyr Vermigli (1499-1562) and the outward instruments of divine grace,
Göttingen, Vandenhoeck &Ruprecht, 2008.
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5. Sul metodo esegetico: DANIEL SHUTE, Peter Martyr and the Rabbinic Bible in the Interpretation of Laentations, Ph.D.
diss., Mc Gill University, 1995; JIN YOUNG KIM, The exegetical method and message of Peter Martyr Vermigli’s commentary on
Judges. A Dissertation presented to the Faculty of The Southern Baptist Theological Seminary, December 2002, UMI, nr. 3067720,
2003; THOMAS KRÜGER, Peter Martyr Vermiglis Hermeneutik des Alten Testaments am Beispiel seines Kommentars über die
Königsbücher, in Peter Martyr Vermigli. Humanism, Republicanism, Reformation, a cura di EMIDIO CAMPI con la collaborazione di
FRANK A. JAMES III e PETER OPITZ, Ginevra, Librairie Droz, 2002, pp. 225-240; MAX ENGAMMORE, Humanism, Hebraism and
scriptural hermeneutics, in A Companion to Peter Martyr Vermigli, a cura di W. J. TORRANCE KIRBY, EMIDIO CAMPI, FRANK A.
JAMES III, Leiden, Brill, 2009, pp. 161-174.
6. Sul pensiero politico, che è l’aspetto del teologo fiorentino di cui maggiormente mi interesso: MARIO D’ADDIO, L’idea
del contratto sociale dai sofisti alla Riforma e il “De principatu” di Mario Salamonio, Milano, Giuffré, 1954, in particolare alle pp.
395-445: è il primo autore in assoluto ad aver visto l’importanza di alcune concezioni giuridico-politiche di Vermigli; MARWIN W.
ANDERSON, Royal Idolatry: Peter Martyr and the Reformed Tradition, «Archiv für Reformationsgeschichte», n. 69, 1978, pp. 178182; ROBERT M. KINGDON, The political thought of Peter Martyr Vermigli. Selected Texts and Commentary, Ginevra, Linrairie Droz,
1980; GIULIO ORAZIO BRAVI, Über die intellektuellen Wurzeln des Republikanismus von Peter Martyr Vermigli, in Peter Martyr
Vermigli. Humanism, Republicanism, Reformation, cit., pp. 119-141, consultabile nel testo italiano su questo sito col titolo: Fonti e
temi del repubblicanesimo del teologo riformato fiorentino Pier Martire Vermigli (1499-1562); JOHN PATRIK DONNELLY, Peter
Martyr Vermigli’s Political Ethics, in Peter Martyr Vermigli. Humanism, Republicanism, Reformation, cit., pp. 59-66; MICHAEL
BAUMANN, Petrus Martyr Vermigli: Doctor, Leher der heiligen Schrift und Zürcher, in Peter Martyr Vermigli. Humanism,
Republicanism, Reformation, a cura di EMIDIO CAMPI con la collaborazione di FRANK A. JAMES III e PETER OPITZ, Ginevra, Librairie
Droz, 2002, pp. 213-224; MATTIA TURATELLO, L’ideale repubblicano nel Vermigli e in Curione: un confronto, in Pietro Martire
Vermigli (1499-1562). Umanista, riformatore, pastore, a cura di ACHILLE OLIVIERI in collaborazione con PIETRO BOLOGNESI, Roma,
Herder Editrice e Libreria, 2003, pp. 195-209; TORRANCE KIRBY, Peter Martyr Vermigli and pope Boniface VIII: the Difference
betwen civil and ecclesiastical Power, in Peter Martyr Vermigli and the European Reformations: Semper reformanda, a cura di
FRANK A. JAMES III, Leiden, Brill, 2004, pp. 291-304; TORRANCE KIRBY, The Zurich Connection and Tudor Political Theology,
Leiden, Brill, 2007;
7. In occasione delle celebrazioni nel 1999 del Quinto centenario della nascita di Vermigli si sono tenuti tre importanti
convegni, che hanno: a) segnato una notevole ripresa degli studi, b) indagato varie tematiche concernenti la figura del teologo
fiorentino (biografia, esegesi biblica, teologia, pastorale, politica), c) prospettato inedite piste di ricerca con indicazione di nuove
fonti. Il primo convegno si è tenuto nei giorni 5-7 luglio a Kappel (Zurigo), organizzato dall’Università di Zurigo; il secondo nei
giorni 28-29 ottobre a Padova, organizzato dal Dipartimento di Storia della Facoltà di Lettere e Filosofia e dall’Istituto di Formazione
Evangelica e Documentazione di Padova; il terzo a St. Louis/Missouri, organizzato dalla Peter Martyr Vermigli Library nel quadro
della conferenza annuale della rivista «Sixteent Century Journal». Gli atti dei tre convegni sono stati pubblicati. Convegno di Kappel:
Peter Martyr Vermigli. Humanism, Republicanism, Reformation, a cura di EMIDIO CAMPI con la collaborazione di FRANK A. JAMES
III e PETER OPITZ, Ginevra, Librairie Droz, 2002; Convegno di Padova: Pietro Martire Vermigli (1499-1562). Umanista, riformatore,
pastore, a cura di ACHILLE OLIVIERI in collaborazione con PIETRO BOLOGNESI, Roma, Herder Editrice e Libreria, 2003; Convegno di
St.Louis: Peter Martyr Vermigli and the European Reformations: Semper reformanda, a cura di FRANK A. JAMES III, Leiden, Brill,
2004.
8. Nel 2007 un nuovo convegno si è tenuto alla McGill University, dedicato in particolare al metodo e ai contenuti
dell’esegesi biblica di Vermigli: The New Hermeneutics of Peter Martyr Vermigli (1499-1562). Egegesis and Theology, Mc Gill
University, Montréal Quebec, 8-10 agosto 2007: gli atti sono stati editi nel volume A Companion to Peter Martyr Vermigli, a cura di
W. J. TORRANCE KIRBY, EMIDIO CAMPI, FRANK A. JAMES III, Leiden, Brill, 2009.
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