LA COMUNICAZIONE SOCIALE NELLO SPORT: IL CASO DEL

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LA COMUNICAZIONE SOCIALE NELLO SPORT: IL CASO DEL
PARTE SECONDA
CAPITOLO 3. II Panathlon International
3.1. Dalle origini ai giorni nostri
Lo sport, alla fine degli anni Cinquanta, rappresenta un fenomeno molto
importante dal punto di vista dello sviluppo sociale e culturale; è un periodo in
cui si assiste all’inizio di una ripresa politica e civile, con la nascita di nuove
concezioni di vita e di nuovi valori. Lo sport, dunque, non può non risentire di
questa evoluzione ed in esso infatti si constata un processo di profonde
mutazioni ideologiche. Cade, come è ovvio, la concezione dello sport come
espressione di regime e inizia a maturare una cultura dello sport all’interno di
una diversa e più complessa visione (sotto il profilo intellettuale, morale, ma
anche fisiologico) della vita. Si intuisce il cambiamento che si sta verificando e,
dopo aver vissuto momenti confusi e difficili, si vuol contribuire a riportare
ordine, per dare allo sport la sua vera identità. Quella, cioè, di riscoprire la sua
funzione fondamentale di educazione e di formazione civile e culturale,
nell’ambito di quei valori antichi e preziosi che de Coubertin aveva riproposto al
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mondo intero con le Olimpiadi dell’era moderna; ma con l’avvertita coscienza
che il paesaggio sociale è profondamente mutato e che c’è bisogno non di un
nostalgico, quanto sterile, conservatorismo, ma di una visione duttile e
disincantata dei problemi, proprio per poter fare argine con nuovi strumenti e
nuove idee agli inevitabili assalti che l’impetuoso sviluppo economico finirà per
portare, con tutti gli evidenti rischi di inquinamento della qualità primaria e
ideale dell’attività sportiva.
In questa luce la nascita del Panathlon perde la sua natura – che pure ha, come
tutte le cose che nascono su questa terra – di casualità, di battesimo conviviale,
per diventare uno dei segnali quasi indispensabili (un qualcosa, cioè, che in
qualche modo doveva nascere) della vitalità dell’ideale sportivo, insieme, della
necessità della sua salvaguardia.
Non è quindi, per caso che proprio a Venezia, città a struttura d’uomo e regione
dove il senso dell’associazionismo ha una forte tradizione, forse più che in
molte altre parti dell’Italia, si pensi di costruire un’associazione di sportivi in
grado di proporsi quale principale interprete dei nuovi sentimenti e di una
rinnovata coscienza, per trasferire il tutto in un programma promozionale da
offrire alla società in genere, e non solo a quella degli sportivi.
Non estranei, anzi, per certi aspetti decisivi, alla maturazione di questa idea
sono gli impulsi che provengono dai paesi anglosassoni materializzatisi nei vari
club-service - Rotary e Lion in testa - che pongono le loro forze economiche e
culturali al servizio della società, o che, almeno, da tale finalità prendono la loro
ragione primaria di esistenza. La fortuna che i vari Rotary e Lion ottengono in
certi strati della società borghese (pare inutile nascondersi che la loro natura
non è certo di matrice popolare: l’associazionismo popolare ha dato e darà vita
ad altre e, senza dubbio, non meno importanti forme organizzative) dichiara
questo bisogno diffuso di associazionismo libero e rappresenta la reazione
naturale a venti e più anni di sentimenti repressi, di frustrazioni psicologiche, di
ideali banditi o mortificati, che il nuovo corso deve cercare di sanare, offrendo
nuova fiducia e nuove speranze e proponendo l’occasione di riempire i vuoti
creatisi nel dopoguerra, che non possono essere colmati unicamente da
organizzazioni di stampo politico.
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Il Panathlon nasce ispirandosi direttamente al tipo dell’associazionismo di
stampo anglosassone di cui si è detto, anche perché alcuni dei suoi fondatori
sono membri attivi di tali associazioni e ad esse, al loro tipo di organizzazione,
fanno esplicito riferimento nell’ideare e nel dare il primo avvio alla nuova
istituzione.
Fu nel periodo compreso fra l’aprile ed il giugno 1951 che un gruppo di
veneziani si riunì, a più riprese, nella sede del Comitato Olimpico Nazionale
Italiano
a
Venezia,
con
l’idea
di
costituire
un’associazione
ispirata
ideologicamente ai valori olimpici, che avesse lo scopo di richiamare
continuamente l’idea e la pratica sportiva alla purezza delle sue origini, pur negli
indispensabili sviluppi e nei mutamenti che la realtà storica e sociale
comportava.
Lo
sport,
quindi,
visto
essenzialmente
come
strumento
determinante per la formazione materiale, morale e spirituale dell’individuo e
come mezzo di fratellanza e di relazione fra i popoli. Saranno, infatti, questi
concetti di chiara ascendenza decoubertiniana che ispireranno la costituzione
del futuro Statuto dell’associazione.
Tutto inizia con la costituzione di un Comitato promotore ad opera di: Guido
Brandolini D’Adda, Domenico Chiesa, Aristide Coin, Aldo Colussi, Antenore
Marini, Costantino Masotti, Mario Viali (il primo vero ideatore e sostenitore di
questo progetto).
Dopo una serie di consultazioni, di riflessioni, di ripensamenti e di contatti, con
le persone che Viali voleva con sé, si era giunti alla fine del maggio 1951.
Il 30 maggio il gruppo promotore inviava una lettera a trenta sportivi veneziani
appartenenti ad altrettante discipline sportive invitandoli ad una riunione per
“Mercoledì 6 Giugno alle ore 21 e 30 precise, a S. Fantin della veste numero
2004 (sede del Comitato Olimpico Nazionale Italiano)“, di cui Viali era delegato
per informarli sulle caratteristiche e sugli scopi del costituendo club allegando la
bozza di statuto elaborata da Domenico Chiesa. La riunione si risolveva in un
imprevedibile fallimento poiché quella sera un violento nubifragio sconvolse
Venezia.
Solo “nove coraggiosi”, come li definì Viali, erano presenti e dopo “quattro
simpatiche chiacchiere”, la riunione veniva aggiornata a martedì 12 giugno
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1951 e la data rimarrà storica quale nascita del Panathlon (ventiquattro dei
trenta convocati parteciparono all’evento, quindi ventiquattro sono i fondatori di
quello che è oggi il Panathlon International. Ventiquattro ”padri” di un’idea che
sta percorrendo il mondo).
Il 12 giugno 1951, quindi, alle nove e mezzo di sera nella sede del Comitato
Olimpico Nazionale Italiano di Venezia il sogno di Viali si era avverato. Soltanto
che il neonato club ancora non sapeva che avrebbe ricevuto un nome
sontuoso, pieno di memorie classiche; per ora la sua denominazione (non
ufficiale) rifletteva la nascita conviviale: “Disnar sport”.(“Disnar” stava per
desinare, cenare, in veneziano)1. Il club terrà la sua prima riunione la sera del 6
luglio 1951, all’Hotel Luna, a San Marco, il locale scelto dallo stesso Viali per
offrire, sul modello rotariano, il primo tocco di distinzione e di prestigio. Furono
assegnate le cariche sociali e, naturalmente toccò a Viali la presidenza per
acclamazione. Tema in discussione della serata: ”Problemi sportivi della
provincia specie per quanto riguarda gli impianti”. È il primo argomento sportivo
trattato dal Panathlon.
Ma si era soltanto agli inizi. Una creatura per vivere deve crescere, svilupparsi.
È
il
momento
della
prima
espansione,
dell’incipiente
proselitismo.
L’intendimento di Viali era stato chiaro e perentorio: “un club subito a Venezia,
fra qualche giorno nel Veneto, o meglio nelle Tre Venezie, poi (prestissimo) in
tutta Italia e, successivamente, dopo un breve periodo di esperimento in Europa
e nel mondo”. Si doveva, quindi, fare presto per rispettare il suo obiettivo.
Ci si avvalse esclusivamente delle amicizie personali dei soci promotori e dei
fondatori per propagandare l’idea e promuovere le iniziative per la costituzione
dei club nelle altre città italiane.
1
I padri fondatori ben presto si accorsero della limitatezza di questo nome, con il quale si
coniugava in veneziano il concetto dello sport con quello del desinare. Tutti votarono compatti
contro quel “Disnar” che rischiava di circoscrivere l’iniziativa confinandola nel Veneto senza
possibilità di esportazione come, invece, era nei loro desideri. Il nome definitivo di “Panathlon”
(Pan: tutti; athlon: sport) venne coniato dal Conte Ludovico Foscari con una felice intuizione.
Egli si richiamò ai fasti di Olimpia e il termine greco “athlon” arrivò spontaneo ed ebbe
immediatamente il suono della nobiltà storica e il vantaggio dell’internazionalità. Al termine di
origine ellenica seguì, sempre per una felice intuizione dello stesso Foscari, il motto latino
“LUDIS IUNGIT” (lo sport unisce), che completò sinteticamente ma efficacemente il significato e
lo scopo del club. In sole tre parole il conte Foscari era riuscito ad esprimere il contenuto etico,
morale e culturale del club. Era sicuramente un’ottima premessa e un valido biglietto da visita
per una associazione che si accingeva ad entrare nel difficile e complesso mondo dello sport.
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In particolar modo Domenico Chiesa mise a profitto le relazioni che egli
intratteneva con i componenti il Consiglio della Federazione Italiana Giuoco
Calcio, di cui faceva parte, ed ottenere un grande successo con la costituzione
dei club di Brescia, Vicenza, Milano, Napoli, Firenze, Genova e Palermo.
L’idea si allargava a macchia d’olio. Il cammino era iniziato sotto i migliori
auspici. Dopo appena due anni erano stati costituiti sette club e con questi si
attuò la prima fase del programma di Viali: la costituzione del Panathlon Italiano
avvenuta a Milano il 21 novembre 1953. Domenico Chiesa racconterà poi che
la scelta di sette club per la costituzione del Panathlon Italiano non fu casuale,
ma voluta, considerando il sette il numero sacro il che poteva rappresentare un
motivo di buon auspicio.
Per la particolare opera di un altro personaggio di grande rilievo, Aldo Mairano,
il Panathlon diventerà internazionale il 14 maggio 1960, con una fastosa
cerimonia nell’aula foscoliana dell’Università di Pavia. Sono trascorsi appena
nove anni ed il programma di Viali è stato interamente realizzato.
3.1.1. La diffusione in Italia
L’anno 1953 assume l’aspetto di una vera e propria pietra miliare nella storia
dell’associazione. Erano trascorsi due anni dalla fondazione del club di Venezia
e a questo se ne erano aggiunti altri sei.
Sette club in tutto che potevano rappresentare un prezioso patrimonio iniziale
ma che erano sorti esclusivamente attraverso rapporti di amicizie personali e
che rischiavano pertanto di rimanere iniziative occasionali e provvisorie.
Occorreva una organizzazione in grado di curare l’aspetto importantissimo dei
collegamenti e dell’espansione, attraverso una propaganda non più affidata a
iniziative personali, ma basata su metodi razionali e con concreti supporti di
natura anche giuridica ed economica che permettessero di superare le
inevitabili difficoltà iniziali e una buona dose di scetticismo che poteva suscitare
nell’ambiente sportivo l’ingresso di una nuova organizzazione, che aveva un
nome greco e un motto latino, e che poteva quindi fare pensare a qualcosa di
velleitario e di pretenzioso, quasi di un’arrogante aristocrazia. Il che certamente
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non era. Si pensò quindi di riunire i sette club, che già operavano in forma del
tutto autonoma nell’ambito del loro territorio, in un’unica struttura che, oltre ai
compiti di propagandare l’idea panathletica, curasse l’organizzazione generale
dell’istituzione, elaborasse uno statuto e un regolamento che avessero valore
per tutti i club e provvedesse, attraverso canali ufficiali, a divulgare gli scopi
dell’associazione e quindi a costituire su base provinciale altri club.
Forti di questo convincimento, i sette club già operanti, che scherzosamente
saranno chiamati “i magnifici sette”, si riunirono a Milano e il 21 novembre del
’53 costituirono il Panathlon Italiano, alla cui presidenza venne chiamato Mario
Viali e alla vicepresidenza Ferdinando Pozzani, già presidente del club di
Milano. Fu questo il primo e determinante passo per la realizzazione per l’idea
di Viali. “Prestissimo in tutta Italia”, aveva detto nel suo primo documento
programmatico. Il Panathlon Italiano stava facendo uscire i propri club da una
modesta dimensione provinciale per rilanciarli su scala nazionale, attraverso la
nuova struttura che doveva offrirsi alla società italiana come una fra le più
interessanti e importanti organizzazioni di volontariato sportivo fino a quel
momento costituite. Gli effetti non tarderanno a farsi sentire. Il Consiglio
Direttivo dell’associazione, eletto in quella riunione del 21/11/53, cercando di
curare soprattutto l’aspetto della propaganda, stampò e divulgò un opuscolo
mensile illustrante l’attività dei club ed i programmi della futura attività.
Grazie a questa iniziativa, accomunata a un’opera capillare svolta dai membri
del Consiglio Direttivo che potevano agire non più esclusivamente a titolo
personale ma in nome di una organizzazione ufficialmente costituita, in due
anni di vita il Panathlon Italiano si arricchì di altri diciassette club. Mario Viali fu
particolarmente felice di questi primi successi ed espresse più volte la propria
soddisfazione nel constatare come la sua idea si stesse diffondendo con
relativa facilità. Il suo compiacimento per aver conquistato grandi e importanti
città trovò la sua massima espressione con la costituzione dei club di Palermo e
Catania, prime città siciliane che si allineavano ai principi panathletici. Viali si
recò subito in Sicilia, una terra a lui particolarmente cara, oltre che per una
visita ufficiale ai due club, per un personalissimo incontro con l’amico Edoardo
Sampognaro, uno dei principali artefici della costituzione del club catanese.
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Avevano aderito alla costituzione dei club nomi prestigiosi dello sport, della
cultura, dell’industria che avevano deciso di collaborare e di assumersi
responsabilità e iniziative probabilmente con diverse motivazioni e ideali
personali, con una diversa esperienza di vita e di impegni sociali, ma tutti
fortemente avvertiti dalla grande importanza che lo sport veniva assumendo,
della straordinaria incidenza che poteva esercitare nella realtà sociale ed
economica, e convinti pertanto della necessità di essere presenti con compiti sì
di promozione, ma anche di controllo e di salvaguardia. Quasi tutte personalità
di rango nazionale che hanno avuto perciò, una funzione essenziale nel
conferire al Panathlon un’immagine di elevato prestigio, così ponendolo a livello
degli altri più vecchi e autorevoli club-service, ed improntandone quindi, lo
sviluppo. Uno degli aspetti più importanti di questa prima espansione fu un
avvenimento al quale, forse, in quel momento, non fu prestata la dovuta
attenzione, la costituzione del club di Lugano, avvenuta il 14 febbraio 1954.
Attraverso contatti intercorsi con il club di Milano, fu facile entrare nella Svizzera
italiana e far sentire agli amici svizzeri il calore contenuto nel messaggio
panathletico, anche se le condizioni sociali, storiche ed economiche di quel
paese erano sostanzialmente diverse da quelle italiane. Ma il successo, seppur
insperato, fu completo; l’idea venne raccolta con entusiasmo ed il club venne
costituito. Era il primo passo che il Panathlon muoveva verso quella
internazionalizzazione cui Viali aveva pensato fin dall’ormai lontano 1951.
Lugano aveva dato al Panathlon il passaporto che gli avrebbe concesso la
possibilità di uscire dalle frontiere nazionali per farsi conoscere in Europa.
Adesso, occorrevano una valida ed efficiente struttura organizzativa e gli uomini
adatti in grado di approfittare di questa favorevole circostanza. Il club diventa
una vera e propria palestra di discussione, di scambio di opinioni e di
esperienze: un confronto attivo e spesso appassionato da cui scaturiscono
inchieste, raccolta di informazioni, denunce, progetti. Il Panathlon, attraverso
questa opera capillare dei club, si va affermando nella società con il volto di un
movimento di opinione al servizio dello sport, come club culturale e di
educazione sportiva a disposizione di tutti coloro che credono nello sport e nei
suoi valori. È sorta fra i club, come era prevedibile ed auspicabile che fosse,
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una sorta di emulazione a fare di più e a fare meglio. I club e gli uomini che li
rappresentano sono ormai pienamente coscienti di essere inseriti in una
organizzazione impegnata in un programma da sviluppare a medio-lungo
termine. Attraverso una fitta rete di rapporti con le istituzioni politiche,
amministrative e culturali, il Panathlon si pone quale punto di riferimento e di
sostegno per sviluppare a livello locale i progetti e qualsiasi altra iniziativa per
individuare le possibili e logiche soluzioni, e contestualmente si afferma e si
rafforza la sua presenza nel territorio. Decisiva in questo compito è stata l’opera
di Domenico Chiesa che, nell’allora incarico di Segretario Generale, profuse
nell’organizzazione
l’entusiasmo
e
la
passione
che
hanno
sempre
contraddistinto ogni sua attività. Chiesa offriva al Panathlon Italiano la sua
profonda professionalità, oltre all’esperienza maturata alla segreteria del
Rotary-club di Venezia. Aveva redatto uno statuto, approvato dall’assemblea
costitutiva, che dettava le norme di comportamento e tracciava un programma
da seguire e da sviluppare cui i club dovevano attenersi. Si trattò di un
documento di grande valore perché, a parte qualche modifica ed alcuni
aggiornamenti che si rese necessario apportare nel corso degli anni per le
mutate condizioni della società sportiva, rimarrà valido nella sua struttura di
base per lungo tempo. Nelle norme riguardanti i criteri procedurali ed
organizzativi, lo statuto prevedeva periodiche assemblee dei presidenti dei club
e convegni dei soci. Nelle prime si dovevano approvare i bilanci, modificare lo
statuto e rinnovare le cariche sociali, mentre i convegni dei soci dovevano
servire alla trattazione di temi di interesse comune, allo scambio di idee e di
opinioni utile per elaborare i nuovi programmi per verificare l’attività dei club e
per acquisire, da parte della struttura centrale, indicazioni, proposte ed
esperienze concrete, utili ad assicurare il processo di espansione, problema
questo molto sentito, al quale si doveva dedicare massimo sforzo.
Passata la presidenza nelle mani di Fernando Pozzani, il processo di
espansione si intensificava (nel corso del suo mandato dal 1955 al 1957
vennero costituiti 19 club) e nella seduta di consiglio del 12/6/1955, svoltasi a
Milano, il Panathlon decretò la fine dell’attributo di “Rotary degli sportivi”, che
qualcuno, inizialmente, aveva ritenuto potesse servirgli per meglio far
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comprendere le motivazioni della sua costituzione, delle sue finalità, della sua
organizzazione e dell’area in cui voleva operare: quella, cioè, dei club-service.
Fu il passo definitivo per l’affermazione della propria identità. Con questa
risoluzione il Panathlon Italiano si era posto sulla stessa linea dei grandi clubservice che operavano già con successo nel mondo, anche se per il Panathlon
il mondo era ancora lontano.
In quella stessa riunione di Consiglio, per la prima volta, fu ipotizzato un
rapporto con il Comitato Olimpico Nazionale Italiano, che potesse servire ad
intensificare l’espansione e a costituire una collaborazione per una presenza
del Panathlon alle Olimpiadi invernali, in programma a Cortina nel 1956.
La spinta organizzativa del presidente Pozzani, fondata su una visione
pragmatica della realtà, condusse a sensibilizzare il Consiglio Direttivo sulla
necessità di un confronto che non fosse più limitato a un consenso formato dai
soli Presidenti dei club, ma che fosse, invece, esteso a tutti i soci, in modo da
consentire a quella che era la forza vera del Panathlon di esprimersi, di fare
proposte operative e di collaborare così in forma diretta alla gestione
dell’associazione. Nacque così il Congresso, che si alternerà con l’Assemblea
formando insieme la struttura portante dell’associazione, da cui il Consiglio
Direttivo trarrà gli indirizzi per poi tradurli in provvedimenti ed azioni concrete.
Trentasette club, con quasi trecento soci, rappresentavano a quel momento un
potenziale ragguardevole che non poteva essere ignorato e sul quale il
Presidente Pozzani riteneva di fare affidamento, affinché la sua gestione
potesse proseguire su un binario di comuni intenti sostenuti da un generale
consenso.
Il primo congresso dei soci del Panathlon Italiano si svolse a Firenze dal 13 al
15 ottobre 1956; centotrentacinque soci, in rappresentanza di ventotto club,
discussero per tre intere giornate, in un clima di grande interesse e comunitari
intenti, su tre argomenti di attualità: dilettantismo e professionismo, impianti
sportivi e la loro funzione, norme di prevenzione sanitaria.
Il Panathlon aveva imboccato la strada giusta per realizzarsi ponendosi nei
giusti termini all’attenzione della comunità sportiva. I grandi temi trattati avevano
dimostrato l’attenzione che il Panathlon poneva alle vicende che interessavano
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il mondo dello sport e ai problemi che attorno a quel mondo stavano sorgendo.
Il Panathlon aveva anticipato i tempi affrontando temi che diverranno, nel corso
degli anni successivi, oggetto di forti contrasti e di spesso contraddittorie
soluzioni. Questa forza di prevedere in anticipo gli aspetti incerti ed oscuri delle
varie problematiche, dovuta all’esperienza dei dirigenti, rimarrà negli anni a
venire l’aspetto peculiare e più interessante dell’azione del Panathlon.
Il 17 febbraio 1957 il Consiglio Direttivo si riunì a Milano ed elesse alla
presidenza dell’associazione Aldo Mairano. La sua presidenza, che durerà per
oltre undici anni, segnerà il periodo di massimo sviluppo del Panathlon con la
costituzione di oltre 70 club; offrì, inoltre, l’ultimo tocco di operatività, di
managerialità e di pragmatismo, elementi questi che contribuirono in maniera
determinante
a
far
maturare
l’associazione
sia
qualitativamente
sia
quantitativamente, facendola uscire da una dimensione nazionale per
rilanciarla, come una grande organizzazione, in campo internazionale.
Già nella riunione del Consiglio Direttivo del 18 gennaio 1958 furono resi noti i
primi contatti con il Comitato Olimpico Internazionale, il cui presidente Mr. Avery
Brundage, aveva risposto ad una lettera di Mairano dichiarandosi entusiasta
dell’iniziativa e auspicando che quanto prima il Panathlon fosse esportato in altri
Paesi. I “colleghi” svizzeri, nel frattempo, entusiasti dell’idea e convinti della
funzione del Panathlon anche nella loro realtà, avevano costituito nel mese di
maggio il club di Losanna. Proprio i primi due club non italiani (Lugano e
Losanna) sostenevano lo spirito e la volontà di Mairano, ne stimolavano la
fantasia, per giungere quanto prima possibile a modificare la denominazione di
Panathlon Italiano in quella di Panathlon Internazionale.
Il 24 maggio 1959 si svolse a Pisa l’assemblea elettiva in cui Mairano fu
riconfermato per acclamazione alla presidenza del Panathlon Italiano. Il nuovo
Consiglio Direttivo, pur non trascurando la sua attività di routine al servizio
dell’ideale olimpico, orientò i propri impegni su due direttrici: 1) l’intensificazione
del programma di internazionalità; 2) l’elaborazione di un programma per una
presenza attiva del Panathlon Italiano alle Olimpiadi che si sarebbero svolte a
Roma nel 1960.
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Sul terreno dell’internazionalità, il Panathlon ottenne un primo significativo
successo: l’assegnazione da parte del Comitato Olimpico Internazionale della
“COPPA OLIMPICA”, con la motivazione di aver reso grandi servigi alla causa
dello sport e validamente contribuito alla propaganda dell’idea olimpica. Fu
questo un determinante riconoscimento, che contribuì sostanzialmente
all’apertura delle frontiere verso nuovi Paesi: era quello che Mairano aspettava
per concretizzare la sua idea.
3.1.2. Il Panathlon diventa International
Con il Consiglio Direttivo del 14 febbraio 1960, si riferì che tre grandi club erano
in fase di avanzata costituzione: Madrid, Barcellona e Parigi. Mairano fu certo,
allora, che il traguardo che si era prefisso era ormai a portata di mano. Le
condizioni per trasformare in internazionale il Panathlon Italiano c’erano tutte. E
Mairano partì senza guardarsi troppo intorno, senza ascoltare chi gli consigliava
calma
e
riflessione
in
un
momento
molto
importante
per
la
vita
dell’associazione. E la sua fu sicuramente una scelta e una decisione
coraggiosa e saggia, perché un eventuale ritardo avrebbe compromesso l’intero
programma.
In una fastosa cerimonia svoltasi nell’Aula foscoliana dell’Università di Pavia, il
14 maggio 1960, il Panathlon divenne International. Era la definitiva
consacrazione del programma originario di Mario Viali, concepito ormai nel
lontano 1951 e di cui Mairano si era fatto entusiasta e convinto assertore. Con
l’adesione al progetto del club di Parigi, il Panathlon era già divenuto una
convincente realtà, anche se i nuovi club istituiti all’estero non potevano
considerarsi ancora operativi.
La dimensione internazionale che aveva assunto il Panathlon dopo l’assemblea
di Pavia aveva modificato sostanzialmente i rapporti fino allora intercorsi con il
mondo dello sport. Infatti si erano verificate divergenze di vedute con il
Comitato Olimpico Nazionale Italiano, che aveva intravisto nell’azione del
Panathlon una funzione concorrenziale tendente a danneggiare la struttura
dello stesso Comitato Olimpico; quest’ultimo aveva male interpretato l’attività
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istituzionale del Panathlon che aveva dichiarato la propria volontà di assoluta
indipendenza e autonomia.
Questa nuova immagine di internazionalità consentiva al Panathlon di allargare
la propria sfera e di allungare lo sguardo oltre i confini italiani, per conoscere le
problematiche che pesavano sullo sport internazionale, compararle con quelle
italiane e proporre così programmi di intervento comuni. L’attenzione maggiore,
chiaramente, era rivolta alle Olimpiadi, massima espressione dello sport
mondiale. Bisognava seguire l’evoluzione tecnica e culturale dei Giochi Olimpici
attraverso uno studio sistematico dei rapporti fra i Giochi e la società, mettere in
parallelo lo sviluppo dei processi economici e sociali con quelli dello sport per
carpirne i meccanismi che li governavano e procedere in conseguenza. Il
Panathlon fu tra i primi a capire che le Olimpiadi avevano imboccato una strada
irta di pericoli. Dopo Roma, Tokyo e Città del Messico avevano evidenziato,
anche se in forma ancora latente, i problemi che sarebbero poi diventati
macroscopici,
quali
il
gigantismo
(troppe
discipline
ammesse
e
una
mastodontica organizzazione il cui costo aveva sconsigliato molte Nazioni a
candidarsi), la politicizzazione (che esploderà clamorosamente a Monaco ’72, a
Mosca ’80 e a Los Angeles ’84), la commercializzazione ed il conflitto
dilettantismo – professionismo. Il Panathlon percepisce i pericoli che dalla
nuova situazione possono scaturire e inizia una serie di consultazioni al fine di
valutare in profondità le cause di tali sconvolgimenti per trarne deduzioni ed
ipotesi da proporre agli organi competenti al fine di trovarne le soluzioni
adeguate. Questo particolare aspetto della sua attività, farà del Panathlon
International una delle organizzazioni al servizio dello sport accrescendone la
stima da parte del Comitato Olimpico Internazionale, sino ad essere
considerato un movimento di forte incisività nel quadro della promozione
olimpica.
La società sta cambiando velocemente e lo sport con essa. Mutano le
condizioni della vita e crescono, con il benessere, la necessità e le esigenze
della gente; e lo sport non rimane escluso da questo processo. Entrano a far
parte del linguaggio sportivo parole prima sconosciute quali sponsor e doping. Il
Panathlon, sempre attento a questi mutamenti, non perderà l’occasione di
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esercitare la sua peculiare funzione di osservatore, per entrare nel vivo dei
processi e per fare opinione laddove si rende necessario intervenire per un
chiarimento e una decisione. È il volto vero del Panathlon che viene offerto al
mondo sportivo e alle istituzioni ed è l’immagine di una associazione efficiente,
che giorno dopo giorno, conquisterà posizioni e consensi, creandosi spazi
notevoli ed importanti per lo svolgimento dei propri compiti istituzionali.
Gli anni che seguirono furono dedicati in gran parte alla revisione dello statuto e
alla ristrutturazione dell’organizzazione interna per rendere il tutto quanto più
possibile adeguato al nuovo aspetto internazionale che il Panathlon aveva
assunto a Pavia. Nel campo dei club, che nel 1961 erano già oltre settanta,
l’attività era intensa e proiettata in una dimensione nazionale e, in qualche caso,
internazionale (per esempio nella campagna anti-doping, già iniziata su scala
mondiale, il Panathlon tentò di inserirsi sensibilizzando al riguardo l’azione dei
club). Le difficoltà, purtroppo, non mancavano, specie per i club appartenenti ai
grossi centri urbani; la costituzione dei club si presentava, infatti, molto più
facile nei centri di provincia, dove le conoscenze e la cerchia delle amicizie più
ristretta favorivano quel contatto immediato che consentiva di aggregarsi con
relativa facilità. Le grandi città, fondamentalmente dispersive ed inclini a
ritrovarsi in gruppi limitati ed esclusivi, presentavano notevoli complicazioni che
potevano essere superate soltanto trovando la disponibilità dei personaggi di
grande notorietà e carismaticamente inseriti nel tessuto cittadino. Questo
particolare aspetto aveva ritardato l’affermazione dell’idea panathletica in alcuni
centri urbani ma aveva, di contro, offerto il vantaggio di aver potuto inserire nei
ranghi del Panathlon illustri protagonisti della cultura e dell’industria, che
potevano aprire al Panathlon le porte d’accesso ai vari settori della vita sociale.
A Mairano, nel 1968, succedette Saverio Giulini che, durante il suo mandato,
prestò attenzione in particolar modo all’organizzazione generale del Panathlon
e alla sua ristrutturazione organica ed amministrativa, sfruttando e mettendo in
pratica le sue esperienze professionali.
Si concluse, dunque, il ciclo Mairano: un periodo intenso, caratterizzato da una
feconda e qualificata attività, fatta di progetti portati a termine, di programmi
densi di contenuti, elaborati con lungimiranza, ma strettamente aderenti ai
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problemi reali e quotidiani ed in linea con i principi ispiratori dell’ideale
panathletico che Viali rappresentava ancora con la sua costante presenza
all’interno dell’associazione.
La grande capacità di Giulini fu quella di essere riuscito a riallacciare stretti
rapporti con i massimi organi sportivi e non. Significativa fu, infatti, la decisione
del Comitato Olimpico Nazionale Italiano di includere i Presidenti dei Panathlon
Club nei Comitati provinciali dei “Giochi della Gioventù”, a quel tempo
organizzati dallo stesso Comitato Olimpico, ed il Presidente Internazionale nel
Comitato Centrale. Fu un avvenimento che fece svanire le residue riserve che,
ancora in qualche modo, potevano sussistere nei confronti del Panathlon, che
entrava così, con pieno riconoscimento, nel giro sportivo più delicato, ma più
importante: quello giovanile. L’idea fissa di Giulini rimaneva però quella
dell’organizzazione, che cominciò a prendere forma nella seduta del Consiglio
Generale del 20 settembre 1969, quando si cominciò a parlare concretamente
di suddividere i club in Distretti. A Roma, nella seduta del 13 dicembre 1969, il
Consiglio Centrale approvò la ripartizione territoriale del Panathlon International
in sei Distretti, così ripartiti:

1° Distretto: Emilia Romagna, S. Marino, Tre Venezie;

2° Distretto: Lombardia, Piemonte e Valle d’Aosta;

3° Distretto: Liguria, Toscana, Marche, Umbria;

4° Distretto: Lazio, Abruzzo e Molise, Sardegna, Campania;

5° Distretto: Puglia, Lucania, Calabria, Sicilia, Malta;

6° Distretto: Svizzera, Austria, Lussemburgo.
Un Distretto Presidenziale si sarebbe interessato dei club non compresi nelle
nazioni e nelle regioni sopra indicate.
Il Panathlon aveva assunto una nuova e più moderna struttura. L’innato senso
organizzativo
di
Giulini
aveva
prevalso
sulle
immancabili
perplessità
manifestatesi anche in questa occasione. L’organizzazione a struttura
verticistica che era stata costituita vedeva i Governatori (erano coloro i quali
presiedevano ad ogni Distretto) nella posizione intermedia tra il Consiglio
Centrale e i club e quale punto di riferimento per entrambi. Oltre cento club
costituiti rappresentavano già un lavoro gravoso per la Segreteria Generale
76
che, tramite i Governatori, avrebbe potuto delegare parte della sua attività, sia
amministrativa che organizzativa. Inoltre, i Governatori avrebbero assicurato al
Consiglio Centrale una visione più immediata e realistica della vita dei club, con
possibilità di interventi diretti laddove se ne fosse presentata la necessità.
Con questo nuovo assetto, che ricalcava quello degli altri club-service di origine
anglosassone, ai quali si era fatto ancora riferimento, il Panathlon si era
assicurato una ulteriore disponibilità di risorse che si rileveranno, nel corso degli
anni, indispensabili per lo sviluppo del movimento panathletico. I Governatori,
eletti dai presidenti dei club facenti parte delle aree distrettuali, assumevano,
inoltre, una funzione di coordinamento e di direzione dei club stessi e, nei loro
confronti, rappresentavano il potere del Consiglio Centrale, specialmente per
particolari interventi sui quali erano state emanate specifiche deleghe. Questo
complesso di attribuzioni affidava ai Governatori un notevole bagaglio di
responsabilità, che i primi eletti accettarono con entusiasmo e con la certezza di
rappresentare un primo esempio di decentramento amministrativo, degno di
una grande organizzazione che aveva tessuto una fitta rete di contatti. I
Governatori, quindi, si sentivano protagonisti di un sistema che li rendeva da un
lato partecipanti alla determinazione dei criteri di gestione e dall’altro
coordinatori dei soggetti preposti all’applicazione di quei criteri. Una duplice
funzione, quindi, che li poneva in una posizione estremamente importante nello
scacchiere strategico della politica panathletica, configurandoli come una
struttura a sostegno dell’intera organizzazione.
Il terzo Congresso dei soci, che si svolse a Sanremo dal 4 all’8 giugno 1969,
ebbe notevole risonanza in campo internazionale, perché fu impostato sul
problema del rapporto gioventù-sport. Due relazioni presentate, aventi per titolo
“L’avviamento allo sport della gioventù” e “Gioventù e sport”, diedero un ampio
spaccato della situazione giovanile italiana e non, con interessanti punti di
raffronto che furono ripresi e commentati con un’ampia rassegna stampa. Fu
questo il primo movimento concreto del Consiglio Centrale sul nuovo
programma impostato da Giulini orientato sul problema dei giovani. Un
programma che negli anni a venire non verrà più perduto di vista e che verrà
intensificato e arricchito di nuove ed ancora più interessanti iniziative.
77
La gestione Giulini volle inoltre esprimere con un’altra iniziativa l’aspetto
essenzialmente
organizzativo
che
l’aveva
sempre
contraddistinta:
la
costituzione delle Commissioni di lavoro, ognuna delle quali doveva occuparsi
di uno dei tanti programmi in corso di elaborazione: le riforme statutarie, la
propaganda, l’espansione, il notiziario, la rivista ufficiale, ecc. Questa nuova e
moderna organizzazione dei metodi di lavoro si dimostrerà come una delle più
indovinate forme di gestione per conseguire la massima efficienza e
l’acquisizione di importanti risultati.
Nella seduta del Consiglio Centrale del 28 ottobre 1972 un’altra pietra fu
aggiunta alle fondamenta sulle quali il Panathlon poggiava la propria struttura: il
prof. Sisto Favre, già eletto alla vicepresidenza nel giugno dello stesso anno,
incaricato di progettare una manifestazione in grado di suscitare un richiamo in
campo internazionale sull’esistenza e sulla funzione del Panathlon, organizzò a
Roma un convegno durante il quale sarebbero stati assegnati a tre personalità,
particolarmente distintesi nel campo dell’organizzazione e della cultura con
azioni ed opere in favore dell’ideale olimpico, gli “Heracles d’oro”. Il Consiglio
Centrale accettò la proposta e istituì il “Premio Panathlon International Fiaccola
d’oro”, da assegnarsi ogni quattro anni; il termine “Heracles” fu sostituito con
quello più accessibile di “Fiaccola” che sarà poi, a sua volta, modificato nel
francese “Flambeau”, per dare al premio stesso un significato più incisivo di
internazionalità. Fu istituita un’apposita commissione per l’elaborazione di un
regolamento,
per
l’approvazione
di
un
programma
comprendente
la
divulgazione a mezzo stampa dell’istituzione del premio, per l’organizzazione
della prima edizione e per la scelta dei premiandi. Tale commissione dopo
appena tre mesi rese il premio “Fiaccola d’oro” una realtà. Il 29 gennaio 1973, a
Roma, si svolse la prima edizione del “Premio Panathlon International”.
Nella riunione di consiglio del 4 dicembre 1976 a Firenze, Favre dette inizio al
suo mandato presidenziale con un’ampia esposizione in cui furono posti allo
studio due problemi particolari: la revisione e la ricomposizione delle
commissioni di lavoro e la ristrutturazione dei Distretti.
Con l’Assemblea di Viterbo nel 1977, si aprì l’era Cappabianca, il quale, nel
corso degli undici anni di presidenza, darà una svolta determinante al
78
Panathlon; nel rispetto ormai della consolidata tradizione panathletica, porterà
un alito fresco di modernità, che consentirà di rinnovare e consolidare i rapporti,
di istituirne di nuovi e di aprire su nuovi versanti, verso i quali il Panathlon fino a
quel momento si era rivolto con grande cautela. Era il caso dei rapporti con i
politici. Cappabianca sostenne che da parte del Panathlon un colloquio con i
politici e, quindi, con le istituzioni, era necessario ed indispensabile.
Le direttive di Cappabianca, protese al miglior funzionamento dell’ormai
complessa macchina organizzativa, si basavano essenzialmente su due linee
programmatiche: prosecuzione degli sforzi per una sempre maggiore
internazionalità; miglioramento dello standard dei club.
A queste direttrici se ne aggiunse una terza, e questa fu la prima importante e
rivoluzionaria novità: l’istituzione del “tema dell’anno”, un argomento deciso dal
Consiglio Centrale, che ciascun club tratterà in una specifica riunione le cui
conclusioni saranno raccolte dalla Segreteria Generale che, a sua volta, le
elaborerà per un congresso, la cui risoluzione finale verrà divulgata quale
precisa posizione del Panathlon sul tema proposto. Un’idea brillante,
strettamente
connessa
alle
finalità
del
Panathlon,
subito
approvata
all’unanimità, che si dimostrerà negli anni a venire determinante per il futuro
dell’associazione quale movimento culturale e di opinione. Tema concordato
per l’anno 1978: “Il futuro delle Olimpiadi”. In riferimento a questo l’assemblea
dei presidenti affermò l’importanza fondamentale dell’ideale olimpico come
componente della civiltà dell’uomo; ribadì il suo totale appoggio all’azione del
Comitato Olimpico internazionale per la difesa di tale ideale così come esso
viene definito nella Carta Olimpica, che ha il fine di mettere lo sport al servizio
della persona umana; espresse la sua piena fiducia nell’avvenire del movimento
olimpico e dei Giochi Olimpici; esortò il Comitato Olimpico Internazionale a
moltiplicare i propri sforzi in comunità d’intenti con i pubblici poteri e con quanti
sono responsabili dello sviluppo dello sport e della formazione educativa dei
giovani, per eliminare i pericoli sempre maggiori che i Giochi Olimpici si trovino
a fronteggiare, pericoli che particolarmente si identificano nel gigantismo,
nell’esasperato nazionalismo, nella deleteria tendenza a forzare i limiti della
personalità psicofisica dell’atleta; decise di associare sempre più direttamente il
79
Panathlon International a questi sforzi così come a quelli intrapresi per la
salvaguardia dell’ideale sportivo in generale e del fair play ,sforzi che
corrispondono esattamente all’ideale panathletico; impegnò, infine, a questo
fine tutti i Panathlon club ad orientare concretamente la loro azione perché
siano realizzati i suddetti obiettivi e ciò attraverso tutti i mezzi che essi
crederanno più opportuni nell’ambito del loro territorio.
I club intanto erano cresciuti in qualità e in quantità. Cappabianca non aveva
mai perduto di vista il problema dell’espansione che rappresentava sempre
l’aspetto determinante della vita e della sopravvivenza dell’associazione. I dati
ufficiali comunicavano, a quel momento, 161 club, anche se il numero doveva
essere ridotto di alcune unità a causa di club che non divennero mai
completamente operativi.
In quegli anni si addensavano sullo sport nubi minacciose. Segni evidenti e
particolari erano l’eccesso di politicizzazione e la crescente violenza. Il
Panathlon fu tra i primi a cogliere le avvisaglie del rischio cui lo sport andava
incontro. La politica andava sempre più accorgendosi dell’importanza dello
sport, del suo peso nel tessuto sociale e della sua incidenza su esso, quale
mezzo diretto e immediato di comunicazione con le masse. La violenza calava
sullo sport, e più specificamente sugli stadi di calcio, tanto da divenire un
problema serio e minaccioso, che minava al cuore l’essenza stessa dello sport
e non era più un fenomeno di cronaca occasionale. Il Panathlon promosse due
convegni, per capire al meglio, il fenomeno stesso, per determinarne le
motivazioni e, possibilmente, indicarne le soluzioni. Il primo fu sulla
politicizzazione; il secondo fu sulla violenza, che venne prescelto dal Consiglio
Centrale come tema dell’anno 1979. In merito a quest’ultimo si riconobbe che il
problema della violenza nel campo dello sport, nelle sue varie e disparate
forme, risultava più che mai grave e che necessitava da parte degli sportivi di
un contributo concreto e costante; si raccomandò alle autorità pubbliche un più
severo intervento a tutela dell’ordine pubblico nel settore delle manifestazioni
sportive, ai mass media un’opera di educazione e di rivalutazione dei valori
essenziali dell’atto sportivo, alle organizzazioni sportive iniziative atte a isolare
la violenza e a distrarvene gli spettatori. La Rivista del Panathlon sostenne la
80
campagna di promozione antiviolenza pubblicando tutte le relazioni e i dibattiti
che sull’argomento si svolgevano nei club. L’iniziativa venne promossa da
Giorgio Bazzali, che aveva assunto l’incarico di Direttore Responsabile nel
1980. Bazzali metteva così al servizio del Panathlon International la sua
professionalità di giornalista sportivo; sotto la sua guida e la sua spinta, la
rivista non si limiterà alla pura e semplice informazione, ma diverrà un mezzo di
opinione e di relazione informativo-culturale fra il Panathlon e le istituzioni
preposte alla programmazione della politica e della pratica sportiva. Il
programma era teso anche al miglioramento della qualità del prodotto, pur nei
limiti finanziari da sempre esistenti in un’associazione avente, quali unici introiti,
le quote sociali.
L’Assemblea Generale del gennaio 1980 si concluse con una tavola rotonda sul
“Fair play nello sport”, un argomento che si impose all’attenzione generale
come terzo dei grandi temi di interesse mondiale che il Panathlon, dopo il
“Futuro delle Olimpiadi” e la “Violenza nello sport”, aveva diffusamente dibattuto
e propagandato. La filosofia panathletica, di una lotta per uno sport più
confacente allo spirito di cittadinanza e rispetto delle istituzioni, infatti, portava
ad abbracciare automaticamente lo spirito del fair play come norma di
comportamento; pertanto, la maggior parte dei distretti si dotava di una
commissione speciale per il fair play, che aveva il compito di organizzare
iniziative quali conferenze sul tema esortanti la divulgazione del gesto del fair
play durante manifestazioni e competizioni sportive. Un argomento, questo del
fair play, sul quale il Panathlon ritornerà spesso con ampie monografie
pubblicate sulla sua rivista.
Il Consiglio Centrale, nella seduta del 4 ottobre ‘80 a Milano, rinnovò i membri
delle
Commissioni
nominando
Vittorio
Wyss
delegato
del
Panathlon
International presso le Associazioni Internazionali e deliberò quale tema
dell’anno 1981 “Sport e famiglia”, da riprendere e concludere nel Congresso
che si sarebbe svolto a Losanna. A Losanna per la prima volta il Panathlon
riuniva i suoi soci in una città non italiana e i lavori che i vari relatori fecero a
proposito del tema “Sport e famiglia” diedero i seguenti frutti: lo sport poteva
contribuire enormemente alla coesione e allo sviluppo familiare; le autorità locali
81
dovevano facilitare lo sviluppo dello sport quale elemento di svago; il ruolo dei
genitori era quello di avviare i figli verso la pratica dello sport concepito come
elemento di gioia, di fiducia in se stessi, di scoperta degli altri, d’equilibrio fisico
e psichico e sboccio della personalità; la scelta degli sport praticati doveva
conformarsi al bilancio familiare e non diventare mai una spesa insopportabile,
oggetto di rancore, di gelosia e anche di rottura nell’ambito familiare.
Cappabianca aveva impresso alla gestione del Panathlon un ritmo notevole;
aveva spronato i suoi collaboratori a non perdere di vista neppure i minimi
avvenimenti, perché anche questi potevano offrire materia di studio e di
discussione, per fare opinione e per intervenire in modo opportuno e
conveniente. L’attenzione doveva essere rivolta anche agli eventi di natura non
sportiva, sui quali il Panathlon doveva testimoniare la sua presenza per
dimostrare di essere parte integrante della società (fu il caso del terremoto
dell’Irpinia del 1980; il Panathlon, nello slancio di solidarietà dei suoi club,
raccolse una somma consistente di denaro che destinò, in borsa di studio, a
cinque studenti dell’ISEF di Potenza; esemplare fu anche la posizione che il
Panathlon assunse nei confronti del boicottaggio americano alle Olimpiadi di
Mosca. Il Panathlon fu apertamente favorevole alla partecipazione delle
rappresentative di tutti i Paesi. Fu un esempio di grande coerenza, apprezzato
dal Comitato Olimpico Internazionale, che dette la spinta finale per il
riconoscimento ufficiale del Panathlon International quale organizzazione
sportiva di interesse olimpico.
Come nuovo tema dell’anno, nel 1982, fu proposto “Lo sport nella vita della
città” e i club si misero nuovamente all’opera interessando all’argomento le
società sportive, gli enti di promozione e le istituzioni. A questo tema seguì “La
promozione umana attraverso lo sport”.
Nell’Assemblea di Montecatini Terme, che si svolse dal 25 al 27 maggio 1984,
fu trattato il tema “Il fenomeno sponsor nello sport”, da cui emersero i vantaggi
ma anche i pericoli incombenti nel connubio sport-industria. La mozione
conclusiva pose in luce avvertimenti validi tutt’oggi che il fenomeno ha assunto
proporzioni rilevanti. In corso d’opera infatti, si osservò che lo sport aveva
sempre avuto ed aveva necessità di supporti economici e che queste necessità
82
erano in costante aumento; che esisteva una sostanziale coincidenza di
interessi tra mondo sportivo e le nuove vie di comunicazione del mondo
economico, il quale individuava nello sport il mezzo di comunicazione di
maggior efficacia; che tale reciprocità di interessi, un tempo manifestatasi come
mecenatismo (cioè come maniera che apportava riconoscimenti sociali al suo
promotore) presentava sempre più la tendenza a trasformarsi in una
concezione globale interessata che prendeva il nome di sponsoring; che il
fenomeno predetto doveva servire lo sport e non servirsi di esso, osservando
che lo sponsor ideale era quello che capiva lo sport aiutandone l’affermazione e
la diffusione dei valori umani, morali e sociali.
Il tema dell’anno 1985 fu “Come promuovere l’educazione sportiva quale parte
importante della cultura giovanile”. Un tema di estremo interesse, che
dimostrava ulteriormente l’azione del Panathlon per lo svolgimento dei propri
programmi culturali, particolarmente orientati verso la gioventù e fu il primo e
decisivo passo, nella realtà italiana, per un contatto con la scuola.
La presidenza assunta da Cappabianca aveva dato un’ulteriore spinta
all’evoluzione del Panathlon grazie a nuovi e più razionali criteri di gestione sui
quali l’associazione era stata impostata, grazie ad una più ampia e qualificata
autonomia dei club e alla maggiore responsabilizzazione dei presidenti nella
partecipazione attiva alla vita del Panathlon. Una amalgama di maggiore
positività tra i club e vertici dirigenziali, nel comune intento di un Panathlon più
efficiente e di club più impegnati, più rappresentativi nelle loro aree e
maggiormente allineati in una politica di espansione culturale.
Nel maggio del 1987 si svolse la prima convention nell’America Latina, più
precisamente a San Paolo, dove il tema discusso fu “Lo sport nel 2000”. Tale
scelta fu il frutto di una riflessione approfondita che tenne conto delle ansie e
delle domande che il mondo intero si poneva in vista dell’approssimarsi
dell’inizio del terzo millennio. Si scelse di indagare, attraverso le varie opinioni
dei rappresentanti dei club, su come lo sport sarebbe potuto entrare nel nuovo
secolo; si parlò - tenuto conto del 2000 in qualità di anno olimpico - dell’apporto
fondamentale di un’educazione specifica che, dalle famiglie, passando
attraverso la scuola, gli enti e le istituzioni, avrebbe lasciato inalterato l’ideale
83
sportivo nei giovani; si parlò ancora una volta del sempre più pressante
problema del rapporto sport e sponsor, dell’annosa questione dilettantismoprofessionismo, risolvendola con la soluzione che la via del professionismo era
sì imprescindibile per uno sportivo, date le crescenti necessità economiche, ma
che il dovere di ogni atleta era quello di conservare lo spirito del dilettante
dentro di sé; infine si mise in luce il problema dilagante del doping, per il quale
fu invocato un intervento massiccio della medicina sportiva la quale non doveva
mettersi a servizio del risultato, ma doveva tutelare la salute dell'atleta affinché
la persona, nella sua integrità fisica e psichica, non cessasse mai di essere
soggetto autonomo e oggetto unico di ogni progetto. Lo sport al servizio
dell’uomo, quindi, e non viceversa.
Quando nel 1988, sotto la guida dell’avvocato Antonio Spallino, furono eletti un
nuovo Consiglio Centrale e un nuovo comitato di presidenza, alla prima riunione
per la presentazione dei nuovi membri ci si pose subito una questione: quali
erano gli obiettivi del Panathlon e che tipo di associazione era diventata. In
quella riunione si arrivò a una conclusione unanime, alla ferma presa di
posizione che il Panathlon era un’associazione di club di servizio e, ancor più
importante, il Panathlon era un ente d’azione.
Nonostante molti club, in Europa come in America, avessero già portato a
termine iniziative che si inquadravano nelle caratteristiche di quello che stava
emergendo come obiettivo principale, il Panathletismo si identificava per la
maggior parte ancora in un atteggiamento più contemplativo, o si concentrava
soltanto sulle riunioni. Dal centro partirono tutte le misure direttive per
enfatizzare il bisogno d’azione, l’importanza di iniziative che risultassero nella
trasformazione delle istituzioni e nel miglioramento della realtà che stava
attorno. L’esempio d’azione, che simboleggiava questo cambiamento di
atteggiamento, partì dallo stesso Panathlon International, allora sotto la guida di
Spallino: su sua iniziativa si ebbe la modifica degli statuti, avvenuta nel 1991.
I club, poco a poco, cominciavano a interiorizzare il principio che esortava a
interagire con la comunità, con le scuole, con le federazioni sportive e a
organizzare manifestazioni. Lo stesso Panathlon International diede l’esempio
avvicinandosi a enti di livello mondiale come il Comitato Internazionale per il
84
Fair Play, l’Organizzazione delle Nazioni Unite, l’Ente Internazionale del Diritto
Sportivo, nonché intensificando le relazioni con il Comitato Olimpico
Internazionale.
Lo sviluppo che ne derivò, come conseguenza di questa scelta d’azione quale
obiettivo prioritario, fu talmente accelerato che il Panathletismo fece il suo
ingresso negli anni della tecnologia e di Internet (come esempio si veda la
costituzione del sito informativo sull’associazione, disponibile in più lingue per
venire incontro all’interesse su scala internazionale assunto nel corso degli
anni) in qualità di realtà al passo coi tempi, libera da conservatorismi,
accompagnando le dinamiche quotidiane e dimostrando in ogni momento una
maggiore presenza vicino alla comunità e allo sport regionale e nazionale.
I Congressi tenutisi a partire dagli anni ’90 vanno inquadrati da un marcato
punto di vista dell’azione in quanto queste manifestazioni, rispetto a quelle
precedenti, miravano ad una rapida attuazione di quanto deliberato in
assemblea2.
Tale nuova linea di pensiero ebbe inizio con il Congresso di Avignone, svoltosi
nel 1995. In quell’occasione, il Panathletismo si sensibilizzò riguardo
all’importanza della questione dell’educazione fisica e della pratica sportiva per i
giovani, approvò la Carta dei Diritti del bambino nello Sport e cominciò a
collaborare in modo più stretto con le scuole; si intensificarono quindi
ulteriormente i rapporti fra il movimento e la scuola e i giovani e nell’ambito di
questo tema le iniziative più importanti si ebbero nei campi della ricerca (con
l’obiettivo di determinare le caratteristiche proprie della gioventù), dell’incentivo
allo sport e alla cultura fra gli studenti, della divulgazione del vincolo scuolasport attraverso gli organi panathletici.
Il Congresso di Vienna nel 1997 andò ad integrare il processo di avvicinamento
alle attività sportive svolte nelle scuole e si fece promotore di un’importante
ricerca che consentì, attraverso il metodo comparativo, di analizzare le
differenze di aspirazioni e comportamento del giovane sportivo nelle diverse
realtà socio-economiche in cui era presente il Panathletismo.
2
I congressi hanno la funzione inoltre di promuovere la conoscenza e l’amicizia tra i soci
portando all’esame e alla discussione questioni e tematiche culturali di particolare rilevanza ed
attualità. Sono indetti ogni due anni dal Consiglio Centrale che ne fissa località, data e tema.
85
Ancor più caratteristico del cambio di direzione dei congressi verso l’ambito
dell’azione fu quello di Palermo nel ‘99. Dopo l’analisi del fenomeno doping in
tutte le sue sfaccettature, la deliberazione finale attribuì ai club e persino ai
panathleti il dovere di agire contro questa frode, una scorrettezza e un attacco
verso la salute e la vita.
A Venezia nel 2001, per il cinquantenario dell’associazione, si tenne un
Congresso sul tema “Sport, Etica e Cultura”. Nella deliberazione finale, non ci si
accontentò di giungere a una constatazione ma si stabilì la rotta da seguire e la
posizione da prendere: la missione del Panathlon era quella di dare priorità ad
un obiettivo etico, impegnandosi cioè a lottare affinché la dignità continuasse ad
accompagnare lo sport . Ogni gara doveva essere uguale, giusta e corretta per
tutti i concorrenti.
L’ultimo Congresso del Panathlon si è riunito a Basilea nel luglio del 2003 ed ha
dibattuto il tema “Educazione attraverso lo sport e nello sport” (tema al quale
l’Unione Europea ha dedicato l’anno 2004). Nella delibera finale si sottolinea
come funzione dello sport quella di strumento al servizio dello sviluppo integrale
della persona e della pace dei popoli; viene espressa una grande
preoccupazione dinanzi al fenomeno della crescente divaricazione tra il
processo positivo di accettazione delle regole mondiali dello sport e il processo
negativo di una evoluzione di incontrollata globalizzazione mercantile (questo
secondo fenomeno ha provocato nelle società emergenti l’aggravamento degli
squilibri socio-economici creando vaste aree di povertà: di conseguenza si
esortano i club e i distretti a battersi per la riaffermazione del primato dell’etica
in tutte le azioni dell’uomo); si conferma la convinzione che l’istituzione
scolastica sia il centro essenziale di diffusione della cultura anche mediante
l’insegnamento dell’attività sportiva e, conseguentemente, viene evidenziato il
gravissimo problema costituito dalla tendenza alla riduzione progressiva del
numero delle ore destinate all’attività fisico-motoria e all’educazione sportiva
(per questa ragione viene raccomandato ai club di farsi interlocutori privilegiati
delle istituzioni scolastiche, ad ogni livello, per cooperare alla diffusione dei
valori etico-pedagogici dello sport nella formazione dell’individuo e della
società); si rileva lo squilibrio esistente tra gli indici di partecipazione della
86
donna alla pratica sportiva di ogni livello e gli indici di rappresentanza femminile
negli organi dirigenziali (in particolare, si impegnano i club a coltivare
assiduamente il processo in corso nel Panathlon International per l’incremento
della presenza femminile anche in ruoli dirigenziali); ed infine, viene riaffermata
l’importanza dello sport come strumento di sviluppo della personalità e delle
potenzialità individuali dei soggetti diversamente abili nonché come veicolo di
maggior presa di coscienza della realtà.
Per concludere si può ravvisare che i cinque decenni di vita del Panathlon
hanno visto un continuo movimento verso strade impensate per coloro che
diedero il via a questa iniziativa; con il passare del tempo, gli avvenimenti storici
facevano sì che venissero inclusi nuovi obiettivi, nuove missioni, senza che
quelli precedenti fossero mai messi da parte. I temi più recenti, l’etica e
l’educazione
allo
sport,
frutto
di
una
costante
attenzione
rivolta
all’aggiornamento, non rappresentano che due scalini di una scala che punta al
massimo impegno verso il mondo dei giovani e lo sport. La difesa di ogni
singolo obiettivo non viene effettuata con un atteggiamento conservativo ma
con una presa di posizione pubblica; il Panathlon non è solo amicizia, cultura,
azione e difesa dell’etica ma anche un movimento d’opinione che si indirizza
verso l’intera collettività, approntando un tipo di comunicazione che, per quanto
relazionato nelle pagine di questa tesi, può a pieno titolo definirsi sociale.
3.2. La struttura organizzativa
Il Panathlon International è l’associazione non governativa, senza fini di lucro,
aconfessionale, apartitica, senza distinzione di razza o sesso di tutti i Panathlon
Club. È un’associazione di sportivi convinti della rilevanza dello sport per la
promozione integrale della persona e della sua funzione sociale nella
costruzione della comunità di cittadini; le sue direttive fondanti sono: cultura,
etica, fair play. Riconosciuto giuridicamente dallo Stato Italiano e dal Comitato
Olimpico Internazionale, fa parte dell’Associazione Generale delle Federazioni
Internazionali Sportive (AGFIS) e del Comitato Internazionale del Fair Play
87
(CIFP); è inoltre in relazioni sistematiche con l’UNESCO e con l’Associazione
Nazionale Comitati Olimpici Europei (COE).
È un’associazione costituita al fine di affermare l’ideale sportivo ed i suoi valori
morali e culturali quale strumento di formazione ed elevazione della persona e
di solidarietà tra gli uomini ed i popoli. Attualmente il Panathlon International, la
cui sede centrale è in Italia a Rapallo (GE), è presente in oltre 30 nazioni
rappresentanti tre continenti.
Il Panathlon International è retto dal Presidente Internazionale, da un Consiglio
Centrale ed un Comitato di Presidenza assistiti dal Segretario Generale; i suoi
club sono riuniti in distretti (come in seguito si vedrà più in dettaglio) il cui
territorio può comprendere un’intera nazione o parte di essa. Continuando con
la parte organizzativa, a livello centrale e periferico possono essere costituite
delle Commissioni per studiare problemi connessi con gli obiettivi statutari e per
offrire
soluzioni
a
questi
propositi;
attualmente
operano
le
seguenti
Commissioni: Culturale; Fair Play; Comunicazione ed Immagine; Giovani;
Diversamente abili.
Il Panathlon riunisce tutti i club inseriti nello strato sportivo della regione, della
città. Grazie a questo, crea un legame tra gli uomini e le donne di ogni età,
attori e coordinatori della vita sportiva locale. Ogni club deve riunire, per
cooptazione, le forze vive degli sport praticati nella città. Il Panathlon è ricco
delle differenze che caratterizzano i paesi da cui provengono i suoi soci.
Internazionale per nome e per essenza, permette la mutua conoscenza, il
confronto delle culture, l’affermazione delle identità. Vuol essere attuale e
tradizionalista, dinamico nella promozione degli sport e dell’ideale sportivo, ma
anche rispettoso delle usanze, difensore dell’originalità dei popoli e delle loro
tradizioni gestuali, agonistiche e ludiche. Il Panathlon International desidera
coniugare la cultura con le culture. Secondo l’origine greca del suo patronimico,
il Panathlon riunisce l’insieme dei settori sportivi e delle attività fisiche. Tutti i
settori legati allo sport interessano i suoi soci, la sua azione, la sua riflessione, il
suo intervento.
88
Dinamizzatore ed attore nel campo dello sport, questa è la sua ragione
d’essere. Le missioni che si dà possono riassumersi nelle seguenti parole:
amicizia e convivialità, dialogo, cultura, servizio e solidarietà.
1) Amicizia e convivialità: proprio nell’amicizia tra i suoi soci, nata dalla
convivialità delle riunioni di club, il Panathlon attinge le forze necessarie per
portare a termine le sue ambizioni statutarie;
2) Dialogo: perché intende promuoverlo a tutti i livelli della società (tra gli sport
e gli sportivi di ogni club; tra le generazioni; tra i responsabili - dirigenti,
allenatori, giornalisti, medici, ecc. - ; con quelli che sono al di fuori dello sport
- pubblici poteri, tifosi, educatori, genitori, uomini di imprese -);
3) Cultura: in quanto ogni sport ha un suo modo diverso di comportarsi nello
spazio e nel tempo, di confrontarsi con gli altri e con se stesso. Perché lo
sport è estetica, ritmo, dinamica, armonia, gesti e colori, istanti fugaci,
creazioni spontanee, accordi perfetti all’origine di emozioni, di sensazioni, di
visioni. Gli sport sono anche rigore, solidarietà, sforzo, ordine e disciplina,
elementi educativi, filosofici, culturali e di saper vivere;
4) Servizio e solidarietà: servire gli altri e non farsi servire, in ogni
circostanza, in ogni occasione, in ogni tempo. Collaborare attivamente in
tutte le iniziative sociali.
Possono essere soci dei club persone maggiorenni che si siano dedicate o si
dedichino alle attività sportive siano esse agonistiche o amatoriali, dirigenziali,
promozionali o culturali. Al fine della costituzione di un club sono necessari un
minimo di dodici soci in rappresentanza di sette discipline. I club indicono
riunioni conviviali mensili, durante le quali vengono trattati argomenti in rapporto
agli obiettivi statutari (che si descriveranno successivamente). A queste riunioni
si affiancano iniziative operative sistematiche per realizzare studi od azioni di
propria scelta, conformemente agli indirizzi del Panathlon International. I club
sono anche tenuti ad organizzare riunioni pubbliche, aperte alla cittadinanza,
sui temi attinenti le finalità del movimento panathletico. Ogni socio ha l’obbligo
morale di partecipare alle riunioni e di cooperare attivamente ad ogni iniziativa
promossa dal club.
89
Più club (almeno otto) costituiscono un Distretto che generalmente corrisponde
al territorio di una nazione. Il Distretto è retto da un Governatore, che ha il
compito di stimolare e di coordinare le azioni dei club e di orientarne le azioni
secondo gli indirizzi del Consiglio Centrale. I Distretti costituiti nel territorio di
unico Stato compongono un Multidistretto; quelli costituiti in territori di più Stati
nel medesimo continente possono costituire uno o più Multidistretto.
Distretti e Multidistretto
I-IX
Italia / Repubblica di San Marino:
I
Veneto, Friuli, Trentino Alto Adige
II
Lombardia
III
Piemonte, Valle d’Aosta
IV
Liguria, Sardegna
V
Emilia Romagna, Marche, San Marino
VI
Toscana, Umbria
VII
Lazio, Molise, Abruzzo, Campania
VIII
Puglia, Basilicata, Calabria
IX
Sicilia
X
Svizzera, Liechtenstein
XI
Perù, Cile, Uruguay, Paraguay
XII
Brasile
XIII
Messico, Guatemala
XIV
Spagna, Portogallo
XV
Argentina
XVI
Austria, Germania
XVII
Francia, Belgio, Lussemburgo
Fuori Distretto: Aree Russa ed Asiatica.
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Gli obiettivi del Panathlon International, e, quindi, a cascata, dei singoli club
appartenenti, sono: favorire quanti operano nella vita sportiva; agire per la
diffusione dello sport ispirato all’etica, alla solidarietà ed al fair play; promuovere
studi e ricerche sui temi dello sport e dei suoi rapporti con la società;
collaborare con la scuola, le università e le altre istituzioni culturali; attuare
forme concrete di partecipazione nell’elaborazione di progetti e leggi per lo
sport; adoperarsi per garantire a tutti la possibilità di una sana educazione
sportiva; instaurare rapporti permanenti con le istituzioni pubbliche ed i
responsabili dello sport; appoggiare il Movimento Olimpico nelle azioni
concordanti con le proprie finalità; in quanto club di servizio, incentivare e
sostenere le attività a favore dei diversamente abili, per la prevenzione della
tossicodipendenza e per il recupero delle sue vittime, le iniziative di solidarietà
con i veterani sportivi, la promozione e la realizzazione dei programmi di
educazione alla non violenza e di dissuasione dal doping.
“Di tutte le attività, su tutti i continenti e che interessano i giovani o i meno
giovani, al di là di tutte le segregazioni, quali esse siano, di opinione, di età, di
status, di sesso, lo sport è probabilmente l’attività più praticata, quella che
unisce maggiormente, quella che smuove più in profondità le passioni umane.
La si trova alla confluenza dell’entusiasmo popolare, della gioia di scoprire il
proprio corpo, della fratellanza negli spogliatoi ma anche, purtroppo, delle
operazioni finanziarie e delle perversioni (droga, violenza, inganno, ecc.). Lo
sport brilla sotto la luce dei media, avvenimento tra gli avvenimenti, religione tra
le religioni, mito quanto realtà, sacralizzato, ma anche sacrificato. È realmente
una delle poste più contese e più ambite di questo tempo. Accanto alle passioni
esuberanti, alle lotte titaniche e agli interessi spesso sordidi che lo
caratterizzano, c’è posto per l’educazione del ragazzo e la passione
dell’educatore, per la solidarietà della squadra, per il ritorno alla vita del
disabile, per la spigliatezza ed il sorriso del vincitore, per lo sforzo e la tristezza
del vinto, per la fatica salvatrice, le sensazioni cocenti e la bellezza del gesto,
per la soddisfazione, infine, di sapersi corpo e spirito e di godere della vita. Così
come di attori, lo sport ha bisogno di esteti, di poeti, di appassionati, di difensori.
La sua integrità e la sua sopravvivenza ne dipendono. Non di meno quelle
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dell’uomo libero. Accanto ai suoi legittimi interessi, alla sua gerarchia
funzionale, alle sue dispute territoriali, lo sport deve avere la sua oasi di
serenità, i suoi momenti di riflessione, di divisione e di aiuto reciproco, di
amicizia e di gioia”3.
Il Panathlon International ha l’ambizione di raggiungere questa meta.
3
Per il riferimento della citazione, si confronti il sito ufficiale dell’associazione
(http://www.panathlon.net) nella parte concernente “La sua ragione di essere”.
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