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CRONACA PRATO LUNEDÌ 13 MAGGIO 2013 NEDO COPPINI 1932-2013 5 •• IL CORTEO DEGLI STUDENTI I RAGAZZI ABBANDONARONO I SOLITI SLOGAN PER INTONARE: «FACCI UNA FOTO, COPPINI FACCI UNA FOTO» Insieme a lui si aprivano tutte le porte Il ricordo del cronista con cui condivise i servizi di cronaca negli anni del bianco e nero di PIERO GHERARDESCHI ERANO gli anni in cui il telefono cellulare non esisteva e comunicare per correre poi su un servizio era già un’impresa. «Stasera vado al circolino...» mi diceva Nedo. «Prenditi il numero, son lì». Erano gli anni dove non c’era facebook e le foto delle povere vittime dovevi andare a cercartele a casa. Dai parenti. Succedeva spesso di essere cacciati anche in malo modo, ma quando c’era Nedo tutto diventava più semplice. Lui era un passepartout: apriva mille porte. Erano gli anni in cui il digitale non esisteva e le foto si stampavano nella camera oscura. Succedeva allora di partire a tarda sera per andare su un incidente in autostrada e fiondarsi poi a Firenze, al giornale, per mandare in pagina foto e pezzo. E quando s’entrava in tipografia, ormai anche gli impaginatori avevano imparato a conoscerlo: «C’è il Coppini da Prato, di sicuro è successo qualcosa di grave». Certo, poteva succedere anche che qualcuno non lo conoscesse. Come quella volta dopo l’attenta- to terroristico sulla linea ferroviaria Prato-Bologna, vicino a Vaiano. Gli uomini della Digos, giunti da mezza Italia, avevano individuato, per un paio di giorni di seguito, in un posto evidentemente sospetto, un «Maggiolone» color arancio. Pensando di essere sulle tracce di qualcuno di importante, chiesero l’aiuto della polizia di Prato. E per vederci più chiaro si diressero verso la vallata. IL MAGGIOLONE ARANCIO «La sua inconfondibile auto fu segnalata come «sospetta» E l’agente scoppò a ridere Ma lungo la Bolognese l’agente del commissariato che era alla guida della ‘volante’, dando uno sguardo dall’altra parte del Bisenzio, fermò di scatto la macchina e si mise a ridere. I colleghi lì per lì non capirono. Ma ben presto si scoprì l’arcano: «Ma dove andiamo? disse l’autista, quella è la macchina di Nedo...». ERANO anni in bianco e nero, proprio come le foto che si pubblicavano allora, ma di storie vissute insieme se ne potrebbero raccontare a decine.Tutte, però, con un’unica linea di lettura: Nedo era lì presente qualunque fosse la foto da fare. Si trattasse di una gara di rally, suo grande amore, o l’arrivo di un Gp Industria e Commercio di ciclismo, fosse una partita del Prato o una semplice cerimonia. E memorabile, interrompendo gli slogan della protesta, fu il coro, tutto per Nedo, che intonarono centinaia di studenti in corteo per le vie della città: «Facci una foto, Coppini facci una foto» E POI la cronaca nera: lì dava il meglio perchè Nedo era fotografo per amore, ma cronista per vocazione. L’iscrizione all’albo dei giornalisti pubblicisti non era stata una concessione da parte di chicchessia: quella tessera se l’era conquistata sul campo. Se andava solo lui su un servizio, non c’erano problemi: portava notizie e foto. Con precisione. Ma non solo per questo a Nedo si voleva bene. Nedo andava apprezzato anche le volte in cui rispondeva con un’incazzatura ad uno sguardo che giudicava una sua foto non all’altezza di essere pubbli- cata: era genuino, sincero, generoso, disponibile. Il giornale per lui non era un lavoro. Perchè se ti piace fare quello che fai non ci sono orari, non c’è notte o giorno che tenga, freddo o pioggia. Si va. Sempre. Perchè il cuore ti dice che così si deve fare. E quegli erano anche gli anni in cui gli articoli si confezionavano con la macchina da scrivere e la se- LA RICERCA IN ARCHIVIO Si districava fra le mille buste con le foto in redazione, poi annunciava gioioso: «La c’è» ra si spediva il «fuorisacco» con la Cap. Poteva succedere che all’ultimo momento, magari, ci si accorgesse che mancava una foto. L’ARCHIVIO era fatto di tante buste di carta con scritto sopra nomi e cognomi: quello era il regno incontrastato di Nedo. E se gli chiedevi una foto, lui correva in redazione, e magari dall’altra stanza, proprio come il «Gino-Monicelli del Ciclone, ti sentivi rispondere, sempre e inevitabilmente. «Ce l’ho». Anzi, in pratese: La c’è. LO SCATTO DELLA VITA Il rapinatore Alceo Bartalucci mentre si fa scudo con un ostaggio all’uscita dalla filiale di Casarsa della Cassa di Risparmio