Netter. Atlante di Anatomia Fisiopatologia e Clinica

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Netter. Atlante di Anatomia Fisiopatologia e Clinica
SEzionE 2
NEOFORMAzIONI
CuTANEE BENIGNE
Tavola 2.1
Apparato tegumentario
acrochordon
(Fibroma pEndulo)
Gli acrochordon, meglio conosciuti come fibromi penduli o polipi
fibroepiteliali, sono diffusi universalmente in tutta la popolazione
umana. È probabile che ogni adulto ne abbia almeno uno sulla cute.
I fibromi penduli non hanno rilevanza clinica, fatta eccezione per
deboli legami con alcune sindromi, e sono spesso ignorati.
Quadro clinico. I fibromi penduli si possono presentare nel­
l’età adulta senza predilezione di sesso o razza. Rappresentano
escrescenze cutanee benigne senza alcun potenziale maligno. Si
localizzano di frequente nelle regioni ascellare e inguinale, sul collo
e sulle palpebre, ma possono insorgere anche altrove. I fibromi
penduli sono rarissimi nel bambino, tanto che in caso di osser­
vazione in età infantile sarebbe opportuno eseguire una biopsia
per escludere un carcinoma basocellulare: la sindrome del nevo
basocellulare o sindrome di Gorlin-Goltz è stata infatti documentata
nel bambino e in questa patologia il basalioma può somigliare molto
al fibroma pendulo. Di conseguenza, qualora una biopsia condotta
sulla neoformazione cutanea nel bambino rivelasse la presenza di
un carcinoma basocellulare, si dovrà prendere in considerazione
questa sindrome.
La maggior parte dei fibromi penduli è di dimensioni ridotte, con
una lunghezza da 1 a 5 mm, di colore simile a quello della cute
sana o leggermente iperpigmentati; sono papule peduncolate che
si estroflettono dalla cute, soffici, non dolenti alla palpazione. Meno
frequenti sono i fibromi di dimensioni maggiori (da 1 a 1,5 cm), con
un peduncolo ispessito (fino a 5 mm) o meno mobile. Molti individui
hanno più di un fibroma pendulo, alcuni più di un migliaio.
Il fibroma pendulo può di rado essere doloroso e andare in necro­
si. Le cause più comuni sono il trauma o la torsione del peduncolo
con conseguente strangolamento dei vasi e necrosi da insufficien­
te vascolarizzazione. In questo caso si consiglia la rimozione; se
l’aspetto o l’anamnesi non sono tipici, il campione dovrebbe essere
sottoposto anche a valutazione istopatologica.
L’associazione tra fibromi penduli e altre patologie è stata motivo
di numerosi studi con risultati confusi e contrastanti. I pazienti con
fibromi penduli multipli potrebbero presentare un rischio maggiore
di sviluppare intolleranza al glucosio; alcuni studi hanno inoltre
suggerito un rischio più elevato di polipi colici, ma questa ipotesi è
ancora oggetto di dibattito.
Patogenesi. La patogenesi dei fibromi penduli sembra risiedere
in una crescita eccessiva di fibroblasti all’interno del derma. Possono
essere più comuni durante la gravidanza, e di sicuro nei pazienti so­
vrappeso: questo potrebbe indicare l’implicazione del fattore di cre­
scita insulino­simile (Insulin-Like Growth Factor-1) come possibile
elemento causale nella loro formazione. Il fattore scatenante non
è tuttavia ancora noto.
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Istologia. Il fibroma pendulo si presenta come un’escrescenza
della cute, con epidermide sovrastante e derma essenzialmente
normali, con un infiltrato infiammatorio minimo o addirittura assente.
Nel caso di trombosi o torsione, i fibromi mostrano necrosi dell’epi­
dermide, del derma e trombosi dei vasi sanguigni superficiali. Non
sono presenti note di atipia.
Trattamento. Non viene indicato alcun tipo di terapia per queste
neoformazioni così comuni. Durante l’analisi di routine della cute
i fibromi penduli spesso vengono trascurati. Nei rari casi in cui si
verifichi trombosi o strangolamento, i fibromi possono essere rimossi
facilmente, dopo iniezione di anestetico locale. Possono essere
asportati per motivi estetici previa disinfezione della cute con alcol
o clorexidina. L’applicazione di cloruro di alluminio dopo l’escissione
riduce il sanguinamento superficiale fino a interromperlo.
Lo screening degli individui affetti da fibromi penduli al fine di
rivelare alterazioni del metabolismo del glucosio o polipi colici è
controverso, ma dovrebbe essere condotto qualora altri esami o
l’anamnesi suggerissero la presenza di uno di questi disturbi.
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
Tavola 2.2
nEvo di bEckEr
(amartoma dEl muscolo
Neoformazioni cutanee benigne
liscio1)
Il nevo di Becker è una condizione benigna piuttosto frequente. Si
tratta di un nevo acquisito che compare di solito sulla spalla o sul
cingolo scapolare nello 0,5% della popolazione maschile in età
prepuberale, solitamente prima dei 10 anni di età e meno frequen­
temente nelle femmine. Il nevo di Becker viene classificato come
amartoma del muscolo liscio, non contiene melanociti e non è con­
siderato un nevo melanocitico. Deve il suo nome a Samuel Becker, il
dermatologo che per primo descrisse questa condizione.
Quadro clinico. Il nevo di Becker si manifesta inizialmente
con macule mal definite e leggermente iperpigmentate a livello
del cingolo scapolare. Successivamente nell’ambito dell’area iper­
pigmentata si sviluppa ipertricosi, e nell’arco di 1 anno la lesione
assume il suo aspetto caratteristico. Il nevo di Becker può insorgere
in qualunque regione del corpo umano, ma le localizzazioni di gran
lunga più comuni sono la spalla, il torace e il tronco; l’ipertricosi
è limitata all’area iperpigmentata. Il significato clinico di questa
patologia risiede nella diagnostica differenziale con i nevi congeniti
giganti e le chiazze caffellatte. Il nevo di Becker non implica aumento
del rischio di sviluppo di melanoma ed è associato di rado ad altre
patologie, la più comune delle quali, l’ipoplasia unilaterale della
mammella, è di modesta rilevanza clinica. Più di rado i pazienti
presentano un’ipoplasia delle ossa e dei tessuti molli sottostanti
a eziologia sconosciuta. Le due condizioni che entrano in diagnosi
differenziale con questa patologia, il nevo congenito gigante e la
chiazza caffellatte, si distinguono con facilità in quanto sono en­
trambe presenti alla nascita o insorgono poco più tardi, mentre i nevi
di Becker compaiono tipicamente attorno ai 10 anni di età.
La diagnosi si basa sull’esame clinico, ma può rendersi neces­
saria una biopsia cutanea nel caso in cui il nevo si presenti con una
localizzazione anatomica atipica. La tecnica migliore per ottenere il
tessuto da analizzare è la biopsia escissionale.
Istologia. Il campione bioptico mostra un amartoma del tessuto
muscolare liscio, con la presenza di fasci muscolari nel derma e
una percentuale maggiore di peli terminali rispetto a quelli del vello.
L’iperpigmentazione è il risultato di una maggiore formazione di
pigmento da parte dei melanociti dello strato basale, senza aumento
del loro numero (secondo la maggior parte degli autori, sul piano
istologico il nevo di Becker presenta un aspetto molto simile a quello
della lentigo; quindi con lieve aumento del numero dei melanociti
dello strato basale). Sono inoltre osservabili acantosi e ipercheratosi
di entità variabile.
Patogenesi. La patogenesi del nevo di Becker non è chiara;
si pensa che la causa risieda nella presenza di tessuto muscolare
liscio amartomatoso nel derma. È stato dimostrato come il tessuto
del nevo presenti un incremento del numero di recettori per gli
1
La presenza di fibre muscolari lisce non è costante; infatti, in letteratura non
vi è accordo nel considerare il nevo di Becker come un amartoma del muscolo
liscio (NdC).
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
androgeni e come l’aumento del livello di questi ormoni durante la
pubertà determini il quadro clinico. Il nevo di Becker rappresenta il
tipo più comune di amartoma del muscolo liscio cutaneo, anche se
questo tipo di amartoma è piuttosto raro nella cute.
Gli amartomi del muscolo liscio non­Becker possono presentarsi
in tutto il corpo, solitamente alla nascita o poco dopo come piccole
placche di color carne. Tutti gli amartomi di questo genere presen­
tano, prima o poi, lo pseudosegno di Darier: la lesione risponde
al leggero sfregamento con fascicolazioni dovute all’attività del
muscolo liscio, oppure con lo sviluppo di segni di orticaria non as­
sociabili al rilascio di istamina, bensì alla contrazione neuromediata
del tessuto muscolare liscio amartomatoso sottostante.
Trattamento. La terapia non è necessaria. L’escissione chirurgi­
ca può lasciare evidenti esiti cicatriziali, a meno che la lesione non
sia molto piccola. L’ipertricosi può essere trattata per motivi estetici
con una qualsiasi tra le molte terapie disponibili quali rimozione
laser, depilazione, elettrolisi, per quanto la maggior parte dei pazienti
preferisca non trattare l’area.
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Tavola 2.3
Apparato tegumentario
dErmatoFibroma
(Emangioma sclErosantE)
Il dermatofibroma è uno tra i più comuni tumori cutanei benigni;
si localizza solitamente agli arti, soprattutto inferiori. Si discute se
classificarlo tra le neoplasie oppure tra le reazioni infiammatorie.
Quadro clinico. I dermatofibromi sono caratteristica quasi
esclusiva dell’età adulta, con una leggera prevalenza tra le donne
e senza predilezione di razza; il loro diametro può variare tra i
2 mm e i 2 cm e la loro forma può essere tondeggiante o ovale.
Pur essendo spesso solitari, alcuni individui possono presentarne
un gran numero. I dermatofibromi si presentano come piccole
(4­5 mm) papule solide di colore da rosso a viola chiaro che si
infossano al centro se viene applicata una pressione laterale; pro­
prio il “segno della fossetta” viene utilizzato per differenziarli da
altri tumori. L’aspetto clinico può variare: sono osservabili papule o
placche cupoliformi, la superficie può essere ricoperta da squame
e occasionalmente è iperpigmentata; spesso quelli localizzati agli
arti inferiori in pazienti di sesso femminile, sono escoriati in seguito
alla depilazione. Pur essendo di solito asintomatici, possono causare
un leggero prurito.
Nel caso in cui i dermatofibromi fossero numerosi e interes­
sassero diverse aree del corpo, andrebbe presa in considerazione
l’associazione con uno stato di immunodeficienza, essendo stati
descritti casi di dermatofibromi eruttivi multipli in pazienti con lupus
eritematoso sistemico, virus HIV e altri stati immunosoppressivi. In
questi pazienti i dermatofibromi contengono una quota maggiore
di mastociti.
La diagnostica differenziale del dermatofibroma può essere
molto ampia. Se il segno della fossetta è negativo, la lesione viene
spesso sottoposta a biopsia allo scopo di differenziarla da altri
tumori cutanei quali il nevo melanocitico, il melanoma, il carcinoma
basocellulare, il dermatofibrosarcoma protuberans (DFSP), la prurigo
nodulare e altri tumori epidermici e dermici.
Istologia. I dermatofibromi sono costituiti da numerosi fibro­
blasti di forma fusata accompagnati da istiociti e miofibroblasti e,
nei casi denominati emangiomi sclerosanti, da numerosi globuli
rossi extravasati. La cute sovrastante si presenta acantosica con
allargamento e lieve iperpigmentazione delle creste interpapillari,
denominate talvolta “dirty feet” o “dirty finger”: questa caratteri­
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stica rende conto dell’eventuale iperpigmentazione della lesione.
I dermatofibromi reagiscono positivamente con il fattore XIIIa e
negativamente con CD34, al contrario di quanto avviene per il
DFSP; anche le reazioni immunoistochimiche rappresentano un
marker utile al fine di distinguere queste due lesioni, in quanto
solo il dermatofibroma reagisce con la stromelisina­3. Il DFSP
inoltre infiltra il tessuto adiposo sottostante, mentre il dermatofi­
broma può comprimerlo sino a dislocarlo, senza tuttavia mo­
strare un pattern infiltrativo. Esistono molte varianti istologiche
di dermatofibromi.
Patogenesi. Si ritiene che il fattore iniziale per la formazione
del dermatofibroma sia un trauma superficiale, quale ad esempio
una puntura di insetto, che causi proliferazione del tessuto fibroso.
L’esatta eziologia è tuttavia sconosciuta.
Trattamento. La maggior parte dei dermatofibromi non viene
trattata affatto. L’escissione ellittica completa, con un margine
minimo che misuri da 1 a 2 mm, è risolutiva, ma la cicatrice residua
può risultare più evidente della lesione iniziale. Non esiste alcun tipo
di evidenza a sostegno della rimozione di routine per prevenire la
degenerazione in DFSP.
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
Tavola 2.4
poroma
Neoformazioni cutanee benigne
Eccrino
Il poroma eccrino è il tumore cutaneo più frequente tra quelli che
originano dalle ghiandole sudoripare, una famiglia comprendente
anche il tumore dermico del dotto, l’idroadenoma e l’idroacantoma,
la cui controparte maligna è rappresentata dal raro porocarcinoma
eccrino. Esso si sviluppa dagli annessi cutanei e andrebbe definito
semplicemente con il termine generico poroma, in quanto non
sempre deriva da strutture eccrine. La cellula originaria è, in effetti,
probabilmente apocrina (la maggior parte degli autori classifica il po­
roma tra i tumori delle ghiandole sudoripare eccrine). Tuttavia, altre
possibilità includono la ghiandola sebacea e l’epitelio follicolare.
Quadro clinico. I poromi eccrini sono tumori cutanei poco
frequenti che affliggono nella stessa misura entrambi i sessi quasi
esclusivamente in età adulta. In genere sono piccoli, misurano da 5
a 20 mm e si sviluppano frequentemente sul palmo e sulla pianta.
Il 50­60% di questi tumori viene localizzato proprio in quest’area,
nonostante siano stati descritti in ogni sede cutanea. I sintomi la­
mentati più frequentemente sono dolore e sanguinamento. I poromi
eccrini hanno di solito un aspetto vascolare e si manifestano come
papule o noduli rossi o violacei; in genere si presentano singoli e
sanguinano con facilità se subiscono traumi. All’ispezione viene
spesso evidenziata una piccola depressione circostante il tumore,
più frequente quando la cute affetta è quella acrale, e questo spesso
conduce alla diagnosi differenziale che include tumori vascolari,
lesioni metastatiche (soprattutto da carcinoma a cellule renali),
granulomi piogenici e melanoma, considerata la capacità di alcuni
poromi di essere pigmentati. Di norma la diagnosi è istopatologica.
Istologia. I poromi eccrini mostrano gradi variabili di differen­
ziazione duttale, sono ben circoscritti e possiedono caratteristiche
specifiche. I cheratinociti, descritti come cuboidali, tendono a essere
piccoli con un aumento del volume del nucleo rispetto a quello del
citoplasma. Spesso è presente necrosi parziale. Le porzioni duttali
sono delimitate da uno strato eosinofilo o cuticola periluminale,
mentre le porzioni stromali hanno un’abbondante componente
vascolare che conferisce il colore rosso al tumore. La classificazione
istologica dei poromi eccrini si basa sulla loro localizzazione nella
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
cute. Ad esempio, l’idroacantoma, un membro di questa fami­
glia, si definisce come un poroma eccrino localizzato interamente
nell’epidermide.
Il porocarcinoma eccrino è un tumore molto raro, poco circo­
scritto e spesso osservato in concomitanza con un poroma eccrino,
la cui diagnosi istologica è facilitata dalla presenza di cellule con
nuclei giganti multipli e numerose mitosi. Il porocarcinoma eccrino
può somigliare a metastasi da adenocarcinoma, tanto da richiedere
analisi immunoistochimiche per accertare la diagnosi.
Trattamento. Pur essendo tumori benigni, i poromi eccrini lo­
calizzati sulla pianta o sul palmo debbono essere rimossi per motivi
funzionali. L’escissione chirurgica, con un margine conservativo
di 1­2 mm, è risolutiva e il tasso di reintervento è molto basso;
altre metodiche utilizzate con successo sono l’elettrodissezione
e il courettage. I porocarcinomi eccrini necessitano di escissione
chirurgica e di un attento follow­up clinico oltre che di chemioterapia
in caso di malattia metastatica. Il ruolo del linfonodo sentinella non
è stato ancora ben definito.
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Tavola 2.5
spiroadEnoma
Apparato tegumentario
Eccrino
Gli spiroadenomi eccrini sono rari tumori cutanei benigni. Pur essen­
do spesso solitari, possono presentarsi insieme ai cilindromi nella
sindrome di Brooke­Spiegler. Possono presentarsi ovunque sulla
cute, ma sono più frequenti su testa, collo e, in misura minore, sul
tronco anteriormente, mentre si trovano di rado sulle estremità. Gli
spiroadenomi tendono a comparire tra i 15 e i 40 anni di età, seb­
bene possano manifestarsi a ogni età. La degenerazione maligna
è estremamente rara, ma in questi casi la prognosi è infausta.
Quadro clinico. Lo spiroadenoma si manifesta di solito come
un nodulo o una papula dermica di diametro da 5 a 20 mm, me­
diamente di 10 mm. In genere sono ubicati in profondità nel derma
e possono essere molto dolenti al tatto, anche se leggero; vista la
loro lenta crescita, possono passare a lungo inosservati, tranne nei
casi in cui è presente il dolore. È proprio la sensazione dolorifica, ad
andamento intermittente, che il più delle volte rappresenta il motivo
del ricorso all’osservazione medica. L’epidermide sovrastante è nella
quasi totalità dei casi normale; il nodulo può assumere talvolta una
colorazione violacea o bluastra. Pur essendo nella maggioranza dei
casi solitari, gli spiroadenomi possono associarsi a cilindromi multipli
nella sindrome di Brooke­Spiegler.
La sindrome di Brooke­Spiegler, patologia cutanea autosomica
dominante causata da mutazione del gene CYLD, è caratterizzata
da cilindromi multipli, spiroadenomi e tricoepiteliomi che comin­
ciano a comparire attorno ai trent’anni e aumentano di numero e
di dimensioni con il passare del tempo. Il gene CYLD codifica per
una proteina oncosoppressore e rappresenta un fattore importante
nella regolazione negativa dell’attività del fattore nucleare NF­kB.
I fenotipi clinici variano a seconda del tipo di mutazione di questo
gene, localizzato sul braccio lungo del cromosoma 16.
Lo spiroadenoma eccrino viene considerato parte del gruppo di
tumori in grado di causare noduli dermici dolenti, comprendente
anche gli angiolipomi, i neuromi, i tumori glomici e i leiomiomi. Tutte
queste patologie entrano nella diagnostica differenziale dei noduli
dolenti; nel caso in cui il nodulo sia asintomatico deve essere presa
in considerazione anche la possibilità che si possa trattare di un
lipoma o di un altro tumore annessiale.
Il tipo esatto di cellula da cui deriva lo spiroadenoma non è
ancora stato identificato. Si pensava che questi tumori derivassero
da tessuto eccrino, ma recenti indagini proverebbero un’origine
dal tessuto apocrino.
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Istologia. Il reperto istologico di grandi nidi di cellule basofile
nel derma è tipico dello spiroadenoma eccrino. L’epidermide sopra­
stante è normale e non è in connessione con il tumore multilobulato
(da cui l’espressione inglese “blue ball in the dermis” [nodulo blu
nel derma]). Il tumore, ben circoscritto e circondato da una capsula
fibrosa, è costituito da due tipi cellulari: le grandi cellule chiare,
predominanti, e piccole cellule basofile con nucleo ipercromatico
disposte alla periferia della lesione.
Trattamento. L’escissione chirurgica è risolutiva, ma anche la
rimozione mediante ablazione con laser all’anidride carbonica si è
rivelata un metodo efficace.
Nel caso della sindrome di Brooke­Spiegler, a causa del numero
e delle dimensioni dei tumori, è necessario adottare un approccio
multidisciplinare.
L’exeresi chirurgica delle neoformazioni deve essere affidata al
chirurgo plastico.
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
Tavola 2.6
siringoma
Neoformazioni cutanee benigne
Eccrino
I siringomi eccrini sono neoformazioni cutanee benigne molto comu­
ni, prevalentemente localizzate sulle palpebre inferiori e sulla regione
zigomatica negli adulti. Non hanno alcuna rilevanza e vengono
sistematicamente ignorati nella pratica clinica.
Quadro clinico. I siringomi eccrini sono uno dei tumori cutanei
benigni più frequenti in assoluto. Si ritiene che siano più comuni
tra le donne; si manifestano di solito in età adulta come piccole
(2­4 mm) papule color carne sulla palpebra inferiore o sulla regione
zigomatica. Di solito multipli e simmetrici, possono presentare una
sfumatura gialla o marrone. Si possono osservare su ogni regione
del corpo, soprattutto su palpebre superiori, collo e torace.
Sono stati riportati casi di siringomi a livello della fronte con
aspetto di placche ampie, piane, di colorito variabile da color carne
a giallastro con alterazioni della superficie minime o assenti. Pos­
sono essere abbastanza grandi, fino a un diametro di 4 o 5 cm.
In genere sono asintomatici, ma occasionalmente capita che il
paziente accusi prurito intermittente o aumento dimensionale dopo
attività fisica intensa, probabilmente dovuto alla natura eccrina del
tumore: l’attività fisica, infatti, causa aumento della sudorazione
con incremento transitorio di volume. Esistono varianti specifiche
in pazienti affetti da diabete mellito o da sindrome di Down. È stata
inoltre descritta una forma di siringoma eruttivo a carico della re­
gione anteriore del tronco e dell’asta del pene. Sono stati descritti
siringomi lineari a carico di un solo arto, definiti come siringomi
unilaterali lineari nevoidi.
La diagnosi differenziale è relativamente limitata nel caso di
riscontro di piccole papule simmetriche a carico della palpebra
inferiore, mentre nel caso di siringoma solitario deve comprendere
i tumori annessiali e i carcinomi basocellulari. La difficoltà maggiore
insorge durante l’analisi istologica di un campione bioptico non
abbastanza spesso: in questo caso il siringoma eccrino può essere
difficile da differenziare da un carcinoma annessiale microcistico,
in quanto le due lesioni, una benigna e l’altra maligna, presentano
caratteristiche a carico del derma superficiale molto simili. In alcuni
casi il patologo riesce a differenziare i due tumori solo con una
biopsia a tutto spessore.
Istologia. L’epidermide sovrastante è normale, il tumore è netta­
mente circoscritto e si situa nel derma superficiale. Gruppi di cellule
a citoplasma chiaro sono diffusi in tutto il tumore nel contesto di un
tessuto stromale sclerotico sempre presente. Un rilievo caratteristico
è il segno “del girino”: la presenza di dotti dell’apparato ghiandolare
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
eccrino dilatati a forma di virgola o di girino è patognomonica di
siringoma eccrino. Varianti a cellule chiare sono associate al diabete
mellito. Il carcinoma annessiale microcistico è poco circoscritto e
asimmetrico e infiltra lo strato sottocutaneo adiacente.
Patogenesi. Si ritiene che i siringomi eccrini rappresentino
un’iperplasia dell’apparato duttale sudoriparo eccrino. Secondo
i ricercatori questa proliferazione potrebbe essere causata dalla
risposta infiammatoria ad antigeni ancora indeterminati, per quan­
to l’esatta patogenesi non sia ancora chiara. I pattern familiari
suggeriscono una predisposizione genetica, ma molti pazienti non
possiedono una storia familiare che supporti l’ipotesi della tra­
smissione genetica.
Trattamento. La terapia non è necessaria, e in ogni caso va
somministrata con prudenza, poiché l’esperienza in tal senso è
solo aneddotica e le cicatrici risultanti possono essere peggiori del
siringoma stesso. Sono state riportate terapie con elettrocauteriz­
zazione, crioterapia, esfoliazione chimica, laser, dermoabrasione ed
escissione, tutte con risultati variabili.
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Tavola 2.7
EFElidi
E lEntiggini
Le efelidi rappresentano una condizione benigna di riscontro comu­
ne. Si manifestano di solito nel corso dell’età infantile in individui
dalla cute chiara, soprattutto se accompagnata da capelli di colore
rosso o biondo, e tendono a essere ereditate di generazione in
generazione secondo una modalità autosomica dominante.
Le lentiggini sono causate dalla proliferazione melanocitaria
indotta dal sole, sono comuni nelle persone anziane, ma possono
essere osservate in giovane età dopo esposizione al sole. Pos­
sono essere quasi impossibili da differenziare rispetto alle efelidi;
vengono denominate anche chiazze solari, chiazze di fegato e lentigo
senili.
Quadro clinico. Le efelidi si manifestano in età precoce e mo­
strano una modalità di trasmissione autosomica dominante. Sono
particolarmente accentuate sulle zone esposte quali testa, collo e
avambracci e diventano più scure ed evidenti dopo l’esposizione al
sole o ad altre fonti di luce ultravioletta; non si riscontrano tuttavia
sulla mucosa orale. La loro colorazione, solitamente uniforme, varia
dal marrone chiaro al marrone scuro, non è mai nera, mentre la
forma, così come le dimensioni, può variare notevolmente da tonda
a ovale fino ad assumere una configurazione bizzarra. Non hanno
potenziale maligno: i pazienti con molte efelidi possono essere
soggetti a maggiore rischio di tumore cutaneo semplicemente per­
ché la presenza di tali lesioni può indicare una maggiore esposizione
alle radiazioni ultraviolette. Le poche diagnosi differenziali includono
le lentiggini e i nevi melanocitari acquisiti. La diagnosi è facilitata
da localizzazione clinica, età di insorgenza, storia familiare e tipo
di cute. Può essere difficile differenziare un’efelide da una lentigo
solitaria in un paziente adulto.
Le lentiggini causate dall’esposizione alla luce solare insorgono
di solito in età adulta e tipicamente aumentano con il passare del
tempo; la distribuzione è simile per maschi e femmine. Sono più
frequenti negli individui dalla cute chiara. La causa più frequente è
l’esposizione solare cronica: le lentiggini sono infatti indotte dalle
radiazioni ultraviolette e possono scurirsi o schiarirsi se più o meno
esposte, sebbene, a differenza delle efelidi, non scompaiano mai
del tutto. Nello stesso individuo presentano notevole uniformità di
colore e forma; possono essere da piccole (1­5 mm) a molto grandi
(2­3 cm di diametro), si localizzano soprattutto sulle aree esposte,
tuttavia in alcune sindromi possono trovarsi in qualunque parte del
corpo, incluse le mucose. Nel tempo, alcune tendono a fondersi
dando luogo alla formazione di lesioni di maggiore dimensione.
Esistono alcune varianti importanti, tra cui le lentigo simplex e le
macule melanotiche reticolate o melanosi reticolata (ink spot lenti­
go), particolarmente comuni. Le lentigo simplex sembrano insorgere
a ogni età senza o con minima relazione con l’esposizione solare
e possono interessare qualunque regione del corpo. Le macule
melanotiche reticolate, che presentano un aspetto simile a gocce di
inchiostro, sono una variante di lentigo simplex caratterizzata dalla
colorazione che va dal marrone scuro fino quasi al nero. All’esame
20
Apparato tegumentario
dermatoscopico mostrano un caratteristico reticolo pigmentato
in maniera uniforme, con accentuazione della pigmentazione so­
prattutto a livello delle creste interpapillari. Nessuna di queste due
forme presenta potenziale maligno.
Una variante unica di lentiggini è quella iatrogena, causata
dal trattamento prolungato con psoraleni e raggi ultravioletti A
(PUVA), caratterizzata dalla presenza di macule intensamente
pigmentate diffuse in tutte le aree sottoposte alla terapia PUVA.
Oltre la metà dei pazienti sottoposti a questo tipo di trattamento
sviluppa lentiggini, più frequenti però nei pazienti di carnagione
chiara rispetto a quelli di carnagione scura. Le lentiggini indotte
dalla terapia PUVA sono permanenti, con gravi conseguenze
estetiche; inoltre i pazienti, come tutti quelli esposti a fototerapia
con raggi ultravioletti, devono sottoporsi a controlli periodici a
tempo indeterminato per l’aumento del rischio di sviluppare tumori
cutanei, tra cui il melanoma.
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
Tavola 2.8
EFElidi
Neoformazioni cutanee benigne
E lEntiggini
(Seguito)
I pazienti con sindrome di Peutz­Jeghers presentano lentiggini mul­
tiple della mucosa orale, delle labbra e delle mani e un rischio maggiore
di sviluppare carcinomi gastrointestinali, soprattutto cancro del colon.
Questa sindrome ha una modalità di trasmissione di tipo autosomico
dominante ed è causata da un difetto nel gene oncosoppressore
STK11/LKB1. La sindrome LEOPARD è un’altra sindrome genetica
associata a lentiggini. Lentiggini, anormalità elettrocardiografiche,
ipertelorismo oculare, stenosi dell’arteria polmonare, anormalità a
carico dei genitali, ritardo di crescita e sordità neurosensoriale (da
cui l’acronimo inglese: lentigines, electrocardiographic abnormalities,
ocular hypertelorism, pulmonary stenosis, abnormal genitalia, retarda­
tion of growth e deafness) costituiscono la sindrome, causata da una
mutazione nel gene PTPN11 che codifica per una tirosina fosfatasi.
Istologia. L’indagine istopatologica è utile per differenziare
lentiggini ed efelidi, viene però raramente utilizzata a questo scopo,
essendo di uso più comune per la diagnosi differenziale tra lentiggi­
ne e lentigo maligna o melanoma (melanoma in situ).
Le efelidi non mostrano cambiamenti a carico dell’epidermide
né un aumento nel numero dei melanociti. L’unico reperto è un
incremento della quantità di melanina, oltre che un aumento nel
trasferimento dei melanosomi dai melanociti ai cheratinociti. Le
lentiggini, d’altro canto, mostrano un aumento del numero di me­
lanociti lungo la giunzione dermo­epidermica, che non mostrano
tendenza a raggrupparsi in nidi come avviene nei nevi melanocitici.
L’iperpigmentazione, quindi, è evidente lungo lo strato basale: nelle
lentiggini causate dall’esposizione solare il derma presenta spesso
segni di danno attinico cronico quali elastosi solare e assottiglia­
mento del derma e, in alcuni casi, dell’epidermide.
La lentigo maligna è caratterizzata dalla presenza di numerosi
melanociti più grandi e di forme bizzarre, con pattern pagetoide e
asimmetria della lesione. Inoltre il melanoma mostra difetti nel gene
BRAF, a differenza di quanto avviene nelle lentigo simplex. Questo
dato si rivela utile nella diagnosi differenziale.
Patogenesi. Si ritiene che le efelidi abbiano un substrato ge­
netico e che vengano ereditate in maniera autosomica dominante.
Diventano più evidenti a seguito di esposizione solare, mentre
se questa viene interrotta tendono a schiarirsi; la pigmentazione
aumenta sia per la maggiore produzione di melanina sia per il
trasferimento di melanosomi dai melanociti ai cheratinociti, senza
che cambi il numero delle cellule melanocitarie. Il motivo di questo
comportamento non è ancora del tutto chiaro.
Le lentiggini si formano a seguito dell’aumentata proliferazione dei
melanociti nella cute. La causa è sconosciuta nel caso della lentigo
simplex, mentre nel caso delle lentiggini da sole è verosimilmente
rappresentata dall’esposizione ai raggi ultravioletti. L’effetto finale
dell’incremento nel numero dei melanociti è un aumento nella quan­
tità di melanina prodotta, con conseguente iperpigmentazione.
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
Nel caso di lentiggini associate a disordini genetici, la causa
risiede probabilmente nel difetto genetico stesso. Il meccanismo
con cui questo conduca all’aumento delle lentiggini in determinate
sindromi è ancora oggetto di studio e la sua comprensione condurrà
a comprendere la patogenesi di lentiggini e lentigo simplex.
Trattamento. L’unico approccio consigliato è la protezione dal­
l’esposizione solare, l’utilizzo di filtri solari e l’esame routinario della
cute come follow­up. Se richiesta per motivi estetici, la rimozione
delle lentiggini può essere eseguita con diverse tecniche. Una legge­
ra crioterapia è efficace e di facile esecuzione, ma può lasciare come
esito aree ipopigmentate e andrebbe pertanto eseguita con cautela
in individui con cute scura. Peeling chimici e tecniche dermoabrasive
sono stati spesso utilizzati; con la proliferazione di dispositivi medici
basati su laser si è assistito allo sviluppo di raggi a lunghezza d’onda
in grado di colpire selettivamente la melanina, che permettono lo
schiarimento e la rimozione delle lentiggini.
21
Tavola 2.9
cisti
EpidErmica da inclusionE
Le cisti epidermiche da inclusione, conosciute anche come cisti
epidermoidi o cisti follicolari infundibulari, rappresentano il tipo di
cisti cutanea benigna più comune. Il termine “cisti sebacea” viene
utilizzato in maniera impropria, in quanto queste lesioni non derivano
da epitelio di tipo sebaceo. La localizzazione è ubiquitaria, a eccezio­
ne del palmo e della pianta, del glande e del margine delle labbra.
Quadro clinico. La maggior parte delle cisti epidermiche da
inclusione è costituita da noduli sottocutanei di dimensioni variabili
da 5 mm a più di 5 cm. Non mostrano predilezione di razza ma sem­
brano presentarsi più di frequente negli individui di sesso maschile,
prevalentemente intorno ai trent’anni. I noduli presentano un punto
centrale da cui può verificarsi fuoriuscita di materiale biancastro,
caseoso, formato da accumulo di detriti cellulari e cheratina. Sono
di solito asintomatiche e si complicano di rado.
Le cisti di dimensioni maggiori possono andare incontro a in­
fiammazione che può causare, se abbastanza intensa, rottura della
parete. Nel momento in cui il contenuto della cisti si riversa nel der­
ma, la cheratina causa una reazione infiammatoria importante che
si manifesta clinicamente con edema, arrossamento e dolore; è a
questo punto che solitamente il paziente richiede consulto medico.
La diagnosi differenziale principale per una cisti epidermica da
inclusione complicata è il foruncolo. La cisti rotta non è quasi mai
infetta, per quanto un’infezione possa verificarsi in casi non trattati
per molto tempo. In caso di cisti intatte la diagnosi differenziale più
importante è la cisti pilare; la distinzione principale si basa sull’as­
senza in quest’ultima del punto centrale; inoltre è più comune sul
cuoio capelluto. Le cisti miliari invece sono piccole cisti epidermiche
da inclusione.
Istologia. La cisti epidermica da inclusione è una cisti vera
con rivestimento formato da epitelio squamoso stratificato, strato
granuloso associato e cavità centrale riempita da detriti cheratinici.
La cisti deriva dall’epitelio follicolare.
Patogenesi. La cisti deriva dall’infundibulo del follicolo pilifero
ed è causata dall’impianto diretto dell’epidermide nel derma sotto­
stante, da cui continua a crescere formando il rivestimento della
cisti. Ai fini eziologici molti ricercatori hanno studiato il ruolo della
luce ultravioletta e dell’infezione da papillomavirus umano, senza
tuttavia giungere a risultati soddisfacenti.
22
Apparato tegumentario
Trattamento. Le cisti piccole e asintomatiche non vanno trat­
tate; i pazienti tuttavia devono essere istruiti sull’importanza di non
manipolarle o spremerle al fine di evitare rottura traumatica della
parete cistica con conseguente reazione infiammatoria. Le piccole
cisti possono essere trattate con escissione chirurgica ellittica com­
pleta, avendo cura di rimuovere per intero la parete; in caso con­
trario la cisti può formarsi di nuovo. Le cisti infiammate andrebbero
trattate all’inizio con incisione e drenaggio: la regione viene sottoposta
ad anestesia e quindi incisa con una lama numero 11; il materiale
caseoso di drenaggio dall’odore pungente viene rimosso esercitando
una pressione laterale e la pulizia di eventuali cavità interne viene com­
pletata con una curetta. La cavità risultante può essere zaffata con garze
medicate o lasciata aperta; in ogni caso, dopo 2 o 3 settimane, il paziente
verrà sottoposto a rimozione definitiva della parete della cisti mediante
escissione. Il triamcinolone intralesionale è molto efficace nel controllo
dell’infiammazione e del dolore nelle cisti complicate. Cisti trascurate
andrebbero sottoposte a esami colturali per prescrivere al paziente la
terapia antibiotica più mirata possibile.
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
Tavola 2.10
nEvo
Neoformazioni cutanee benigne
EpidErmico
I nevi epidermici sono delle neoformazioni amartomatose benigne
dell’epidermide che si presentano di solito come piccole placche,
isolate o diffuse; in questo caso possono essere associate a manife­
stazioni sistemiche. Tendenzialmente seguono le linee embriologiche
di Blaschko, ben definite, che presentano uno schema a vortice.
Il motivo di tale distribuzione non è del tutto chiaro, ma la loro
manifestazione potrebbe dipendere da un’interruzione della normale
migrazione epiteliale durante l’embriogenesi.
Quadro clinico. Il nevo epidermico si manifesta di solito, in età
infantile, come una placca lineare solitaria senza predilezione di razza
o di sesso. Questa lesione, non di natura melanocitaria, è causata
da una proliferazione di cheratinociti; la superficie, liscia all’inizio,
diventa mammellonata o verrucosa nel corso del tempo. Il nevo
epidermico si localizza più di frequente nella regione della testa o del
collo, ma può trovarsi ovunque. Dopo la pubertà le lesioni tendono
a rimanere stabili, si presentano di color carne oppure leggermente
iperpigmentate; quando localizzate sul cuoio capelluto possono somi­
gliare a un nevo sebaceo e causare, seppure di rado, alopecia.
Il nevo epidermico di solito è piccolo e piuttosto lineare, ma può
presentarsi anche di grandi dimensioni, arrivando a comprendere
l’intera lunghezza di un arto o anche gran parte della superficie
corporea; in questi casi è più probabile che sia associato a patologie
sistemiche quali anomalie ossee, la più comune delle quali è l’accor­
ciamento unilaterale di un arto. La sindrome del nevo epidermico è
un disordine raro caratterizzato da nevo epidermico diffuso associato
a numerosi disordini sistemici.
I bambini affetti dalla sindrome del nevo epidermico mostrano
spesso deficit neurologici quali crisi epilettiche e ritardo della cre­
scita, vari tipi di anomalie ossee, cataratta e glaucoma, tanto che
il riscontro di un nevo epidermico diffuso in un bambino dovrebbe
indurre il medico a considerare tra le opzioni diagnostiche questa
sindrome, che richiede un approccio multidisciplinare.
Patogenesi. Il nevo epidermico è una proliferazione amartoma­
tosa di componenti epidermiche di causa sconosciuta, per quanto
sembri essere implicata un’anomalia di sviluppo dell’ectoderma.
La sindrome del nevo epidermico non mostra ereditarietà di alcun
tipo e viene pertanto ritenuta un’affezione sporadica. Il difetto
genico è sconosciuto e la sindrome è verosimilmente imputabile
a un fenomeno di mosaicismo. Il fattore di crescita dei fibroblasti
è stato studiato quale possibile fattore causale, ma non sono stati
raggiunti risultati definitivi. I melanociti non mostrano alcun tipo
di anomalia.
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
Istologia. Questa condizione presenta caratteristiche esclusi­
vamente epidermiche, con acantosi, ipercheratosi e papillomatosi
predominanti. Seppure sia visibile una pigmentazione di grado
variabile nei cheratinociti coinvolti, i melanociti sono in numero
normale e non presentano anomalie di sorta; lo strato granuloso è
ispessito. Sono state descritte molte varianti istologiche di questo
tipo di lesione.
Trattamento. I nevi epidermici piccoli e isolati possono essere
rimossi con tecniche chirurgiche superficiali (“shave”). Il tasso di
recidiva è alto, ma il periodo di latenza è lungo; altri vantaggi di
queste tecniche consistono nel fatto che sono facili, non invasive,
veloci e che offrono la possibilità di valutare la lesione da un punto
di vista istopatologico allo scopo di verificare la presenza di iper­
cheratosi epidermolitica. Il principale punto a loro sfavore consiste
nel fatto che si applicano alle sole lesioni di piccole dimensioni. La
crioterapia con azoto liquido è stata eseguita con successo, ma va
utilizzata con cautela perché in individui di cute scura può causare
un’antiestetica ipopigmentazione.
L’escissione chirurgica completa è risolutiva per i nevi piccoli, ma
può lasciare un esito cicatriziale più visibile di quanto non fosse la le­
sione stessa; tecniche laser, dermoabrasione e peeling chimici sono
utilizzati allo scopo di rendere più liscia la superficie del nevo.
23
Tavola 2.11
Apparato tegumentario
FibroFolliculoma
I fibrofolliculomi sono tumori benigni di non frequente osservazione
derivanti dall’epitelio del follicolo pilifero con una differenziazione
caratteristica dal mantello; se presenti in numero elevato, sono
probabilmente un segno della sindrome di Birt­Hogg­Dubé.
Quadro clinico. Questi tumori si presentano di solito come
neoformazioni singole della testa e del collo e hanno l’aspetto di
piccole (da 2 a 5 mm) papule di colore variabile da quello della
cute sana al giallo­marrone. Si manifestano più frequentemente
nella terza e quarta decade di vita e di solito sono completamente
asintomatici, anche se talvolta possono infiammarsi o sanguinare
spontaneamente. A volte è possibile distinguere un pelo sottile
emergere dal centro della lesione. La diagnosi differenziale include
il nevo composto, il carcinoma basocellulare, la papula fibrosa e altri
tipi di tumori annessiali; la diagnosi è istologica. I fibrofolliculomi so­
litari vengono di solito scoperti accidentalmente durante l’ispezione
cutanea, ma alcuni pazienti possono presentarsi all’osservazione
con una papula in crescita, spesso per il timore di un possibile
cancro cutaneo.
La sindrome di Birt­Hogg­Dubé, autosomica dominante e carat­
terizzata dalla presenza di fibrofolliculomi multipli, è causata da una
mutazione del gene per la follicolina (FLCN), un oncosoppressore
localizzato sul braccio corto del cromosoma 17. Altri segni cutanei
oltre ai fibrofolliculomi sono i tricodiscomi e i fibromi penduli. Questa
sindrome va diagnosticata tempestivamente al fine di sottoporre i
pazienti allo screening per tumori renali, sia benigni sia maligni,
tra i quali il tipo di più frequente riscontro è l’oncocitoma renale. È
possibile osservare anche la presenza del carcinoma renale a cellule
cromofobe, un tumore maligno con comportamento meno aggres­
sivo rispetto ad altre forme di carcinomi renali, molto raro nella
popolazione generale ma relativamente più frequente nei pazienti
affetti dalla sindrome di Birt­Hogg­Dubé. I pazienti presentano inoltre
un rischio più elevato di pneumotorace spontaneo. Alcuni autori
ritengono che il tricodiscoma e il fibrofolliculoma siano la stessa
patologia e che le differenze riscontrabili all’esame istologico siano
da imputare ad artefatti di campionamento e di processazione (ad
es. lo stesso tumore analizzato in diverse sezioni).
Patogenesi. I fibrofolliculomi sembrano derivare dalla porzione
superiore dell’epitelio follicolare e sono costituiti da processi amarto­
matosi che si sviluppano nel derma. Spesso sono presenti strutture
di tipo mantellare simili a quelle visibili nelle ghiandole sebacee;
alcuni autori ritengono che il manteloma (un tumore cutaneo beni­
gno estremamente raro) faccia parte dello stesso spettro tumorale
del fibrofolliculoma e del tricodiscoma.
Istologia. Il tumore circonda un fusto di un pelo terminale
ben formato, con la porzione superiore del follicolo leggermente
dilatata da cui si dipartono, nel derma circostante, sottili filiere di
24
cellule epiteliali, di aspetto basaloide, che si anastomizzano tra
loro secondo un pattern a canestro. I tricodiscomi non contengo­
no un fusto pilifero, sono tuttavia costituiti da una proliferazione
di stroma fibrovascolare simile a un angiofibroma attorno a un
follicolo pilifero. Si presuppone che questi due tumori, ritenuti
distinti, siano in realtà la stessa entità e che il diverso aspetto sia
dovuto al campionamento e alla processazione del materiale a
diverse sezioni.
Trattamento. I fibrofolliculomi solitari possono essere comple­
tamente rimossi con tecniche chirurgiche superficiali, tipo “shave”,
con risultati estetici eccellenti e basso tasso di recidiva. I tumori
multipli sono più difficili da rimuovere; sono state utilizzate varie
metodiche, quali la rimozione laser, la dermoabrasione e il peeling
chimico con risultati variabili. L’identificazione di fibrofolliculomi
o tricodiscomi multipli necessita di ulteriori indagini allo scopo di
escludere la sindrome di Birt­Hogg­Dubé.
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
Tavola 2.12
papula
Neoformazioni cutanee benigne
Fibrosa
Le papule fibrose sono una delle neoformazioni cutanee benigne
più frequenti in assoluto, tanto che l’esatta incidenza è scono­
sciuta e spesso vengono ignorate all’esame dermatologico. La
loro localizzazione più frequente è in corrispondenza del naso, ma
possono trovarsi ovunque, soprattutto sul viso.
Quadro clinico. Le papule fibrose di solito sono piccole, mi­
surano da 0,5 a 5 mm di diametro, hanno una morfologia ovale o
cupoliforme, una superficie liscia e un colore variabile da quello della
cute sana o leggermente iperpigmentato, o talvolta ipopigmentato.
Sono tumori benigni quasi del tutto asintomatici, fatta eccezione per
la sporadica sensazione di prurito, o il sanguinamento spontaneo o
successivo a un piccolo trauma. In genere unica, sono stati descritti
casi di papule fibrose multiple. L’età di insorgenza più comune è tra
la terza e la quinta decade; la localizzazione più frequente è il viso,
specialmente le regioni del naso e del mento.
Le papule fibrose vengono considerate angiofibromi. Gli an­
giofibromi multipli, in particolare, possono essere riscontrati nella
sindrome della sclerosi tuberosa, che va sempre tenuta in con­
siderazione nella diagnostica differenziale quando questo tipo di
sintomatologia è osservato in un paziente adolescente. Le papule
fibrose solitarie, al contrario, sono molto comuni e non richiedono
ulteriori indagini. Le papule perlacee peniene sono delle piccole
papule (1­2 mm) cupoliformi osservate sulla corona del glande,
non distinguibili dal punto di vista istologico dalle papule fibrose,
che vengono considerate a loro volta angiofibromi.
La diagnostica differenziale di una papula fibrosa può essere
complessa e necessita spesso di una biopsia di tipo “shave” per
dirimere il dubbio. Le patologie che possono somigliare a questo
tipo di lesione includono il nevo melanocitico acquisito e il carcinoma
basocellulare
Istologia. Una papula fibrosa è considerata un angiofibroma; ne
esistono numerose varianti istologiche. Le papule fibrose più fre­
quenti mostrano tipicamente una forma a cupola e una dimensione
non maggiore di 5 mm di diametro e sono caratterizzate da una pro­
liferazione di fibroblasti immersi in uno stroma formato da materiale
fibrotico collagenizzato. Sono spesso presenti vasi sanguigni dilatati
e un infiltrato infiammatorio scarso e diffuso. La correlazione clinico­
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
patologica permette la diagnosi. Sono state descritte molte varianti
istologiche, molto più rare, quali la variante pleomorfica, pigmentata,
a cellule granulose, ipercellulare, a cellule chiare.
Patogenesi. Le papule fibrose vengono ritenute una prolifera­
zione benigna, in uno stroma ricco di collagene, di vasi sanguigni e
fibroblasti che derivano verosimilmente da dendrociti dermici, come
mostrano le reazioni immunoistochimiche. La causa scatenante è
sconosciuta; gli angiofibromi multipli della sclerosi tuberosa sono
invece direttamente correlati a mutazione del gene oncosoppressore
TSC2, che codifica per la proteina tubulina. I pazienti affetti da
sclerosi tuberosa arrivano a presentare centinaia di angiofibromi
disposti simmetricamente su viso e naso, oltre che nella regione
periungueale.
Trattamento. Il trattamento non è necessario; una semplice
biopsia per shave è sufficiente per la rimozione con un risultato este­
tico eccellente. La maggior parte delle papule fibrose viene rimossa
perché erroneamente diagnosticata come carcinoma basocellulare
o perché sintomatica per prurito o sanguinamento.
25
Tavola 2.13
cisti
tEndinEa o ganglion
Le cisti tendinee sono cavità piene di fluido di solito localizzate
sulla faccia dorsale della mano, molto comuni nella popolazione. Si
ritiene che derivino dal rivestimento sinoviale dei tendini; si manife­
stano tipicamente come noduli sottocutanei morbidi ed elastici e
asintomatici.
Quadro clinico. Le cisti sono comuni tumefazioni benigne che
nella maggior parte dei casi sono localizzate sugli arti superiori
distalmente, perlopiù in corrispondenza della faccia dorsale della
mano o del polso. Sono in genere solitarie, ma alcuni pazienti ne
presentano un numero maggiore; a volte le cisti tendono ad ag­
glomerarsi. La loro dimensione non supera, di solito, il diametro di
1 cm, ma alcune possono diventare piuttosto grandi, fino a 2­3 cm
di diametro. L’epidermide sovrastante è normale, e la cisti si trova
nello spazio sottocutaneo al di sotto del tessuto adiposo. La cisti si
presenta liscia, cupoliforme e modicamente compressibile; si tratta
di un’estensione diretta della guaina sinoviale che avvolge il tendine
e vari sono i meccanismi che portano alla sua formazione; è piena
di fluido sinoviale, la cui funzione fisiologica è quella di provvedere
alla lubrificazione dello spazio tendineo per diminuire la frizione e
permettere al tendine di scivolare con facilità scorrendo avanti e indie­
tro all’interno del suo rivestimento sinoviale. Tali cisti possono insorgere
a qualunque età, ma sono più comuni nella popolazione più giovane
e spesso si manifestano nella terza o quarta decade; sono molto più
frequenti nelle donne che negli uomini.
Molte cisti sono asintomatiche, ma possono causare disagio
e dolore nel caso in cui crescano abbastanza da esercitare una
pressione sulle strutture sottostanti: nel caso, raro, di un nervo,
i sintomi risultanti possono consistere in deficit della sensibilità e
debolezza muscolare. La diagnosi differenziale, piuttosto limitata,
è essenzialmente clinica; la biopsia può essere necessaria per
escludere un tumore a cellule giganti della guaina tendinea, che
si presenta però di solito di consistenza più dura. Le cisti tendinee
non hanno potenziale degenerativo maligno. Nei casi più difficili è
possibile eseguire un esame ecografico, studio particolarmente utile
per riconoscere queste cisti ripiene di liquido.
Patogenesi. Le cisti tendinee sono probabilmente dovute a
un’erniazione della sottostante guaina tendinea, verosimilmente
causata da traumatismi. I pazienti con osteoartrite hanno un maggior
rischio di sviluppare le cisti, forse a causa del trauma meccanico
causato dallo sfregamento del rivestimento sinoviale contro l’osso
affetto da osteoartrosi.
26
Apparato tegumentario
Istologia. Le cisti ganglionari non sono cisti in senso stretto in
quanto non possiedono un rivestimento epiteliale ben formato che
circonda l’intera cavità della cisti. Al suo posto si trova del tessuto
connettivo fibroso lasso composto per la maggior parte da collagene.
Il rivestimento è spesso multilobulato e di solito non presenta con­
nessione con la capsula articolare o la guaina tendinea sottostanti.
Il contenuto della cisti è costituito da mucopolisaccaridi.
Trattamento. La terapia non è necessaria per cisti tendinee
piccole e asintomatiche. Se il paziente lo richiede, o se si presen­
tano sintomi come parestesie e debolezza muscolare, debbono
essere trattate.
Il trattamento di prima scelta è l’aspirazione del liquido conte­
nuto nella cisti con un ago, cui seguono l’iniezione intralesionale
di triamcinolone, che ha lo scopo di cicatrizzare il rivestimento
della cisti, e il bendaggio compressivo per impedire che la cisti si
espanda di nuovo.
I risultati sono eccellenti, ma in caso di fallimento della terapia
diventa necessaria l’escissione chirurgica, che va sempre eseguita
dopo un’attenta valutazione per via della vicinanza della lesione
a importanti strutture nervose e tendinee.
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
Tavola 2.14
Neoformazioni cutanee benigne
tumorE
glomico
o glomangioma
o tumorE glomico di
masson
I tumori glomici sono neoplasie benigne derivate dal corpo glomico,
un componente dell’unità termoregolatoria vascolare. Il loro riscontro
è più frequente nella prima età adulta e la localizzazione tipica è in
corrispondenza delle dita; i tumori glomici in genere sono unici e
vengono chiamati glomangiomi quando è presente malformazione
glomovenosa, che si manifesta di solito come difetto congenito
in neonati e bambini, con l’aspetto di tumori glomici multifocali o
coalescenti.
Quadro clinico. Il tumore glomico solitario viene spesso os­
servato sulle dita con localizzazione subungueale, senza differenze
significative nell’incidenza tra uomini e donne; può tuttavia trovarsi
in tutte le regioni della cute e addirittura in sedi extracutanee. Sono
tumori piccoli, ben circoscritti, che perlopiù causano ipersensibilità
o dolore e rientrano nella diagnostica differenziale dei noduli dermici
dolenti.
All’esame obiettivo è possibile osservare un nodulo di dimensioni
variabili da 1 a 2 cm, ben circoscritto, di colore da blu a viola,
sensibile alla palpazione; spesso presenta dolore intenso causato
da cambiamenti della temperatura ambientale.
I glomangiomi sono spesso congeniti e si manifestano come un
gruppo multifocale di noduli e papule blu­violacei che tendono alla
coalescenza e possono presentare modificazioni della superficie
che ricopre il tumore. La diagnosi può essere agevolata dal segno
di Hildreth, una manovra diagnostica che consiste nel posizionare
e gonfiare vicino alla lesione uno sfigmomanometro a pressione
maggiore di quella sistolica del paziente: il segno è positivo se il do­
lore diminuisce o scompare. I glomangiomi possono essere confusi
con gli emangiomi e con altre malformazioni vascolari; la diagnosi
differenziale include inoltre angiolipomi, neuromi, spiroadenomi
eccrini, leiomiomi e tumori vascolari.
Istologia. Il tumore si manifesta come un nodulo ben circoscritto
formato da un numero variabile di piccoli capillari e circondato da
caratteristiche e uniformi cellule glomiche; si tratta di elementi
cellulari tondeggianti con nucleo rotondeggiante e scarso citoplasma
eosinofilo. Lo stroma circostante è mixoide e il tumore è spesso
circondato da una capsula fibrosa.
Patogenesi. I tumori glomici derivano dal canale di Sucquet­
Hoyer, uno shunt arterovenoso tipico della vascolarizzazione termi­
nale della cute, particolarmente rappresentato tra i vasi sanguigni
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
delle dita, responsabile della termoregolazione in quanto capace di
causare la deviazione del sangue in risposta a cambiamenti neuro­
logici e di temperatura. Il fattore scatenante è ancora sconosciuto.
Riscontri aneddotici di tumori glomici insorti in seguito a un trauma
hanno indotto alcuni a ritenere il trauma stesso un fattore causale:
questa osservazione potrebbe spiegare la frequenza del tumore
alle dita, particolarmente esposte ai traumatismi; tuttavia proprio la
rarità di queste lesioni rende il trauma un fattore scatenante poco
probabile. Sono stati descritti glomangiomi ereditari trasmessi con
modalità autosomica dominante causati da delezione del gene
GLMN che codifica per la proteina glomulina, localizzato sul braccio
corto del cromosoma 1: la funzione precisa della proteina, così come
il meccanismo tramite il quale essa causa l’insorgenza della lesione
non sono stati ancora compresi.
Trattamento. I tumori glomici sono trattati efficacemente me­
diante escissione chirurgica completa. Spesso per le loro dimensioni
è necessario procedere all’exeresi chirurgica in più fasi o ricorrendo
all’uso di espansori tissutali. Sono stati descritti anche casi trattati
con successo mediante ablazione laser, elettrocauterizzazione e
scleroterapia.
27
Tavola 2.15
idroadEnoma
Apparato tegumentario
papilliFEro
L’idroadenoma papillifero è un raro tumore benigno dei genitali e
della regione perianale, più frequente a livello della vulva, per quanto
siano state descritte anche localizzazioni extragenitali; predilige il
sesso femminile e insorge frequentemente nella quarta e quinta
decade di vita. Si tratta in genere di tumori di piccole dimensioni,
con un diametro di pochi millimetri, anche se ne sono stati descritti
di più grandi. Non sono in alcun modo connessi con l’epidermide
sovrastante o la mucosa.
Quadro clinico. L’idroadenoma papillifero è un tumore beni­
gno estremamente raro localizzato nel derma che affligge quasi
esclusivamente donne di mezza età. Le lesioni si manifestano
perlopiù nelle regioni genitali come noduli asintomatici scoperti
casualmente. L’epidermide sovrastante, con cui la lesione non ha
connessione, non mostra cambiamenti e il tumore è ben circoscritto,
mobile e di consistenza aumentata. In rari casi può causare dolore o
prurito, sanguinare o ulcerarsi, ma di solito viene individuato durante
l’esame ginecologico di routine. La localizzazione più frequente sono
le grandi labbra. La diagnosi differenziale di un nodulo dermico
di consistenza aumentata nella regione genitale non è semplice,
pertanto è necessaria una biopsia seguita da esame istopatologico.
Dermatologi e ginecologi devono necessariamente conoscere que­
sto tumore e le sedi di più frequente localizzazione.
Patogenesi. Si ritiene che l’idroadenoma papillifero derivi dal
tessuto apocrino; viene pertanto considerato un tipo di adenoma
apocrino. Le ghiandole apocrine sono particolarmente numerose
a livello della regione anogenitale e questo spiega in parte la
particolare distribuzione cutanea di questo tumore, che è beni­
gno e correlato a un altro tumore annessiale, parimenti benigno, il
siringocistoadenoma papillifero.
Quest’ultimo è più frequente a livello di testa e collo e predilige il
cuoio capelluto. Sul piano istologico i due tumori sono quasi identici:
l’unica differenza sta nel fatto che il siringocistoadenoma papillifero
mostra una connessione con l’epidermide sovrastante. Clinicamente
il siringocistoadenoma papillifero si manifesta come una placca o
una papula ulcerata; entrambe le lesioni possono svilupparsi a
partire da un nevo sebaceo.
28
Istologia. L’idroadenoma papillifero è un tumore dermico ben
circoscritto. L’epitelio sovrastante non mostra quasi mai anomalie.
Il siringocistoadenoma, d’altro canto, è connesso all’epidermide.
Entrambi insorgono comunemente in corrispondenza di un nevo
sebaceo.
A un’ispezione più attenta l’idroadenoma papillifero risulta
composto da proiezioni papillari vascolari verso il centro del lobulo
tumorale che sono rivestite da cellule di origine apocrina di aspetto
colonnare. La secrezione apocrina (decapitazione cellulare) si nota
spesso in diverse sezioni tumorali. È inoltre presente uno strato di
cellule mioepiteliali. Lo stroma delle proiezioni papillari è composto
da numerosi spazi vascolari e da linfociti. Il siringocistoadenoma
papillifero ha caratteristiche quasi identiche; a differenza dell’idroa­
denoma papillifero, il suo infiltrato plasmacellulare è più denso
e presenta una connessione con l’epidermide sovrastante, che
generalmente si presenta sotto forma di invaginazione in corri­
spondenza del lobulo tumorale.
Trattamento. L’escissione completa è contemporaneamente
diagnostica e risolutiva ed è spesso preceduta da una biopsia con
lo scopo di chiarire la diagnosi.
Questi tumori sono benigni e poco frequenti. I casi di degenera­
zione maligna sono estremamente rari.
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
Tavola 2.16
Neoformazioni cutanee benigne
idrocistoma
Gli idrocistomi, conosciuti anche come idrocistomi eccrini, sono
comuni tumori benigni localizzati più di frequente in corrispondenza
del margine palpebrale; non presentano potenziale maligno e hanno
un aspetto caratteristico: si manifestano di solito come papule
solitarie e asintomatiche.
Quadro clinico. Gli idrocistomi eccrini si manifestano come
papule solitarie, traslucide, di colore da blu chiaro a viola pallido,
con superficie liscia, cupoliformi. La loro consistenza è morbida e
alla pressione danno l’impressione di potersi rompere con facilità.
La rottura della parete cistica con un ago di calibro 30 causa il
drenaggio di fluido acquoso. Questi tumori sono perlopiù asinto­
matici, possono insorgere a qualunque età, più comunemente nella
quarta decade, senza predilezione di razza o genere. Le lesioni
sono di solito piccole, con un diametro da 5 mm a 1 cm, e la loro
dimensione può variare: i pazienti possono riferire un ingrandimento
a seguito dell’esercizio fisico, che si risolve nell’arco di pochi giorni.
Se la parete della lesione viene lesa, si verifica il drenaggio di un
liquido acquoso, con deflazione della cavità cistica. Questi tumori
sono perlopiù solitari, ma sono stati riportati casi di pazienti affetti
da centinaia di lesioni; sono stati inoltre descritti idrocistomi eccrini
di grandi dimensioni in localizzazioni atipiche.
L’idrocistoma eccrino entra in diagnosi differenziale principal­
mente con il carcinoma basocellulare che, nel caso della variante
cistica, presenta un aspetto pressoché identico; sarà la storia del
paziente a facilitare la diagnosi. I carcinomi a cellule basocellulari
aumentano di dimensioni nel tempo e tendono a ulcerarsi con
conseguente sanguinamento. Gli idrocistomi, al contrario, non si
ulcerano e non sanguinano quasi mai e possono presentare solo un
incremento di diametro che non supera mai di molto la dimensione
di 1 cm e che, anzi, di solito è inferiore. Una biopsia con esame
istologico permetterà la diagnosi.
Patogenesi. Gli idrocistomi si sviluppano a partire dall’apparato
eccrino: si ritiene che una porzione del dotto eccrino nel derma si
occluda con conseguente accumulo prossimale di secrezioni eccrine
che aumenta fino alla comparsa sulla superficie cutanea di una
papula traslucida. Non sono state individuate anomalie genetiche
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
a carico del dotto interessato, pertanto la formazione cistica viene
verosimilmente causata da lesioni di origine traumatica della cute
e dei dotti eccrini sottostanti. Anche danni da raggi solari sono
stati indicati quali possibili cause, senza tuttavia che tale teoria sia
stata dimostrata.
Istologia. Nel derma è visibile uno spazio cistico solitario ben
circoscritto, il cui rivestimento è costituito da due strati di cellule
cuboidali con il citoplasma eosinofilo. La parete cistica non contiene
cellule mioepiteliali. La cisti si localizza vicino a strutture ghiandolari
eccrine e l’infiltrato infiammatorio circostante può essere minimo o
mancare del tutto. La cavità centrale contiene una piccola quantità
di materiale debolmente eosinofilo consistente in prodotti della
secrezione eccrina. Non esistono prove di derivazione o secrezione
sebacea o apocrina.
Trattamento. La maggior parte degli idrocistomi eccrini viene
sottoposta a biopsia per accertarsi che non si tratti di carcinomi
basocellulari. Queste lesioni non recidivano quasi mai in seguito
alla biopsia e, nel caso in cui questa evenienza si verifichi, non è
necessario alcun trattamento. L’escissione chirurgica rappresenta
un trattamento definitivo e curativo.
29
Tavola 2.17
Apparato tegumentario
chEloidE
E cicatricE ipErtroFica
I cheloidi sono neoformazioni cutanee benigne consistenti in tessuto
cicatriziale eccedente formatosi in seguito a trauma o a patologie
cutanee infiammatorie quale l’acne volgare. I cheloidi proliferano
in maniera incontrollata estendendosi oltre i bordi della cicatrice
sottostante prodotta dall’evento traumatico. Le cicatrici ipertrofiche,
al contrario, sono causate da formazione esuberante di tessuto
cicatriziale che non supera i confini originari della ferita.
Quadro clinico. Per cheloide si intende lo sviluppo eccessivo
di tessuto cicatriziale che si espande oltre i bordi originali della
ferita su una cute di aspetto precedentemente normale. Possono
comparire ovunque ma sono più comuni a livello del lobo dell’orec­
chio, del torace e degli arti superiori; la loro incidenza è simile
indipendentemente dall’età e dal sesso, ma gli individui di cute
scura tendono a esserne maggiormente affetti. Nella quasi totalità
dei casi la manifestazione segue un evento traumatico come un
taglio, il piercing dell’orecchio, un’ustione o un’escissione chirurgica,
ma anche in seguito a lesioni acneiche o a punture di insetto. I
cheloidi si presentano inizialmente come una piccola papula, rossa
e pruriginosa, che aumenta di dimensione fino a diventare una
placca o un nodulo; la loro superficie di solito è liscia e la consi­
stenza dura. Il prurito è un sintomo frequente e spesso precede la
fase di crescita. La diagnosi è clinica e anamnestica; i cheloidi in
fase iniziale vanno differenziati dalle cicatrici ipertrofiche. Nel caso
in cui un paziente presenti un nodulo o una placca di maggiore
consistenza con tendenza alla crescita senza storia precedente di
trauma, andrebbe eseguita una biopsia allo scopo di escludere un
dermatofibrosarcoma protuberans, che rispetto al cheloide presenta
delle caratteristiche istopatologiche peculiari.
Le cicatrici ipertrofiche insorgono dopo un trauma e rimangono
confinate entro l’area della ferita originaria, non crescendo sulla cute
normale adiacente, al contrario dei cheloidi. Possono essere di grandi
dimensioni, si presentano di colore da rosa a rosso e causano prurito;
la loro crescita controllata rende la gestione terapeutica più semplice
rispetto a quella dei cheloidi. La diagnosi è clinica e si basa sulla pre­
senza di trauma nell’anamnesi recente in pazienti con segni tipici.
Patogenesi. I cheloidi sembrano essere più comuni in individui
di cute scura nelle prime tre decadi di vita; l’eventuale patogenesi
genetica non è ancora stata chiarita. Le aree del corpo più soggette
alla formazione di cheloidi sono il torace e i lobi delle orecchie. Un
qualche profilo citochinico a livello cutaneo locale potrebbe essere
implicato nella loro formazione: studi biologici condotti su varie
citochine e sul TGF­b hanno dimostrato un aumento di queste
sostanze a livello delle lesioni. Il TGF­b determina il reclutamento
locoregionale di fibroblasti, che vengono indotti a produrre più
collagene; un suo blocco locale potrebbe pertanto essere tentato
a scopo terapeutico.
Istologia. I cheloidi mostrano una maggiore produzione di col­
lagene, disposto in modo disorganizzato. L’epidermide sovrastante
è assottigliata a causa dell’effetto massa esercitato dal cheloide,
con riduzione dello spessore dell’epitelio. Tra le fibre di collagene
sono presenti mucopolisaccaridi.
Le cicatrici ipertrofiche sono più piccole e non esofitiche, mentre
i fasci di collagene sono organizzati parallelamente all’epidermide. È
possibile verificare un aumento delle mastcellule sia nelle cicatrici
ipertrofiche sia nei cheloidi.
30
Trattamento. Le cicatrici ipertrofiche non necessitano di trat­
tamento poiché nella maggior parte dei casi tendono ad appiattirsi
e fondersi con la cute circostante. Questo processo può essere
agevolato con iniezioni intralesionali di triamcinolone, ma le quantità
di farmaco vanno ponderate con cura per evitare l’attivazione di un
processo atrofico. Anche l’automassaggio quotidiano si è dimostrato
efficace nel migliorare l’aspetto della cicatrice. Il laser a colorante
pulsato può essere utilizzato con successo per trattare l’eritema
sia delle cicatrici ipertrofiche sia dei cheloidi. I cheloidi sono più
difficili da trattare in quanto presentano un alto tasso di recidiva
dopo la rimozione chirurgica, a cui dovrebbe seguire una terapia
aggiuntiva quale l’iniezione intralesionale di triamcinolone effettuata
una volta al mese per un periodo di 4­6 mesi. Anche la radioterapia
postoperatoria si è dimostrata efficace nel ridurre il tasso di recidiva;
esistono inoltre segnalazioni aneddotiche, di significato dubbio, in
merito a trattamenti a base di imiquimod e crioterapia.
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
Tavola 2.18
Neoformazioni cutanee benigne
lEiomioma
I leiomiomi cutanei sono tumori benigni poco frequenti originati dal
muscolo piloerettore. Possono essere singoli o multipli; in entrambi
i casi è plausibile l’associazione con difetti genetici, soprattutto nel
caso della leiomiomatosi cutanea multipla, e risulta pertanto neces­
saria la ricerca di segni sistemici. Il leiomioma cutaneo può originare
anche dal muscolo liscio delle pareti dei vasi sanguigni e dalla tunica
Dartos, prendendo il nome rispettivamente di angioleiomioma e
leiomioma genitale solitario.
Quadro clinico. I leiomiomi si manifestano come papule o noduli
con una leggera iperpigmentazione dell’epidermide sovrastante, di
colore variabile dal rosa al marrone e diametro compreso tra 1 e
2 cm. Non mostrano preferenza di sesso o razza e possono trovarsi
ovunque, per quanto le aree maggiormente interessate siano il tora­
ce e la regione genitale. Sono tipicamente soffici e possono essere
dolenti; con il tempo possono diventare più dolorosi e sensibili;
inoltre il dolore viene esacerbato dal freddo. I leiomiomi mostrano
lo pseudosegno di Darier, indotto dallo sfregamento della lesione,
con conseguenti spasmi o fascicolazioni. Non compare tuttavia una
placca urticarioide come si verificherebbe nel segno di Darier vero
in affezioni come la mastocitosi cutanea. La trasformazione maligna
è estremamente rara.
I leiomiomi multipli si sviluppano più di frequente a livello del
tronco e delle estremità prossimali. Le dimensioni sono analoghe
a quelle della loro controparte solitaria, ma questi tumori possono
divenire così numerosi da apparire confluenti in grandi placche.
Nella maggior parte dei pazienti la patologia si manifesta tra la terza
e la quinta decade di vita. I leiomiomi multipli mostrano un’eredi­
tarietà ben documentata di tipo autosomico dominante: il difetto è
localizzato nel gene FH (chiamato anche MCUL1) che codifica per
la proteina del ciclo di Krebs fumarato idratasi, che svolge attività
oncosoppressiva. Sono stati descritti differenti tipi di mutazioni, da
quelle frameshift alla delezione dell’intero gene, il che dà ragione
dell’eterogeneità del fenotipo. L’aspetto più importante e perico­
loso di queste mutazioni è la possibilità che si sviluppi una forma
di carcinoma papillare renale altamente aggressiva e letale con
metastatizzazione precoce. Lo screening precoce del paziente e lo
screening genetico per i suoi familiari possono ridurre il rischio del
carcinoma renale metastatico. I pazienti dovrebbero essere sottopo­
sti inoltre a valutazioni periodiche della funzionalità renale.
Il termine sindrome di Reed viene utilizzato nei casi di donne con
leiomiomi sia cutanei sia uterini.
Patogenesi. Si ritiene che i leiomiomi solitari non associati a di­
fetto della proteina fumarato idratasi siano causati da proliferazione
anomala dei miociti per motivi ancora sconosciuti. Le mutazioni della
fumarato idratasi comportano la perdita della funzione oncosop­
pressiva; il ruolo di questa proteina nella formazione di leiomiomi
multipli non è ancora ben chiaro.
Istologia. Il tumore, localizzato nel derma, è composto da fasci
intrecciati di cellule fusate, monomorfe e organizzate in vortici. Le
mitosi dovrebbero essere assenti. Le cellule sono state descritte “a
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
forma di sigaro”, poiché mostrano una parte centrale rigonfia ed
estremità smussate. La cellula originaria è il miocita. La diagnosi, se
dubbia, può essere confermata dalle reazioni immunoistochimiche:
i leiomiomi sono positivi per i marker muscolari, quali l’actina del
muscolo liscio. L’epidermide sovrastante è di solito normale.
Trattamento. L’escissione chirurgica risulta risolutiva per le
forme di leiomioma singolo. Le leiomiomatosi multiple possono
essere trattate con alcuni farmaci per controllare al meglio l’iper­
sensibilità e il dolore. È stato descritto l’uso di bloccanti del
recettore adrenergico a1. Doxazosina e fenossibenzamina sono
risultate efficaci. Anche i calcio­antagonisti come la nifedipina sono
stati utilizzati con successo in alcuni casi. Anche il gabapentin e la
tossina botulinica si sono dimostrati di una qualche utilità. L’escis­
sione chirurgica è giustificata nei casi di dolore o refrattarietà alla
terapia medica. I pazienti con leiomiomi multipli andrebbero studiati
anche sotto il profilo genetico per evidenziare difetti della proteina
fumarato idratasi e avviati a screening appropriato per patologie
renali.
31
Tavola 2.19
chEratosi
Apparato tegumentario
lichEnoidE solitaria
Le cheratosi lichenoidi sono proliferazioni cutanee benigne cono­
sciute anche come cheratosi tipo lichen planus. Le lesioni sono
in genere solitarie e possono trovarsi ovunque, con insorgenza
prevalentemente in età adulta. Le cheratosi vengono spesso diagno­
sticate come cancro cutaneo non­melanoma o, in particolare, come
un carcinoma basocellulare superficiale.
Quadro clinico. Le cheratosi lichenoidi si riscontrano princi­
palmente a carico della parte alta del tronco e alla radice degli arti
superiori, con incidenza simile per sesso e razza. Rare in età pedia­
trica, si manifestano di solito come chiazze pruriginose da rosso a
violaceo o placche sottili. A volte i pazienti notano l’insorgenza della
lesione al posto di una precedente cheratosi seborroica o di una
lentigo solare. Le cheratosi lichenoidi hanno di solito un diametro
massimo di 1 cm o meno. I motivi per i quali i pazienti richiedono il
consulto del medico il più delle volte sono: ipersensibilità, prurito o
sanguinamento delle lesioni a seguito di sfregamento o frizione. Le
lesioni possono mimare l’eruzione di lichen planus ma, a differenza di
quest’ultimo, la cheratosi lichenoide è solitaria. Queste proliferazioni
cutanee non hanno potenziale evolutivo e la diagnosi differenziale
si deve porre con le cheratosi seborroiche infiammate, i carcinomi
basocellulari, le cheratosi attiniche e i carcinomi squamocellulari;
pertanto possono essere utili la biopsia e l’esame istologico.
Esistono alcune varianti cliniche inusuali, quali la forma atrofica e
quella bollosa, che entrano in diagnosi differenziale rispettivamente
con il lichen scleroatrofico e le malattie autoimmuni bollose. Ai fini
diagnostici è utile la dermatoscopia: infatti le cheratosi lichenoidi
mostrano un pattern localizzato o diffuso di tipo granuloso che le
differenzia nettamente dai tumori melanocitici.
Istologia. All’esame istologico la cheratosi lichenoide mostra
un’area simmetrica ben delimitata di intensa infiammazione lichenoi­
de lungo la membrana basale; i linfociti dell’infiltrato aggrediscono la
membrana basale con liquefazione e necrosi dei cheratinociti basali
e successiva comparsa di cheratinociti apoptotici noti come corpi
di Civatte, presenti in quasi tutti i casi di cheratosi lichenoide e nel
lichen planus. Sono evidenti ipergranulosi a dente di sega e acantosi
pronunciate. L’assenza di atipia nei cheratinociti permette di esclude­
re la cheratosi attinica in fase infiammatoria; l’infiltrato infiammatorio
è composto quasi interamente da linfociti, per quanto non sia raro
trovare nel suo contesto rari eosinofili o plasmacellule. La diagnosi
differenziale si avvale in maniera importante della storia clinica: la
cheratosi lichenoide si presenta, infatti, come lesione singola, quindi
gli stessi riscontri istologici provenienti da un rash diffuso di papule
32
piatte violacee è compatibile con la diagnosi di lichen planus. Questo
esempio illustra chiaramente come sia importante aggiungere note
anamnestiche ai risultati dell’esame istopatologico.
Patogenesi. L’esatta eziologia della cheratosi lichenoide è
sconosciuta; si ipotizza che questa lesione possa rappresentare la
risposta infiammatoria a una lentigo o a una cheratosi seborroica
con un trauma come fattore scatenante. Lo sfregamento cronico è
stato chiamato in causa nell’induzione della cheratosi lichenoide.
Anche il papillomavirus umano (HPV) è stato oggetto di studio senza
che tuttavia si sia giunti a conclusioni certe.
Trattamento. La maggior parte delle biopsie di cheratosi li­
chenoidi risulta risolutiva; nel caso in cui non sia stato possibile
rimuovere l’intera lesione, il ritrattamento non è necessario.
L’uso topico di una crema o di un unguento a base di cortico­
steroidi, due volte al giorno per 1 o 2 settimane dopo la guarigione
della ferita, conduce verosimilmente a risoluzione completa della
lesione.
Altre opzioni terapeutiche includono la crioterapia o il couretta­
ge in anestesia. Le cheratosi lichenoidi benigne recidivano molto
raramente.
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
Tavola 2.20
Neoformazioni cutanee benigne
lipoma
I lipomi sono tumori cutanei benigni che si manifestano come lesioni
solitarie o, più frequentemente, come noduli dermici multipli. Essi
sono dovuti alla proliferazione del tessuto fibroadiposo nel tessuto
sottocutaneo. I pazienti con lipomi multipli mostrano familiarità per
questa patologia.
Quadro clinico. I lipomi sono noduli sottocutanei spesso piccoli
(1­2 cm), di consistenza soffice, a lenta crescita e mobili. Alcuni
possono raggiungere dimensioni considerevoli (>5 cm di diame­
tro) e costituire motivo di preoccupazione per l’interferenza con i
movimenti e per la possibile degenerazione maligna in liposarcoma.
L’epidermide sovrastante non mostra modificazioni e non è con­
nessa al tumore. In genere sono asintomatici ma possono causare
dolore se traumatizzati.
Esiste una rara variante, denominata angiolipoma, che si presenta
perlopiù multipla e può essere dolorosa. Le neoformazioni sono
costituite, oltre che da lobuli di tessuto adiposo, da una percentuale
maggiore di vasi sanguigni, riscontro che permette la diagnosi
all’esame istopatologico. Questi tumori sono benigni e non mo­
strano familiarità.
La diagnosi differenziale è ampia e deve prevedere gli altri tumori
dermici, ma in genere viene posta con l’esame obiettivo. In alcuni
casi un lipoma di piccole dimensioni può essere confuso con una
cisti epidermica da inclusione, una cisti pilare, un linfonodo o un
tumore annessiale; al contrario noduli di grandi dimensioni, mobili,
di consistenza elastica e a lenta crescita vengono facilmente diagno­
sticati clinicamente come lipomi.
I lipomi si localizzano di solito su tronco e arti; prediligono le
donne tra i trenta e i cinquant’anni, ma possono presentarsi in
pazienti di entrambi i sessi e di tutte le razze ed età. La localizzazione
al volto è rara, se si eccettua il lipoma subfrontale che si sviluppa al
di sotto del muscolo frontale.
Sono state descritte rare sindromi interessanti il tessuto adiposo,
tra cui la lipomatosi simmetrica familiare, l’adiposi dolorosa (malattia
di Dercum) e la lipomatosi familiare multipla. La lipomatosi simme­
trica familiare o malattia di Madelung è la meglio descritta: in questa
sindrome il tessuto adiposo del collo e della parte prossimale delle
braccia prolifera in maniera massiva e i pazienti assumono l’aspetto
di body builder (culturista).
Patogenesi. L’esatta eziologia è sconosciuta; si pensa che i
lipomi siano causati dalla proliferazione eccessiva di tessuto normale
nella sua sede fisiologica. I lobuli tumorali non sono distinguibili dal
normale tessuto adiposo ed è stata descritta familiarità senza che
siano stati individuati difetti genetici specifici.
Istologia. I lipomi sono composti da tessuto adiposo maturo.
I lobuli sono separati da setti fibrosi che contengono vasi ematici.
I lipomi sono racchiusi da una capsula fibrosa. Gli angiolipomi
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
vengono descritti come tumori del tessuto adiposo la cui massa
è composta da vasi sanguigni in una percentuale variabile dal 10
al 50%. All’esame istologico le varianti rare di lipomatosi appaiono
indistinguibili dalle forme comuni.
Trattamento. La terapia non è necessaria: i lipomi singoli, in­
fatti, possono essere trattati con liposuzione o mediante escissione
chirurgica. Quelli subfrontali risultano più difficili da rimuovere a
causa della necessità di incidere il muscolo frontale per localizzare
la lesione. I lipomi di piccole dimensioni possono essere trattati con
iniezioni intralesionali di steroidi, che hanno un effetto atrofizzante,
e di desossicolato di sodio.
I lipomi più grandi con tendenza alla crescita andrebbero invece
rimossi a causa della potenziale trasformazione in liposarcomi.
Questi ultimi si presentano, a differenza dei lipomi, di consistenza
più dura e a crescita più veloce, e sono particolarmente fastidiosi
per il paziente.
33
Tavola 2.21
cisti
dEl raFE mEdiano
Le cisti del rafe mediano sono cisti benigne rare che si formano
nella porzione centrale del perineo. La localizzazione più frequente
è la faccia ventrale dell’asta del pene ma possono insorgere in un
punto qualunque dal meato uretrale lungo la superficie ventrale del
pene e il rafe dello scroto fino all’ano. Si ritiene che questa cisti rap­
presenti un’anomalia congenita dei genitali causata probabilmente
da sviluppo anomalo delle pieghe uretrali.
Quadro clinico. La maggior parte delle cisti del rafe mediano
viene riscontrata nei bambini maschi, sulla superficie ventrale del
pene e al rafe dello scroto. Non presentano predilezioni di razza;
sono presenti già alla nascita ma possono passare inosservate per
molto tempo, a volte fino all’età adulta. Esse appaiono come piccoli
noduli cistici (0, 5­1 cm), solitari, morbidi e traslucidi; sono perlo­
più asintomatiche, ma talora possono rompersi e drenare liquido
sieroso. La cisti di rado è connessa all’uretra o ad altre strutture.
La diagnosi differenziale può essere complessa; è dirimente solo
la biopsia o l’escissione completa.
Patogenesi. Si ritiene che queste cisti originino da uno sviluppo
o da una fusione anomala delle pieghe urogenitali/uretrali in epoca
embrionale. Di norma queste pieghe si uniscono fino a fondersi per
formare i genitali esterni in un periodo compreso tra l’8a e la 10a
settimana di gestazione, dando origine all’asta del pene nel maschio
34
Apparato tegumentario
e alle piccole labbra nella femmina. Tra le altre anomalie congenite
causate dal ripiegamento improprio di questi tessuti embriologici,
la cui causa è tuttora ignota, si annovera l’ipospadia.
Istologia. Le cisti sono rivestite da epitelio colonnare stratificato
o pseudostratificato il cui aspetto è molto simile all’epitelio di tran­
sizione uroteliale con interposte grandi cellule mucinose; la cavità
centrale è piena di liquido sieroso. Le cellule che delimitano la cavità
reagiscono alle citocheratine 7 e 13, all’EMA (Epithelial Membrane
Antigen) e al CEA (Carcinoembryonic Antigen). L’aspetto istologico
di queste cisti è caratteristico. La diagnosi differenziale principale è
tra la cisti del rafe mediano e il cistoadenoma apocrino.
Le due lesioni possono essere distinte mediante reazioni
immunoistochimiche.
Trattamento. La semplice escissione chirurgica è un trattamento
sufficiente; le cisti infatti non recidivano, poiché sono determinate
da anomalie di sviluppo; tuttavia va posta particolare cura nel non
danneggiare le strutture sottostanti e pertanto la procedura di
escissione dovrebbe essere eseguita dal chirurgo urologo.
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
Tavola 2.22
nEvo
Neoformazioni cutanee benigne
mElanocitico
Esistono molti tipi di nevo melanocitico, tra cui il nevo melanocitico
congenito, il nevo blu e il nevo melanocitico acquisito, molto comune.
I nevi atipici e displastici verranno trattati con il melanoma nella
sezione dedicata alle neoformazioni maligne. La valutazione dei nevi
melanocitici rappresenta uno dei compiti più comuni e importanti
del dermatologo: ogni paziente che si rivolge a un ambulatorio
dermatologico dovrebbe essere sottoposto a esame cutaneo del­
l’intera superficie corporea, mirato soprattutto alla valutazione dei
nevi e alla ricerca di segni di trasformazione maligna o di comparsa
di melanomi de novo. Questo screening per il melanoma acquisisce
particolare importanza perché il tumore, particolarmente aggres­
sivo, può essere curato se precocemente individuato. I diversi tipi
di nevi melanocitici hanno tassi di trasformazione maligna differenti,
pertanto è fondamentale che il medico sappia quali tra questi nevi
possono essere riscontrati nell’attività routinaria.
Quadro clinico. La classificazione dei nevi melanocitici è sia
clinica sia istopatologica. Il comune nevo melanocitico acquisito, dia­
gnosticato clinicamente, può mostrare all’analisi istologica segni di
atipia o displasia dei melanociti, pertanto non è ancora stata adottata
una classificazione universalmente accettata dei nevi melanocitici.
I nevi melanocitici benigni sono molto comuni: praticamente
ogni individuo ne presenta una qualche forma. I nevi acquisiti sono
riscontrati universalmente e possono avere morfologie molto diverse.
Affliggono uomini e donne in uguale misura; sono poco frequenti alla
nascita e il loro numero aumenta nei primi quarant’anni di vita per
poi stabilizzarsi. Infine i nevi tendono lentamente a regredire. Pos­
sono presentarsi come papule o macule e per la maggior parte sono
uniformi e simmetrici per dimensione e colore, che può variare da
quello della cute sana al marrone. Tendono ad aumentare di dimen­
sione in proporzione alla crescita del bambino o all’aumento di peso
dell’adulto e a divenire più grandi e scuri durante la gravidanza.
Poiché il rischio di degenerazione in melanoma è reale, vanno
valutati i cambiamenti di colore, dimensione, simmetria, contorno. I
nevi che diventano sintomatici, specialmente se compare il prurito,
o che vanno incontro a sanguinamento spontaneo debbono essere
controllati immediatamente, sottoposti a escissione chirurgica ed
esame istologico.
I nevi blu sono tumori melanocitici benigni che presentano ca­
ratteristiche cliniche e istologiche tipiche. Tendono a essere piccoli
e localizzati sulla superficie dorsale di mani e piedi, sono di colore
variabile dal blu al blu grigiastro a causa della loro localizzazione nel
derma e dell’effetto Tyndall. Si tratta di un fenomeno per cui le varie
lunghezze d’onda della luce vengono assorbite preferenzialmente
e la luce riflessa o il colore visibile dipende dalla natura e dalla
profondità nel derma della sostanza illuminata. I nevi blu presentano
caratteristiche istologiche simili al nevo di Ota, al nevo di Ito e alle
chiazze mongoliche, che presentano però caratteristiche cliniche
talmente diverse da non essere considerate affatto nella diagnostica
differenziale del nevo blu.
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
I nevi blu possono comparire a ogni età come macule o papule
piccole (2­5 mm) di forma ovale o tonda, ben delimitate, con bordi
netti, senza predilezione per il sesso. Si localizzano di solito sulla
superficie dorsale di mani e piedi, ma possono comparire ovun­
que, anche sulle mucose. Vengono spesso sottoposti a biopsia a
causa del loro colore inusuale, ed essendo piccoli possono essere
facilmente rimossi con una punch biopsy con un diametro di 1 mm
maggiore di quello della lesione da asportare. I pazienti spesso riferi­
scono di essere stati punti violentemente con una matita durante
l’infanzia e ritengono pertanto che la lesione sia un residuo di grafite:
questa versione è vera in alcuni casi, ma nella maggior parte dei
pazienti la lesione si rivela un nevo blu. La trasformazione maligna
è estremamente rara.
Nevi blu multipli possono essere riscontrati nel complesso di
Carney, denominato anche sindrome NAME (Nevi, Atrial myxoma,
Myxoid neurofibroma, Ephelides) o LAMB (Lentigines, Atrial myxoma,
Mucocutaneous myxomas, Blue nevi), che comprende nevi blu
multipli, lentiggini, efelidi, mixomi, mixomi atriali, tumori testicolari,
35
Tavola 2.23
Apparato tegumentario
nEvo
mElanocitico
(Seguito)
tumori pituitari, schwannomi melanocitici psammomatosi e tumori
della ghiandola surrenale. È stato dimostrato come questa rara
sindrome sia causata da difetto nel gene soppressore tumorale
PRKAR1A che codifica per una subunità della proteina chinasi A.
I nevi melanocitici congeniti possono essere distinti dal punto
di vista clinico in sottotipi diversi in base alla dimensione (piccoli,
medi e giganti).
I nevi congeniti piccoli, definiti come nevi dal diametro maggiore
inferiore a 2 cm, sono i più comuni e ricorrono con frequenza analo­
ga in maschi e femmine senza distinzione di razza; la loro prevalenza
viene stimata da alcuni autori attorno all’1% della popolazione.
Questi nevi vengono descritti come macule, papule o placche ben
circoscritte, iperpigmentate rispetto alla cute circostante, perlopiù di
forma simmetrica e colore uniforme. Con il passare del tempo, circa
il 50% delle lesioni mostra una crescita di peli di tipo terminale. Il
rischio di trasformazione maligna è basso e sovrapponibile a quello
dei nevi melanocitici acquisiti comuni; l’insorgenza eventuale del
melanoma può verificarsi a qualunque età, ma è più frequente
dopo la pubertà.
I nevi melanocitici congeniti di dimensione media hanno un
diametro compreso tra i 2 e i 20 cm. Il rischio di trasformazione
maligna è lo stesso dei nevi congeniti piccoli. Interessano circa l’1%
della popolazione senza distinzione di sesso e possono localizzarsi
in qualunque parte del corpo.
I nevi congeniti melanocitici grandi o giganti, detti anche “a
mutandina da bagno”, assumono una certa rilevanza clinica per
svariati motivi: in primo luogo presentano un rischio di trasformazio­
ne maligna più elevato, inoltre la trasformazione può essere difficile
da notare prima che le lesioni raggiungano le dimensioni definitive.
Inoltre molti melanomi si sviluppano in sede dermica o sottocutanea,
localizzazione che ne rende più difficile l’osservazione. I melanomi
insorgono solitamente dopo la pubertà: la trasformazione avverrebbe
nel 15% dei casi, con rischio maggiore per i nevi assiali e acrali.
Per questo motivo le lesioni vengono trattate in maniera aggressiva,
quando possibile, e i pazienti affetti necessitano di stretto follow­up
a tempo indeterminato. L’incidenza non varia in base al sesso e alla
razza e la localizzazione più frequente è a livello del tronco.
Nei pazienti con nevi congeniti giganti del tronco risulta più
frequente anche il riscontro di segni di melanosi neurocutanea.
Questi nevi in genere interessano la maggior parte del tronco e
spesso sono presenti numerosi nevi melanocitici satelliti. Gli individui
affetti da nevo melanocitico congenito gigante del tronco andrebbero
sottoposti a risonanza magnetica (RM) del sistema nervoso al fine di
evidenziare la melanosi neurocutanea. Questi ultimi presentano un
rischio molto elevato (almeno il 50%) di sviluppare il melanoma delle
leptomeningi, che si rivela perlopiù fatale. I pazienti necessitano di
un approccio multidisciplinare che includa pediatra, dermatologo,
neurologo e neurochirurgo.
36
Istologia. Nei nevi melanocitici acquisiti comuni, i melanociti sono
disposti simmetricamente, organizzati in nidi, non hanno l’aspetto den­
dritico tipico dei melanociti normali dello strato basale. La loro forma
è tondeggiante, sono monomorfi, mostrano un grado di maturazione
tanto più elevato quanto più è profonda la propria posizione nel derma,
con una diminuzione del rapporto nucleo/citoplasmatico e una com­
plessiva diminuzione delle loro dimensioni. I melanociti hanno forma e
dimensioni uniformi se localizzati alla stessa profondità nel derma, ma
non esiste una simmetria verticale, pertanto all’esame istologico sono
visibili molte morfologie diverse. A seconda della loro localizzazione,
i nevi possono essere classificati come giunzionali, intraepidermici,
dermici o composti. Il nevo giunzionale è costituito da nidi di melanociti
distribuiti lungo la membrana basale, mentre il nevo composto presenta
nidi melanocitici sia epidermici sia dermici (nel nevo dermico i nidi di
melanociti sono situati esclusivamente nel derma).
I nevi blu sono localizzati interamente nel derma e i melanociti,
di forma allungata, da cui sono composti presentano dei processi
dendritici che contengono melanina, responsabile del colore della
lesione; tra le cellule è presente del collagene; inoltre, nel contesto
del nevo e intorno a esso sono spesso riscontrabili dei melanofagi.
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
Tavola 2.24
Neoformazioni cutanee benigne
nEvo
mElanocitico
(Seguito)
Talora al di sopra della lesione si nota una zona grenz (banderella di
derma compresa tra l’epidermide e il sottostante infiltrato dermico).
Sono stati descritti numerosi sottotipi istologici, compresi il nevo blu
dendritico o comune, il nevo blu amelanotico, il nevo blu cellulare
e il nevo blu epitelioide.
I nevi congeniti di qualunque dimensione mostrano le stesse
caratteristiche istologiche e non possono essere distinti in base
all’esame istologico, pertanto i criteri principali per differenziarli sono
clinici (forma e dimensione). I nidi di melanociti si trovano profon­
damente nel derma, ma possono essere situati anche nel tessuto
sottocutaneo, nella fascia e nel muscolo sottostante. L’infiltrazione
del muscolo è inusuale e si può osservare nei nevi congeniti giganti.
I nidi di cellule melanocitarie tendono ad accumularsi attorno agli
annessi come follicoli piliferi, ghiandole sebacee e ghiandole eccrine
e i melanociti possono addirittura infiltrare il muscolo piloerettore. Le
cellule del nevo vanno incontro a una vera e propria maturazione.
Patogenesi. Le teorie patogenetiche sui nevi melanocitici
acquisiti comuni e sui nevi blu sono molte e contrastanti. Alcuni
pensano che questi tipi di nevi siano dovuti ad anomalie della mi­
grazione dei melanociti in epoca embrionale, altri che le cellule
staminali presenti nel derma o nell’epidermide migrino causando
la formazione del nevo. È possibile che la spiegazione risieda
in una combinazione delle due teorie, ma nessun meccanismo
patogenetico è stato universalmente accettato. I nevi melanocitici
congeniti sono verosimilmente causati da difetti della migrazione
melanocitaria durante l’embriogenesi, senza che ne sia stato chiarito
il meccanismo patogenetico. Si pensa che la migrazione in questi
casi sia controllata da una via di trasduzione dei segnali di crescita
e regolatori complessa ma anomala.
Trattamento. I nevi melanocitici acquisiti comuni non necessitano
di trattamento, per quanto possano essere rimossi in diversi modi per
motivi estetici. Due tecniche utilizzate con successo sono la rimozione
superficiale tipo “shave” e la rimozione tramite punch biopsy. Le
escissioni ellittiche andrebbero riservate a lesioni più grandi situate in
zone dove la cicatrice residua possa essere meno evidente. La rimo­
zione delle lesioni pigmentate tramite laser dovrebbe essere condotta
unicamente da medici esperti, poiché la lesione viene completamente
distrutta e non rimane tessuto da analizzare istologicamente.2
I nevi blu vengono facilmente rimossi mediante punch biopsy o
escissione ellittica, vengono di solito rimossi per motivi estetici e una
piccola escissione rende possibili risultati estetici eccellenti.
La rimozione di nevi congeniti piccoli e medi andrebbe condotta
mediante escissione chirurgica che rimuova l’intera lesione e ne
permetta la valutazione patologica. La maggior parte di questi nevi
può essere tenuta sotto controllo nel tempo e rimossa se presenta
2
Il curatore è dell’opinione che i nevi debbano essere rimossi chirurgicamente
e sempre analizzati istologicamente (NdC).
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
cambiamenti: fotografie seriali possono essere di grande aiuto
nel monitoraggio. A volte la localizzazione in aree di alto interesse
estetico, come il viso, porta il paziente a rivolgersi a un chirurgo
plastico per la valutazione; va tenuto conto del miglioramento del
benessere psicofisico e sociale di cui può beneficiare un bambino
cui venga rimosso un nevo congenito sfigurante.
I nevi congeniti grandi sono i più difficili da trattare a causa
dell’alto tasso di trasformazione maligna. Quando possibili, delle
escissioni seriali rappresentano l’opzione migliore, con l’uso fre­
quente di espansori tissutali per limitare l’utilizzo di trapianti di
cute. L’obiettivo dovrebbe essere la rimozione totale della lesione,
ma non sempre risulta raggiungibile: se il nevo copre il 10­30% o
una percentuale maggiore della superficie corporea, diventa quasi
impossibile rimuoverlo. In questi come in tutti gli altri casi è impor­
tante istruire i parenti, i pazienti e i medici curanti sulla necessità di
una sorveglianza per tutto l’arco della vita allo scopo di individuare
eventuali cambiamenti, effettuare una biopsia e prevenire le meta­
stasi nel caso in cui dovesse svilupparsi un melanoma.
37
Tavola 2.25
Apparato tegumentario
milio
I grani di milio sono piccole (1­3 mm) cisti epidermiche da inclusione
superficiali che si presentano di un caratteristico colore bianco
porcellana. I soggetti affetti da uno o più grani di milio sono molti;
queste piccole escrescenze cutanee sono assolutamente benigne
e non causano alcun tipo di problema al paziente.
Quadro clinico. I grani di milio sono cisti epidermiche da in­
clusione localizzate superficialmente che non presentano alcun
orifizio centrale visibile. Si riscontrano in tutte le razze, a ogni età e
con uguale incidenza in maschi e femmine; i grani di milio primari
non sono associati ad alcun tipo di disordine cutaneo, mentre quelli
secondari sono l’esito di patologie dermatologiche, più di frequente
una patologia bollosa subepidermica, dal momento che spesso
sono localizzati nella regione in cui in precedenza si era sviluppata
e poi risolta una bolla. Un esempio è rappresentato dai pazienti con
porfiria cutanea tarda, i quali sono affetti da bolle subepidermiche
che, guarendo, lasciano in esito cicatrici e grani di milio. Di rado
un grano di milio può avere un aspetto traslucido; in questi casi
è consigliabile eseguire una biopsia per escludere la diagnosi di
carcinoma basocellulare o di nevo dermico.
Negli adulti i grani di milio sono localizzati di solito sulle palpebre
o nelle regioni immediatamente adiacenti; per quanto riguarda i neo­
nati, fino al 50% presenta questo tipo di affezione cutanea, spesso
localizzata sulla testa, che viene definita più specificatamente milio
congenito. La risoluzione è perlopiù spontanea, tanto che la terapia
andrebbe posticipata il più possibile. In letteratura ne sono state de­
scritte varianti uniche quali quella eruttiva, quella a gruppi e quella
generalizzata. La forma eruttiva si manifesta nello spazio temporale
di qualche settimana con la comparsa di un numero di grani di milio
compreso tra 10 e 100 ed è stata descritta in adolescenti e adulti.
Le forme a gruppi e a placca sono rare; queste definizioni vengono
utilizzate per descrivere un agglomerato nodulare che, nel secondo
caso, assume l’aspetto di una placca.
Alcune sindromi genetiche mostrano un’associazione con i
grani di milio: la più conosciuta è la sindrome di Bazek, carat­
terizzata da grani di milio, carcinomi basocellulari, ipotricosi e
atrofoderma follicolare; tra le molte altre si annoverano la sin­
drome Rombo, la sindrome miliare familiare e l’atrichia con lesioni
papulari.
38
Istologia. I grani di milio sono piccole cisti localizzate nell’epi­
dermide superficiale, rivestite da uno strato di epitelio squamoso
stratificato contenente lo strato granuloso. Il centro della cisti con­
tiene una piccola quantità di detriti di cheratina; nei grani di milio
primari non si riscontra infiammazione circostante.
Patogenesi. La causa è sconosciuta, ma si ritiene che le cisti
abbiano origine dal follicolo pilifero, dalla ghiandola sebacea o
dall’epitelio della ghiandola eccrina. I grani di milio secondari si
verificano a seguito di lesioni bollose subepidermiche o di traumi
che interrompono la giunzione dermo­epidermica.
Trattamento. La terapia non è necessaria. La maggior parte
dei grani di milio viene riscontrata casualmente all’esame cutaneo
e i pazienti spesso non si accorgono della loro presenza. Se le
cisti sono motivo di disagio sotto il profilo estetico, possono es­
sere facilmente rimosse con un estrattore di comedoni dopo aver
effettuato una minuscola (1 mm) incisione con una lama numero
11. Una volta rimosso, il grano di milio non recidiva quasi mai,
tuttavia se ne possono sviluppare altri. I grani di milio congeniti
nei neonati non vanno trattati, in quanto tendono perlopiù alla
risoluzione spontanea.
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
Tavola 2.26
Neoformazioni cutanee benigne
nEuroFibroma
I neurofibromi sono tumori cutanei benigni rari che possono presen­
tarsi come lesione unica ma che più frequentemente sono numerosi
in pazienti affetti da neurofibromatosi, una delle più comuni geno­
dermatosi, la cui incidenza è di1/3.000­4.000 nati vivi, causata da
una mutazione di un gene oncosoppressore.
Quadro clinico. I neurofibromi si presentano come piccole (di
media fino a 1 cm) papule o noduli morbidi ed elastici al tatto di
colore da quello della cute sana a leggermente iperpigmentato.
Alla compressione mostrano un fenomeno “ad asola” caratteri­
stico: il neurofibroma si invagina nel derma e nel tessuto adiposo
sottocutaneo per tornare alla sua localizzazione naturale non appena
la pressione viene rimossa. Per la maggior parte, i neurofibromi
solitari sono asintomatici ed entrano in diagnosi differenziale con i
nevi acquisiti comuni, sia composti sia dermici. Nel caso in cui un
paziente sia portatore di neurofibromi multipli andrebbero ricercati
altri segni di neurofibromatosi.
La neurofibromatosi di tipo 1, in precedenza denominata malattia
di von Recklinghausen, è una malattia sistemica genetica abbastanza
frequente che manifesta anche segni cutanei e presenta ereditarietà
autosomica dominante, ma può anche essere causata da mutazione
spontanea. Il gene implicato, conosciuto come NF1, è localizzato sul
braccio lungo del cromosoma 17 e codifica per la neurofibromina,
una guanosina trifosfatasi (GTPasi) con funzioni di soppressore
tumorale essenziale nella regolazione del gene Ras. Sono state de­
scritte diverse forme di neurofibromatosi con variazioni del fenotipo
clinico: la neurofibromatosi di tipo 2 è causata da un difetto del gene
NF2 localizzato sul braccio lungo del cromosoma 22.
Nei pazienti affetti da neurofibromatosi di tipo 1 i neurofibromi
cominciano a svilupparsi durante la pubertà e aumentano dra­
sticamente di numero nel corso della vita; sono di solito più grandi
di quelli che si presentano singolarmente e possono essere par­
ticolarmente numerosi fino a diverse centinaia. L’enorme numero
di neurofibromi può sfigurare il paziente e incidere notevolmente
sul suo benessere psicosociale. In questa affezione genetica le
lesioni possono presentare localizzazioni non solo cutanee ma anche
nervose: quelle che si trovano in aree con spazio di espansione
minimo (ad es. il forame intervertebrale) possono causare morbilità
significativa e, pertanto, richiedere l’escissione chirurgica.
I pazienti con neurofibromatosi di tipo 1 presentano molti altri
segni cutanei quali chiazze caffellatte multiple, lentiggini ascellari
e neurofibromi plessiformi (una variante unica considerata pato­
gnomonica di questa affezione), composti da neurofibromi diversi
raggruppati in una placca di grandi dimensioni. I segni sistemici
di neurofibromatosi includono gliomi ottici, noduli di Lisch a livello
dell’iride, interessamento osseo multiplo, diversi problemi a livello
del sistema nervoso centrale e molti disordini endocrini. I fenotipi
differenti possono rappresentare il risultato di mutazioni diverse nel
gene coinvolto. I pazienti sono inoltre predisposti allo sviluppo di
tumori maligni in misura molto maggiore rispetto ai soggetti sani.
Patogenesi. I neurofibromi solitari non dipendono da difetti
della proteina neurofibromina; insorgono pertanto a causa di fattori
sconosciuti che inducono proliferazione nel derma dei componenti
delle terminazioni nervose. I neurofibromi osservati nella neurofi­
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
bromatosi, al contrario, sono causati da difetto del gene oncosop­
pressore, ma il meccanismo mediante il quale il difetto conduce alla
formazione della lesione non è ancora del tutto chiaro.
Istologia. I singoli neurofibromi sono costituiti dalla prolifera­
zione di elementi fusati, ben circoscritta nel derma, ma senza una
capsula. È evidente una proliferazione sia delle cellule di Schwann
sia delle componenti assonali del nervo. Sono presenti inoltre molte
mastcellule (nel neurofibroma le mastcellule sono in concentrazione
sette volte maggiore rispetto alla cute sana). L’epidermide non è
affetta ed è spesso riscontrabile una sottile zona grenz.
Trattamento. L’escissione completa del neurofibroma solitario
è un trattamento definitivo, curativo e con un tasso di ricorrenza
estremamente basso; non risulta tuttavia necessario, poiché il ri­
schio di trasformazione maligna è molto esiguo.
Aumento di volume, di consistenza o di sensibilità del neurofi­
broma deve indurre all’exeresi chirurgica della neoformazione per
evitare la trasformazione in neurofibrosarcoma.
I pazienti con neurofibromatosi richiedono un approccio multidi­
sciplinare, con un internista a coordinare ogni possibile complicanza
sistemica. I neurofibromi possono essere rimossi chirurgicamente,
ma questo approccio non è ideale a causa del numero delle lesioni
e andrebbe riservato a quelle particolarmente fastidiose. I neurofi­
bromi plessiformi andrebbero inoltre rimossi da un chirurgo pla­
stico, vista la loro notevole estensione sottocutanea non valutabile
clinicamente. La cura definitiva di questa malattia non esiste; sono
necessari screening e follow­up a tempo indeterminato e i pazienti
dovrebbero essere sottoposti a consulenza genetica prima di rag­
giungere l’età fertile.
39
Tavola 2.27
nEvo
lipomatoso supErFicialE
Il nevo lipomatoso superficiale è una neoformazione cutanea benigna
non rara considerata una proliferazione amartomatosa del tessuto
adiposo localizzato nel derma, denominata originariamente nevo lipo­
matoso superficiale di Hoffman­Zurhelle. Non sono noti segni sistemici
associati a questo tipo di lesione né sono stati descritti casi ereditari.
Quadro clinico. Questi nevi vengono comunemente osservati
in corrispondenza del cingolo pelvico; non presentano preferenze di
sesso o razza e sono più comuni prima della terza decade di vita, per
quanto possano presentarsi a ogni età. Le lesioni hanno un aspetto
simile a un sacchetto, somigliando spesso a grandi fibromi penduli;
il loro colore va da quello della cute sana al giallastro. Sono papule
di consistenza morbida, non sensibili a stimoli tattili, molto mobili con
una base sessile; in alternativa possono presentarsi come placche
peduncolate con una proiezione simile a un grosso peduncolo. Le
affezioni con cui il nevo lipomatoso superficiale entra in diagnosi
differenziale sono il fibroma pendulo (che si presenta in realtà di
dimensioni mediamente molto più ridotte), il nevo composto e i nevi
del tessuto connettivo.
Sebbene la diagnosi sia basata soprattutto sui riscontri clinici,
quella definitiva può derivare unicamente da valutazione istopatolo­
gica. Queste lesioni sono spesso solitarie, ma sono stati descritti in
letteratura casi di nevi multipli, di solito definiti come noduli dermici di
colore della cute sana o roseo tendenti alla coalescenza in placche più
grandi. A volte la superficie si presenta di aspetto cerebriforme. Se non
trattati possono divenire molto grandi, fino a misurare più di 10 cm
di diametro, per quanto di solito non superino le dimensioni di 1 o
2 cm. È stata descritta una variante generica di questa condizione che,
tuttavia, non mostra caratteristiche sufficientemente specifiche.
I bambini giungono all’osservazione medica dopo che i loro genitori
hanno notato la comparsa delle neoformazioni; in questi casi viene
spesso effettuata una biopsia per chiarire la diagnosi. Gli adulti si pre­
sentano spesso a causa di una placca a lento accrescimento di aspetto
anomalo o che sia erosa o ulcerata a causa di trauma superficiale.
Patogenesi. È considerato un processo amartomatoso del tessuto
adiposo localizzato nel derma. Per qualche ragione sconosciuta questo
tessuto adiposo, di aspetto normale, comincia a proliferare nel derma
causando di solito un’erniazione esterna dell’epidermide sovrastante,
che conduce ai segni clinici distintivi. Il meccanismo esatto di forma­
zione non è chiaro, non sono state stabilite anomalie genetiche del
tessuto adiposo e non sussiste potenziale trasformazione maligna.
40
Apparato tegumentario
Istologia. Il nevo lipomatoso superficiale presenta un’istopatologia
caratteristica, costituita dal tessuto adiposo maturo normalmente
presente nel derma. Il rilievo chiave è la mancanza di connessione tra
il tessuto adiposo localizzato anormalmente nel derma superficiale e
quello localizzato correttamente, ossia nel sottocute. Le diverse lesioni
mostrano quantità variabili di tessuto adiposo; non esiste una percen­
tuale definita utile per la diagnosi, tuttavia ogni lesione è composta da
grasso per il 10­50%. L’epidermide sovrastante può essere normale
o esibire acantosi o papillomatosi; all’aspetto clinico cerebriforme in
genere corrispondono, sul piano istologico, più evidenti modificazioni
dell’epidermide. I fibromi penduli non presentano tessuto adiposo:
questa caratteristica è un fattore discriminante importante.
Trattamento. Il trattamento migliore in termini di risultato esteti­
co e di risoluzione della patologia è l’escissione chirurgica. Le lesioni
multiple possono essere trascurate una volta che la diagnosi sia
certa, oppure sottoposte a rimozione chirurgica nel caso in cui la
cicatrice risultante sia verosimilmente migliore da un punto di vista
estetico rispetto alla lesione iniziale.
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
Tavola 2.28
nEvo
di
ota
Neoformazioni cutanee benigne
E nEvo di ito
Sia il nevo di Ota (melanocitosi oculodermica, nevo fuscoceruleo
oftalmomascellare) sia il nevo di Ito (nevo fuscoceruleo acromio­
deltoideo) sono considerati iperplasie benigne amartomatose dei
melanociti localizzate a livello, rispettivamente, di viso e parte su­
periore della spalla; entrambe condividono patogenesi e istologia
con le chiazze mongoliche e vengono verosimilmente originate da
anomalie nella migrazione embrionale dei melanociti.
Quadro clinico. La diagnosi è basata sull’esame obiettivo e
non necessita quasi mai di biopsia cutanea: il nevo di Ota e il nevo
di Ito presentano localizzazioni caratteristiche che facilitano la dia­
gnosi definitiva. La chiazza mongolica, strettamente correlata, è
localizzata sulla parte inferiore del dorso dei neonati e si manifesta
come una chiazza di colore blu scuro e asintomatica che diventa
più chiara fino a scomparire nella quasi totalità dei casi prima
dell’età adulta. La prevalenza è più alta nei bambini di discendenza
asiatica o maya.
Il nevo di Ota presenta una localizzazione perioculare e può
interessare la congiuntiva bulbare, in genere è monolaterale; si
presenta come una chiazza di colore da bluastro a blu­grigio con
bordi indistinti che sfumano nella cute circostante di colore normale.
La distribuzione segue di solito il territorio di innervazione dei primi
due rami del nervo trigemino; nel caso di interessamento della
congiuntiva, questa può presentare una colorazione da blu­grigio
a marrone scuro. Questa condizione è più frequente nelle donne
e nei pazienti di discendenza asiatica; è perlopiù isolata, ma può
sporadicamente associarsi a un nevo di Ito.
L’aspetto clinico del nevo di Ito è molto simile, fatta eccezione per
la localizzazione a livello del cingolo scapolare e del collo; anche in
questo caso la lesione è monolaterale nella maggior parte dei sog­
getti. Le chiazze, di colore da blu a blu­grigio, possono essere molto
grandi e causare notevole imbarazzo: per quanto asintomatiche,
queste lesioni possono costituire motivo di disagio individuale sul
piano estetico e determinare difficoltà psicologiche e sociali.
Sia il nevo di Ota sia il nevo di Ito hanno una prevalenza signifi­
cativamente più alta nella popolazione asiatica. Il nevo di Ota ha un
basso potenziale di trasformazione maligna; le donne caucasiche che
presentano questa lesione hanno un maggior rischio di sviluppare un
melanoma. Il nevo di Ito non mostra alcun potenziale evolutivo.
Istologia. I rilievi istopatologici di nevo di Ota, nevo di Ito e
chiazze mongoliche sono identici e molto simili a quelli del nevo
blu comune: nell’area della lesione, nel derma, si osservano piccoli
raggruppamenti di melanociti di forma stellare, quelli nel derma
superficiale si presentano di forma allungata. Si osservano fibrosi
circostante e presenza di melanofagi.
Patogenesi. In condizioni normali i melanociti migrano dalla cresta
neurale alle destinazioni finali (tra cui epidermide e retina). Si ritiene
che i nevi di Ota e di Ito siano causati da anomalie nella migrazione
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
melanocitaria embrionale; è in questa fase di trasferimento che segnali
ancora non conosciuti determinerebbero l’accumulo anomalo di mela­
nociti, nel derma, rispettivamente delle regioni del viso e della spalla.
Non sembra essere chiamato in causa alcun tipo di ereditarietà.
Trattamento. Queste lesioni benigne non richiedono terapia,
tuttavia è auspicabile un monitoraggio clinico a causa della rara
possibilità che sviluppino trasformazioni maligne. La maggior parte
dei pazienti chiede che le lesioni vengano trattate, poiché il loro
aspetto è motivo di disagio psicologico e sociale: il trattamento è
pertanto appropriato, benché difficile. Se le aree coinvolte sono di
dimensioni ridotte è possibile camuffarle con del make­up. Terapie
topiche con idrochinone e tretinoina hanno avuto effetti minimi, se
non nulli, sulla pigmentazione.
L’utilizzo del laser a 1.064 nm neodimio:ittrio­alluminil­granato
(Nd:YAG) si è rivelato l’approccio con la più alta percentuale di
successo nel trattamento di queste lesioni e può essere utilizzato
su quasi tutti i tipi di cute; la commutazione Q del laser sembra
incrementarne ulteriormente l’efficacia. Anche i laser al rubino e
all’alessandrite, entrambi con commutazione Q, sono stati impiegati
con successo.
41
Tavola 2.29
nEvo
sEbacEo
Il nevo sebaceo, detto anche nevo organoide o nevo sebaceo di
Jadasshon, è un tumore benigno che si manifesta durante l’infanzia;
questa lesione ha un certo rischio di trasformazione maligna dopo
la pubertà; la neoplasia maligna che si sviluppa più di frequente è
il carcinoma basocellulare.
Quadro clinico. Questi tumori mostrano un ampio range per
quanto riguarda le dimensioni: nella maggior parte dei casi sono
molto piccoli, tanto da passare inosservati per anni, mentre altri
sono ben visibili già alla nascita. In genere la lesione è unica. La
localizzazione più frequente è al cuoio capelluto e al viso mentre
altre sedi sono raramente interessate. Alla nascita o subito dopo
in corrispondenza del cuoio capelluto inizialmente si osserva una
chiazza ovalare o una placca sottile, di colore da giallastro a marrone
in un’area perlopiù priva di capelli; con il passare del tempo essa
assume un aspetto “ad acciottolato”. (Le modificazioni morfologiche
a cui va incontro il nevo sebaceo durante la pubertà dipendono dalla
stimolazione ormonale a cui le ghiandole sebacee sono esposte in
questo periodo.) Questi nevi sono spesso asintomatici, ma possono
rappresentare un problema estetico a causa delle dimensioni o della
sede. Maschi e femmine ne sono affetti in egual misura. Le lesioni
tendono a mostrare un aumento dimensionale proporzionale alla
crescita del paziente. Prima della pubertà il rischio di trasformazione
maligna è molto basso. Dopo la pubertà circa un terzo delle lesioni
evolve in una neoplasia secondaria, che si manifesta di solito come
un nodulo nell’area del nevo sebaceo. L’aspetto può variare soprat­
tutto per quanto riguarda il colore, ma il nodulo è di solito violaceo
e traslucido. È inoltre frequente il sanguinamento.
La maggior parte delle neoplasie secondarie è di natura benigna;
il siringocistoadenoma papillifero è la lesione più frequente e a causa
della sua connessione con l’epidermide spesso appare come un
nodulo che aumenta di volume lentamente e mostra secrezione
o sanguinamento. La neoplasia maligna secondaria più frequente
è il carcinoma basocellulare, che si manifesta di solito come una
papula di colore perlaceo con ulcerazione centrale, sanguinamento
e formazione di croste. La trasformazione maligna diventa a mano
a mano più frequente con l’aumentare dell’età del paziente, con
un rischio di insorgenza stimato dell’1% nel corso dell’intera vita.
I riscontri di tumori diversi insorti su nevi sebacei sono frequenti,
così come quelli dell’insorgenza di diversi tumori da uno stesso
nevo sebaceo.
La sindrome del nevo sebaceo, di riscontro molto raro, è di natura
simile alla sindrome del nevo epidermico e può presentare fenotipi
variabili. Il sistema nervoso, compreso l’occhio, quelli muscolosche­
letrico, cardiovascolare e urogenitale possono essere coinvolti in
grado variabile. Le aree cutanee interessate, in pazienti con questa
sindrome, sono particolarmente ampie. Le lesioni possono essere
presenti in qualunque regione del corpo e sono spesso multiple.
Patogenesi. Il nevo sebaceo è ritenuto un processo amartoma­
toso dell’epidermide e degli annessi cutanei. Le cause e il meccani­
smo specifici non sono ancora chiari.
Istologia. Le caratteristiche istopatologiche dipendono dall’età
del paziente e sono meno eclatanti prima della pubertà. Le lesioni
prepuberali di solito non mostrano coinvolgimento degli annessi,
42
Apparato tegumentario
mentre dopo la pubertà la mancanza di follicoli piliferi terminali
diventa un riscontro pressoché universale; i follicoli piliferi del vello
sono spesso presenti, ma in numero ridotto. Sono visibili ghiandole
sebacee molto evidenti che, nella maggior parte dei casi, si aprono
direttamente sulla superficie dell’epidermide. L’epidermide sovra­
stante la lesione mostra acantosi e papillomatosi; inoltre si nota
spesso la presenza di ghiandole apocrine.
Trattamento. Nel caso in cui si decida di intraprendere un trat­
tamento, la scelta di elezione è l’escissione chirurgica completa,
anche al fine di evitarne la trasformazione maligna. Un approccio
diverso è l’attesa con osservazione routinaria: se il nevo sebaceo
mostra un cambiamento di qualunque tipo, va eseguita prontamente
una biopsia. Esistono scuole di pensiero diverse relativamente al
periodo nel quale effettuare il trattamento: poiché il rischio di tra­
sformazione maligna è relativamente basso, è possibile attendere
che il paziente sia abbastanza grande da decidere autonomamente.
La dimensione e la localizzazione della lesione condizionano il tipo
di escissione chirurgica e di sutura.
Il trattamento della rara sindrome del nevo sebaceo richiede un
approccio multidisciplinare.
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
Tavola 2.30
ostEoma
Neoformazioni cutanee benigne
cutis
L’osteoma cutis è un tumore benigno raro con formazione di tessuto
osseo nella cute; può essere primario o secondario. L’osteoma cutis
primario è idiopatico, mentre quello secondario può essere causato
da traumi o da fenomeni infiammatori cutanei, nonché da anomalie
del metabolismo dell’ormone paratiroideo, caso in cui viene definito
ossificazione metastatica. La forma secondaria è di riscontro più
frequente rispetto alla forma idiopatica.
Quadro clinico. L’osteoma cutis primario non è associato ad
alcun disordine di base e può manifestarsi come un nodulo, una
placca o un indurimento della cute a forma di placca. Alcuni sono
di dimensioni ridotte, mentre altri raggiungono dimensioni più
importanti tanto da causare fastidio. Maschi e femmine ne sono
affetti nella stessa misura, senza alcuna predilezione di razza e
l’età di insorgenza è variabile: l’osteoma cutis a placca è una forma
primaria che può insorgere nei primi mesi di vita e addirittura essere
presente alla nascita e che si localizza preferenzialmente a livello
delle regioni acrali.
Con il tempo queste lesioni tendono a dare luogo alla formazione
di erosioni e ulcerazioni dell’epidermide sovrastante e successive
estrusione ed espulsione di piccole parti dell’osteoma localizzato
nel derma sottostante. Oltre che per questo motivo, i pazienti pos­
sono presentarsi a consulto medico per la presenza di un’area
cutanea ispessita o indurita senza anamnesi di precedente trauma
o patologie infiammatorie. Il potenziale maligno è nullo.
Gli osteomi cutanei primari possono far parte di una patologia
ereditaria, l’osteodistrofia ereditaria di Albright, caratterizzata da una
serie di segni quali bassa statura, osteoma cutis, ritardo psicofisico
e brachidattilia; anche un’obesità di grado variabile e un aspetto
tondeggiante del viso sono frequenti. La causa risiede in un difetto
del gene GNAS che codifica per una proteina G stimolatoria (G s)
responsabile della trasmissione del segnale cellulare durante la
produzione di adenosina monofosfato ciclico (cAMP). Sono stati
descritti casi di questa sindrome che si manifestano con una resi­
stenza all’ormone paratiroideo, ma non tutti i pazienti ne sono affetti;
queste differenze sono probabilmente dovute alla complessità del
modello di trasmissione e, inoltre, alla via di trasmissione del gene
mutato che può essere materna, paterna o combinata. Molti pazienti
presentano in associazione anche ipocalcemia e iperfosfatemia.
L’osteoma cutis secondario è nettamente più frequente di quello
primario (rapporto di circa 9:1). Il deposito di tessuto osseo può
insorgere in una qualunque area precedentemente interessata da un
trauma cutaneo, da cisti acneiche o cisti epidermiche da inclusione,
oltre che da pilotricoma, un tumore benigno che si manifesta spesso
durante l’infanzia. Le patologie infiammatorie associate all’osteoma
cutis includono la dermatomiosite e la sclerodermia.
La fibrodisplasia ossificante progressiva o miosite ossificante
congenita è una condizione genetica rara in cui il tessuto connettivo
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
subisce una trasformazione in tessuto osseo a seguito di traumati­
smi di piccola entità con insorgenza di osteomi secondari. Oltre alla
cute possono essere coinvolti il muscolo e altri tessuti sottostanti.
Questa malattia, unica nel suo genere, causata da formazione di
tessuto osseo encondrale, è progressiva e può portare a morte
precoce.
Patogenesi. Le forme primarie di osteoma cutis mostrano
ossificazione intramembranosa localizzata nel derma in assenza di
tessuto cartilagineo preesistente che possa guidare la formazione
di osso. La causa esatta è sconosciuta: si è scoperto che la proteina
G difettosa alterata nell’osteodistrofia ereditaria di Albright è fonda­
mentale nei meccanismi regolatori del tessuto osseo, ma la ragione
per la quale alcune aree cutanee siano affette mentre altre non
mostrino segni di compromissione non è stata ancora chiarita.
Istologia. Nel derma o nel tessuto sottocutaneo sono visibili aree
di formazione di tessuto osseo per ossificazione intramembranosa,
in assenza di tessuto cartilagineo che possa fungere da supporto.
Trattamento. L’osteoma cutis secondario può essere rimosso
ricorrendo a diverse tecniche chirurgiche. È possibile creare una pic­
cola incisione al di sopra dell’area coinvolta e rimuovere l’osteoma
mediante courettage o laser resurfacing: queste metodiche hanno
prodotto i risultati migliori, ma possono essere particolarmente
lunghe e laboriose in caso di lesioni multiple (quali quelle osservabili
in alcuni casi di osteoma cutis associato ad acne). Il trattamento
dell’osteoma cutis primario a placca è la rimozione chirurgica.
L’osteodistrofia ereditaria di Albright e la fibrodisplasia ossificante
progressiva richiedono un approccio multidisciplinare in centri
specializzati.
43
Tavola 2.31
Apparato tegumentario
nEuroma
capsulato
con cEllulE a palizzata
Il neuroma capsulato con cellule a palizzata (Palisaded Encapsulated
Neuroma, PEN) è un tumore benigno raro che deriva dal tessuto
nervoso, conosciuto anche come neuroma solitario circoscritto; è
localizzato più frequentemente a livello di testa e collo.
Quadro clinico. I PEN si manifestano più di frequente a livello
di testa e collo e nella quarta e quinta decade di vita; maschi e
femmine ne sono affetti in misura sovrapponibile senza predilezione
di razza. Le lesioni si presentano come papule o noduli dermici
cupoliformi, di consistenza dura, perlopiù solitari; l’epidermide
sovrastante è normale. Questi tumori benigni hanno una crescita
lenta fino a raggiungere, dopo anni, una dimensione che non supera
1 cm di diametro ma che causa disagio al paziente; vengono spesso
diagnosticati come nevi composti o carcinomi basocellulari, ma la
diagnosi definitiva è istologica. Questi tumori tendono a svilupparsi
sul margine palpebrale a livello del passaggio tra cute cherati­
nizzata e mucosa; in molti casi vengono diagnosticati e rimossi
dagli oftalmologi. Nella maggior parte dei casi sono asintomatici,
ma occasionalmente possono essere dolenti; non si associano ad
altri segni sistemici o neurologici. I neuromi di origine traumatica
(neuroma d’amputazione), al contrario, si localizzano nella sede del
trauma, specialmente a livello del moncone dei siti di amputazione,
poiché sono causati da ipertrofia e proliferazione delle terminazioni
nervose recise. L’aspetto è quello di noduli dermici solidi di consi­
stenza dura, dolenti alla palpazione.
Patogenesi. Il PEN è un tumore derivato dal tessuto nervoso: si
ritiene che la causa sia una proliferazione della cellula di Schwann,
ma il meccanismo o il segnale che dà inizio alla sua formazione
non è ancora stato chiarito. L’origine dalla cellula di Schwann è
fondamentale per differenziare questo tumore da altri che derivano
dal tessuto nervoso. Si ritiene che la capsula, che origina da cellule
perineurali e fasci di collagene, sia il risultato di una reazione alla
proliferazione delle cellule di Schwann.
Istologia. Il PEN mostra una capsula evidente e molto ben
demarcata derivata da collagene e cellule perineurali. Il tumore
è interamente localizzato nel derma e l’epidermide sovrastante ha
un aspetto normale; l’infiltrato infiammatorio è assente. Il tumore è
composto da fasci di cellule fusiformi variamente orientate. La dia­
gnosi differenziale con altri tumori di origine nervosa quali schwan­
nomi, neurofibromi e neuromi di origine traumatica si avvale delle
reazioni immunoistochimiche: la capsula è positiva per l’antigene
epiteliale di membrana (Epithelial Membrane Antigen, EMA); tale
positività viene utilizzata per localizzare con precisione le cellule
perineurali della capsula. Il tumore, invece, è positivo per S100,
vimentina e collagene di tipo IV, le reazioni immunoistochimiche
44
tipiche delle cellule di Schwann; pertanto, una positività a questi
antigeni indica con certezza l’origine della lesione. I neurofibromi
non presentano una capsula che circoscrive il tumore. Gli schwan­
nomi si differenziano in base alla localizzazione sottocutanea e alla
presenza nel contesto della neoformazione di due aree di cui una
ricca di cellule Antoni A e l’altra scarsamente cellulata Antoni B. I
neuromi di origine traumatica non sono capsulati e risultano formati
da tutte le componenti individuali del tessuto nervoso leso.
Trattamento. L’escissione completa è sia diagnostica sia ri­
solutiva. Il tumore recidiva raramente dopo escissione ellittica; il
potenziale maligno è nullo e il paziente va rassicurato sull’assenza
di associazioni con sindromi neurologiche sottostanti. I neuromi
di origine traumatica possono essere a loro volta curati mediante
escissione chirurgica, ma possono recidivare in una piccola percen­
tuale dei casi; un aspetto critico del loro trattamento è rappresentato
dal controllo del dolore.
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
Tavola 2.32
Neoformazioni cutanee benigne
cisti pilarE
(cisti trichilEmmalE)
Le cisti pilari, dette anche cisti sebacee o cisti trichilemmali, sono
neoformazioni benigne relativamente comuni che insorgono preva­
lentemente a livello dello cuoio capelluto. Di solito solitarie, in alcuni
casi possono essere multiple. Sul piano clinico somigliano alle cisti
epidermiche da inclusione, pur essendo la patogenesi totalmente
differente. Esiste una variante maligna in grado di metastatizzare
chiamata cisti trichilemmale proliferante maligna. La trasformazione
maligna è estremamente rara. In alcuni casi il quadro ha carattere
ereditario.
Quadro clinico. Le cisti pilari insorgono solitamente a livello
del cuoio capelluto. Possono essere scambiate per cisti epidermi­
che da inclusione: gli aspetti clinici differenziali più rilevanti sono
l’assenza di un meato centrale e una maggiore consistenza delle
cisti trichilemmali. L’insorgenza è più frequente negli adulti ed è
più alta nelle donne rispetto agli uomini; l’aspetto tipico è quello
di un nodulo dermico di consistenza dura, a lento accrescimento,
senza meato centrale e ricoperto da cute sana. Al contrario delle
cisti epidermiche, non drenano mai secrezioni e si infiammano
molto raramente; sono perlopiù asintomatiche e il motivo per
il quale il paziente richiede consulto medico è la presenza di un
nodulo in accrescimento. Un altro criterio di differenziazione tra le
cisti da inclusione e le cisti pilari è il potenziale di trasformazione
maligna, quasi assente nelle prime e più alto, seppure di poco,
nelle seconde.
Alcune famiglie mostrano un’ereditarietà per queste lesioni di
tipo autosomico dominante. Il difetto genetico non è stato ancora
scoperto, ma un gene candidato è stato mappato sul cromosoma
3. Nella variante ereditaria di cisti pilare è infrequente il rilievo di
lesioni multiple e molti pazienti affetti da questa forma mostrano
cisti solitarie.
Patogenesi. Le cisti pilari vengono dette cisti trichilemmali a
causa della loro origine dalla guaina esterna del follicolo pilifero, che
va incontro a cheratinizzazione trichilemmale, unica nel suo genere
poiché a questo livello lo strato granuloso è assente. Si pensava che
la forma ereditaria di questa lesione potesse essere causata da un
deficit nel gene che codifica per la proteina b­catenina, ma questa
ipotesi è stata in seguito smentita mappando sul braccio corto del
cromosoma 3 il gene responsabile, che non è stato ancora definito.
Si ritiene che queste cisti derivino dall’istmo di peli in fase anagen;
rispetto alle cisti da inclusione si originano da elementi più profondi
del follicolo pilifero.
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
Istologia. Le cisti pilari sono composte da strati compatti di
epitelio squamoso stratificato che non presenta lo strato granuloso;
sono situate nel derma e l’epidermide sovrastante non mostra
alterazioni.
Queste cisti, caratterizzate dall’assenza di molecole di adesione
intercellulare, possono mostrare fenomeni di calcificazione o os­
sificazione; un criterio molto utile per la loro classificazione è la
presenza di un caratteristico bordo costituito da piccole cellule
basali disposte a palizzata e da assisi di cellule spinose nella parte
interna. Al centro della cisti è presente cheratina omogenea, pallida,
compatta ed eosinofila.
Trattamento. La semplice escissione chirurgica è risolutiva,
con un tasso di recidiva minimo. La rimozione può essere effettuata
semplicemente incidendo la cute fino alla parete della cisti: la lesione
tende a “sgusciare” fuori applicando una lieve pressione laterale.
Dopo la rimozione va posta attenzione nel ridurre lo spazio morto ri­
sultante per evitare la formazione di sieromi; a tale scopo è possibile
rimuovere l’epidermide ridondante e suturare i tessuti profondi.
45
Tavola 2.33
Apparato tegumentario
porochEratosi3
Le porocheratosi sono un gruppo di proliferazioni cutanee benigne
tra le quali le più comuni e meglio descritte sono la porocheratosi
attinica disseminata superficiale (Disseminated Superficial Actinic
Porokeratosis, DSAP), la porocheratosi di Mibelli, la porocheratosi
palmoplantare disseminata e la porocheratosi puntata. Tutte le
varianti condividono il medesimo stato patologico di base, così
come i quadri clinici e le caratteristiche istopatologiche. Esistono
molte altre varianti più rare.
Quadro clinico. Le porocheratosi vengono ereditate di solito
secondo una modalità autosomica dominante. Si manifestano
a partire dalla terza e quarta decade di vita, più comunemente
sulle aree fotoesposte. Le lesioni possono variare in dimensione ed
essere minuscole oppure misurare qualche centimetro di diametro,
mediamente da 1 a 2; l’aspetto è quello di placche sottili di colore
variabile da quello della cute sana al roseo o iperpigmentato con
atrofia centrale e bordo ipercheratosico quasi patognomonico che
circonda l’intera lesione.
La DSAP è la forma più comune e meglio riconoscibile. I pazienti
affetti presentano una storia familiare di affezioni cutanee simili e le
lesioni sono quasi del tutto localizzate nelle aree esposte alla luce
solare: gli individui esposti a maggiore quantità di raggi ultravioletti
nel corso della loro vita avranno con maggiore probabilità lesioni più
numerose oltre che più evidenti. La maggior parte delle porocheratosi
è asintomatica e i pazienti richiedono consulto medico per l’aspetto
delle lesioni, o perché se ne continuano a sviluppare di nuove nel corso
del tempo. Nella maggior parte dei casi hanno un colore variabile da
quello della cute sana al roseo al rosso; alcune possono presentare
un evidente aspetto infiammatorio con eritema e formazione di croste.
Poiché è stata riportata la trasformazione in carcinoma squamocellu­
lare, è opportuno invitare i pazienti a un ulteriore controllo nel caso in
cui le lesioni dovessero presentare cambiamenti quali neoformazioni
o ulcerazioni. Le porocheratosi si manifestano a livello delle estremità
più frequentemente che non sulla cute del volto.
La porocheratosi di Mibelli si presenta come una lesione solitaria
o come un gruppo di lesioni a disposizione lineare, con una morfo­
logia identica a quella precedentemente descritta; si tratta di una
placca con un orlo ipercheratosico; può comparire in qualunque
area del corpo.
La porocheratosi palmoplantare disseminata è una variante spe­
cifica che esordisce durante la terza o quarta decade di vita, inizial­
mente interessa la cute di mani e piedi e può divenire generalizzata
in seguito; le lesioni in sede palmoplantare possono causare fastidio
al paziente. Questa variante si trasmette con modalità autosomica
dominante. La porocheratosi puntata è una variante clinica rara
localizzata sulle palme e sulle piante. Le lesioni misurano da 0,5 a
1 cm di diametro e presentano un orlo ben definito di ipercheratosi;
possono essere confuse con verruche.
3
Dovrebbero essere inquadrate tra i disturbi della cheratinizzazione come
le ittiosi, ecc (NdC).
46
Patogenesi. Si ritiene che il meccanismo patogenetico di tutte
le varianti di porocheratosi consista in un’anomalia della proli­
ferazione cheratinocitaria: l’espansione clonale dei cheratinociti
anomali conduce allo sviluppo dell’orlo ipercheratosico, riconoscibile
come lamella cornea all’esame istopatologico. Non è ancora stato
identificato alcun difetto genetico.
La porocheratosi è di più comune riscontro nei pazienti sottopo­
sti a terapia immunosoppressiva cronica (ad es. dopo trapianto
d’organo) e in quelli affetti da HIV: questa osservazione fornisce
una prova indiretta del fatto che l’immunosoppressione cronica
può condurre a ridotta sorveglianza tumorale e, di conseguenza,
allo sviluppo di porocheratosi.
Istologia. Il tratto bioptico tipico della porocheratosi è costituito
dalla lamella cornea, rappresentazione istopatologica dell’orlo iper­
cheratosico osservabile all’esame obiettivo, che si presenta ruotata
rispetto al centro della lesione. Al di sotto della lamella lo strato
granuloso è spesso assente o notevolmente assottigliato. L’aspetto
del centro della lesione varia a seconda delle varianti cliniche, con
presenza di atrofia o acantosi. Non è raro osservare la presenza
di infiltrato infiammatorio prevalentemente linfocitario al di sotto
della lesione.
Trattamento. Il trattamento è difficile e spesso fallimentare a
causa del coinvolgimento sistemico osservato, ad esempio, nella
DSAP. Sono consigliati l’uso di schermi solari e, in genere, la pro­
tezione dai raggi UV.
Le lesioni solitarie possono essere rimosse chirurgicamente,
mentre quelle disseminate possono essere trattate mediante abla­
zione con laser CO2, terapia locale con 5­fluorouracile o dermoa­
brasione; queste terapie tuttavia possono non essere efficaci e
lasciare esiti cicatriziali.
È infine essenziale il controllo dermatologico routinario a causa
del rischio di trasformazione maligna.
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
Tavola 2.34
granuloma
Neoformazioni cutanee benigne
piogEnico
I granulomi piogenici sono comuni neoformazioni cutanee benigne
che spesso insorgono dopo un trauma e possono essere indotte
da alcune famiglie di farmaci; la loro incidenza inoltre aumenta
durante la gravidanza. Sono tumori vascolari (emangioma) oppure
sono costituiti dalla proliferazione di tessuto vascolare. Si riscontrano
in tutte le razze senza predilezione di età o di sesso, se si eccettua
l’aumento di incidenza tipico della gravidanza.
Quadro clinico. L’obiettività cutanea è costituita da una papula
o da un nodulo sanguinante, di colore rosso scuro con un collaretto
squamoso. I granulomi piogenici sono friabili e sanguinano facil­
mente se manipolati. In anamnesi frequentemente viene riferito
un trauma che precede la comparsa della lesione. Le lesioni, di
solito piccole (5 mm), possono raggiungere il diametro di 1­2 cm.
L’escrescenza può insorgere anche a livello della mucosa, oltre
che in sede periungueale. Queste lesioni possono essere causa
di fastidio e occasionalmente superinfettarsi. Un rilievo caratteri­
stico è il segno “del cerotto”, ovvero una dermatite da contatto
circostante la lesione causata dall’uso frequente di cerotti per co­
prire il granuloma a causa della sua tendenza a sanguinare, anche
copiosamente. I granulomi piogenici sono particolarmente frequenti
durante la gravidanza e possono essere osservati sulla mucosa
gengivale, che ne rappresenta la localizzazione orale più comune.
La guarigione spontanea è rara. La diagnosi differenziale include altri
tumori con componenti vascolari importanti quali la metastasi da
carcinoma, soprattutto renale, l’angiomatosi bacillare e il melanoma
amelanotico; i granulomi piogenici vengono perlopiù rimossi e la
diagnosi è confermata dall’esame istopatologico.
Patogenesi. Si ritiene che i granulomi piogenici insorgano a
seguito di un trauma o a causa dell’utilizzo di vari farmaci, per
proliferazione iperplastica del tessuto vascolare; i traumatismi
cronici localizzati possono causare il rilascio di fattori di crescita
vascolare che possono indurre la proliferazione stessa. Non è
stato evidenziato alcun tipo di trasmissione ereditaria; i granulomi
piogenici sono pertanto considerati eventi sporadici. Il meccanismo
della loro formazione è ancora poco chiaro; il fatto che siano più
comuni durante la gravidanza suggerisce però un ruolo da parte di
meccanismi regolatori ormonali non meglio precisati.
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
Istologia. I granulomi piogenici vengono anche detti emangiomi
lobulari capillari, dizione che li descrive in maniera eccellente: la
lesione è una neoformazione esofitica con una configurazione
lobulare. Il tumore è di solito ben circoscritto e circondato da un
colletto di epitelio iperplastico; in ogni lobulo sono presenti numerosi
glomeruli capillari e tra i lobuli, che presentano dimensioni diverse,
sono interposti tralci di tessuto fibroso. È frequente il riscontro di
ulcerazioni superficiali dovute all’assottigliamento dell’epidermide.
Le cellule coinvolte non mostrano caratteristiche specifiche.
Trattamento. La maggior parte dei granulomi piogenici viene
rimossa mediante raschiamento e courettage con cauterizzazione
della base della lesione. Questi tumori possono recidivare e occa­
sionalmente può rendersi necessaria un’escissione ellittica. L’ap­
plicazione di nitrato d’argento e l’ablazione con dye laser pulsato
sono state utilizzate con successo; nel caso in cui i granulomi siano
secondari all’uso di farmaci, l’interruzione della terapia può in alcuni
casi essere sufficiente per la risoluzione, per quanto sia spesso
necessaria la rimozione chirurgica anche in questi casi.
47
Tavola 2.35
Apparato tegumentario
rEticoloistiocitoma
I reticoloistiocitomi, detti anche istiocitomi epitelioidi solitari, sono
costituiti da agglomerati dermici di grandi istiociti eosinofili ca­
ratterizzati da citoplasma di aspetto “vitreo”. I reticoloistiocitomi
fanno parte del gruppo più vasto delle istiocitosi ma, al contrario
delle altre malattie di questa famiglia, i pazienti presentano livelli
lipidici normali.
I reticoloistiocitomi possono manifestarsi come neoformazioni
solitarie o multiple, come nel caso della reticoloistiocitosi multicen­
trica. La variante solitaria è la più frequente; da un punto di vista
istopatologico le due varianti sono identiche. La reticoloistiocitosi
multicentrica è una malattia rara con coinvolgimento sistemico: può
essere considerata un marker di patologia tumorale e i pazienti sono
affetti da artrite grave.
Quadro clinico. Le lesioni solitarie sono di solito noduli
dermici di consistenza dura e diametro variabile da 1 a 2 cm,
solitamente asintomatici. La colorazione può variare tra il roseo
e il rosso­marrone. Le localizzazioni più comuni sono testa e
collo, ma sono stati descritti in ogni zona del corpo; insorgono
con frequenza analoga in maschi e femmine e non mostrano
predilezione di razza.
La reticoloistiocitosi multicentrica è caratteristica per età di in­
sorgenza, nella popolazione anziana, e per la frequenza maggiore
nei soggetti di sesso femminile. Il numero delle lesioni può variare
da centinaia a migliaia; le lesioni si localizzano preferenzialmente in
corrispondenza del dorso delle mani e del viso. Un segno altamente
specifico di questa affezione, definito “a perle di corallo”, è rap­
presentato dalla presenza di piccole papule lungo il solco ungueale
laterale e prossimale. Questi pazienti inoltre soffrono di artropatia
grave, perlopiù a carico delle articolazioni interfalangee, soprattutto
distali. Una volta posta diagnosi di reticoloistiocitosi multicentrica è
necessario avviare indagini per la ricerca di eventuali tumori maligni
mediante uno screening mirato in base all’età del paziente, poiché
si stima che nel 25% circa dei casi la reticoloistiocitosi multicen­
trica sia una condizione paraneoplastica associata a diversi tipi di
tumore senza che nessuno di essi prevalga per incidenza. In circa
un terzo dei pazienti i sintomi articolari precedono lo sviluppo del
tumore, in un terzo vengono evidenziati contemporaneamente,
mentre nel restante terzo risultano minimi se non assenti. L’ar­
tropatia è di tipo infiammatorio, grave, simmetrica e poliarticolare;
in alcuni casi può svilupparsi in artrite mutilante, anche in tempi
molto brevi, ma la diagnosi e il trattamento precoce sembrano
essere di aiuto nel rallentare la progressione. Questa patologia è a
tutti gli effetti sistemica: è stato descritto il coinvolgimento di quasi
tutti gli apparati, a volte con esiti fatali, e molti pazienti presentano
interessamento cardiaco.
Patogenesi. Si ritiene che la reticoloistiocitosi multicentrica e
il reticoloistiocitoma solitario rappresentino un disordine raro degli
istiociti a eziologia ancora sconosciuta.
Istologia. Il tumore è costituito da un infiltrato dermico ben
circoscritto privo di capsula composto quasi del tutto da istiociti con
citoplasma di aspetto “a vetro smerigliato”.
48
Sono evidenti anche alcune cellule giganti multinucleate, con più
di tre nuclei di morfologia variabile. Le cellule sono CD45 e CD68
positive, ma non S100.
L’indagine ultrastrutturale non mette in evidenza cellule di
Langerhans.
Trattamento. I reticoloistiocitomi solitari sono suscettibili di cura
mediante escissione ellittica semplice, dopo la quale raramente
recidivano. La reticoloistiocitosi multicentrica richiede, al contrario,
approccio mediante terapia sistemica nonché vigilanza costante
e screening per patologie neoplastiche appropriato per l’età del
paziente.
I farmaci storicamente utilizzati sono corticosteroidi, metotrexato,
idrossiclorochina e ciclofosfamide. Sono stati impiegati anche
agenti anti­tumor necrosis factor (anti­TNF), tutti con l’obiettivo
di prevenire le eventuali neoplasie e prevenire o sopprimere
l’artropatia.
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
Tavola 2.36
Neoformazioni cutanee benigne
chEratosi
sEborroica
o vErruca sEborroica
La cheratosi seborroica rappresenta una delle neoformazioni beni­
gne più comuni in assoluto. Le lesioni possono assumere qualunque
forma e dimensione e vengono osservate quasi invariabilmente
in tutti i pazienti al di sopra dei 40 anni, età a partire dalla quale
iniziano non solo a comparire ma anche ad aumentare di numero.
Il potenziale di trasformazione maligna è nullo, ma assumono una
certa importanza clinica a causa della loro somiglianza con altri
tumori cutanei, primo tra tutti il melanoma.
Quadro clinico. Le cheratosi seborroiche si osservano in uguale
misura nei maschi e nelle femmine, senza predilezione di razza.
Cominciano a manifestarsi a partire tra la terza e la quinta decade
di vita per continuare ad aumentare di numero con il tempo. Forma e
dimensioni variano: alcune sono piccole, altre possono raggiungere
un diametro di 5 o 6 cm. Sono localizzate quasi esclusivamente in
aree di cute fotoesposte. La descrizione classica è quella di una
placca che sembra “incollata” alla cute di 1 o 2 cm di diametro,
con piccole cisti cornee. Il colore è spesso quello della cute sana
ma può essere più scuro, marrone fino a nero, tanto che queste
lesioni possono essere scambiate per melanomi. La maggior parte
degli individui presenta poche cheratosi sparse, ma alcuni pazienti
anche centinaia.
Esistono molte varianti cliniche di cheratosi seborroica. La
cheratosi acroposta, o stucco cheratosi, si presenta con piccole
(1­5 mm) papule o chiazze di colore grigio scuro che sembrano
“incollate” alla cute; la localizzazione tipica in questo caso è a livello
delle estremità inferiori. La dermatite papulosa (papulosi nigra) è
una condizione di tipo ereditario caratterizzata dall’insorgenza di
cheratosi seborroiche multiple su volto e collo.
Le cheratosi seborroiche hanno una superficie in alcuni casi li­
scia, ma più frequentemente di aspetto “a ciottolo” o ruvida e secca.
Una caratteristica distintiva delle lesioni è il fatto che sembrano
“incollate” alla cute; a volte possono essere facilmente rimosse
grattandole con delicatezza. L’irritazione o l’infiammazione è abba­
stanza frequente e i sintomi che ne conseguono quali dolore, prurito
o sanguinamento inducono il paziente al consulto medico.
Il segno di Leser­Trélat consiste nella comparsa improvvisa e
rapida di cheratosi seborroiche multiple ed è associato alla presenza
di patologia neoplastica maligna, per quanto non sia stato ancora
validato come indicatore affidabile in tal senso.
Istologia. Si nota una proliferazione ben circoscritta di cherati­
nociti con un pattern di crescita esofitico. Sono presenti acantosi e
ipercheratosi; si riscontra di frequente una papillomatosi marcata.
Nelle cheratosi seborroiche è possibile osservare due tipi di cisti:
la cisti cornea, che si sviluppa dall’epidermide ed è costituita da
una cavità piena di cheratina circondata da uno strato cellulare
granuloso, e la pseudocisti cornea, formata da un’invaginazione
dello strato corneo nell’epidermide sottostante. Sono stati descritti
diversi sottotipi istologici.
Patogenesi. I meccanismi tramite i quali una cheratosi seborroica
si forma non sono ancora del tutto chiari; si sa per certo che la causa
è una proliferazione cheratinocitaria nell’epidermide. La localizzazione
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
sulla cute esposta al sole e l’incremento del numero delle lesioni
con l’aumentare dell’età hanno indotto alcuni a pensare che la
proliferazione sia causata da una soppressione locale del sistema
immunitario. Non è stato individuato alcun tipo di ereditarietà e non
sono stati evidenziati difetti cromosomici, per quanto queste cheratosi
mostrino una predisposizione genetica. Un legame con il papillomavi­
rus umano (HPV) è stato ipotizzato ma non ancora provato.
Trattamento. La terapia non è necessaria; nel caso in cui le le­
sioni divenissero irritate o infiammate, una biopsia per raschiamento
risulta risolutiva. Sia la crioterapia sia il courettage sono utilizzati per
il trattamento, entrambi con elevata efficacia. Nel primo caso dopo
la seduta di solito si forma una bolla alla base della cheratosi che
si risolve in un giorno o due; un’altra tecnica ambulatoriale molto
efficace e che consente l’analisi istopatologica si basa sull’utilizzo
sequenziale di crioterapia e courettage leggero. In alcuni casi le
lesioni più scure possono essere scambiate per melanomi e in
altri un melanoma può insorgere in regioni adiacenti alla cheratosi,
rendendo la diagnosi molto difficile.
Nei casi dubbi, anche minimi, è necessario procedere a biopsia
ed esame istopatologico.
49
Tavola 2.37
nEvo
di
spitz-allEn
I nevi di Spitz­Allen sono nevi melanocitari acquisiti più frequenti
in età pediatrica. Il nevo di Spitz­Allen classico è una neoforma­
zione benigna conosciuta anche come nevo a cellule fusate, con
potenziale di trasformazione maligna minimo. In passato veniva
anche definito “melanoma giovanile benigno”, termine da evitare in
quanto il termine melanoma andrebbe riservato ai soli casi maligni.
Le difficoltà sorgono nei casi a presentazione atipica, che pos­
sono essere difficili da distinguere dal melanoma, specialmente
nei casi insorti negli adulti, in cui questo nevo è raro. Pertanto,
termini come lesione melanocitica di tipo spitzoide atipica, nevo
di Spitz-Allen atipico e tumore spitzoide di potenziale incerto sono
entrati nel lessico dermatologico per descrivere queste difficoltà di
inquadramento nosografico.
Quadro clinico. Il nevo di Spitz­Allen classico insorge durante
l’età infantile come una lesione di colore marrone­rossastro, unifor­
me per pigmentazione e bordi regolari, cupoliforme e a superficie
liscia. Maschi e femmine ne sono affetti in uguale misura; l’incidenza
è maggiore nella popolazione caucasica. La localizzazione più comu­
ne è a livello degli arti inferiori; le dimensioni possono variare, ma
il diametro medio misura tra i 5 e i 10 mm. Pur essendo di solito
solitari, sono stati descritti casi con alcune lesioni raggruppate
(nevo di Spitz­Allen agminato). La diagnosi differenziale include il
nevo comune acquisito, il pilomatricoma, il dermatofibroma, i tumori
annessiali e lo xantogranuloma giovanile. Nella maggior parte dei
casi i nevi di Spitz­Allen sono asintomatici e diagnosticati casual­
mente, ma possono, molto raramente, presentare sanguinamento
spontaneo o cambiamenti di colore.
Patogenesi. Il nevo di Spitz­Allen è una lesione melanocitaria
derivata da melanociti fusati o epitelioidi; il fattore o i fattori sca­
tenanti sono sconosciuti. Queste lesioni presentano caratteristiche
specifiche, e la loro patogenesi è verosimilmente differente da quella
dei nevi melanocitici sia congeniti sia acquisiti.
Istologia. Il nevo di Spitz­Allen classico è un nevo composto
simmetrico e con proliferazione dei melanociti che non travalica i
limiti laterali della lesione; i melanociti mostrano una maturazione
corretta dalla base all’apice della lesione, e non mostrano pattern
pagetoide (melanociti isolati distribuiti nell’epidermide). Le cellule
50
Apparato tegumentario
del nevo di Spitz­Allen mostrano morfologia fusata o epitelioide;
un segno specifico è rappresentato dai corpi di Kamino. Queste
strutture, eosinofile, possono essere solitarie o tendere a riunirsi in
globuli più grandi. I corpi di Kamino si trovano in giustapposizione
con la membrana basale e sono costituiti da elementi della mem­
brana basale, in particolare da collagene di tipo IV. Non esiste alcuna
reazione immunoistochimica che differenzi il nevo di Spitz­Allen dal
melanoma: la diagnosi è piuttosto semplice nel caso delle lesioni
ad aspetto tipico ed estremamente difficile nei casi con caratteri­
stiche sfumate.
Trattamento. L’escissione completa di un nevo di Spitz­Allen
classico è risolutiva, oltre a permettere un adeguato esame isto­
patologico. Le lesioni di aspetto aspecifico andrebbero sottoposte
a revisione chirurgica (allargamento) con margini conservativi, per
essere sicuri della loro completa rimozione. I nevi di Spitz­Allen
dell’adulto andrebbero sempre rimossi per svolgere un esame
istopatologico completo; i casi di lesioni melanocitiche difficili da
classificare o con caratteristiche sia del nevo di Spitz­Allen sia del
melanoma vanno trattati sempre come se fossero melanomi, con lo
spessore di Breslow a guidare la scelta della terapia successiva.
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA