Calma apparente a Santo Domingo
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Calma apparente a Santo Domingo
Repubblica Dominicana REuTERS/CoNTRASTo Vicente Noble, 25 agosto 2012. L’uragano Isaac Calma apparente a Santo Domingo Guadalupe de la Vallina, Jot Down, Spagna. Foto di Ricardo Rojas La vita scorre lenta e tranquilla. Ma dietro a quest’immagine da cartolina ci sono la corruzione, la violenza contro le donne e una riforma iscale impopolare el 2012 il presidente Leonel Fernández ha lasciato alla Repubblica Dominicana un buco di bilancio di quasi tre miliardi e mezzo di euro, più dell’8 per cento del pil, inanziando con i fondi pubblici la sua ambiziosa campagna elettorale. Per affrontare la situazione il nuovo governo del presidente Danilo Medina, eletto nel maggio del 2012, ha varato una riforma iscale che è stata ribattezzata N 50 Internazionale 1008 | 12 luglio 2013 paquetazo. Tra le altre misure, la riforma prevede un aumento delle imposte indirette e l’introduzione di una tassa sui prodotti di prima necessità. La pressione iscale colpisce soprattutto la classe media, già indebolita, e i più poveri. Quasi nessuno, però, riceve i servizi corrispondenti alle tasse che paga. Al mio arrivo a Santo Domingo l’atmosfera è rilassata. In un corridoio dell’aeroporto una giovane agente di polizia si avvicina a un collega accennando qualche passo di salsa. I dipendenti canticchiano gli ultimi successi della radio e chiacchierano tra loro approittando di una pausa per aiutare un turista. Come quasi tutti i luoghi comuni, anche questo è vero: nessuno ha fretta e nessuno è stressato. Non si stressa l’autista, che ci aspetta da ore perché l’orario di arrivo è stato comunicato male. E tutti credono che non si stressino neanche i turisti, anche se ci vogliono quattro persone e venticinque minuti per confermare che l’agenzia di cambio non può rilasciare una fattura a un’azienda. Una volta scesi dall’aereo non resta che decidere se intraprendere una crociata per l’eicienza come vorrebbe il piccolo europeo che è in noi (e uscirne sconitti) o abbracciare la ilosoia del vivere lentamente. In albergo una donna haitiana ci serve la colazione. Si capisce che è haitiana dalla tristezza dello sguardo. La storia del suo paese, recente e passata, le dà molte ragioni per sospettare di tutti, e dei dominicani in particolare. Capisco il motivo quando chiedo l’origine del nome del rio Masacre, che segna il conine tra Haiti e la Repubblica Dominicana. Qui nel 1937, per ordine del dittatore dominicano Rafael Leónidas Trujillo, morirono almeno quindicimila persone: chi non sapeva pronunciare la parola spagnola perejil (prezzemolo) era haitiano e quindi doveva essere ucciso. Nel 2010 il terremoto che ha devastato Haiti ha fatto avvicinare i due popoli: i dominicani hanno aperto le frontiere per soccorrere gli sfollati provenienti da Port-auPrince. Ma il razzismo contro gli haitiani è ancora molto difuso. Ecco la prima crepa nella calma dominicana. Uniformi Sul pulmino che mi aspetta all’aeroporto vedo un adesivo con una mitragliatrice e una barra sopra. Lo interpreto come un manifesto paciista, invece è il simbolo uiciale che vieta di entrare con un’arma nei bar, negli alberghi e in tutti i locali che lo espongono. Nella Repubblica Dominicana il possesso di armi è legale e, sapendolo, mi rassicura vedere che per strada l’atmosfera è tranquilla. Dopo mezz’ora di viaggio sotto un sole benevolo, il nostro autista passa vicino a un gruppo di uomini in uniforme e aggrotta le sopracciglia. “Sono stato sequestrato dai militari”, spiega con lo stesso tono con cui poco prima ha parlato delle previsioni del tempo. Ecco la seconda crepa. “Hanno fermato il mio pulmino tagliandomi la strada”, aggiunge. “Mi hanno messo nel portabagagli, mi hanno picchiato, mi hanno derubato e poi mi hanno lasciato in mezzo al nulla. Ma ero vivo, grazie a Dio. So che erano dell’esercito perché si sono fermati a chiacchierare con altri uomini e parlavano nel gergo dei militari”. Mi rendo conto solo in quel momento della quantità di militari che girano per Santo Domingo senza necessità apparente. La Repubblica Dominicana non è un paese in guerra, non fa parte della Nato, non partecipa a missioni all’estero, eppure l’esercito è presente in quasi tutti i quartieri della città. Ai militari il lavoro non manca: prestano servizio per i funzionari del governo che hanno bisogno di autisti, di baby sitter o di qualsiasi altro tipo di assistenza. È normale che Luis, il nostro autista, non si idi dell’esercito. Ma anche chi non ha subìto un sequestro spera in una riforma dell’istituzione. Manuel, uno studente universitario cresciuto in una famiglia di militari, è entrato nella marina a diciott’anni. Ammette che molti suoi colleghi intascano mazzette e non subiscono le retate (illegali ma quotidiane) organizzate dalla polizia per fare soldi. Ricevono uno stipendio minimo, basso anche per la media del paese: 84 euro al mese. Hanno a disposizione un’assicurazione sanitaria familiare, l’accesso alle mense, i parrucchieri gratuiti e molti altri servizi, ma non c’è da stupirsi che cerchino metodi di inanziamento “alternativi”. Lo stesso succede nella polizia, dove un agente semplice guadagna 114 euro. Inoltre il basso livello generale d’istruzione e la combinazione di potere, armi e povertà non aiutano a guadagnarsi la iducia dei cit- Da sapere Il governo di Danilo Medina u Il 20 maggio 2012 Danilo Medina, del Partido de la liberación dominicana (di centro), viene eletto presidente con il 51,2 per cento dei voti contro Hipólito Mejía, che parla di brogli e contesta il risultato. u L’8 novembre 2012 il parlamento approva una riforma iscale che ha l’obiettivo di colmare il deicit lasciato dal predecessore Leonel Fernández. La riforma prevede l’aumento dell’iva e delle tasse su alcuni prodotti alimentari di prima necessità. Il giorno dopo uno studente di medicina di 21 anni, William Florián Ramírez, viene ucciso dalla polizia durante una manifestazione all’Universidad autónoma di Santo Domingo, la più grande università pubblica del paese. u Nell’aprile del 2013 nuove proteste contro la riforma iscale provocano una vittima tra gli studenti e una tra i poliziotti. tadini. Lo riconosce anche il tenente colonnello Manuel de Jesús Corporán, del commissariato di San Francisco de Macorís. Avrei dovuto visitare la città nei primi giorni sull’isola, ma ho dovuto rinunciare a causa delle manifestazioni violente che ci sono state durante uno sciopero del Frente amplio de lucha popular (Falpo). Un ragazzo è morto e nessuno sa chi abbia sparato: i manifestanti accusano la polizia, secondo gli agenti il ragazzo era un ladro colto in lagrante e tra la gente gira la voce di una resa dei conti tra narcotraicanti, che di solito sfruttano questo genere di scontri per fare un po’ di pulizia. La calma dominicana fa acqua da tutte le parti. Il tenente colonnello Corporán è preoccupato. Il 23 aprile 2013 il sindacato studentesco Felabel – considerato il braccio universitario del Frente amplio de lucha popular – ha convocato un altro sciopero all’Universidad autónoma di Santo Domingo (Uasd), la più antica del paese. Durante la protesta il colonnello Julián Suárez Cordero è morto per un colpo di arma da fuoco proveniente dalla zona dove manifestavano gli studenti. La polizia è la principale sospettata della morte del ragazzo durante la prima manifestazione e dissimula a malapena la sete di vendetta per l’uccisione di uno dei suoi uomini. Al punto che il 27 aprile Wilson Daciel Nicasio, uno degli studenti accusati di aver ucciso il colonnello Suárez, si è consegnato in diretta durante un programma della tv nazionale Ncdn: l’ha fatto per essere sicuro di non essere maltrattato, spiega Corporán, perché così i mezzi d’informazione seguiranno la sua storia. È un metodo comune: ci si consegna alle autorità quando si ha paura della loro reazione. Secondo Corporán, questa paura è giustiicata. Mi parla dei “cattivi poliziotti che si arruolano con un obiettivo diverso dalla tutela dei cittadini. Ci stiamo lavorando e speriamo che nel giro di due anni la situazione migliori”, dice. Ma non sa spiegarmi cosa dovrebbe favorire questo cambiamento radicale. Nei posti giusti Come rappresaglia per l’omicidio del colonnello, per la prima volta in democrazia il 25 aprile la polizia ha violato gli spazi universitari per perquisire la sede del Felabel, dove ha trovato delle armi e una parrucca. Secondo molte persone, sono prove piazzate dagli stessi agenti per poter sciogliere l’associazione studentesca, che ha alle spalle una lunga tradizione di protesta. In realtà Internazionale 1008 | 12 luglio 2013 51 Repubblica Dominicana tutte le associazioni universitarie dell’università di Santo Domingo sembrano più impegnate nella politica che nelle questioni legate alla vita universitaria. Basta dare un’occhiata ai loro nomi: Frente estudiantil de liberación Amín Abel (il Felabel), Frente estudiantil de liberación Flavio Suero, Fuerza juvenil de la revolución, Frente estudiantil socialdemócrata, Vanguardia estudiantil dominicana. Ogni associazione è legata a una formazione politica: in questo modo si assicura che i futuri leader dominicani siano pronti ad adeguarsi allo schema ideologico nazionale, fatto di una spettacolare retorica rivoluzionaria, ma lontano dai bisogni reali dei cittadini. La maggior parte degli studenti è iscritta a una delle associazioni, che offrono la mensa gratuita, pagano per loro alcuni servizi, gli garantiscono la priorità nelle iscrizioni alle lezioni e perino allo stesso corso di laurea. Secondo Laura de Jesús, disillusa dopo la sua esperienza come direttrice della resto della giornata ricorre a un generatore elettrico che consuma quattro litri di combustibile al giorno e costa diciotto euro. Finisce per pagare 434 euro al mese, senza contare gli efetti della riforma iscale. “Il pomeriggio, quando i miei igli hanno fame, gli dico di bere un po’ d’acqua. Non posso più comprargli la merenda. Per pagare l’università di mia iglia dobbiamo bere meno (l’acqua del rubinetto, che loro pagano puntualmente, non è potabile), mangiare meno, usare con più attenzione il sapone”. Circolo vizioso Rosa Elena è una madre sola, come la maggior parte delle madri dominicane. Il matrimonio è un’istituzione poco quotata nel paese, mentre sono comuni le unioni informali e di breve durata. Il precoce sviluppo isico dei dominicani comincia con i bambini che camminano a nove mesi e culmina in un numero preoccupante di adolescenti sole che si prendono cura del primo figlio, La violenza domestica è difusa, ma secondo i programmi televisivi e l’opinione pubblica la colpa è soprattutto della crisi economica comunicazione alla Federación de estudiantes dominicanos, quest’adesione non rilette un impegno reale, perché solo il 12 per cento degli studenti partecipa alle elezioni universitarie. Durante il corso di studi i giovani non acquisiscono una coscienza politica, ma la fondamentale capacità di vivere (o sopravvivere) nella società dominicana: si fanno gli amici nei posti giusti. Ne sa qualcosa Rosana, che lavora come assistente sociale. Ci racconta di una bambina con una moneta incastrata nella gola. La madre ha vagato da un ospedale all’altro perché nessuno voleva afrontare l’emergenza gratuitamente, ino a quando è arrivata in un centro dove lavora un amico di famiglia che, inalmente, ha accettato di occuparsi della bambina. L’istituto dove lavora Rosana è l’unico della zona ad avere la luce elettrica tutto il giorno: un suo ex alunno lavora nell’amministrazione locale. È un’eccezione in un paese dove la normalità è che l’elettricità sia razionata anche a chi paga le bollette. Rosa Elena fa il possibile per mantenere a galla il suo mobiliicio. Ha la luce elettrica dalle nove all’una, poi di nuovo alle sei, per le ore serali. Per questo servizio paga 74 euro al mese, ma le ore d’illuminazione non bastano per mandare avanti l’attività e nel 52 Internazionale 1008 | 12 luglio 2013 smettono di studiare e non sanno più nulla del padre, in un circolo vizioso di unione e abbandono dove la donna si fa carico di tutte le responsabilità familiari. L’emigrazione non aiuta. In tutte le case c’è almeno una persona che è andata a lavorare negli Stati Uniti o in Spagna. Di solito questa situazione porta alla creazione di famiglie parallele e a una ridistribuzione dei igli tra i nonni e gli zii. La violenza domestica è difusa (il 24 per cento delle donne tra i 14 e i 49 anni ammette di aver subìto violenza in casa), ma secondo i programmi televisivi e l’opinione pubblica la colpa è soprattutto della crisi economica. L’uomo, sostengono, arriva a casa pieno di preoccupazioni e si sfoga aggredendo la donna: è una reazione ingiusta, ma provocata dall’ambiente. Anche Georgina fabbrica mobili e ha un iglio a carico. Nella Repubblica Dominicana non capita spesso di vedere delle donne che lavorano con le seghe elettriche. Georgina, Rosa Elena e una lista sempre più lunga di colleghe sono un’eccezione. Il merito è dell’associazione Ce-Mujer, che ofre alle donne una formazione in attività non tradizionali, soprattutto tecniche. L’obiettivo è aiutarle a guadagnarsi da vivere e a crescere professionalmente, e anche a trasformare una mentalità molto maschilista: la maggior parte delle donne dell’associazione è stata abbandonata dai compagni perché non accettavano l’idea che lavorassero in un’oicina. L’iniziativa cerca anche di limitare i danni della riforma iscale, che ha ridotto l’accesso dei dominicani al “paniere di base”, quei prodotti necessari per la famiglia che indicano il livello di vita dei dominicani. Secondo la Banca centrale il costo del paniere è di 192,8 euro, uno stipendio a cui non arriva il 51 per cento dei lavoratori del paese. Georgina, per esempio, non riesce più a comprare il latte per il iglio di cinque anni. Il problema della riforma non sono solo le nuove tasse che ha introdotto, ma soprattutto l’uso del gettito iscale. Dopo un’intensa campagna nazionale, la Coalición por la educación digna è riuscita a convincere lo stato ad applicare una legge già esistente che stabilisce di destinare il 4 per cento del pil all’istruzione. Ma poi gli imprenditori, che all’inizio avevano sostenuto la campagna della coalizione, hanno fatto marcia indietro: non vogliono che quelle risorse siano usate per aumentare lo stipendio dei professori (oggi è di 278 euro). Intanto la ministra dell’istruzione si è aumentata del 200 per cento il suo stipendio. La Coalición fa parte di Justicia iscal, un movimento sociale nato dopo l’approvazione della riforma iscale che non si oppone all’aumento delle tasse, ma chiede al governo di rivedere a fondo la iscalità: non solo la riscossione, ma soprattutto la gestione delle risorse. A marzo è stato organizzato un dibattito universitario all’università di Santo Domingo. Gli studenti, divisi in due gruppi stabiliti a sorteggio, hanno difeso posizioni favorevoli e contrarie alla riforma: un modo per favorire l’analisi e la critica della politica iscale a livello nazionale. Secondo gli studenti con cui ho parlato (una buona ragione per avere speranza nel futuro del paese), le leggi sono formulate bene. Il problema è che non vengono rispettate. Il governo fa investimenti che non erano previsti nel programma e sui quali è diicile ottenere informazioni certe. Nel 2012 la corte dei conti ha concluso che non era possibile sapere come erano stati spesi diversi miliardi del bilancio nazionale. Non c’è stata nessuna conseguenza. La metropolitana di Santo Domingo, una grande opera pubblica che molti considerano sproporzionata rispetto ai livelli di povertà e ai bisogni primari della città (come l’acqua potabile o la luce), non era stata inserita nel bilancio: gli investimenti, quaranta volte più alti della somma destinata ReUTeRS/CoNTRASTo Santo Domingo, 9 ottobre 2012. Fumigazione contro la dengue nel 2009 per l’acqua e le fognature, sono stati sottratti a qualche altra voce. Non si sa bene quale, perché la legge garantisce la trasparenza delle informazioni ma le fonti del governo ostacolano l’accesso ai dati più compromettenti. Andando verso San Francisco de Macorís mi siedo accanto all’autista, sporgendomi dal inestrino e con la macchina fotograica sempre pronta, perché i dominicani sono un regalo per il fotografo e per l’osservatore in generale. Non si infastidiscono quando qualcuno li guarda e non abbassano gli occhi, restituendo lo sguardo con un miscuglio di curiosità, orgoglio e simpatia. Solo un uomo riiuta di farsi fotografare: è haitiano. Dopo aver passato una giornata con loro, è diicile credere che gli abitanti di San Francisco de Marcorís siano inclini alle proteste violente, come quelle di aprile contro la riforma iscale. Come tutti i dominicani che ho conosciuto, anche gli abitanti di San Francisco de Marcorís sono persone pazienti, cortesi e con un’invidiabile capacità di godersi la vita. Ma si leggono ancora le scritte sui muri: “Una bomba contro il paquetazo”. Appena ci allontaniamo dal centro del paese la macchina si riempie di un odore forte e amaro: dappertutto ci sono piantagioni di cacao. Patria Durán, una donna di 69 anni che ne dimostra molti di meno, è produttrice di cacao nel municipio La Ciénaga. Ha nove igli e un marito anziano che non può più lavorare nei campi, vive di agricoltura e si occupa di promozione della salute pubblica nella comunità. Mi invita a visitare la piantagione: lei cammina tranquilla con i sandali e io, nonostante i pantaloni lunghi e i calzini, vengo presa di mira da una colonia di formiche gialle, che pizzicano sul serio. Non manca niente Come tutti quelli che coltivano cacao, anche Patria gira con il machete. Lo usa con grande abilità e mi insegna a fare lo stesso. Bisogna tagliare la bacca di cacao quand’è matura, aprirla con il machete e poi con un giro di polso estrarre un ramo di grossi semi avvolti in una sostanza bianca e viscosa. Prendo il coraggio a quattro mani e assaggio un seme. È buonissimo. Mi spiegano che la sostanza bianca è zucchero, che i semi della varietà hispaniola, quella migliore, saranno messi a fermentare per fare tavolette di cioccolato fondente al 70 per cento. Invece i semi della varietà Sánchez, più scadente, saranno messi a seccare. Al tramonto mi siedo in veranda con Patria, il marito e un nipote che vive con loro. “Meno male che oggi abbiamo la luce e possiamo chiacchierare. Domani tocca al quartiere accanto”. Patria produce cacao biologico per il commercio equo e solidale e fa parte della cooperativa Cooproagro. Prima vendeva il cacao a un intermediario che issava unilateralmente il prezzo e comprava alle sue condizioni. Come socia della cooperativa, Patria può sapere a quanto è quotato il cacao il giorno in cui lo vende, ottenere la sua parte quando si ridistribuiscono gli utili alla ine dell’anno e godersi le opere costruite con una percentuale che l’azienda importatrice di prodotti equi e solidali paga a Cooproagro per investire nella comunità: una strada asfaltata per vendere il proprio raccolto al mercato locale senza intermediari, un centro sanitario che non la costringe a un lungo viaggio ino all’ospedale, un acquedotto che per la prima volta ha portato l’acqua corrente nel quartiere, una cappella per i riti religiosi e una mensa scolastica. Tutti servizi che lo stato non garantisce. “Paghiamo le tasse, ma non abbiamo né acqua potabile né elettricità né strade asfaltate”. Ai dominicani non mancherebbe niente. Se solo non glielo rubassero. u fr Internazionale 1008 | 12 luglio 2013 53