Secolo d`Italia

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Secolo d`Italia
CON IL PDL
ANNO LXI N.3
WWW.SECOLODITALIA.IT
Pubblicazione Telematica Registrazione Tribunale di Roma N. 342/2009 del 6/10/2009
Ma davvero
nessuno si è
reso conto che…
Marcello de Angelis
Il fior fiore del giornalismo italiano, per quasi un anno, ha
giurato e spiegato perché
Mario Monti, non appena assolto al suo compito, come Cincinnato si sarebbe nuovamente
ritirato dalla scena. Lo avrebbe
fatto perché è sobrio, perché
disinteressato, perché nobile e
perché venuto a salvare da
tecnico la Patria dallʼinfame
genìa dei politici. Professore –
e quindi intrinsecamente sapiente e saggio – aveva la
mente rivolta verso altezze metafisiche e “scendeva” da
quelle vette solo per sacrificarsi
– come Gesù Cristo – per noi
peccatori. Perché, che gli italiani fossero peccatori che andavano
sì
redenti
ma
meritavano tutto il male in cui
erano incorsi era evidente. E
quindi lui, come il redentore e
salvatore si sarebbe sacrificato
per noi scendendo nel basso
regno dellʼumanità fallace e miserabile, ma vendicativo come
il Dio della Bibbia. Lui si sarebbe crocefisso alle noiose e
scarsamente retributive incombenze del “politico”, ma agli italiani non avrebbe risparmiato
ogni genere di giusta punizione. Era necessario radere al
suolo quello che a tutti sembrava tutto sommato unʼItalia
ancora in media salute? Certo
che sì, perché in realtà lʼItalia
era a rischio Grecia e se lui non
fosse intervenuto con la frusta
e la mannaia oggi chissà dove
saremmo finiti. Infatti, chissà?
Perché questa certezza del rischio-Grecia è molto soggettiva. Il teorema è: Berlusconi =
Crisi=Grecia/Napolitano=Monti
=salvi. Ma non siamo per
niente salvi. Anzi a molti sembra semmai che stiamo molto
peggio. A qualcuno sembra
piuttosto che: Monti=+tasse= -
Monti presenta la lista:
scelta “cinica” (e bara)
reddito =- consumi =- occupazione=+crisi. Ma i qualcuno del
club dei saggi assicurano che
Monti in realtà a tagliato gli
sprechi e la spesa pubblica (risultati non pervenuti) e in fin
dei conti ha fatto calare lo
spread. Ma chi se ne frega
dello spread. Che poi, eccetto
nella fase in cui i tedeschi e le
banche internazionali avevano
d’Italia
DELLE DONNE PAG.2
lanciato il bombardamento
speculativo per mettere in ginocchio lʼItalia per farle accettare di cedere la sovranità, non
è che sia variato tutto ʻsto granché. Tutti alla fine concordano
sul fatto che il lavoro di Monti
non ha prodotto – a parte i
danni – alcun risultato significativo. E allora ci dicono che,
proprio per questo, bisogna
sabato 5/1/2013
dargli una seconda chance.
Con più tempo potrà fare di
meglio, o almeno “di più”. E
questo è il problema: di più di
cosa?! Sicuramente ci ha regalato più Casini. Nel senso di
Pierferdy, che grazie a lui ha
governato inutilmente per un
anno malgrado avesse meno
del 6% dei consensi. A lui Monti
ha regalato la Rai – dopo
averla occupata militarmente –
per lui ha scritto un programma
elettorale equivoco, a lui ha
prestato il proprio nome perché
lo indossasse come una porpora senatoria, per lui va in televisione a fare campagna
elettorale. Nella speranza che
quel 6 diventi 12, così Pier avrà
qualcosa di interessante da
mettere sul tavolo nelle trattative con Bersani. Monti, come
al solito, non chiederà nulla per
sé. Forse qualche operazione
miliardaria per le banche dʼaffari per cui lavora o al limite,
ma proprio come sacrificio, una
misera presidenza della Repubblica. GoldmanSachs =
AmericanFruitCompany;
Monti=Noriega; Italia=Nicaragua. San-dino, aiutaci tu.
Mario & Angela, le rane nella pentola
Francesco Signoretta
Il grande inganno è svelato e mortifica i Monti-boys radunati nel “centrino”. Lʼinflazione sale (lʼIstat la registra al 3%,
ma per chi fa la spesa è del 4,3), la disoccupazione pure,
la cassa integrazione dilaga, i redditi si contraggono, lʼeconomia è in recessione ma lo Stato incassa di più, mettendo le mani nelle nostre tasche. In questʼanno vissuto
a Palazzo Chigi il Professore si è limitato a stangare gli italiani e ora tenta di ribaltare la realtà utilizzando gli schermi
tv e i microfoni della radio: lo spread scende, lʼItalia è diventata più credibile. Qualcuno gli crede, quelli del “centrino” tentano addirittura di spiegarlo agli italiani e ai
competitor degli altri partiti, ma è evidente che il “grande
imbroglio” – come lʼha definito Alfano – non inganna più
nessuno. Lo spread, sceso ieri fino a quota 273, ha avuto
due accelerate al ribasso, quando nello scorso luglio ha
parlato Mario Draghi e quando, a fine anno, il Congresso
Usa ha raggiunto lʼintesa sul fiscal cliff. E il lavoro di
Monti? È servito solo a trasferire risorse dallʼItalia alla Germania. Abbiamo sostenuto le imprese tedesche che po-
tevano beneficiare di tassi dʼinteresse in alcuni momenti
addirittura negativi, mentre i nostri imprenditori non riuscivano a ottenere credito e i tassi italiani per finanziare il
debito sono arrivati a superare il 7%. Adesso quello che
non ha fatto Monti lo ha fatto il fiscal cliff. E non si tratta di
un percorso “pilotato”, come quando il Professore ha imposto alle banche di acquistare Btp dirottando verso il finanziamento del debito pubblico le ingenti risorse avute in
prestito dalla Bce per incentivare il credito alle piccole
aziende, ma di unʼevoluzione virtuosa. La prova? Il fatto
che di pari passo con lʼabbassamento dei tassi italiani
aumentano quelli tedeschi arrivati ieri allʼ1,4%. Anche i tedeschi, dunque, cominciano a pagare il costo della crisi.
E la Merkel? Il giochino sembra esserle sfuggito di mano.
Un anno fa è riuscita a far sloggiare Berlusconi da Palazzo Chigi, ma oggi, come aveva pronosticato Philipp
Rosler, ministro dellʼeconomia tedesco – in occasione
della nomina a presidente della Repubblica di Joachin
Gauck, avversato dalla Cancelliera – ha fatto la fine della
rana nella pentola a vapore: non si è accorta dellʼaumento
della temperatura e rischia di rimanere lessata.
Berlusconi: «Non voglio lasciare
il Paese a un futuro incerto»
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Priscilla Del Ninno
Dalle motivazioni che lo inducono a partecipare alla corsa elettorale, al rischio ingovernabilità possibile in uno scenario
post-consultazione caotico; tra ambizioni
rinnegate e amari bilanci sullʼesecutivo
uscente («lʼerrore del governo dei tecnici è
stato quello di appiattarsi sempre alle richieste dellʼUnione europea a firma tedesca»), Silvio Berlusconi parla a tutto
campo, anticipando intenzioni e smen-
tendo ipotesi dellʼultimʼora e strategie dietrologiche. «Non aspiro e non ho mai aspirato alla presidenza della Repubblica»,
afferma senza possibilità dʼequivoci lʼex
premier intervistato da Teleroma 56, aggiungendo di non avere «alcuna ambizione personale: sono in corsa perché
amo questo Paese e
sento la responsabilità
di fare qualcosa di
buono per non lasciarlo
in un futuro incerto e illiberale, come quello che
gli riserverebbe la sinistra al governo». Ed è
proprio quello sulle prospettive di governabilità
future il nodo più arduo
da sciogliere per il leader del Pdl, convinto
che lʼItalia sia destinata
a rimanere indietro
«senza una riforma
strutturale dellʼarchitettura costituzionale». Quindi, dopo aver ribadito lʼinvito a «non disperdere il voto e a
non premiare il Pd», sempre più convinto
che «questa non è ancora una sinistra socialdemocratica», ha confessato: «Io ho
Monti presenta la lista: scelta cinica (e bara)
Valter Delle Donne
«Che boiata». Il fuori onda di un giornalista al termine della diretta tv dallʼhotel
Plaza sintetizza la reazione alla conferenza stampa lampo di Mario Monti. In
effetti il Professore ha detto davvero
poco, annunciando lʼessenziale: «Ci sarà
una lista unica per il Senato. Per la Camera in coalizione ci saranno tre distinte
liste: una della società civile senza parlamentari, una dellʼUdc immagino col
nome Casini, una di Fli immagino col
nome Fini». Una conferenza stampa che
non ha previsto la possibilità per i giornalisti di porre domande. «Possiamo
solo immaginare – ironizza Sandro Bondi
– quali sarebbero state le reazioni se
qualunque altro esponente politico
avesse manifestato una tale noncuranza
se non un tale disprezzo per la stampa».
Mentre il presidente dei senatori Pdl,
Maurizio Gasparri nota la contraddizione
del senatore a vita: «Criticavano la personalizzazione della politica e ora Monti
il sobrio e i suoi seguaci tutti con il nome
bello grosso nel simbolo». Contraddizione evidenziata anche dal collega di
partito Altero Matteoli, a proposito della
scelta del simbolo elettorale: «La scelta
grafica con il suo nome tre volte più
grande di quello dellʼItalia, evidenzia la
megalomania di Monti. Persino lʼItalia va
in secondo piano. Per fortuna, restiamo
noi il partito che ama davvero lʼItalia e
che non la strumentalizzerà mai» E Massimo Corsaro, esponente di Fratelli dʼItalia: «Proprio nuovo e democratico Monti
che fa conferenza stampa senza domande e piazza il proprio nome a caratteri cubitali sul simbolo. Lo chiameremo
Monti, il nuovo che inganna…». Margherita Boniver invece si chiede: «Perché fa
tutto da solo? Forse si vergogna a farsi
vedere con Fini, Casini?». La risposta la
dà il portavoce vicario del Pdl Anna
Maria Bernini: «Altro che civica, quella di
Monti è scelta cinica per lʼItalia:parole e
formule da vecchia politica, mascherate
da nuovismo e antipolitica».
avuto speranza quando è comparso sulla
scena politica Renzi, ma è stato messo da
parte dalla vecchia nomenklatura comunista. Bisogna evitare i rischi già corsi nel
1994». Poi, dopo aver messo al centro del
discorso programmatico i temi della sicurezza e della lotta alla criminalità, Berlusconi ha sottolineato la necessità di un
«governo forte per rilanciare il ruolo dellʼItalia nel panorama internazionale»: tutte
sfide a cui si è detto pronto, concludendo
con un ottimistico «Vi accorgerete che
sono più scattante e vivace del 2008».
Elogio ad Almirante…
dove meno te lʼaspetti
Un elogio a Giorgio Almirante dove meno te
lʼaspetti: e precisamente sul Venerdì di Repubblica, rubrica di Filippo Ceccarelli. Tema:
quanto erano dignitosi e credibili i leader in
bianco nero, rispetto ai successori che, sia
pur colorati, sia pur seguiti da sondaggisti e
curatori dʼimmagine, risultano assai scarsi.
Molto meglio la generazione che faceva comizi e si sporcava le mani “andando verso il
popolo”. Quei leader apparivano più sinceri
e affidabili. Ciò che è venuto dopo, invece…
Lʼesempio scelto da Ceccarelli è appunto
Giorgio Almirante. Nella sua rubrica commenta la foto di una tradizionale comizio a
piazza del Popolo: «Fatto sta – scrive – che
ci si ritrova a rimpiangere questo Almirante
quasi seppiato, ripreso di profilo, collettone
e prevedibile cravattone… e solo guardando
lo sfondo, composto da una moltitudine di
testoline, si capisce che è la foto di un comizio; e che la politica nella prima Repubblica era un fatto eminentemente sociale; e
che forse proprio questo permanente stare
a contatto con la gente assegnava ai leader di allora serietà e decoro, costringendoli
a sorvegliare parole, gesti, atteggiamenti,
ma pure regalandogli una certa calma, o almeno di lasciarci questo ricordo». Titolo, assolutamente condivisibile: “Così la politica in
bianco e nero appare più seria”.
Primi guai per Ingroia: se ne vanno
gli intellettuali di “Cambiare si può”
Antonella Ambrosioni
Gli intellettuali mollano lʼex pm di Palermo
Antonio Ingroia. E si dicono delusi e irritati
per la piega che ha preso il suo movimento
Rivoluzione civile, in pratica una riedizione
del vecchio radicalismo arcobaleno. Circa
un anno fa lo storico Paul Ginsborg, il politologo Marco Revelli, il sociologo Luciano
Gallino, lʼeconomista Tonino Perna, giuristi come Stefano Rodotà ed ex magistrati
come Livio Pepino avevano dato vita a un
manifesto per un nuovo soggetto discontinuo rispetto al passato. Il programma di
“Cambiare si può” (questo il nome del movimento) era chiaro: mai più candidare i
grandi vecchi dei partitini di sinistra che
hanno combinato solo guai. Forti di 15mila
adesioni alla loro rete i professori hanno
dettato a De Magistris le loro condizioni:
via i vecchi partiti, niente sgeretari in lista,
spazio ai movimenti. Ma, come riferiva
oggi La Stampa, il 28 dicembre scorso
Marco Revelli e Livio Pepino, che a
Roma avrebbero dovuto incontrare il duo
De Magistris-Ingroia per definire organizzazione e programma, non vengono neanche ricevuti dai leader e apprendono a
cose fatte che avranno un ruolo pesante
nella nuova sigla di Rivoluzione civile Rifondazione, Comunisti italiani, Verdi e
Idv. Unʼoperazione trasformista che li
manda su tutte le furie. Eʼ rottura quindi
tra Ingroia e gli intellettuali di “Cambiare
si può”. Marco Revelli si sfooga allʼHuffington Post: “Noi avevamo chiesto un
segno di discontinuità, invece questa è
stata lʼennesima occasione perduta”. Tornano i vecchi nomi, Di Pietro, Ferrero, Diliberto e Bonelli, e non hanno acluna
intenzione di far fare “rivoluzione civile” a
professori e intellettuali.
Renzi-Bersani: un patto pieno di incognite
Annalisa Terranova
Già lo chiamano il patto della
trattoria o anche «della polpetta», visto che la politica italiana è fitta di accordi che
vengono presi a tavola, al ristorante, di amicizie politiche che si
disfano sussurrando cattiverie in
un bar e di intese che decollano
guardando il menu. Dunque
Pierluigi Bersani ha chiesto aiuto a Matteo Renzi
e lo ha fatto invitandolo a colazione, spiegandogli
che la carica di novità che il sindaco di Firenze battuto alle primarie si porta dietro può rappresentare
una diga al montismo dilagante. E i due si sono
trovati dʼaccordo, dopo le schermaglie sulle basi
a Cayman del “rottamatore”, nel nome dellʼinteresse della ditta. Bersani ha spiegato a Renzi la
metafora del tacchino sopra al tetto. Renzi ha concesso una battuta contro Ichino, passato nelle file
montiane: “Cʼè troppa gente abituata a scappare
con il pallone quando perde. Io no”. Dietro al patto,
come sempre, ci sono i numeri, le quantità: Bersani inserirà una ventina di candidati renziani nel
listino. Il segretario ha compreso che senza Renzi
lʼimmagine del Pd rischia di essere assimilata a
quella della vecchia sinistra. Infatti defezioni e mugugni dopo le parlamentarie vanno proprio in questa direzione. Lʼultima goccia – dopo la fuga di
Adinolfi e di Ichino – è stato il rifiuto a candidarsi
dello scrittore Alessandro Baricco. Bersani è stato
allora costretto a chiedere una mano allo sfidante
delle primarie. Nei prossimi giorni si potrà valutare
se è stata o no una
scelta producente: con
Renzi legittimato e ringalluzzito dal patto “della
polpetta” si potrebbero riproporre in piena campagna elettorale gli screzi e
le divisioni che hanno accompagnato la sfida per
le primarie. Va ricordato
infatti che a fine dicembre sul Corriere era stata pubblicata una letteraappello firmata da 11 deputati (tra cui Paolo
Gentiloni e Stefano Ceccanti) in cui si chiedeva al
Pd un atteggiamento dialogante sullʼagenda
Monti. Ma le parlamentarie hanno sancito la vittoria dellʼala più antimontiana dei democratici. Contraddizioni che avranno il loro peso in campagna
elettorale. Ma per Bersani non sarà questo lʼunico
cruccio: oggi una pagina del “Fatto” pone il problema degli impresentabili del Pd consacrati dai
gazebo alla candidatura sicura. Tra i nomi quello
del senatore di Enna Vladimiro Crisafulli e di Francantonio Genovese, il più votato alle parlamentarie a Messina. Sono sotto inchiesta per abuso
dʼufficio. Ma i nomi chiacchierati non sono allocati
solo in Sicilia. Cʼè il calabrese Nicodemo Oliverio,
imputato per bancarotta fraudolenta e Ludovico
Vico a Taranto, intercetttao nellʼinchiesta Ilva. Bersani spera con i nomi di Piero Grasso e della giornalista napoletana anticamorra Rosaria
Capacchione di far dimenticare la promessa di
liste pulite? Potrebbero essere proprio i renziani a
ricordarglielo…
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Il caso DʼUbaldo:
il Prof sotto esame
Desiree Ragazzi
«Il caso dellʼimminente passaggio del senatore
Lucio DʼUbaldo nelle file dei montiani sarà la vera
“prova finestra” della pretesa intransingenza in fatto
di moralità del Professor Monti. Se Enrico Bondi,
pur prendendo atto della condanna inflitta dalla
Corte dei Conti allʼex presidente di Laziosanità, per
“il danno erariale provocato con la sua condotta
gravemente colposa, negligente e superficiale”,
decidesse di avallare la sua candidatura, vorrebbe
dire che il palazzo di vetro tanto enfatizzato da
Monti il giorno della sua entrata in politica, risulterebbe essere piuttosto opaco». Per il vicepresidente della commissione Politiche sociali della
Camera, Carlo Ciccioli il caso dellʼex Pd evidenzia
la forte contraddizione di Monti. DʼUbaldo, che a
sostegno del Professore ha lanciato il “Movimento
dei democratici popolari”, fu condannato per una
retribuzione esorbitante concessa a Claudio Clini
(fratello minore di Corrado, ministro dellʼAmbiente
nel governo tecnico) quando nel 2006 fu nominato
direttore generale dellʼAgenzia pubblica della Regione. Il contratto siglato prevedeva un emolumento annuale di 193mila euro, più una
“retribuzione di risultato” pari al 20% della cifra.
Compenso stratosferico per la Corte dei Conti, secondo la quale doveva essere applicato il tetto
massimo previsto per i direttori delle Usl ovvero
155mila euro e peraltro doveva essere escluso il
riconoscimento del 20% aggiuntivo. Ora la parola
passerà a Enrico Bondi che dovrà decidere se
“censurare” o meno la sua candidatura. «Questa
storia dei presunti tecnici – osserva ancora Ciccioli
– che fanno soprattutto gli affari dei gruppi economici e di cordate di potere è quanto di più vergognoso possa offrire la cosiddetta nuova politica.
Monti è per il rigore però beneficia le banche che
prendono i soldi dalla Bce a tassi “popolari” allʼ1%
e li fanno pagare il 6% inoltre le fondazioni bancarie sono sgravate dallʼImu. E beffa tra le beffe dei
sette miliardi di anticipo dellʼimposta prelevati dalle
tasche degli italiani, oltre tre miliardi sono stati dati
al Monte dei Paschi di Siena, “la banca rossa”, coi
buchi in bilancio per salvarla dal fallimento. È questa la politica del rigore morale?».
Gasparri: «I centristi rispettino
almeno la legge elettorale»
4
Antonella Ambrosioni
Sia chiaro, «vigileremo su eventuali violazioni della legge elettorale»: a poche ore
dalla presentazione del simbolo della lista di
Mario Monti, a Maurizio Gasparri non sono
sfuggiti incontri e contatti tra i vari candidati
nel tentativo di sbrogliare un nodo cruciale
posto allʼattenzione del Pdl: lʼarticolo 14
della legge elettorale proibisce a più sigle di
presentare i medesimi riferimenti nei caratteri grafici contenuti allʼinterno dei simboli.
Così verrebbe meno la possibilità per Udc e
Fli di utilizzare il «brand Monti» giudicato
strategico per il risultato finale.
Lei ha detto: «Nessuno si illuda di fare trucchi»: cʼè questʼintenzione, secondo lei?
Vedremo come andrà a finire. Certo non
sfugge lʼartificiosità di tutta questa operazione.
Con lʼarroganza di Monti che sgorga spontanea nei giudizi spezzanti verso chiunque non
appartenga a presunte élites di ottimati e tecnocrati. Anche le piccole forze politiche che si
sono, rispettino le regole della democrazia e si
presentino tutti insieme con unʼunica lista alla
Camera e al Senato.
Lai ha usato parole forti, «presuntuosi e
subalterni», per identificare Monti da un
lato e i partitini al seguito dallʼaltro.
Unʼesagerazione?
sono messe al suo servizio vengono trattate
come persone imbarazzanti, un ingombro da
nascondere negli scantinati. E questi ultimi,
dʼaltra parte, «schegge» della vecchia politica,
pronti a cavalcare il montismo.
Come si dovrebbe risolvere questo problema tecnico in base al rispetto delle regole?
No. Lo testimonia lʼartificiosità inquietante del
loro stare insieme: Monti «li detesta» e Fli e
Udc tentano di sfruttarne lʼonda per riciclarsi.
Ci vuole chiarezza. Gli italiani hanno bisogno
di una politica «normale».
Vespa: «Monti
sottoposto
a mutazione genetica»
Senza trucchi. Impediremo qualsiasi violazione della legge elettorale. Presuntuosi come
Alla faccia della par condicio: in tv imperversa
il «SuperMario show»
Parte la controffensiva mediatica di SuperMario Monti. Rieccolo ospite di Lilli Gruber su La 7 a Otto e mezzo. Nonostante parte della stampa lʼabbia fatto passare
come vittima sacrificale sullʼaltare della par condicio, con unʼoperazione a tenaglia
Pd-Pdl volta a limitarne le apparizioni in tv, il premier uscente, per niente scalfito da
regolamenti pretestuosamente giudicati «restrittivi», abbandona un salotto mediatico per presenziare in un altro. Con buona pace delle Cassandre che in commissione Vigilanza lamentavano intenti censori mirati a silenziare lʼex capo
dellʼesecutivo. E a chi denunciava come «attentato di lesa maestà» la mancata riproposizione della conferenza stampa finale del presidente del Consiglio, il professore, dismesso il loden di ordinanza, ha dimostrato di superare brillantemente
lʼimpasse passando da un polo televisivo allʼaltro con disinvoltura degna dʼun consumato veterano degli studi tv.
Par condicio: il regolamento andrà cambiato
Sono attualmente 23 i gruppi e le componenti parlamentari. Le norme sulla par condicio
approvate in Vigilanza sul sorteggio degli spazi televisivi regolamentato una prima fase
pre-elettorale che si concluderà il 18 gennaio. Da questa data scatterà la «fase 2», con
la presentazione ufficiale delle liste che si fronteggeranno a febbraio. Gruppi e componenti potrebbero dunque aumentare e superare la quota 23, mandando in tilt i palinsesti e gli spazi previsti dalla Rai in base alle regole discusse dalla commissione di
Vigilanza. Questi accordi prevedono il diritto per tutte le componenti a una conferenza
stampa, non solo per il capo della coalizione ma anche per un rappresentante di ogni
lista. Un moltiplicarsi degli spazi difficile se non impossibile da gestire a cui si farà fronte
con una nuova riconvocazione della Vigilanza dopo il 18 gennaio. Una norma opportunamente inserita nel regolamento prevede infatti la possibilità di riunirsi di nuovo per
mettere riparo alle troppe opzioni inserite nel regolamento.
Bruno Vespa a tutto campo a Cortina d'Ampezzo, nell'incontro di "Una montagna di
libri", la rassegna di incontri con l'autore. A
partire da Mario Monti, «sottoposto in queste settimane – secondo il giornalista – a
una sorta di mutazione genetica. Entrare
nell'agone elettorale significa cambiare radicalmente comunicazione, significa dover
polemizzare ieri con Fassina, oggi con Brunetta. Per il Professore – rileva – è un clamoroso salto di qualità». Quanto a Bersani,
«se intende essere il prossimo capo del governo – spiega – deve fare un passo in
avanti rispetto alla propria storia politica,
deve in parte trascendere la propria area di
appartenenza, come ha fatto Napolitano
quando è andato al Quirinale». Vespa ha poi
parlato del Cavaliere. «A dispetto di quanto
si può pensare, Berlusconi non ama andare
in televisione: è troppo perfezionista, ogni
apparizione mediatica deve prepararla accuratamente. Lo considera necessario solo
quando è in campagna elettorale, come ora.
Il tira e molla sulla sua ricandidatura è stato
infinito, durante gli ultimi sei mesi, e ancora
prosegue. Comunque andrà a finire – conclude – è certo che, come ricorda Bertinotti,
il Cavaliere resta ancora il migliore di tutti nel
condurre le campagne».
Riecco la macchina del fango.
E La Russa querela l'Espresso
«In relazione alla incredibile copertina
dell'“Espresso" in edicola oggi con relative
sei pagine di servizio a me dedicate, mi
trovo costretto per la prima volta nella mia
vita, a rivolgermi alla autorità giudiziaria
per tutelare per via legale la mia onorabilità
a fronte di attacchi così artatamente falsi e
calunniosi». Così Ignazio La Russa, fondatore del movimento Fratelli d'Italia centrodestra nazionale, in una nota. «Il
risarcimento del danno sarà tale da consentire al movimento 'Fratelli d'Italià di ricevere da me un sostanzioso contributo
per la campagna elettorale. D'altronde solo
la crescita del nuovo movimento di centrodestra e il tentativo di danneggiarlo può
spiegare la falsità e la strumentalità delle
accuse del periodico. Non basterà alla difesa dell'Espresso dire che neanche una
riga degli articoli attribuisce a me comportamenti contrari alla legge o semplicemente scorretti. Sarà invece a me facile
dimostrare che nessuno dei miei familiari
(a partire da mio cognato, estraneo alla po-
litica, incensurato e mai coinvolto in nessun procedimento giudiziario oltre che stimatissimo colonnello dell'Esercito in
pensione) o delle persone tra quelle effettivamente politicamente a me vicini, è stato
mai giudicato per comportamenti scorretti
o men che meno per rapporti con ambienti
poco raccomandabili». L'ex ministro della
Difesa aggiunge che «resterà in ogni caso
il tentativo privo di ogni minimo fondamento di presentarmi come al centro di
rapporti poco chiari o peggio. Per chi come
si vanta di fare politica da oltre 40 anni, facendo della correttezza e della onestà la
principale bandiera ereditata da mio padre
questo articolo è un'offesa inaccettabile. A
riprova della assoluta falsità, leggerezza e
strumentalità dell'articolo, basterà segnalare che il Marco Clemente, di cui ampiamente si raccontano malefatte e rapporti
oscuri (non so quanto veritiere ma in ogni
caso a me totalmente estranei) è solo
omonimo dell'ambasciatore Marco Clemente che, egli si, è effettivamente stato il
mio consigliere diplomatico al ministero
della Difesa ed è oggi ambasciatore italiano in Lituania. Anche a lui credo, come a
molte delle persone citate dall'articolo
"L'Espresso” dovrà chiedere come minimo
scusa».
paolo Cutillo, che era con loro sullʼaereo
dellʼaeronautica militare partito ieri sera
da Ciampino. In serata è previsto che i
due militari ritornino nellʼalbergo di Fort
Kochi dove risiedono in stato di libertà
vigilata dietro cauzione. «Ci siamo impegnati personalmente a riportare in
India i due militari», ha sottolineato il diplomatico che insieme allʼex ambasciatore a New Delhi Giacomo Sanfelice
aveva fornito una lettera di garanzia sul
ritorno come richiesto dai giudici dellʼAlta Corte del Kerala per la concessione del permesso speciale di due
settimane per trascorrere il Natale in Italia. «Spero che la gente del Kerala apprezzerà lʼimportanza di questo gesto e
che sarà di aiuto per una soluzione positiva della vicenda», ha poi aggiunto
prima di salire su unʼauto di servizio a
fianco dei due marò. Su un altro veicolo
hanno preso posto i funzionari del ministero della Difesa giunti da Roma insieme ai due fucilieri. Intanto la stampa
indiana ha accolto oggi con soddisfazione e sollievo il ritorno dei marò, sottolineando che il rientro destituisce di
fondamento le critiche rivolte al chief minister del Kerala, Oommen Chandy, di
non aver presentato appello contro la
sentenza dellʼAlta Corte di Kochi favorevole alla licenza in Italia. Significativamente la tv Zee News titola: «Hanno
mantenuto la promessa. Sono tornati»,
mentre lʼagenzia di stampa Ians sottolinea la frase del console generale Cutilli.
Per altri media «le preoccupazioni dei
familiari dei due pescatori morti, delle
associazioni dei pescatori e dei partiti
dellʼopposizione di sinistra non avevano
ragione di essere».
Marò, lʼItalia rispetta la parola
Antonio Pannullo
La parola è parola. E specie quella di un
militare italiano. Ieri i due maroʼ Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sono
arrivati in India, allʼaeroporto internazionale di Kochi ,alle 3,15 ora italiana.
Hanno sorriso ai giornalisti e alle tv locali che hanno provocato anche un piccola ressa allʼuscita dello scalo. Si sono
poi recati al commissariato di polizia a
bordo di unʼauto delle autorità italiane
scortata dalle forze di sicurezza del Kerala. In questo momento sono in viaggio
in automobile per raggiungere la cittadina di Kollam per riportare i passaporti
al tribunale locale dove è in corso il processo per omicidio. Sono accompagnati
dal console generale di Mumbai, Giam-
Quotidiano della Fondazione di Alleanza Nazionale
Editore
SECOLO DʼITALIA SRL
Fondazione
Franz Turchi
d’Italia
5
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La testata fruisce dei contributi
statali diretti di cui alla legge
7 agosto 1990 n. 250
Suicida Roberto Scocco, cantò
le speranze dei giovani di destra
6
Antonio Pannullo
Rispetto. Dolore e rispetto. È questa la reazione degli amici di Roberto Scocco alla notizia della sua morte. Roberto, noto a destra per
le sue ballate alternative negli anni Settanta, è
stato trovato morto un una torretta di Villa
Lauri, a Pollenza, nelle Marche, terra di cui era
originario: si sarebbe sparato con un fucile da
caccia. Poco prima, non lontano dalla villa, era
stato ritrovato il suo furgone Doblò, allʼinterno
del quale cʼera anche il suo cellulare. Roberto,
che i giornali definiscono pubblicitario, ma che
era soprattutto cantautore e poeta, era nato il
23 dicembre 1956 e gestiva il castello Pallotta
di Caldarola. La moglie e il fratello ne hanno
denunciato la scomparsa in Questura perché
mancava da due giorni e sono così iniziate le
ricerche. Roberto lascia due figli e di 5 e 7
anni. Da sempre impegnato in politica, a destra, dopo la svolta di Fiuggi si era candidato
con la Fiamma tricolore alle comunali e in Regione. Negli anni Settanta i giovani missini
ascoltavano le sue canzoni in musicassetta,
tra le quali “A Sergio”, dedicata a Sergio Ramelli, il giovane assassinato a sprangate dal-
lʼultrasinistra a Milano, “La vendetta della civetta”, e soprattutto “Contadino”, uno dei suoi
primi brani, nel quale auspica un recupero
del rapporto tra lʼuomo e la natura. Ha partecipato ai campi Hobbit, i raduni della giovane
destra, sempre negli anni Settanta, fu esponente del Fronte della Gioventù di Macerata,
teneva concerti fortemente caratterizzati.
Aveva anche unʼimpresa di grafica pubblicitaria e organizzava eventi e iniziative culturali. A detta dei suoi amici, non era tipo da
fare quel che ha fatto, perché aveva una visione scanzonata e ottimistica della vita,
scherzava sempre. Fu lui lʼautore della parodia dellʼAvvelenata di Francesco Guccini, un
cult del gruppo rautiano del Msi, modificata
in funzione politica con i nomi di allora. Diceva cose tipo “boia chi molla è il motto della
colla”, e così via… Ma non sempre scherzava. Ultimamente aveva scritto così: «Ho lavorato sempre e tanto ma ho anche coltivato
molte passioni cercando di non lasciare
niente indietro…adesso non è il massimo ma
vado avanti lo stesso e mi sento sempre più
una roccia in mezzo alla tempesta…o uno
scoglio?».
Torna in libreria lʼopera di Vico, che fu apprezzata
da Evola e Gentile
Valerio Goletti
Il ritorno di Giambattista Vico non era per
niente scontato, vista la sua prosa difficile
e la scarsità di estimatori. Eppure Bompiani lo rilancia con unʼedizione accurata e
scrupolosa de “La Scienza nuova” che
Emanuele Severino definisce sul “Corriere” unʼ«imponente operazione culturale». Ma che ha da dire Vico ai
contemporanei? Secondo Severino importante fu la sua intuizione di illuminare la
storia attraverso una filosofia che ne facesse cogliere la verità. Fu proprio Vico, in
ogni caso, a far fare allʼerudizione storica
un salto di qualità trasformandola in «storia delle idee, costumi e fatti del genere
umano». Oggi esiste una vera e propria
ossessione della memoria, una tensione a
catalogare le tendenze, a studiare i comportamenti, a stabilire i gusti prevalenti dei
popoli che si accorda benissimo con il pensiero del filosofo napoletano. Altro aspetto
che merita di essere sottolineato è la funzione di precursore che Vico ha svolto rispetto alla psicologia del profondo del
Novecento in particolare anticipando gli archetipi di Jung, ai quali Vico attribuiva il
nome di “universali fantastici”. Molto gli
deve un autore amato dai contemporanei
come il filosofo James Hillmann, nella cui
opera troviamo punti di contatto con lʼidea
vichiana di una «lingua mentale comune a
tutte le nazioni». Vico era apprezzato dal
filosofo tradizionalista Julius Evola: molti i
punti di contatto tra la sua idea di Tradizione e quella vichiana di Provvidenza vichiana, entrambe valutate come energie
capaci di mettere in movimento la storia al
di là della pura cronologia dei fatti e oltre la
categoria materiale del progresso. Infine,
secondo Giovanni Gentile, Vico aveva anticipato lʼidealismo restituendo al fatto il criterio di veridicità oltre la pura razionalità
cartesiana.
Lʼomaggio di Tarantino
agli spaghetti western
Priscilla Del Ninno
Il cinema Adriano di Roma per una giornata diventa il tempio in cui si celebra la liturgia cinefila degli “spaghetti western”: officiante
dʼeccezione Quentin Tarantino, cultore del genere che ha omaggiato con la sua ultima fatica,
Django Unchained, chiaramente ispirato – a
partire dal titolo – al Django di Sergio Corbucci.
Interpretato da Jamie Foxx, Leonardo Di Caprio, Christoph Waltz, Samuel L. Jackson e
Kerry Washington, il film sarà nelle nostre sale
dal 17 gennaio. Allʼanteprima italiana del “maccheroni western” – come lo chiamano negli Usa
– diretto da Tarantino, una platea doc di grandi
protagonisti del genere di casa nostra, da
Franco Nero (non a caso presente in un cameo
in Django Unchained) a Giuliano Gemma, da
George Hilton a Gianni Garko, da Nicola Di
Gioia a Lucio Rosato. E tra le protagoniste, la
cow girl Ursula Andress. La storia, ambientata
nel 1850, declina allʼepopea western rivisitata
allʼitaliana il tema del razzismo, ed è incentrata
sulle vicissitudini di uno schiavo di colore,
Django-Jamie Foxx, reso libero dal colto Dott.
King Schultz (Christoph Waltz), cacciatore di taglie di origine tedesca. Intreccio, risvolti surreali,
caratterizzazioni dissacranti, offrono lʼopportunità al regista premio Oscar per Pulp fiction di
dimostrare di aver appreso e metabolizzato la
lezione impartita dagli intramontabili maestri del
filone: Sergio Leone, Duccio Tessari, Sergio
Corbucci che, partendo dalla mitologia a stelle
e strisce hanno reinterpretato il genere, adattandolo alla cultura made in Italy e a budget più
striminziti, con storie più cruente e meno moraleggianti, creando una nuova epopea di celluloide. Lʼazione spinta allʼestremo, la ieraticità
carica di tensione e misticismo, lʼeroe cinico e
senza scrupoli, ma più impolverato e stropicciato, e decisamente dotato di macabra ironia,
rappresentano il lessico che ha fondato una
grammatica spettacolare imprescindibile per
molti cultori degli “spaghetti western”, anche se
sulle prime snobbata da certa critica radical chic
più incline a bollarla come genere di serie b,
salvo poi riabilitarne anni dopo originalità formale e spessore artistico. Unʼepopea di celluloide che ha fatto scuola, riabilitata oggi anche
da Quentin Tarantino che, a proposito dei suoi
maestri di riferimento, ha dichiarato: «Tra Corbucci e Leone? Non saprei chi prediligere. È
una scelta salomonica stabilire chi fosse il migliore».
Nuovo video choc sulla violenza
di strada a Napoli
Sandro Forte
Madre e figlia che assistono paralizzate - si
voltano, vedono la scena, sentono i colpi e
poi scappano - ad un omicidio di camorra
nel quartiere di Secondigliano, alla periferia di Napoli: è l'immagine ripresa dalla telecamera di sorveglianza di un negozio di
abbigliamento. L'episodio è quello relativo
all'assassinio di Antonello Faiello, ritenuto
appartenente al clan dei Di Lauro, avvenuto la sera del 14 aprile 2011, nell'ambito
della faida in corso nell'area. Dalla sequenza del filmato, diffuso da alcuni
media, si nota che le due donne stanno
passeggiando; all'improvviso giungono
degli scooter che circondano altre motociclette. In pochi secondi tutto si compie:
viene ucciso Antonello Faiello e resta ferita un'altra persona. Le due donne si voltano e poi scappano mentre un gruppetto
di curiosi si avvicina al corpo senza vita. E'
il nuovo video choc che testimonia dell'ordinaria violenza a Napoli dopo quello, che
fece il giro del mondo, dell'omicidio di Ma-
riano Bacioterracino, avvenuto in piazza
Vergini l'11 maggio scorso davanti ad un
bar. In quell'occasione i pubblici ministeri
della Direzione distrettuale antimafia identificarono il killer in un pregiudicato di 30
anni che viveva a Secondigliano. Le telecamere registrarono tutte le fasi del feroce
agguato. Tra le persone riprese anche un
uomo indicato dagli inquirenti come il
“palo" che con un segnale avrebbe dato il
via allʼazione. Il diretto interessato però
smentì il suo coinvolgimento. Bacioterracino era stato tra i sequestratori di Guido
De Martino, figlio del senatore Francesco,
leader storico dell'ex Partito Socialista Italiano. Per la liberazione della vittima del
sequestro, definito allora "atipico", fu pagato un riscatto. Quasi tutti i componenti
della banda furono arrestati e condannati
nei vari gradi processuali: tre di loro furono
assassinati durante una licenza premio.
Bacioterracino non potè prendere parte al
sequestro perché si fratturò una gamba,
ma fu ugualmente pagato dai suoi complici
che gli versarono una parte del miliardo
Monito dell'arcivescovo di
Genova e presidente della
Cei, cardinale Angelo Bagnasco, contro il razzismo
dopo i fatti come quello che
ha portato alla reazione di
Boateng durante l'incontro
di calcio amichevole Pro
Patria-Milan: è figlio «della
cultura individualista» che
permea la società contemporanea, e quanto avvenuto durante la partita è un
esempio. «Più al mondo del
calcio - ha detto il cardinale
- il mio messaggio è rivolto
al mondo in generale, alla nostra cultura, al
nostro modo di stare insieme. Viviamo in
una cultura che vede negli altri dei nemici
potenziali. Finché seminiamo una cultura
individualista, dove ognuno è per sé, dove
vogliamo andare?», ha sottolineato Bagnasco parlando con i giornalisti. Se poi
avvengono fatti come quello che ha portato alla reazione di Boateng, «non ci si
meravigli - ha proseguito l'arcivescovo di
Genova - perché l'individualismo non libera la persona, la rinchiude in se stessa e
vede negli altri dei nemici potenziali». Per
quanto riguarda le indagini, un tifoso della
Pro Patria, finora l'unico interrogato dalla
polizia, ha ammesso di aver partecipato ai
cori razzisti rivolti ai giocatori di colore del
Milan, che ieri hanno portato i rossoneri ad
abbandonare il campo durante la partita
amichevole a Busto Arsizio (Varese). Il tifoso, un giovane residente in provincia di
Varese, faceva parte del gruppo composto
da una decina di persone dal quale sono
partiti i cori. Verranno ora valutati i provvedimenti da prendere nei suoi confronti,
mentre gli altri tifosi del gruppo potrebbero
essere sentiti nelle prossime ore. Proseguono intanto gli accertamenti attraverso
l'analisi delle telecamere di videosorveglianza che hanno ripreso l'episodio.
Cori razzisti allo stadio: monito di Bagnasco
7
estorto al senatore a vita. Bacioterracino
fu condannato a 13 anni e 2 mesi di carcere, ma in appello la pena fu ridotta a 12
anni e mezzo.
Camorra: sequestrati
beni per 10 milioni
Beni mobili e immobili per il valore di 10 milioni di euro, riconducibili al clan camorristico Perreca-Delli Paoli operante nel
Casertano e alleato dei Casalesi, sono stati
sequestrati dai finanzieri del Comando provinciale di Napoli che hanno eseguito il
provvedimento emesso dal Collegio per
l'applicazione delle misure di prevenzione
del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere,
presieduto da Raffaello Magi. L'operazione
segue quella effettuata lo scorso 13 dicembre che aveva portato al sequestro di
sette società di capitali nonché di beni personali (appartamenti, auto, motoveicoli e
rapporti bancari) intestati ai fratelli imprenditori Antonio e Alessandro Acconcia ed
alle rispettive consorti per l'importo di circa
35 milioni di euro. E sempre beni, ma per il
valore di un milione di euro, sono stati confiscati dalla Dia di Catanzaro a Salvatore
Galluzzi, 36 anni, di Rossano, attualmente
detenuto nel carcere di Viterbo a seguito
della condanna definitiva a 15 anni di reclusione per traffico di sostanze stupefacenti ed armi. La Dia, in particolare, ha
confiscato diversi beni immobili, autovetture, un'azienda agricola nonché rapporti finanziari riconducibili a Galluzzi, ritenuto
contiguo a cosche della 'ndrangheta. Dalle
indagini è emersa la netta sproporzione tra
il reddito dichiarato ai fini delle imposte dirette e le attività economiche esercitate. Gli
investigatori sospettano che Galluzzi sia
stato a capo di un'organizzazione dedita al
traffico di droga.