Secolo d`Italia
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CON IL PDL ANNO LXI N.3 WWW.SECOLODITALIA.IT Pubblicazione Telematica Registrazione Tribunale di Roma N. 342/2009 del 6/10/2009 Ma davvero nessuno si è reso conto che… Marcello de Angelis Il fior fiore del giornalismo italiano, per quasi un anno, ha giurato e spiegato perché Mario Monti, non appena assolto al suo compito, come Cincinnato si sarebbe nuovamente ritirato dalla scena. Lo avrebbe fatto perché è sobrio, perché disinteressato, perché nobile e perché venuto a salvare da tecnico la Patria dallʼinfame genìa dei politici. Professore – e quindi intrinsecamente sapiente e saggio – aveva la mente rivolta verso altezze metafisiche e “scendeva” da quelle vette solo per sacrificarsi – come Gesù Cristo – per noi peccatori. Perché, che gli italiani fossero peccatori che andavano sì redenti ma meritavano tutto il male in cui erano incorsi era evidente. E quindi lui, come il redentore e salvatore si sarebbe sacrificato per noi scendendo nel basso regno dellʼumanità fallace e miserabile, ma vendicativo come il Dio della Bibbia. Lui si sarebbe crocefisso alle noiose e scarsamente retributive incombenze del “politico”, ma agli italiani non avrebbe risparmiato ogni genere di giusta punizione. Era necessario radere al suolo quello che a tutti sembrava tutto sommato unʼItalia ancora in media salute? Certo che sì, perché in realtà lʼItalia era a rischio Grecia e se lui non fosse intervenuto con la frusta e la mannaia oggi chissà dove saremmo finiti. Infatti, chissà? Perché questa certezza del rischio-Grecia è molto soggettiva. Il teorema è: Berlusconi = Crisi=Grecia/Napolitano=Monti =salvi. Ma non siamo per niente salvi. Anzi a molti sembra semmai che stiamo molto peggio. A qualcuno sembra piuttosto che: Monti=+tasse= - Monti presenta la lista: scelta “cinica” (e bara) reddito =- consumi =- occupazione=+crisi. Ma i qualcuno del club dei saggi assicurano che Monti in realtà a tagliato gli sprechi e la spesa pubblica (risultati non pervenuti) e in fin dei conti ha fatto calare lo spread. Ma chi se ne frega dello spread. Che poi, eccetto nella fase in cui i tedeschi e le banche internazionali avevano d’Italia DELLE DONNE PAG.2 lanciato il bombardamento speculativo per mettere in ginocchio lʼItalia per farle accettare di cedere la sovranità, non è che sia variato tutto ʻsto granché. Tutti alla fine concordano sul fatto che il lavoro di Monti non ha prodotto – a parte i danni – alcun risultato significativo. E allora ci dicono che, proprio per questo, bisogna sabato 5/1/2013 dargli una seconda chance. Con più tempo potrà fare di meglio, o almeno “di più”. E questo è il problema: di più di cosa?! Sicuramente ci ha regalato più Casini. Nel senso di Pierferdy, che grazie a lui ha governato inutilmente per un anno malgrado avesse meno del 6% dei consensi. A lui Monti ha regalato la Rai – dopo averla occupata militarmente – per lui ha scritto un programma elettorale equivoco, a lui ha prestato il proprio nome perché lo indossasse come una porpora senatoria, per lui va in televisione a fare campagna elettorale. Nella speranza che quel 6 diventi 12, così Pier avrà qualcosa di interessante da mettere sul tavolo nelle trattative con Bersani. Monti, come al solito, non chiederà nulla per sé. Forse qualche operazione miliardaria per le banche dʼaffari per cui lavora o al limite, ma proprio come sacrificio, una misera presidenza della Repubblica. GoldmanSachs = AmericanFruitCompany; Monti=Noriega; Italia=Nicaragua. San-dino, aiutaci tu. Mario & Angela, le rane nella pentola Francesco Signoretta Il grande inganno è svelato e mortifica i Monti-boys radunati nel “centrino”. Lʼinflazione sale (lʼIstat la registra al 3%, ma per chi fa la spesa è del 4,3), la disoccupazione pure, la cassa integrazione dilaga, i redditi si contraggono, lʼeconomia è in recessione ma lo Stato incassa di più, mettendo le mani nelle nostre tasche. In questʼanno vissuto a Palazzo Chigi il Professore si è limitato a stangare gli italiani e ora tenta di ribaltare la realtà utilizzando gli schermi tv e i microfoni della radio: lo spread scende, lʼItalia è diventata più credibile. Qualcuno gli crede, quelli del “centrino” tentano addirittura di spiegarlo agli italiani e ai competitor degli altri partiti, ma è evidente che il “grande imbroglio” – come lʼha definito Alfano – non inganna più nessuno. Lo spread, sceso ieri fino a quota 273, ha avuto due accelerate al ribasso, quando nello scorso luglio ha parlato Mario Draghi e quando, a fine anno, il Congresso Usa ha raggiunto lʼintesa sul fiscal cliff. E il lavoro di Monti? È servito solo a trasferire risorse dallʼItalia alla Germania. Abbiamo sostenuto le imprese tedesche che po- tevano beneficiare di tassi dʼinteresse in alcuni momenti addirittura negativi, mentre i nostri imprenditori non riuscivano a ottenere credito e i tassi italiani per finanziare il debito sono arrivati a superare il 7%. Adesso quello che non ha fatto Monti lo ha fatto il fiscal cliff. E non si tratta di un percorso “pilotato”, come quando il Professore ha imposto alle banche di acquistare Btp dirottando verso il finanziamento del debito pubblico le ingenti risorse avute in prestito dalla Bce per incentivare il credito alle piccole aziende, ma di unʼevoluzione virtuosa. La prova? Il fatto che di pari passo con lʼabbassamento dei tassi italiani aumentano quelli tedeschi arrivati ieri allʼ1,4%. Anche i tedeschi, dunque, cominciano a pagare il costo della crisi. E la Merkel? Il giochino sembra esserle sfuggito di mano. Un anno fa è riuscita a far sloggiare Berlusconi da Palazzo Chigi, ma oggi, come aveva pronosticato Philipp Rosler, ministro dellʼeconomia tedesco – in occasione della nomina a presidente della Repubblica di Joachin Gauck, avversato dalla Cancelliera – ha fatto la fine della rana nella pentola a vapore: non si è accorta dellʼaumento della temperatura e rischia di rimanere lessata. Berlusconi: «Non voglio lasciare il Paese a un futuro incerto» 2 Priscilla Del Ninno Dalle motivazioni che lo inducono a partecipare alla corsa elettorale, al rischio ingovernabilità possibile in uno scenario post-consultazione caotico; tra ambizioni rinnegate e amari bilanci sullʼesecutivo uscente («lʼerrore del governo dei tecnici è stato quello di appiattarsi sempre alle richieste dellʼUnione europea a firma tedesca»), Silvio Berlusconi parla a tutto campo, anticipando intenzioni e smen- tendo ipotesi dellʼultimʼora e strategie dietrologiche. «Non aspiro e non ho mai aspirato alla presidenza della Repubblica», afferma senza possibilità dʼequivoci lʼex premier intervistato da Teleroma 56, aggiungendo di non avere «alcuna ambizione personale: sono in corsa perché amo questo Paese e sento la responsabilità di fare qualcosa di buono per non lasciarlo in un futuro incerto e illiberale, come quello che gli riserverebbe la sinistra al governo». Ed è proprio quello sulle prospettive di governabilità future il nodo più arduo da sciogliere per il leader del Pdl, convinto che lʼItalia sia destinata a rimanere indietro «senza una riforma strutturale dellʼarchitettura costituzionale». Quindi, dopo aver ribadito lʼinvito a «non disperdere il voto e a non premiare il Pd», sempre più convinto che «questa non è ancora una sinistra socialdemocratica», ha confessato: «Io ho Monti presenta la lista: scelta cinica (e bara) Valter Delle Donne «Che boiata». Il fuori onda di un giornalista al termine della diretta tv dallʼhotel Plaza sintetizza la reazione alla conferenza stampa lampo di Mario Monti. In effetti il Professore ha detto davvero poco, annunciando lʼessenziale: «Ci sarà una lista unica per il Senato. Per la Camera in coalizione ci saranno tre distinte liste: una della società civile senza parlamentari, una dellʼUdc immagino col nome Casini, una di Fli immagino col nome Fini». Una conferenza stampa che non ha previsto la possibilità per i giornalisti di porre domande. «Possiamo solo immaginare – ironizza Sandro Bondi – quali sarebbero state le reazioni se qualunque altro esponente politico avesse manifestato una tale noncuranza se non un tale disprezzo per la stampa». Mentre il presidente dei senatori Pdl, Maurizio Gasparri nota la contraddizione del senatore a vita: «Criticavano la personalizzazione della politica e ora Monti il sobrio e i suoi seguaci tutti con il nome bello grosso nel simbolo». Contraddizione evidenziata anche dal collega di partito Altero Matteoli, a proposito della scelta del simbolo elettorale: «La scelta grafica con il suo nome tre volte più grande di quello dellʼItalia, evidenzia la megalomania di Monti. Persino lʼItalia va in secondo piano. Per fortuna, restiamo noi il partito che ama davvero lʼItalia e che non la strumentalizzerà mai» E Massimo Corsaro, esponente di Fratelli dʼItalia: «Proprio nuovo e democratico Monti che fa conferenza stampa senza domande e piazza il proprio nome a caratteri cubitali sul simbolo. Lo chiameremo Monti, il nuovo che inganna…». Margherita Boniver invece si chiede: «Perché fa tutto da solo? Forse si vergogna a farsi vedere con Fini, Casini?». La risposta la dà il portavoce vicario del Pdl Anna Maria Bernini: «Altro che civica, quella di Monti è scelta cinica per lʼItalia:parole e formule da vecchia politica, mascherate da nuovismo e antipolitica». avuto speranza quando è comparso sulla scena politica Renzi, ma è stato messo da parte dalla vecchia nomenklatura comunista. Bisogna evitare i rischi già corsi nel 1994». Poi, dopo aver messo al centro del discorso programmatico i temi della sicurezza e della lotta alla criminalità, Berlusconi ha sottolineato la necessità di un «governo forte per rilanciare il ruolo dellʼItalia nel panorama internazionale»: tutte sfide a cui si è detto pronto, concludendo con un ottimistico «Vi accorgerete che sono più scattante e vivace del 2008». Elogio ad Almirante… dove meno te lʼaspetti Un elogio a Giorgio Almirante dove meno te lʼaspetti: e precisamente sul Venerdì di Repubblica, rubrica di Filippo Ceccarelli. Tema: quanto erano dignitosi e credibili i leader in bianco nero, rispetto ai successori che, sia pur colorati, sia pur seguiti da sondaggisti e curatori dʼimmagine, risultano assai scarsi. Molto meglio la generazione che faceva comizi e si sporcava le mani “andando verso il popolo”. Quei leader apparivano più sinceri e affidabili. Ciò che è venuto dopo, invece… Lʼesempio scelto da Ceccarelli è appunto Giorgio Almirante. Nella sua rubrica commenta la foto di una tradizionale comizio a piazza del Popolo: «Fatto sta – scrive – che ci si ritrova a rimpiangere questo Almirante quasi seppiato, ripreso di profilo, collettone e prevedibile cravattone… e solo guardando lo sfondo, composto da una moltitudine di testoline, si capisce che è la foto di un comizio; e che la politica nella prima Repubblica era un fatto eminentemente sociale; e che forse proprio questo permanente stare a contatto con la gente assegnava ai leader di allora serietà e decoro, costringendoli a sorvegliare parole, gesti, atteggiamenti, ma pure regalandogli una certa calma, o almeno di lasciarci questo ricordo». Titolo, assolutamente condivisibile: “Così la politica in bianco e nero appare più seria”. Primi guai per Ingroia: se ne vanno gli intellettuali di “Cambiare si può” Antonella Ambrosioni Gli intellettuali mollano lʼex pm di Palermo Antonio Ingroia. E si dicono delusi e irritati per la piega che ha preso il suo movimento Rivoluzione civile, in pratica una riedizione del vecchio radicalismo arcobaleno. Circa un anno fa lo storico Paul Ginsborg, il politologo Marco Revelli, il sociologo Luciano Gallino, lʼeconomista Tonino Perna, giuristi come Stefano Rodotà ed ex magistrati come Livio Pepino avevano dato vita a un manifesto per un nuovo soggetto discontinuo rispetto al passato. Il programma di “Cambiare si può” (questo il nome del movimento) era chiaro: mai più candidare i grandi vecchi dei partitini di sinistra che hanno combinato solo guai. Forti di 15mila adesioni alla loro rete i professori hanno dettato a De Magistris le loro condizioni: via i vecchi partiti, niente sgeretari in lista, spazio ai movimenti. Ma, come riferiva oggi La Stampa, il 28 dicembre scorso Marco Revelli e Livio Pepino, che a Roma avrebbero dovuto incontrare il duo De Magistris-Ingroia per definire organizzazione e programma, non vengono neanche ricevuti dai leader e apprendono a cose fatte che avranno un ruolo pesante nella nuova sigla di Rivoluzione civile Rifondazione, Comunisti italiani, Verdi e Idv. Unʼoperazione trasformista che li manda su tutte le furie. Eʼ rottura quindi tra Ingroia e gli intellettuali di “Cambiare si può”. Marco Revelli si sfooga allʼHuffington Post: “Noi avevamo chiesto un segno di discontinuità, invece questa è stata lʼennesima occasione perduta”. Tornano i vecchi nomi, Di Pietro, Ferrero, Diliberto e Bonelli, e non hanno acluna intenzione di far fare “rivoluzione civile” a professori e intellettuali. Renzi-Bersani: un patto pieno di incognite Annalisa Terranova Già lo chiamano il patto della trattoria o anche «della polpetta», visto che la politica italiana è fitta di accordi che vengono presi a tavola, al ristorante, di amicizie politiche che si disfano sussurrando cattiverie in un bar e di intese che decollano guardando il menu. Dunque Pierluigi Bersani ha chiesto aiuto a Matteo Renzi e lo ha fatto invitandolo a colazione, spiegandogli che la carica di novità che il sindaco di Firenze battuto alle primarie si porta dietro può rappresentare una diga al montismo dilagante. E i due si sono trovati dʼaccordo, dopo le schermaglie sulle basi a Cayman del “rottamatore”, nel nome dellʼinteresse della ditta. Bersani ha spiegato a Renzi la metafora del tacchino sopra al tetto. Renzi ha concesso una battuta contro Ichino, passato nelle file montiane: “Cʼè troppa gente abituata a scappare con il pallone quando perde. Io no”. Dietro al patto, come sempre, ci sono i numeri, le quantità: Bersani inserirà una ventina di candidati renziani nel listino. Il segretario ha compreso che senza Renzi lʼimmagine del Pd rischia di essere assimilata a quella della vecchia sinistra. Infatti defezioni e mugugni dopo le parlamentarie vanno proprio in questa direzione. Lʼultima goccia – dopo la fuga di Adinolfi e di Ichino – è stato il rifiuto a candidarsi dello scrittore Alessandro Baricco. Bersani è stato allora costretto a chiedere una mano allo sfidante delle primarie. Nei prossimi giorni si potrà valutare se è stata o no una scelta producente: con Renzi legittimato e ringalluzzito dal patto “della polpetta” si potrebbero riproporre in piena campagna elettorale gli screzi e le divisioni che hanno accompagnato la sfida per le primarie. Va ricordato infatti che a fine dicembre sul Corriere era stata pubblicata una letteraappello firmata da 11 deputati (tra cui Paolo Gentiloni e Stefano Ceccanti) in cui si chiedeva al Pd un atteggiamento dialogante sullʼagenda Monti. Ma le parlamentarie hanno sancito la vittoria dellʼala più antimontiana dei democratici. Contraddizioni che avranno il loro peso in campagna elettorale. Ma per Bersani non sarà questo lʼunico cruccio: oggi una pagina del “Fatto” pone il problema degli impresentabili del Pd consacrati dai gazebo alla candidatura sicura. Tra i nomi quello del senatore di Enna Vladimiro Crisafulli e di Francantonio Genovese, il più votato alle parlamentarie a Messina. Sono sotto inchiesta per abuso dʼufficio. Ma i nomi chiacchierati non sono allocati solo in Sicilia. Cʼè il calabrese Nicodemo Oliverio, imputato per bancarotta fraudolenta e Ludovico Vico a Taranto, intercetttao nellʼinchiesta Ilva. Bersani spera con i nomi di Piero Grasso e della giornalista napoletana anticamorra Rosaria Capacchione di far dimenticare la promessa di liste pulite? Potrebbero essere proprio i renziani a ricordarglielo… 3 Il caso DʼUbaldo: il Prof sotto esame Desiree Ragazzi «Il caso dellʼimminente passaggio del senatore Lucio DʼUbaldo nelle file dei montiani sarà la vera “prova finestra” della pretesa intransingenza in fatto di moralità del Professor Monti. Se Enrico Bondi, pur prendendo atto della condanna inflitta dalla Corte dei Conti allʼex presidente di Laziosanità, per “il danno erariale provocato con la sua condotta gravemente colposa, negligente e superficiale”, decidesse di avallare la sua candidatura, vorrebbe dire che il palazzo di vetro tanto enfatizzato da Monti il giorno della sua entrata in politica, risulterebbe essere piuttosto opaco». Per il vicepresidente della commissione Politiche sociali della Camera, Carlo Ciccioli il caso dellʼex Pd evidenzia la forte contraddizione di Monti. DʼUbaldo, che a sostegno del Professore ha lanciato il “Movimento dei democratici popolari”, fu condannato per una retribuzione esorbitante concessa a Claudio Clini (fratello minore di Corrado, ministro dellʼAmbiente nel governo tecnico) quando nel 2006 fu nominato direttore generale dellʼAgenzia pubblica della Regione. Il contratto siglato prevedeva un emolumento annuale di 193mila euro, più una “retribuzione di risultato” pari al 20% della cifra. Compenso stratosferico per la Corte dei Conti, secondo la quale doveva essere applicato il tetto massimo previsto per i direttori delle Usl ovvero 155mila euro e peraltro doveva essere escluso il riconoscimento del 20% aggiuntivo. Ora la parola passerà a Enrico Bondi che dovrà decidere se “censurare” o meno la sua candidatura. «Questa storia dei presunti tecnici – osserva ancora Ciccioli – che fanno soprattutto gli affari dei gruppi economici e di cordate di potere è quanto di più vergognoso possa offrire la cosiddetta nuova politica. Monti è per il rigore però beneficia le banche che prendono i soldi dalla Bce a tassi “popolari” allʼ1% e li fanno pagare il 6% inoltre le fondazioni bancarie sono sgravate dallʼImu. E beffa tra le beffe dei sette miliardi di anticipo dellʼimposta prelevati dalle tasche degli italiani, oltre tre miliardi sono stati dati al Monte dei Paschi di Siena, “la banca rossa”, coi buchi in bilancio per salvarla dal fallimento. È questa la politica del rigore morale?». Gasparri: «I centristi rispettino almeno la legge elettorale» 4 Antonella Ambrosioni Sia chiaro, «vigileremo su eventuali violazioni della legge elettorale»: a poche ore dalla presentazione del simbolo della lista di Mario Monti, a Maurizio Gasparri non sono sfuggiti incontri e contatti tra i vari candidati nel tentativo di sbrogliare un nodo cruciale posto allʼattenzione del Pdl: lʼarticolo 14 della legge elettorale proibisce a più sigle di presentare i medesimi riferimenti nei caratteri grafici contenuti allʼinterno dei simboli. Così verrebbe meno la possibilità per Udc e Fli di utilizzare il «brand Monti» giudicato strategico per il risultato finale. Lei ha detto: «Nessuno si illuda di fare trucchi»: cʼè questʼintenzione, secondo lei? Vedremo come andrà a finire. Certo non sfugge lʼartificiosità di tutta questa operazione. Con lʼarroganza di Monti che sgorga spontanea nei giudizi spezzanti verso chiunque non appartenga a presunte élites di ottimati e tecnocrati. Anche le piccole forze politiche che si sono, rispettino le regole della democrazia e si presentino tutti insieme con unʼunica lista alla Camera e al Senato. Lai ha usato parole forti, «presuntuosi e subalterni», per identificare Monti da un lato e i partitini al seguito dallʼaltro. Unʼesagerazione? sono messe al suo servizio vengono trattate come persone imbarazzanti, un ingombro da nascondere negli scantinati. E questi ultimi, dʼaltra parte, «schegge» della vecchia politica, pronti a cavalcare il montismo. Come si dovrebbe risolvere questo problema tecnico in base al rispetto delle regole? No. Lo testimonia lʼartificiosità inquietante del loro stare insieme: Monti «li detesta» e Fli e Udc tentano di sfruttarne lʼonda per riciclarsi. Ci vuole chiarezza. Gli italiani hanno bisogno di una politica «normale». Vespa: «Monti sottoposto a mutazione genetica» Senza trucchi. Impediremo qualsiasi violazione della legge elettorale. Presuntuosi come Alla faccia della par condicio: in tv imperversa il «SuperMario show» Parte la controffensiva mediatica di SuperMario Monti. Rieccolo ospite di Lilli Gruber su La 7 a Otto e mezzo. Nonostante parte della stampa lʼabbia fatto passare come vittima sacrificale sullʼaltare della par condicio, con unʼoperazione a tenaglia Pd-Pdl volta a limitarne le apparizioni in tv, il premier uscente, per niente scalfito da regolamenti pretestuosamente giudicati «restrittivi», abbandona un salotto mediatico per presenziare in un altro. Con buona pace delle Cassandre che in commissione Vigilanza lamentavano intenti censori mirati a silenziare lʼex capo dellʼesecutivo. E a chi denunciava come «attentato di lesa maestà» la mancata riproposizione della conferenza stampa finale del presidente del Consiglio, il professore, dismesso il loden di ordinanza, ha dimostrato di superare brillantemente lʼimpasse passando da un polo televisivo allʼaltro con disinvoltura degna dʼun consumato veterano degli studi tv. Par condicio: il regolamento andrà cambiato Sono attualmente 23 i gruppi e le componenti parlamentari. Le norme sulla par condicio approvate in Vigilanza sul sorteggio degli spazi televisivi regolamentato una prima fase pre-elettorale che si concluderà il 18 gennaio. Da questa data scatterà la «fase 2», con la presentazione ufficiale delle liste che si fronteggeranno a febbraio. Gruppi e componenti potrebbero dunque aumentare e superare la quota 23, mandando in tilt i palinsesti e gli spazi previsti dalla Rai in base alle regole discusse dalla commissione di Vigilanza. Questi accordi prevedono il diritto per tutte le componenti a una conferenza stampa, non solo per il capo della coalizione ma anche per un rappresentante di ogni lista. Un moltiplicarsi degli spazi difficile se non impossibile da gestire a cui si farà fronte con una nuova riconvocazione della Vigilanza dopo il 18 gennaio. Una norma opportunamente inserita nel regolamento prevede infatti la possibilità di riunirsi di nuovo per mettere riparo alle troppe opzioni inserite nel regolamento. Bruno Vespa a tutto campo a Cortina d'Ampezzo, nell'incontro di "Una montagna di libri", la rassegna di incontri con l'autore. A partire da Mario Monti, «sottoposto in queste settimane – secondo il giornalista – a una sorta di mutazione genetica. Entrare nell'agone elettorale significa cambiare radicalmente comunicazione, significa dover polemizzare ieri con Fassina, oggi con Brunetta. Per il Professore – rileva – è un clamoroso salto di qualità». Quanto a Bersani, «se intende essere il prossimo capo del governo – spiega – deve fare un passo in avanti rispetto alla propria storia politica, deve in parte trascendere la propria area di appartenenza, come ha fatto Napolitano quando è andato al Quirinale». Vespa ha poi parlato del Cavaliere. «A dispetto di quanto si può pensare, Berlusconi non ama andare in televisione: è troppo perfezionista, ogni apparizione mediatica deve prepararla accuratamente. Lo considera necessario solo quando è in campagna elettorale, come ora. Il tira e molla sulla sua ricandidatura è stato infinito, durante gli ultimi sei mesi, e ancora prosegue. Comunque andrà a finire – conclude – è certo che, come ricorda Bertinotti, il Cavaliere resta ancora il migliore di tutti nel condurre le campagne». Riecco la macchina del fango. E La Russa querela l'Espresso «In relazione alla incredibile copertina dell'“Espresso" in edicola oggi con relative sei pagine di servizio a me dedicate, mi trovo costretto per la prima volta nella mia vita, a rivolgermi alla autorità giudiziaria per tutelare per via legale la mia onorabilità a fronte di attacchi così artatamente falsi e calunniosi». Così Ignazio La Russa, fondatore del movimento Fratelli d'Italia centrodestra nazionale, in una nota. «Il risarcimento del danno sarà tale da consentire al movimento 'Fratelli d'Italià di ricevere da me un sostanzioso contributo per la campagna elettorale. D'altronde solo la crescita del nuovo movimento di centrodestra e il tentativo di danneggiarlo può spiegare la falsità e la strumentalità delle accuse del periodico. Non basterà alla difesa dell'Espresso dire che neanche una riga degli articoli attribuisce a me comportamenti contrari alla legge o semplicemente scorretti. Sarà invece a me facile dimostrare che nessuno dei miei familiari (a partire da mio cognato, estraneo alla po- litica, incensurato e mai coinvolto in nessun procedimento giudiziario oltre che stimatissimo colonnello dell'Esercito in pensione) o delle persone tra quelle effettivamente politicamente a me vicini, è stato mai giudicato per comportamenti scorretti o men che meno per rapporti con ambienti poco raccomandabili». L'ex ministro della Difesa aggiunge che «resterà in ogni caso il tentativo privo di ogni minimo fondamento di presentarmi come al centro di rapporti poco chiari o peggio. Per chi come si vanta di fare politica da oltre 40 anni, facendo della correttezza e della onestà la principale bandiera ereditata da mio padre questo articolo è un'offesa inaccettabile. A riprova della assoluta falsità, leggerezza e strumentalità dell'articolo, basterà segnalare che il Marco Clemente, di cui ampiamente si raccontano malefatte e rapporti oscuri (non so quanto veritiere ma in ogni caso a me totalmente estranei) è solo omonimo dell'ambasciatore Marco Clemente che, egli si, è effettivamente stato il mio consigliere diplomatico al ministero della Difesa ed è oggi ambasciatore italiano in Lituania. Anche a lui credo, come a molte delle persone citate dall'articolo "L'Espresso” dovrà chiedere come minimo scusa». paolo Cutillo, che era con loro sullʼaereo dellʼaeronautica militare partito ieri sera da Ciampino. In serata è previsto che i due militari ritornino nellʼalbergo di Fort Kochi dove risiedono in stato di libertà vigilata dietro cauzione. «Ci siamo impegnati personalmente a riportare in India i due militari», ha sottolineato il diplomatico che insieme allʼex ambasciatore a New Delhi Giacomo Sanfelice aveva fornito una lettera di garanzia sul ritorno come richiesto dai giudici dellʼAlta Corte del Kerala per la concessione del permesso speciale di due settimane per trascorrere il Natale in Italia. «Spero che la gente del Kerala apprezzerà lʼimportanza di questo gesto e che sarà di aiuto per una soluzione positiva della vicenda», ha poi aggiunto prima di salire su unʼauto di servizio a fianco dei due marò. Su un altro veicolo hanno preso posto i funzionari del ministero della Difesa giunti da Roma insieme ai due fucilieri. Intanto la stampa indiana ha accolto oggi con soddisfazione e sollievo il ritorno dei marò, sottolineando che il rientro destituisce di fondamento le critiche rivolte al chief minister del Kerala, Oommen Chandy, di non aver presentato appello contro la sentenza dellʼAlta Corte di Kochi favorevole alla licenza in Italia. Significativamente la tv Zee News titola: «Hanno mantenuto la promessa. Sono tornati», mentre lʼagenzia di stampa Ians sottolinea la frase del console generale Cutilli. Per altri media «le preoccupazioni dei familiari dei due pescatori morti, delle associazioni dei pescatori e dei partiti dellʼopposizione di sinistra non avevano ragione di essere». Marò, lʼItalia rispetta la parola Antonio Pannullo La parola è parola. E specie quella di un militare italiano. Ieri i due maroʼ Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sono arrivati in India, allʼaeroporto internazionale di Kochi ,alle 3,15 ora italiana. Hanno sorriso ai giornalisti e alle tv locali che hanno provocato anche un piccola ressa allʼuscita dello scalo. Si sono poi recati al commissariato di polizia a bordo di unʼauto delle autorità italiane scortata dalle forze di sicurezza del Kerala. In questo momento sono in viaggio in automobile per raggiungere la cittadina di Kollam per riportare i passaporti al tribunale locale dove è in corso il processo per omicidio. Sono accompagnati dal console generale di Mumbai, Giam- Quotidiano della Fondazione di Alleanza Nazionale Editore SECOLO DʼITALIA SRL Fondazione Franz Turchi d’Italia 5 Pubblicazione Telematica Registrazione Tribunale di Roma N. 342/2009 del 6/10/2009 Consiglio di Amministrazione Tommaso Foti (Presidente) Alberto Dello Strologo (Amministratore delegato) Alessio Butti Antonio Giordano Mario Landolfi Ugo Lisi Direttore Politico Marcello De Angelis Vicedirettore Responsabile Girolamo Fragalà Redazione Via della Scrofa 39 - 00186 Roma tel. 06/68817503 mail: [email protected] Amministrazione Via della Scrofa 39 - 00186 Roma tel. 06/688171 mail: [email protected] Abbonamenti Via della Scrofa 39 - 00186 Roma tel. 06/68817503 mail: [email protected] La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 7 agosto 1990 n. 250 Suicida Roberto Scocco, cantò le speranze dei giovani di destra 6 Antonio Pannullo Rispetto. Dolore e rispetto. È questa la reazione degli amici di Roberto Scocco alla notizia della sua morte. Roberto, noto a destra per le sue ballate alternative negli anni Settanta, è stato trovato morto un una torretta di Villa Lauri, a Pollenza, nelle Marche, terra di cui era originario: si sarebbe sparato con un fucile da caccia. Poco prima, non lontano dalla villa, era stato ritrovato il suo furgone Doblò, allʼinterno del quale cʼera anche il suo cellulare. Roberto, che i giornali definiscono pubblicitario, ma che era soprattutto cantautore e poeta, era nato il 23 dicembre 1956 e gestiva il castello Pallotta di Caldarola. La moglie e il fratello ne hanno denunciato la scomparsa in Questura perché mancava da due giorni e sono così iniziate le ricerche. Roberto lascia due figli e di 5 e 7 anni. Da sempre impegnato in politica, a destra, dopo la svolta di Fiuggi si era candidato con la Fiamma tricolore alle comunali e in Regione. Negli anni Settanta i giovani missini ascoltavano le sue canzoni in musicassetta, tra le quali “A Sergio”, dedicata a Sergio Ramelli, il giovane assassinato a sprangate dal- lʼultrasinistra a Milano, “La vendetta della civetta”, e soprattutto “Contadino”, uno dei suoi primi brani, nel quale auspica un recupero del rapporto tra lʼuomo e la natura. Ha partecipato ai campi Hobbit, i raduni della giovane destra, sempre negli anni Settanta, fu esponente del Fronte della Gioventù di Macerata, teneva concerti fortemente caratterizzati. Aveva anche unʼimpresa di grafica pubblicitaria e organizzava eventi e iniziative culturali. A detta dei suoi amici, non era tipo da fare quel che ha fatto, perché aveva una visione scanzonata e ottimistica della vita, scherzava sempre. Fu lui lʼautore della parodia dellʼAvvelenata di Francesco Guccini, un cult del gruppo rautiano del Msi, modificata in funzione politica con i nomi di allora. Diceva cose tipo “boia chi molla è il motto della colla”, e così via… Ma non sempre scherzava. Ultimamente aveva scritto così: «Ho lavorato sempre e tanto ma ho anche coltivato molte passioni cercando di non lasciare niente indietro…adesso non è il massimo ma vado avanti lo stesso e mi sento sempre più una roccia in mezzo alla tempesta…o uno scoglio?». Torna in libreria lʼopera di Vico, che fu apprezzata da Evola e Gentile Valerio Goletti Il ritorno di Giambattista Vico non era per niente scontato, vista la sua prosa difficile e la scarsità di estimatori. Eppure Bompiani lo rilancia con unʼedizione accurata e scrupolosa de “La Scienza nuova” che Emanuele Severino definisce sul “Corriere” unʼ«imponente operazione culturale». Ma che ha da dire Vico ai contemporanei? Secondo Severino importante fu la sua intuizione di illuminare la storia attraverso una filosofia che ne facesse cogliere la verità. Fu proprio Vico, in ogni caso, a far fare allʼerudizione storica un salto di qualità trasformandola in «storia delle idee, costumi e fatti del genere umano». Oggi esiste una vera e propria ossessione della memoria, una tensione a catalogare le tendenze, a studiare i comportamenti, a stabilire i gusti prevalenti dei popoli che si accorda benissimo con il pensiero del filosofo napoletano. Altro aspetto che merita di essere sottolineato è la funzione di precursore che Vico ha svolto rispetto alla psicologia del profondo del Novecento in particolare anticipando gli archetipi di Jung, ai quali Vico attribuiva il nome di “universali fantastici”. Molto gli deve un autore amato dai contemporanei come il filosofo James Hillmann, nella cui opera troviamo punti di contatto con lʼidea vichiana di una «lingua mentale comune a tutte le nazioni». Vico era apprezzato dal filosofo tradizionalista Julius Evola: molti i punti di contatto tra la sua idea di Tradizione e quella vichiana di Provvidenza vichiana, entrambe valutate come energie capaci di mettere in movimento la storia al di là della pura cronologia dei fatti e oltre la categoria materiale del progresso. Infine, secondo Giovanni Gentile, Vico aveva anticipato lʼidealismo restituendo al fatto il criterio di veridicità oltre la pura razionalità cartesiana. Lʼomaggio di Tarantino agli spaghetti western Priscilla Del Ninno Il cinema Adriano di Roma per una giornata diventa il tempio in cui si celebra la liturgia cinefila degli “spaghetti western”: officiante dʼeccezione Quentin Tarantino, cultore del genere che ha omaggiato con la sua ultima fatica, Django Unchained, chiaramente ispirato – a partire dal titolo – al Django di Sergio Corbucci. Interpretato da Jamie Foxx, Leonardo Di Caprio, Christoph Waltz, Samuel L. Jackson e Kerry Washington, il film sarà nelle nostre sale dal 17 gennaio. Allʼanteprima italiana del “maccheroni western” – come lo chiamano negli Usa – diretto da Tarantino, una platea doc di grandi protagonisti del genere di casa nostra, da Franco Nero (non a caso presente in un cameo in Django Unchained) a Giuliano Gemma, da George Hilton a Gianni Garko, da Nicola Di Gioia a Lucio Rosato. E tra le protagoniste, la cow girl Ursula Andress. La storia, ambientata nel 1850, declina allʼepopea western rivisitata allʼitaliana il tema del razzismo, ed è incentrata sulle vicissitudini di uno schiavo di colore, Django-Jamie Foxx, reso libero dal colto Dott. King Schultz (Christoph Waltz), cacciatore di taglie di origine tedesca. Intreccio, risvolti surreali, caratterizzazioni dissacranti, offrono lʼopportunità al regista premio Oscar per Pulp fiction di dimostrare di aver appreso e metabolizzato la lezione impartita dagli intramontabili maestri del filone: Sergio Leone, Duccio Tessari, Sergio Corbucci che, partendo dalla mitologia a stelle e strisce hanno reinterpretato il genere, adattandolo alla cultura made in Italy e a budget più striminziti, con storie più cruente e meno moraleggianti, creando una nuova epopea di celluloide. Lʼazione spinta allʼestremo, la ieraticità carica di tensione e misticismo, lʼeroe cinico e senza scrupoli, ma più impolverato e stropicciato, e decisamente dotato di macabra ironia, rappresentano il lessico che ha fondato una grammatica spettacolare imprescindibile per molti cultori degli “spaghetti western”, anche se sulle prime snobbata da certa critica radical chic più incline a bollarla come genere di serie b, salvo poi riabilitarne anni dopo originalità formale e spessore artistico. Unʼepopea di celluloide che ha fatto scuola, riabilitata oggi anche da Quentin Tarantino che, a proposito dei suoi maestri di riferimento, ha dichiarato: «Tra Corbucci e Leone? Non saprei chi prediligere. È una scelta salomonica stabilire chi fosse il migliore». Nuovo video choc sulla violenza di strada a Napoli Sandro Forte Madre e figlia che assistono paralizzate - si voltano, vedono la scena, sentono i colpi e poi scappano - ad un omicidio di camorra nel quartiere di Secondigliano, alla periferia di Napoli: è l'immagine ripresa dalla telecamera di sorveglianza di un negozio di abbigliamento. L'episodio è quello relativo all'assassinio di Antonello Faiello, ritenuto appartenente al clan dei Di Lauro, avvenuto la sera del 14 aprile 2011, nell'ambito della faida in corso nell'area. Dalla sequenza del filmato, diffuso da alcuni media, si nota che le due donne stanno passeggiando; all'improvviso giungono degli scooter che circondano altre motociclette. In pochi secondi tutto si compie: viene ucciso Antonello Faiello e resta ferita un'altra persona. Le due donne si voltano e poi scappano mentre un gruppetto di curiosi si avvicina al corpo senza vita. E' il nuovo video choc che testimonia dell'ordinaria violenza a Napoli dopo quello, che fece il giro del mondo, dell'omicidio di Ma- riano Bacioterracino, avvenuto in piazza Vergini l'11 maggio scorso davanti ad un bar. In quell'occasione i pubblici ministeri della Direzione distrettuale antimafia identificarono il killer in un pregiudicato di 30 anni che viveva a Secondigliano. Le telecamere registrarono tutte le fasi del feroce agguato. Tra le persone riprese anche un uomo indicato dagli inquirenti come il “palo" che con un segnale avrebbe dato il via allʼazione. Il diretto interessato però smentì il suo coinvolgimento. Bacioterracino era stato tra i sequestratori di Guido De Martino, figlio del senatore Francesco, leader storico dell'ex Partito Socialista Italiano. Per la liberazione della vittima del sequestro, definito allora "atipico", fu pagato un riscatto. Quasi tutti i componenti della banda furono arrestati e condannati nei vari gradi processuali: tre di loro furono assassinati durante una licenza premio. Bacioterracino non potè prendere parte al sequestro perché si fratturò una gamba, ma fu ugualmente pagato dai suoi complici che gli versarono una parte del miliardo Monito dell'arcivescovo di Genova e presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, contro il razzismo dopo i fatti come quello che ha portato alla reazione di Boateng durante l'incontro di calcio amichevole Pro Patria-Milan: è figlio «della cultura individualista» che permea la società contemporanea, e quanto avvenuto durante la partita è un esempio. «Più al mondo del calcio - ha detto il cardinale - il mio messaggio è rivolto al mondo in generale, alla nostra cultura, al nostro modo di stare insieme. Viviamo in una cultura che vede negli altri dei nemici potenziali. Finché seminiamo una cultura individualista, dove ognuno è per sé, dove vogliamo andare?», ha sottolineato Bagnasco parlando con i giornalisti. Se poi avvengono fatti come quello che ha portato alla reazione di Boateng, «non ci si meravigli - ha proseguito l'arcivescovo di Genova - perché l'individualismo non libera la persona, la rinchiude in se stessa e vede negli altri dei nemici potenziali». Per quanto riguarda le indagini, un tifoso della Pro Patria, finora l'unico interrogato dalla polizia, ha ammesso di aver partecipato ai cori razzisti rivolti ai giocatori di colore del Milan, che ieri hanno portato i rossoneri ad abbandonare il campo durante la partita amichevole a Busto Arsizio (Varese). Il tifoso, un giovane residente in provincia di Varese, faceva parte del gruppo composto da una decina di persone dal quale sono partiti i cori. Verranno ora valutati i provvedimenti da prendere nei suoi confronti, mentre gli altri tifosi del gruppo potrebbero essere sentiti nelle prossime ore. Proseguono intanto gli accertamenti attraverso l'analisi delle telecamere di videosorveglianza che hanno ripreso l'episodio. Cori razzisti allo stadio: monito di Bagnasco 7 estorto al senatore a vita. Bacioterracino fu condannato a 13 anni e 2 mesi di carcere, ma in appello la pena fu ridotta a 12 anni e mezzo. Camorra: sequestrati beni per 10 milioni Beni mobili e immobili per il valore di 10 milioni di euro, riconducibili al clan camorristico Perreca-Delli Paoli operante nel Casertano e alleato dei Casalesi, sono stati sequestrati dai finanzieri del Comando provinciale di Napoli che hanno eseguito il provvedimento emesso dal Collegio per l'applicazione delle misure di prevenzione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, presieduto da Raffaello Magi. L'operazione segue quella effettuata lo scorso 13 dicembre che aveva portato al sequestro di sette società di capitali nonché di beni personali (appartamenti, auto, motoveicoli e rapporti bancari) intestati ai fratelli imprenditori Antonio e Alessandro Acconcia ed alle rispettive consorti per l'importo di circa 35 milioni di euro. E sempre beni, ma per il valore di un milione di euro, sono stati confiscati dalla Dia di Catanzaro a Salvatore Galluzzi, 36 anni, di Rossano, attualmente detenuto nel carcere di Viterbo a seguito della condanna definitiva a 15 anni di reclusione per traffico di sostanze stupefacenti ed armi. La Dia, in particolare, ha confiscato diversi beni immobili, autovetture, un'azienda agricola nonché rapporti finanziari riconducibili a Galluzzi, ritenuto contiguo a cosche della 'ndrangheta. Dalle indagini è emersa la netta sproporzione tra il reddito dichiarato ai fini delle imposte dirette e le attività economiche esercitate. Gli investigatori sospettano che Galluzzi sia stato a capo di un'organizzazione dedita al traffico di droga.