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Fiori, carne e sogni
La scrittrice coreana Han Kang, uscita ora anche in italiano per i tipi di Adelphi, è
rapidamente diventata un caso letterario in tutto il mondo
/ 31.10.2016
di Mariarosa Mancuso
Due signore hanno scritto i romanzi di cui si parla (così magari quando viene da dire «si parla tanto
delle famiglie inventate da Jonathan Franzen e poco delle donne che scrivono romanzi sulla
famiglia» sarebbe meglio contare fino a quindici e non aggiungere luoghi comuni, già ce sono tanti).
La prima si chiama Emma Cline, è nata in California nel 1989, il suo romanzo d’esordio Le ragazze –
conteso dagli editori quando ancora non era terminato, l’anticipo è arrivato a due milioni di dollari –
esce da Einaudi.
Racconta la quattordicenne Evie, in crisi come tutte le adolescenti, e come tutti gli adolescenti con
un fondo di rabbia da sfogare. Finirà in una setta molto somigliante a quella di Charles Manson, che
nell’agosto del 1969 fece irruzione nella villa californiana abitata da Roman Polanski e dalla moglie
Sharon Tate (lui era all’estero e si salvò, lei morì incinta di otto mesi).
Alessandro Baricco ha trovato il romanzo di Emma Cline «un po’ troppo perfetto» – formula piuttosto
antipatica, e critica che nessuno farebbe mai a un architetto, a un pittore, o a un costruttore di ponti.
Come se Le ragazze fosse il frutto di un lavoro collettivo, da gruppo di studenti a un corso di
scrittura: tirate fuori le vostre immagini, le vostre similitudini, le vostre accensioni liriche migliori;
mettendole insieme uscirà il capolavoro. La ventisettenne in effetti è strepitosa quando scrive, meno
quando costruisce trame. Non le interessa metterci voglia di sapere «come andrà a finire» (e non
solo perché sappiamo che gli idilli con le sette finiscono sempre male).
La seconda signora è coreana, classe 1970, non troppo conosciuta in patria ma balzata alla ribalta
internazionale per il Booker Prize ricevuto battendo Elena Ferrante e Orhan Pamuk (non
cercheremo di vendicare nessuno dei due, chiunque si nasconda dietro lo pseudonimo). Il suo
romanzo si intitola La vegetariana (appena uscito da Adelphi), lei si chiama Han Kang.
Abbiamo tutti amici e conoscenti che smettono all’improvviso di mangiare carne, per vari motivi.
Yeong-hye decide di astenersi, anche da uova e latte, dopo un sogno terribile e sanguinario. Avrebbe
potuto farlo anche per protesta verso il consorte, che nella prima riga del romanzo la descrive così:
«Prima che mia moglie diventasse vegetariana l’avevo sempre considerata del tutto insignificante».
Tocca al consorte – stupito e poi furioso – cominciare la narrazione. Le buone maniere non servono a
niente, le cattive sono controproducenti: a una cena di famiglia la neo-vegana afferra un coltello,
evidentemente considera sacro solo il sangue animale. Poi il testimone passa al cognato, e le
privazioni della carne (intesa come cibo) lasciano il posto alle perversioni della carne.
Il cognato – fa il videoartista senza troppo successo – è ossessionato dal corpo sempre più magro
della vegetariana Yeong-hye. Non per portarsela a letto – non subito almeno: siamo in Corea, un po’
di stranezze fanno parte del gioco. Per dipingerle sul corpo fiori colorati. Lei vuol sapere soltanto se
andranno via, dopo qualche doccia. Proprio quando lui intende passare alla fase due del video che
sta girando. Con le parole dell’artista: «Un uomo e una donna con i corpi dipinti da splendidi fiori,
che facevano sesso su uno sfondo di inesprimibile silenzio».
«L’inesprimibile silenzio» ha messo anche noi a dura prova (sono anni che collezioniamo saggi e
saggetti, anche qualche romanzo, sul tema del silenzio: ci convinceranno quando useranno meno
parole per convincerci a smettere di conversare). Bisogna superarla per arrivare alla terza parte del
romanzo – neanche 200 pagine che filano veloci, la mania dei mattoni di mille pagine non aveva
ancora contagiato nel 2007 la Corea del Sud, la versione originale del romanzo sta per compiere
dieci anni.
La vegetariana non ha ancora diritto di parola, e l’avrà sempre meno, per sua scelta. Parla
attraverso altri sogni – incubi, per la verità – che guastano il riposo della sorella (già abbastanza
sconvolta per il tradimento del marito): «Guarda, sorella, sto facendo la verticale; sul mio corpo
crescono le foglie, dalle mani mi spuntano le radici…». Ebbene sì, dopo il regno animale il delirio – e
la vendetta – conquistano il regno vegetale.
I maligni, assieme a qualche esperto di faccende coreane, sostengono che parte del merito vada a
Deborah Smith, la traduttrice inglese del romanzo (anche Adelphi mette come titolo originale The
Vegetarian). A lei andrà metà del premio, 50.000 sterline in totale.