La favola - Hoepli Scuola

Transcript

La favola - Hoepli Scuola
La favola
La favola nella letteratura greca
La favola è un breve racconto in prosa o in versi in cui agiscono, in qualità di protagonisti, animali
o esseri inanimati. È presente in tutte le letterature e risponde al bisogno, insito nell’animo umano,
di racchiudere all’interno di una narrazione più o meno fantastica verità morali e insegnamenti
pratici. Poiché il suo fine è di carattere didascalico, affonda le sue radici nella saggezza dell’animo
popolare e se ne trovano esempi fin nelle più lontane origini della letteratura. Nel mondo greco se
ne ha un esempio già nelle Opere e i giorni di Esiodo, nell’VIII secolo a.C., con L’usignolo e lo
sparviero dove un usignolo, catturato dal rapace, cerca di impartirgli una lezione sul significato
della giustizia.
Sarebbe stato Archiloco, nel VII secolo, il creatore della favola del tipo che si sviluppò poi come
genere autonomo; di questo autore però restano solo scarsi frammenti, come frammenti di favola si
ritrovano anche in Solone e in Simonide, nel VI secolo. Nello stesso secolo visse anche Esopo, il
grande favolista greco che fece della favola un genere letterario vero e proprio.
La formula esopiana era al contempo semplice e geniale: trasmettere, attraverso un linguaggio
molto semplice e metafore facilmente comprensibili, un principio di verità o un insegnamento
morale, ossia servirsi dei caratteri degli animali come di elementi simbolici attraverso cui
stigmatizzare e correggere i difetti degli uomini. L’opera di Esopo godette di un largo successo, e
divenne il modello di tutta la tradizione successiva. Esopo per la verità non aveva messo per iscritto
le sue favole, ma già al tempo di Socrate ne circolavano delle raccolte ad Atene; la raccolta a noi
pervenuta, tuttavia, appartiene a una redazione molto posteriore.
La favola nella letteratura latina: Fedro
La favola più antica di cui abbiamo memoria nella tradizione storica romana è quella notissima
delle membra e dello stomaco, narrata da Menenio Agrippa alla plebe di Roma ritirata
sull’Aventino.
Qualche favola fece la sua comparsa anche nella letteratura latina delle origini: ce n’era traccia nelle
Saturae di Ennio (239-169 a.C.) e nelle Satire di Lucilio (180-103 a.C.), e in epoca augustea anche
Orazio inserì più volte degli apologhi nelle sue opere satiriche. La materia favolistica però subì un
continuo processo di rimaneggiamento e ampliamento, per cui all’epoca di Fedro si contavano
almeno 500 favole.
Fedro, il grande favolista romano vissuto dal 15 a.C. circa alla metà del I secolo d.C., si formò
inizialmente sulla tradizione e su rifacimenti di Esopo, traendone ispirazione per una
rappresentazione più meditata e più profonda della realtà umana; ben presto acquistò indipendenza
e originalità, ed elevò inoltre a dignità poetica questo genere letterario arricchendo i testi con una
veste poetica, che non era presente in Esopo. Ecco come lui stesso presenta nell’introduzione le sue
Fabulae, raccolte in 5 libri: Aesopus auctor quam materiam reppĕrit, // hanc ego polivi versibus
senariis. (I, Prologo, 1-2) «Le favole che inventò Esopo, io le ho abbellite con il verso senario».
Ma Fedro offre lo spunto anche per una riflessione sull’origine della favola. A quanto lui stesso
afferma, la favola di per sé è una forma letteraria di origine popolare, anzi servile:
Nunc fabularum cur sit inventum genus
brevi docebo. Servitus obnoxia,
quia quae volebat non audebat dicere,
affectus proprios in fabellas transtŭlit
calumniamque fictis elusit iocis. (III, Prologo, 33-37)
«Ora dirò brevemente perché sia stato inventato il genere delle favole. Poiché la schiavitù sempre
sottomessa non osava dire ciò che avrebbe voluto, trasferì i propri sentimenti nelle favolette e si
difese dall’accusa di calunnia con scherzose finzioni»; infatti, aggiunge poi alla fine dello stesso
libro citando un verso di Ennio, «per un plebeo è un sacrilegio protestare apertamente»: palam
muttire plebeio piaculum est. (III, Epilogo, 34)
La favola è dunque un espediente escogitato dallo schiavo (e a tal proposito non va dimenticato che
Fedro era stato uno schiavo, come pure di origine servile era anche il suo modello Esopo) o più in
generale dal debole e dall’oppresso, per esporre sotto un travestimento allusivo la propria visione
del mondo. Ed è una visione desolatamente pessimistica, in cui i potenti prevalgono sempre e
comunque; agli umili e agli oppressi, costretti a subire, non resta che la rassegnazione, e l’amaro
sorriso della favola.