06 algini - Richard e Piggle
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06 algini - Richard e Piggle
Tra pentole... e coperchi. La bugia nella relazione adulto-bambino* MARIA LUISA ALGINI Il problema delle cosiddette “bugie” di bambini e adolescenti è estremamente complesso, molto difficile ma anche molto suggestivo. Stranamente, anche molto poco affrontato nella letteratura psicoanalitica. Anzitutto, che cos’è la bugia? È l’opposto della verità, è un suo accomodamento, è una delle tante versioni possibili della verità stessa? Di quale verità? Quella interiore, quella dei fatti, quella cosiddetta oggettiva? Nella relazione genitori-figli e più ampiamente adulti-bambini, la verità e la bugia, sono la stessa cosa per chi le dice e per chi le ascolta? Mi limiterò ad alcuni pensieri relativi alla mia esperienza clinica con bambini, adolescenti e genitori, partendo da una recente seduta con un ragazzo di 14 anni che chiamerò Valerio, e che mi pare si presti a introdurre l’argomento. “Mamma la chiama bugia, diceva concitato e furioso ... Ma perché chiamarla bugia?...Ho semplicemente allisciato un po’ la verità, ecco tutto... Sono stato costretto, per forza: lei deve controllare sempre, lei mi si accolla sempre ...” “Accolla?” avevo commentato... “È una parola forte...” “Sì, continuava, come il maglione con il collo alto, stretto, insopportabile, e se non te lo puoi levare... allora lo pieghi, lo lisci, lo strapazzi, se no diventi matto. Che posso fare? Lei mi si accolla sempre e a me non resta che allisciare un po’ la verità”. Il fatto cui Valerio si riferiva era l’ultimo di una catena. Già tartassato di punizioni per le difficoltà scolastiche, aveva avuto il permesso di andare a una festa solo a patto di fare prima una commissione per la madre e di non * Lavoro presentato al Convegno di Lavarone “Il falso tra menzogna e illusione”, il 12-13 luglio 2008. Richard e Piggle, 17, 2, 2009 144 M. L. Algini: Tra pentole... e coperchi. La bugia nella relazione adulto-bambino perdere il corso di inglese. Ma per colpa di quella commissione aveva fatto tardi, ed era rimasto a lungo sulla porta della British School a chiedersi: perché prendere solo mezza lezione e far tardi anche nella festa?... Forse è meglio saltare la mezza lezione e concedersi tutta la festa. Alla madre aveva mandato un SMS: tutto a posto. Era pur vero, e si dilunga a spiegarmelo, che lui alla lezione di inglese intendeva proprio andare, era arrivato sulla porta, se aveva fatto tardi era per le commissioni di sua madre: per questo non riteneva di aver detto una bugia ma solo “allisciato un po’ la verità”... Però ... il diavolo fa le pentole e non i coperchi: la madre aveva controllato, interpretando la bugia come l’ennesima conferma della sua inaffidabilità. Così... “ai bugiardi niente paghetta e niente uscite”, aveva decretato. E Valerio me ne stava parlando proprio per questa scottante punizione. Ho voluto cominciare con questo flash, perché della bugia di bambini e adolescenti si potrebbe parlare in mille modi. Dal flash riportato si capisce che rispetto alla bugia Valerio e la madre non sono sulla stessa lunghezza d’onda. La madre segue una logica formalmente rigorosa: mio figlio mente perché dice di aver mantenuto i patti convenuti e questo non è vero. Valerio segue un’altra logica, più di tipo affettivo: l’intenzione di far tutto bene io ce l’avevo, sono stato così ligio nella commissione per mamma che mi sono messo in difficoltà con la lezione di inglese, dove ho davvero provato ad andare. Mamma doveva riconoscerlo e apprezzare il mio impegno. Sarei stato sincero se lei fosse più morbida, se mi desse fiducia ... Siccome questo è impossibile... non mi rimane che “allisciare un po’ la verità”, sperando nella fortuna. Due logiche che non si incontrano, almeno al momento. Due verità, che mettono in luce quanti pensieri, timori, emozioni, pre-giudizi siano in gioco nella relazione genitore-figlio. Vorrei mettere a fuoco qualche aspetto di questa valenza relazionale. Penso cioè che nella maggior parte dei casi il “bugiardo” si possa qualificare come tale solo rispetto ad un interlocutore significativo, interno ed esterno, persona o gruppo. Interlocutore nella realtà o anche solo nella fantasia, che gli crede o non gli crede, che gli contrappone un proprio assetto intellettivo ed affettivo, una propria verità e una propria logica. È rispetto alle dinamiche e alle caratteristiche di questa relazione che il bambino o l’adolescente usano la bugia, a volte costruendo su di essa il proprio assetto psichico e le proprie strategie interiori, a volte utilizzandola come snodo importante nella relazione con l’altro. La bugia di un bambino o di un adolescente interpella l’adulto: non solo perché lo costringe ad interrogarsi sul che farne, come gestirla, ma soprattutto perché pone una domanda inquietante: cosa sta succedendo? Come mai si ricorre a questa modalità di comunicazione? Per segnalare cosa, per provocare chi e che cosa? La bugia sarà una provocazione che parte solo dai figli o anche una risposta a qualcosa che appartiene a noi adulti? Richard e Piggle, 17, 2, 2009 M. L. Algini: Tra pentole... e coperchi. La bugia nella relazione adulto-bambino 145 Insomma sull’onda del proverbio “il diavolo fa le pentole ma non i coperchi” ... di fronte ad una bugia infantile siamo proprio sicuri di chi sono le pentole e di chi i coperchi? Un’altra storia clinica, vista stavolta dalla parte della madre, mi aiuta ad evidenziare passaggi e sviluppi significativi tra i genitori e un bambino di cinque anni. Come sfondo c’è uno scenario importante. Questa giovane donna che chiamerò Amelia aveva iniziato una psicoterapia sulla spinta della crisi provocata in lei da una sorella gravemente bugiarda. L’aveva a lungo aiutata economicamente, con molta dedizione e sacrificio, per scoprire poco a poco che la sorella viveva letteralmente in un castello di bugie: aveva fatto credere a tutti di essersi brillantemente laureata, e di aver cominciato una libera professione, quando in realtà non aveva nemmeno fatto un esame e si era impegolata in traffici e relazioni oscure continuando a chiedere in giro soldi su soldi. A un certo punto Amelia aveva aperto gli occhi: dapprima aveva tentato di farla ragionare, poi di farla aiutare psicologicamente, infine si era arresa a chiudere ogni rapporto. Dopo l’ennesimo buco economico, la sorella era fuggita all’estero con la polizia alle calcagna. In tutto ciò Amelia si trovava sola, gli altri familiari relativizzavano l’accaduto, l’accusavano di essere dura, paurosa, intransigente. Questo aveva ulteriormente aggravato la sua crisi. Nei primi incontri era carica di domande. Cos’era successo alla sorella? Doveva considerarla una delinquente o una malata? Poteva guarire da una patologia così grave, e come era arrivata ad essere così? Come mai per tanti anni nessuno in famiglia si era accorto di niente, e anche di fronte all’evidenza, tutto era minimizzato? E che famiglia era la sua? Perché lei stessa era stata così cieca?... Mille domande angosciose. Evidente che eravamo davanti a una situazione di patologia grave. In questo caso la bugia era diventata un sistema strutturale di pensiero, un modo di funzionare delirante, che non teneva conto degli altri e della realtà. Con Amelia abbiamo lavorato molto su quanto la patologia della sorella assente scoperchiava della sua storia, della situazione familiare, della relazione tra sorelle. In questo contesto, ad un certo punto è apparsa una vicenda di tutt’altro tipo. Che però, collocata su quello sfondo, assumeva risonanze emotive molto forti. Tutto si amplificava. Amelia e il marito avevano un bambino di cinque anni, che chiamerò Tiziano, sempre descritto come eccezionalmente tranquillo, intelligente, molto sensibile. Improvvisamente si scatena l’inferno: un giorno Tiziano racconta alle maestre della scuola materna che la madre non lo verrà a prendere come il Richard e Piggle, 17, 2, 2009 146 M. L. Algini: Tra pentole... e coperchi. La bugia nella relazione adulto-bambino solito, ma più tardi: gli ha quindi dato il permesso di andare con gli altri bambini alle attività ricreative. Una palese bugia: la madre manda la babysitter come sempre, questa si spaventa non vedendolo al solito posto, avverte la madre, vien fuori la versione data dal bambino alle maestre. Come mai Tiziano ha architettato tutta quella storia? si chiede la signora. Non riesce a capire: era sempre stato un bambino “solare”. Emerge una prima ipotesi. Chissà se con quella “bugia” Tiziano voleva esprimere un disagio, una protesta, qualcosa che non riusciva a dire direttamente, a parole. La mamma gli parla, cerca di capire il motivo di quella bugia, lui confessa quanto gli piacerebbe fare le stesse cose dei compagni, senza essere sempre per mano alla babysitter come i bambini più piccoli. Non potendolo fare...si era arrangiato così. Penso molto in questo frangente al saggio di Freud Le teorie sessuali dei bambini (1908). Freud ricorda che, presto o tardi, arriva sempre un momento in cui un bambino scopre che i genitori a certe domande per lui importanti, cominciando da quella classica “come nascono i bambini”, rispondono in modo evasivo, o cambiano discorso; oggi, potremmo dire, pensano di liquidare la curiosità con video o spiegazioni pseudoscientifiche, ritenendo questo sufficiente ed appagante. Per questa o altre vie, arriva comunque sempre il momento in cui un bambino apre gli occhi sul mondo degli adulti: il mito di Babbo Natale finisce, cadono le idealizzazioni, si capisce che i genitori non dicono tutto, che hanno segreti che tengono per sé. Così, continua Freud, “i bambini alimentano in sé la sfiducia nei confronti degli adulti e acquistano il sospetto di qualcosa di proibito, il cui accesso è loro precluso dai grandi” (p. 455). È un momento molto importante: l’infanzia è a una svolta e nella costruzione della mente avviene un passaggio fondamentale. Infatti, il bambino intuisce e realizza che, se i grandi hanno dei segreti, allora è possibile averne a propria volta. Se non si possono conoscere i pensieri degli adulti, neanche loro possono conoscere i nostri. Ciascuno si può “creare” degli oggetti-pensieri, che lui è il solo a conoscere e sui quali può negare ogni diritto di sguardo. Così, paradossalmente, le prime bugie possono essere il segnale di una crescita: il bambino sta sperimentando se anche lui può avere uno spazio mentale proprio, sottratto al controllo dei grandi. A quel punto bisogna trovare un modo nuovo per comunicare tra grandi e piccoli e per riconoscere nuovi bisogni e capacità cognitive ed affettive del bambino. Amelia riesce a sbloccare la questione del doposcuola e a capire le esigenze del figlio. La storia delle bugie di Tiziano, però, non finisce lì. Quello è solo l’esordio. Richard e Piggle, 17, 2, 2009 M. L. Algini: Tra pentole... e coperchi. La bugia nella relazione adulto-bambino 147 Dopo il primo fatto, inizia una catena di altre piccole bugie. Il bambino molto spesso porta a casa nuovi giocattoli, sostenendo che i compagni glieli hanno regalati. Una volta può essere, due pure...tutti i giorni no. La madre si arrabbia, ribadisce le regole, ma i rimproveri, le punizioni, l’intransigenza nel far restituire tutto funzionano lì per lì, poi lui ricomincia a tenersi nello zainetto cose non sue sostenendo di averle avute in regalo. Chissà cosa può alimentare quel comportamento. Un po’ alla volta emergono l’ansia della signora per il figlio e il suo spasmodico bisogno di controllarlo, togliendo spesso spazio anche al padre, pur presente e vigile. Amelia teme sempre che il figlio si faccia male; non si fida di nessuno; anche nelle feste, mentre lui gioca con gli altri bambini, deve sempre seguirlo a vista. Come nel caso dell’adolescente Valerio, viene il dubbio che tra madre e bambino si autoalimenti un circolo vizioso. Le bugie di Tiziano potrebbero essere una protesta, un’espressione della rabbia per l’incalzante controllo materno, un tentativo provocatorio e sempre più spinto di sottrarsene. Un tentativo però inefficace, che paradossalmente alimenta il circolo vizioso: perché più il bambino si comporta così per ribellarsi alla madre, più la madre controlla, e più controlla e più circola rabbia reciproca. E si ricomincia sempre daccapo. Come uscire da quel circolo esasperante? Forse è il momento in cui il bambino ha bisogno di un maggior appoggio sul padre, pur già presente e attivo con il figlio, per poter prendere e sostenere una maggiore distanza dalla madre, e acquisire una maggior sicurezza profonda. Si impone così un cambiamento non semplice anche nella coppia dei genitori e nell’articolazione delle loro funzioni genitoriali. Mi fa molto pensare anche il fatto che le bugie abbiano preso la via dei giocattoli. A casa certamente non mancano. Tiziano è figlio unico e la madre, sono parole sue, “non resiste quando vede giochi nuovi e interessanti”. Si diverte molto a regalarglieli, sia che il bambino li chieda, sia per il piacere e la sorpresa di fargli un dono. Proprio per questo le pare ancora più strano che il figlio rubi i giochi degli altri bambini... Conoscendo la storia di Amelia, questi continui regali mi sembrano anche un modo per risarcire se stessa di quello che non aveva avuto lei nella propria infanzia. Un figlio è una parte di sé, su cui si riversano attese, risarcimenti, riparazioni di quanto è mancato o è rimasto inconcluso nella propria storia. Questo mi accende una nuova lampadina nella mente. Non sarà che il “non resistere quando vede giochi nuovi e interessanti” della madre è divenuto nel bambino un modo di funzionare che in questo momento ha la prevalenza su tutto il resto? Forse Tiziano non riesce ancora a mettere limiti al suo desiderio e quindi non sopporta che ce ne siano. Forse è molto forte in lui l’istanza che Richard e Piggle, 17, 2, 2009 148 M. L. Algini: Tra pentole... e coperchi. La bugia nella relazione adulto-bambino appena sorge un desiderio esso possa e debba essere soddisfatto, nonostante altre regole, pur date, dai genitori. La bugia allora potrebbe essere legata al rifiuto della frustrazione, un’espressione del compromesso che Tiziano trova dentro di sé tra due istanze in conflitto. Perché da un lato non riesce a rinunciare al desiderio di avere i giochi altrui, ma dall’altro ci sono anche le regole ribadite dai genitori, la proibizione di prenderli e il dovere di restituirli. Quindi quella bugia “me li hanno regalati” potrebbe configurarsi come la soluzione onorevole cui è arrivato dentro di sé: so che non dovrei appropriarmene, ma prevale la voglia di averli, dunque se fossero regalati … il problema sarebbe risolto. Un compromesso non diretto primariamente ai genitori in carne ed ossa, ma ai genitori che si porta dentro, un compromesso tra sé e sé. Il “me li hanno regalati” è un segnale che qualcosa sta in difficoltà, che forse sta chiedendo aiuto per raggiungere un delicato equilibrio intrapsichico. In quest’ottica la bugia sarebbe ancora una volta un’espressione del grande travaglio mentale ed affettivo della crescita psichica. Ossia del come sia complesso l’arrivare a conciliare tante istanze: riconoscere i propri bisogni e desideri, poterli esprimere, ma anche sottometterli alla prova del limite, poterne dilazionare la soddisfazione o sopportare la frustrazione della rinuncia. Conquistare internamente l’idea che desiderare non equivale a possedere a tutti i costi, sopportare la frustrazione conseguente, potersi fermare di fronte al mondo dell’altro ... sono snodi fondamentali del diventare “grandi”, che non si attraversano mai senza conflitto e senza sbandamenti. Credo che tali acquisizioni siano anche una grande posta in gioco della genitorialità: la crescita psichica non è un processo che va da sé, si attua anche con dolore, e con il sostegno di un adulto che a propria volta sappia proporre e coniugare insieme soddisfazioni e frustrazioni. Un nodo importante delle bugie probabilmente sta proprio qui. Esse mostrano che il bambino è alla ricerca di un nuovo equilibrio psichico, sono una sfida al genitore per vedere come riesce ad aiutarlo e qual è la tenuta dei “grandi”. Se gli adulti sfuggono, si sottraggono agli impegni, hanno paura di contrariare l’altro, inventano scuse o menzogne, oppure lasciano perdere ... come si può pensare che il bambino non impari a sua volta ad inventare bugie e ad essere sfuggente? Ma torniamo a Tiziano. Di fronte all’ennesimo cosiddetto “regalo” la madre un giorno si impunta. “Domani questo gioco va restituito in classe, davanti alla maestra”. Poiché sarà il padre ad accompagnarlo, prima di andare al lavoro lei lascia in cucina l’oggetto incriminato. Il padre è convinto l’abbia messo nello zainetto del figlio, ma quando a scuola lo apre, del gioco neanche l’ombra. Il bambino tace. Il padre pensa che la madre ci abbia ripensato. Richard e Piggle, 17, 2, 2009 M. L. Algini: Tra pentole... e coperchi. La bugia nella relazione adulto-bambino 149 La sera si scopre la verità. Mentre il padre era in bagno, Tiziano aveva nascosto il giocattolo in camera sua. “Perché non volevo provare vergogna”, aveva poi confessato. La sua frase potrebbe far intravedere ancora altro sulle bugie. Parlo sempre al condizionale, perché conosco il bambino solo attraverso la madre, e sto facendo delle ipotesi guardando alla loro relazione, sulla base delle comunicazioni della signora. Conosco indirettamente anche la relazione del bambino con il padre, e di sicuro non è né semplice né immediato che la mamma lasci al marito sempre più spazio nella gestione di queste aree delicate. Che vorrà dire dunque, Tiziano, con la frase “non volevo provare vergogna”? Probabilmente che, se la bugia viene svelata davanti a tutti, ha paura si incrini l’immagine che gli altri hanno di lui. Ma allora la bugia, e il furto che essa va a coprire potrebbero essere essi stessi funzionali a rafforzare proprio tale immagine. Il furto, nella fantasia di Tiziano, potrebbe essere un impadronirsi non tanto di un oggetto quanto di una qualità altrui che lo fa sentire più forte, più sicuro. I compagni per un bambino sono spesso dei fratelli immaginari, che fungono da specchio, da simili e da rivali, che, se hanno di più, chissà quanto valgono di più. Riuscire ad appropriarsi delle cose altrui senza farsi scoprire e darla da bere a tutti, oltretutto è una bella rivalsa, una bella soddisfazione, una prova che si è capaci di farla franca... Sulla funzione della bugia come rifornimento narcisistico mi pare scriva pagine straordinariamente ricche Daniel Pennac nel romanzo Diario di scuola (2007), in cui parla delle sue vicissitudini infantili di bambino somaro, per il quale la scuola – come per tanti bambini e adolescenti – era qualcosa di incomprensibile e torturante, che lo faceva sentire “una nullità”. Non solo Pennac ci fa vedere in quale castello di bugie si vada intrappolando un bambino con problemi di apprendimento nel tentativo di barcamenarsi tra sentimenti di fallimento, di inutile buona volontà e di continua frustrazione; ma anche come sia esilarante e trionfale il momento in cui nel castello di bugie riesce ad imprigionare gli altri, compagni ed insegnanti. Quando per esempio accade qualcosa di grave, il colpevole non viene fuori, e viene punita tutta la classe... E lui, il colpevole dallo sguardo candido... “si associa a tutti nel ritenere che non è giusto farla pagare a tanti innocenti al posto di un unico colpevole. Strabiliante sincerità! Il fatto che il colpevole in questione sia lui, gli appare irrilevante... Sentirsi dare del vigliacco, del ladro, del bugiardo o di qualsiasi altra cosa, non lo scuote minimamente... Innanzitutto perché in ciò sente solo la conferma di quello che gli hanno ripetuto mille volte...ma poi perché...il coraggio di andare ad appendere le tre sottane del prefetto di disciplina al parafulmine, ... ad averlo è stato lui e soltanto lui, in piena notte, lui nella sua notturna e ormai gloriosa solitudine. Per alcune ore le sottane hanno sventolato sul collegio Richard e Piggle, 17, 2, 2009 150 M. L. Algini: Tra pentole... e coperchi. La bugia nella relazione adulto-bambino come un nero vessillo da pirati, e nessuno saprà mai chi ha issato quella grottesca bandiera... Guardatelo, è il colpevole dallo sguardo candido. Nel suo silenzio cela un piacere unico: nessuno saprà mai… Ma ciò che prova più di ogni altra cosa è la gioia cupa di essere diventato incomprensibile ai privilegiati del sapere, che gli rimproverano sempre di non capire mai niente… Nessuno sa ciò di cui è capace... e questa è una gran cosa...” (p. 29-30). Ho tratteggiato solo qualche suggestione su alcune funzioni della bugia nelle vicissitudini della crescita e nella relazione bambino-adulto: la possibilità del segreto, la provocazione all’adulto, la fuga dalla frustrazione, la funzione di compromesso tra opposte istanze psichiche, la copertura di sentimenti di insicurezza e di fragilità. In questo credo di aver raccolto l’invito di Freud che in un saggio del 1913, Le bugie di due bambine, esorta gli educatori a riflettere sulle bugie, anziché irritarsi. Le bugie, afferma, “si verificano per l’influsso di impulsi d’amore straordinariamente forti”, e conclude: “Non si svalutino tali episodi della vita infantile. Sarebbe un grave sbaglio se si facesse una prognosi relativa allo sviluppo di un carattere immorale. Cionondimeno esse sono congiunte con i più forti impulsi dell’animo infantile, e annunciano la disposizione ad eventi della vita a venire o a future nevrosi” (p. 223). Il problema dunque è come ci si fa carico nella relazione adulti-bambini di questi segnali, come si possono raccogliere, decifrare, far evolvere. Tra i tanti modi c’è quello di pensare anche all’aspetto creativo della bugia. Paradossalmente la bugia del bambino è anche un’invenzione creativa, che ci interpella a rispondere creativamente. E questo, per noi adulti, è ancora più impegnativo di un rimprovero. Rispondere, per esempio con l’umorismo, cercando di smitizzare e sgonfiare la bugia, coglierne il lato spesso tra il patetico e il divertente, senza umiliare, ma cercando di non farla diventare una tragedia...non è facile. Sarebbe però la strada più efficace per sgonfiare a poco a poco un pallone che minaccia di crescere a dismisura e scoppiare addosso a genitori e figli. Sicuramente non sempre è possibile, né facile. La riuscita dipende anche dalle nostre capacità di intuire, di cominciare noi ad uscire dal circolo vizioso. “Senti Pennac, gli disse un giorno un professore del collegio dove i genitori disperati lo avevano mandato, professore colpito dalle sue scuse fantasiose per lezioni non studiate e compiti non fatti. Da oggi in poi ti esonero dai temi. Ma per un trimestre ti commissiono un romanzo, in ragione di un capitolo alla settimana. Deve essere senza errori di ortografia, per elevare il livello della critica”. “Quel vecchio signore di un’eleganza desueta, commenta Pennac, aveva individuato il narratore in me, aveva capito che bisognava far leva sulla mia propensione al racconto per aprirmi allo studio e alla lettura... Sconfinata gratitudine... Lì ho svoltato”. Richard e Piggle, 17, 2, 2009 M. L. Algini: Tra pentole... e coperchi. La bugia nella relazione adulto-bambino 151 Saper rispondere alla bugia inventando soluzioni di questo genere, sarebbe certamente un modo originale e molto costruttivo di mettere insieme pentole e coperchi. Riassunto Il lavoro si propone di esplorare alcune valenze della bugia nella relazione adulto e bambino/adolescente. Il “bugiardo” è sempre tale rispetto ad un interlocutore significativo, interlocutore nella realtà o nella fantasia, che gli crede o non gli crede, che gli contrappone un proprio assetto affettivo, una propria verità e una propria logica. È rispetto alle dinamiche e alle caratteristiche di questa relazione che il bambino o l’adolescente usano la bugia, a volte costruendo su di essa il proprio assetto e le proprie strategie interne, a volte utilizzandola come snodo importante nella relazione con l’adulto. In quest’ottica di relazione, allora, sull’onda del proverbio “Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi”... di chi sarebbero le pentole e di chi i coperchi? Parole chiave: bugia, segreto, relazione adulto/bambino, verità. Bibliografia AAVV (1986). Bugia e allucinazione. Quaderni di psicoterapia infantile, 13. Roma: Borla. Aulagnier P (1976). Le droit au secret: condition pour pouvoir penser. Nouvelle revue de psychanalyse, 14 : 141-157. Brutti C, Parlani R (1986). Bugia ed esperienza psicoanalitica. Quaderni di psicoterapia infantile, 13. Roma: Borla. Freud S (1908). Teorie sessuali dei bambini. OSF: 5. Torino: Boringhieri, 1972. Freud S (1913). Le bugie di due bambine. OSF: 7. Torino: Boringhieri, 1975. Meltzer D (1987). Il modello della mente secondo Bion. In: Neri C, Correale A, Fadda P (a cura di), Letture bioniane. Roma: Borla. Pannikar R (1986). Verità-errore-bugia-esperienza psicoanalitica. Quaderni di psicoterapia infantile, 13. Roma: Borla. Pennac D (2007). Diario di scuola. Trad. it., Milano: Feltrinelli, 2008. Maria Luisa Algini, Psicoterapeuta, Membro ordinario SIPsIA, Docente Supervisore Corso di Psicoterapia ASNE-SIPsIA. Indirizzo per la corrispondenza/Address for correspondence: Via Livio Tempesta, 41 00151 Roma Richard e Piggle, 17, 2, 2009