06 algini - Richard e Piggle

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06 algini - Richard e Piggle
Tra pentole... e coperchi.
La bugia nella relazione adulto-bambino*
MARIA LUISA ALGINI
Il problema delle cosiddette “bugie” di bambini e adolescenti è estremamente complesso, molto difficile ma anche molto suggestivo. Stranamente,
anche molto poco affrontato nella letteratura psicoanalitica.
Anzitutto, che cos’è la bugia? È l’opposto della verità, è un suo accomodamento, è una delle tante versioni possibili della verità stessa? Di quale
verità? Quella interiore, quella dei fatti, quella cosiddetta oggettiva?
Nella relazione genitori-figli e più ampiamente adulti-bambini, la verità
e la bugia, sono la stessa cosa per chi le dice e per chi le ascolta?
Mi limiterò ad alcuni pensieri relativi alla mia esperienza clinica con bambini, adolescenti e genitori, partendo da una recente seduta con un ragazzo di
14 anni che chiamerò Valerio, e che mi pare si presti a introdurre l’argomento.
“Mamma la chiama bugia, diceva concitato e furioso ... Ma perché chiamarla bugia?...Ho semplicemente allisciato un po’ la verità, ecco tutto...
Sono stato costretto, per forza: lei deve controllare sempre, lei mi si accolla
sempre ...”
“Accolla?” avevo commentato... “È una parola forte...”
“Sì, continuava, come il maglione con il collo alto, stretto, insopportabile, e se non te lo puoi levare... allora lo pieghi, lo lisci, lo strapazzi, se no
diventi matto. Che posso fare? Lei mi si accolla sempre e a me non resta che
allisciare un po’ la verità”.
Il fatto cui Valerio si riferiva era l’ultimo di una catena. Già tartassato
di punizioni per le difficoltà scolastiche, aveva avuto il permesso di andare
a una festa solo a patto di fare prima una commissione per la madre e di non
*
Lavoro presentato al Convegno di Lavarone “Il falso tra menzogna e illusione”, il 12-13
luglio 2008.
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perdere il corso di inglese. Ma per colpa di quella commissione aveva fatto
tardi, ed era rimasto a lungo sulla porta della British School a chiedersi: perché prendere solo mezza lezione e far tardi anche nella festa?... Forse è
meglio saltare la mezza lezione e concedersi tutta la festa.
Alla madre aveva mandato un SMS: tutto a posto.
Era pur vero, e si dilunga a spiegarmelo, che lui alla lezione di inglese
intendeva proprio andare, era arrivato sulla porta, se aveva fatto tardi era
per le commissioni di sua madre: per questo non riteneva di aver detto una
bugia ma solo “allisciato un po’ la verità”...
Però ... il diavolo fa le pentole e non i coperchi: la madre aveva controllato, interpretando la bugia come l’ennesima conferma della sua inaffidabilità. Così... “ai bugiardi niente paghetta e niente uscite”, aveva decretato. E
Valerio me ne stava parlando proprio per questa scottante punizione.
Ho voluto cominciare con questo flash, perché della bugia di bambini e
adolescenti si potrebbe parlare in mille modi. Dal flash riportato si capisce
che rispetto alla bugia Valerio e la madre non sono sulla stessa lunghezza
d’onda. La madre segue una logica formalmente rigorosa: mio figlio mente
perché dice di aver mantenuto i patti convenuti e questo non è vero. Valerio
segue un’altra logica, più di tipo affettivo: l’intenzione di far tutto bene io ce
l’avevo, sono stato così ligio nella commissione per mamma che mi sono messo
in difficoltà con la lezione di inglese, dove ho davvero provato ad andare.
Mamma doveva riconoscerlo e apprezzare il mio impegno. Sarei stato sincero
se lei fosse più morbida, se mi desse fiducia ... Siccome questo è impossibile...
non mi rimane che “allisciare un po’ la verità”, sperando nella fortuna.
Due logiche che non si incontrano, almeno al momento. Due verità, che
mettono in luce quanti pensieri, timori, emozioni, pre-giudizi siano in gioco
nella relazione genitore-figlio.
Vorrei mettere a fuoco qualche aspetto di questa valenza relazionale.
Penso cioè che nella maggior parte dei casi il “bugiardo” si possa qualificare come tale solo rispetto ad un interlocutore significativo, interno ed
esterno, persona o gruppo. Interlocutore nella realtà o anche solo nella fantasia, che gli crede o non gli crede, che gli contrappone un proprio assetto
intellettivo ed affettivo, una propria verità e una propria logica. È rispetto
alle dinamiche e alle caratteristiche di questa relazione che il bambino o l’adolescente usano la bugia, a volte costruendo su di essa il proprio assetto psichico e le proprie strategie interiori, a volte utilizzandola come snodo importante nella relazione con l’altro.
La bugia di un bambino o di un adolescente interpella l’adulto: non solo
perché lo costringe ad interrogarsi sul che farne, come gestirla, ma soprattutto perché pone una domanda inquietante: cosa sta succedendo? Come mai
si ricorre a questa modalità di comunicazione? Per segnalare cosa, per provocare chi e che cosa? La bugia sarà una provocazione che parte solo dai figli
o anche una risposta a qualcosa che appartiene a noi adulti?
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Insomma sull’onda del proverbio “il diavolo fa le pentole ma non i coperchi” ... di fronte ad una bugia infantile siamo proprio sicuri di chi sono le pentole e di chi i coperchi?
Un’altra storia clinica, vista stavolta dalla parte della madre, mi aiuta
ad evidenziare passaggi e sviluppi significativi tra i genitori e un bambino
di cinque anni.
Come sfondo c’è uno scenario importante.
Questa giovane donna che chiamerò Amelia aveva iniziato una psicoterapia sulla spinta della crisi provocata in lei da una sorella gravemente
bugiarda. L’aveva a lungo aiutata economicamente, con molta dedizione e
sacrificio, per scoprire poco a poco che la sorella viveva letteralmente in un
castello di bugie: aveva fatto credere a tutti di essersi brillantemente laureata, e di aver cominciato una libera professione, quando in realtà non
aveva nemmeno fatto un esame e si era impegolata in traffici e relazioni
oscure continuando a chiedere in giro soldi su soldi.
A un certo punto Amelia aveva aperto gli occhi: dapprima aveva tentato
di farla ragionare, poi di farla aiutare psicologicamente, infine si era arresa
a chiudere ogni rapporto. Dopo l’ennesimo buco economico, la sorella era fuggita all’estero con la polizia alle calcagna.
In tutto ciò Amelia si trovava sola, gli altri familiari relativizzavano l’accaduto, l’accusavano di essere dura, paurosa, intransigente. Questo aveva
ulteriormente aggravato la sua crisi.
Nei primi incontri era carica di domande. Cos’era successo alla sorella?
Doveva considerarla una delinquente o una malata? Poteva guarire da una
patologia così grave, e come era arrivata ad essere così? Come mai per tanti
anni nessuno in famiglia si era accorto di niente, e anche di fronte all’evidenza, tutto era minimizzato? E che famiglia era la sua? Perché lei stessa
era stata così cieca?... Mille domande angosciose.
Evidente che eravamo davanti a una situazione di patologia grave. In
questo caso la bugia era diventata un sistema strutturale di pensiero, un
modo di funzionare delirante, che non teneva conto degli altri e della realtà.
Con Amelia abbiamo lavorato molto su quanto la patologia della sorella
assente scoperchiava della sua storia, della situazione familiare, della relazione tra sorelle.
In questo contesto, ad un certo punto è apparsa una vicenda di tutt’altro tipo. Che però, collocata su quello sfondo, assumeva risonanze emotive
molto forti. Tutto si amplificava.
Amelia e il marito avevano un bambino di cinque anni, che chiamerò
Tiziano, sempre descritto come eccezionalmente tranquillo, intelligente,
molto sensibile.
Improvvisamente si scatena l’inferno: un giorno Tiziano racconta alle
maestre della scuola materna che la madre non lo verrà a prendere come il
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solito, ma più tardi: gli ha quindi dato il permesso di andare con gli altri
bambini alle attività ricreative.
Una palese bugia: la madre manda la babysitter come sempre, questa
si spaventa non vedendolo al solito posto, avverte la madre, vien fuori la versione data dal bambino alle maestre.
Come mai Tiziano ha architettato tutta quella storia? si chiede la
signora. Non riesce a capire: era sempre stato un bambino “solare”.
Emerge una prima ipotesi. Chissà se con quella “bugia” Tiziano voleva
esprimere un disagio, una protesta, qualcosa che non riusciva a dire direttamente, a parole.
La mamma gli parla, cerca di capire il motivo di quella bugia, lui confessa quanto gli piacerebbe fare le stesse cose dei compagni, senza essere
sempre per mano alla babysitter come i bambini più piccoli. Non potendolo
fare...si era arrangiato così.
Penso molto in questo frangente al saggio di Freud Le teorie sessuali dei
bambini (1908).
Freud ricorda che, presto o tardi, arriva sempre un momento in cui un
bambino scopre che i genitori a certe domande per lui importanti, cominciando da quella classica “come nascono i bambini”, rispondono in modo evasivo, o cambiano discorso; oggi, potremmo dire, pensano di liquidare la curiosità con video o spiegazioni pseudoscientifiche, ritenendo questo sufficiente
ed appagante. Per questa o altre vie, arriva comunque sempre il momento
in cui un bambino apre gli occhi sul mondo degli adulti: il mito di Babbo
Natale finisce, cadono le idealizzazioni, si capisce che i genitori non dicono
tutto, che hanno segreti che tengono per sé. Così, continua Freud, “i bambini
alimentano in sé la sfiducia nei confronti degli adulti e acquistano il sospetto
di qualcosa di proibito, il cui accesso è loro precluso dai grandi” (p. 455).
È un momento molto importante: l’infanzia è a una svolta e nella costruzione della mente avviene un passaggio fondamentale.
Infatti, il bambino intuisce e realizza che, se i grandi hanno dei segreti,
allora è possibile averne a propria volta. Se non si possono conoscere i pensieri degli adulti, neanche loro possono conoscere i nostri. Ciascuno si può
“creare” degli oggetti-pensieri, che lui è il solo a conoscere e sui quali può
negare ogni diritto di sguardo.
Così, paradossalmente, le prime bugie possono essere il segnale di una
crescita: il bambino sta sperimentando se anche lui può avere uno spazio
mentale proprio, sottratto al controllo dei grandi. A quel punto bisogna trovare un modo nuovo per comunicare tra grandi e piccoli e per riconoscere
nuovi bisogni e capacità cognitive ed affettive del bambino.
Amelia riesce a sbloccare la questione del doposcuola e a capire le esigenze del figlio.
La storia delle bugie di Tiziano, però, non finisce lì. Quello è solo l’esordio.
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Dopo il primo fatto, inizia una catena di altre piccole bugie. Il bambino
molto spesso porta a casa nuovi giocattoli, sostenendo che i compagni glieli
hanno regalati.
Una volta può essere, due pure...tutti i giorni no.
La madre si arrabbia, ribadisce le regole, ma i rimproveri, le punizioni,
l’intransigenza nel far restituire tutto funzionano lì per lì, poi lui ricomincia
a tenersi nello zainetto cose non sue sostenendo di averle avute in regalo.
Chissà cosa può alimentare quel comportamento. Un po’ alla volta
emergono l’ansia della signora per il figlio e il suo spasmodico bisogno di controllarlo, togliendo spesso spazio anche al padre, pur presente e vigile. Amelia teme sempre che il figlio si faccia male; non si fida di nessuno; anche nelle
feste, mentre lui gioca con gli altri bambini, deve sempre seguirlo a vista.
Come nel caso dell’adolescente Valerio, viene il dubbio che tra madre e
bambino si autoalimenti un circolo vizioso. Le bugie di Tiziano potrebbero
essere una protesta, un’espressione della rabbia per l’incalzante controllo
materno, un tentativo provocatorio e sempre più spinto di sottrarsene. Un
tentativo però inefficace, che paradossalmente alimenta il circolo vizioso:
perché più il bambino si comporta così per ribellarsi alla madre, più la madre
controlla, e più controlla e più circola rabbia reciproca. E si ricomincia sempre daccapo.
Come uscire da quel circolo esasperante?
Forse è il momento in cui il bambino ha bisogno di un maggior appoggio sul padre, pur già presente e attivo con il figlio, per poter prendere e
sostenere una maggiore distanza dalla madre, e acquisire una maggior sicurezza profonda. Si impone così un cambiamento non semplice anche nella
coppia dei genitori e nell’articolazione delle loro funzioni genitoriali.
Mi fa molto pensare anche il fatto che le bugie abbiano preso la via dei
giocattoli.
A casa certamente non mancano. Tiziano è figlio unico e la madre, sono
parole sue, “non resiste quando vede giochi nuovi e interessanti”. Si diverte
molto a regalarglieli, sia che il bambino li chieda, sia per il piacere e la sorpresa di fargli un dono. Proprio per questo le pare ancora più strano che il
figlio rubi i giochi degli altri bambini...
Conoscendo la storia di Amelia, questi continui regali mi sembrano
anche un modo per risarcire se stessa di quello che non aveva avuto lei nella
propria infanzia. Un figlio è una parte di sé, su cui si riversano attese, risarcimenti, riparazioni di quanto è mancato o è rimasto inconcluso nella propria storia. Questo mi accende una nuova lampadina nella mente.
Non sarà che il “non resistere quando vede giochi nuovi e interessanti”
della madre è divenuto nel bambino un modo di funzionare che in questo
momento ha la prevalenza su tutto il resto?
Forse Tiziano non riesce ancora a mettere limiti al suo desiderio e
quindi non sopporta che ce ne siano. Forse è molto forte in lui l’istanza che
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appena sorge un desiderio esso possa e debba essere soddisfatto, nonostante
altre regole, pur date, dai genitori.
La bugia allora potrebbe essere legata al rifiuto della frustrazione, un’espressione del compromesso che Tiziano trova dentro di sé tra due istanze in
conflitto. Perché da un lato non riesce a rinunciare al desiderio di avere i giochi altrui, ma dall’altro ci sono anche le regole ribadite dai genitori, la proibizione di prenderli e il dovere di restituirli. Quindi quella bugia “me li
hanno regalati” potrebbe configurarsi come la soluzione onorevole cui è arrivato dentro di sé: so che non dovrei appropriarmene, ma prevale la voglia di
averli, dunque se fossero regalati … il problema sarebbe risolto.
Un compromesso non diretto primariamente ai genitori in carne ed
ossa, ma ai genitori che si porta dentro, un compromesso tra sé e sé. Il “me
li hanno regalati” è un segnale che qualcosa sta in difficoltà, che forse sta
chiedendo aiuto per raggiungere un delicato equilibrio intrapsichico.
In quest’ottica la bugia sarebbe ancora una volta un’espressione del grande
travaglio mentale ed affettivo della crescita psichica. Ossia del come sia complesso l’arrivare a conciliare tante istanze: riconoscere i propri bisogni e desideri, poterli esprimere, ma anche sottometterli alla prova del limite, poterne
dilazionare la soddisfazione o sopportare la frustrazione della rinuncia.
Conquistare internamente l’idea che desiderare non equivale a possedere a tutti i costi, sopportare la frustrazione conseguente, potersi fermare
di fronte al mondo dell’altro ... sono snodi fondamentali del diventare
“grandi”, che non si attraversano mai senza conflitto e senza sbandamenti.
Credo che tali acquisizioni siano anche una grande posta in gioco della
genitorialità: la crescita psichica non è un processo che va da sé, si attua
anche con dolore, e con il sostegno di un adulto che a propria volta sappia
proporre e coniugare insieme soddisfazioni e frustrazioni.
Un nodo importante delle bugie probabilmente sta proprio qui. Esse
mostrano che il bambino è alla ricerca di un nuovo equilibrio psichico, sono
una sfida al genitore per vedere come riesce ad aiutarlo e qual è la tenuta
dei “grandi”. Se gli adulti sfuggono, si sottraggono agli impegni, hanno
paura di contrariare l’altro, inventano scuse o menzogne, oppure lasciano
perdere ... come si può pensare che il bambino non impari a sua volta ad
inventare bugie e ad essere sfuggente?
Ma torniamo a Tiziano.
Di fronte all’ennesimo cosiddetto “regalo” la madre un giorno si
impunta. “Domani questo gioco va restituito in classe, davanti alla maestra”.
Poiché sarà il padre ad accompagnarlo, prima di andare al lavoro lei
lascia in cucina l’oggetto incriminato.
Il padre è convinto l’abbia messo nello zainetto del figlio, ma quando a
scuola lo apre, del gioco neanche l’ombra. Il bambino tace. Il padre pensa che
la madre ci abbia ripensato.
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La sera si scopre la verità. Mentre il padre era in bagno, Tiziano aveva
nascosto il giocattolo in camera sua. “Perché non volevo provare vergogna”,
aveva poi confessato.
La sua frase potrebbe far intravedere ancora altro sulle bugie. Parlo
sempre al condizionale, perché conosco il bambino solo attraverso la madre,
e sto facendo delle ipotesi guardando alla loro relazione, sulla base delle
comunicazioni della signora.
Conosco indirettamente anche la relazione del bambino con il padre, e
di sicuro non è né semplice né immediato che la mamma lasci al marito sempre più spazio nella gestione di queste aree delicate.
Che vorrà dire dunque, Tiziano, con la frase “non volevo provare vergogna”?
Probabilmente che, se la bugia viene svelata davanti a tutti, ha paura
si incrini l’immagine che gli altri hanno di lui.
Ma allora la bugia, e il furto che essa va a coprire potrebbero essere essi
stessi funzionali a rafforzare proprio tale immagine. Il furto, nella fantasia
di Tiziano, potrebbe essere un impadronirsi non tanto di un oggetto quanto
di una qualità altrui che lo fa sentire più forte, più sicuro. I compagni per un
bambino sono spesso dei fratelli immaginari, che fungono da specchio, da
simili e da rivali, che, se hanno di più, chissà quanto valgono di più.
Riuscire ad appropriarsi delle cose altrui senza farsi scoprire e darla da
bere a tutti, oltretutto è una bella rivalsa, una bella soddisfazione, una prova
che si è capaci di farla franca...
Sulla funzione della bugia come rifornimento narcisistico mi pare scriva
pagine straordinariamente ricche Daniel Pennac nel romanzo Diario di
scuola (2007), in cui parla delle sue vicissitudini infantili di bambino
somaro, per il quale la scuola – come per tanti bambini e adolescenti – era
qualcosa di incomprensibile e torturante, che lo faceva sentire “una nullità”.
Non solo Pennac ci fa vedere in quale castello di bugie si vada intrappolando un bambino con problemi di apprendimento nel tentativo di barcamenarsi tra sentimenti di fallimento, di inutile buona volontà e di continua
frustrazione; ma anche come sia esilarante e trionfale il momento in cui nel
castello di bugie riesce ad imprigionare gli altri, compagni ed insegnanti.
Quando per esempio accade qualcosa di grave, il colpevole non viene
fuori, e viene punita tutta la classe... E lui, il colpevole dallo sguardo candido... “si associa a tutti nel ritenere che non è giusto farla pagare a tanti
innocenti al posto di un unico colpevole. Strabiliante sincerità! Il fatto che il
colpevole in questione sia lui, gli appare irrilevante... Sentirsi dare del
vigliacco, del ladro, del bugiardo o di qualsiasi altra cosa, non lo scuote minimamente... Innanzitutto perché in ciò sente solo la conferma di quello che
gli hanno ripetuto mille volte...ma poi perché...il coraggio di andare ad
appendere le tre sottane del prefetto di disciplina al parafulmine, ... ad
averlo è stato lui e soltanto lui, in piena notte, lui nella sua notturna e ormai
gloriosa solitudine. Per alcune ore le sottane hanno sventolato sul collegio
Richard e Piggle, 17, 2, 2009
150 M. L. Algini: Tra pentole... e coperchi. La bugia nella relazione adulto-bambino
come un nero vessillo da pirati, e nessuno saprà mai chi ha issato quella
grottesca bandiera...
Guardatelo, è il colpevole dallo sguardo candido. Nel suo silenzio cela
un piacere unico: nessuno saprà mai… Ma ciò che prova più di ogni altra
cosa è la gioia cupa di essere diventato incomprensibile ai privilegiati del
sapere, che gli rimproverano sempre di non capire mai niente… Nessuno sa
ciò di cui è capace... e questa è una gran cosa...” (p. 29-30).
Ho tratteggiato solo qualche suggestione su alcune funzioni della bugia
nelle vicissitudini della crescita e nella relazione bambino-adulto: la possibilità del segreto, la provocazione all’adulto, la fuga dalla frustrazione, la
funzione di compromesso tra opposte istanze psichiche, la copertura di sentimenti di insicurezza e di fragilità.
In questo credo di aver raccolto l’invito di Freud che in un saggio del
1913, Le bugie di due bambine, esorta gli educatori a riflettere sulle bugie,
anziché irritarsi. Le bugie, afferma, “si verificano per l’influsso di impulsi
d’amore straordinariamente forti”, e conclude:
“Non si svalutino tali episodi della vita infantile. Sarebbe un grave sbaglio se
si facesse una prognosi relativa allo sviluppo di un carattere immorale. Cionondimeno esse sono congiunte con i più forti impulsi dell’animo infantile, e annunciano la disposizione ad eventi della vita a venire o a future nevrosi” (p. 223).
Il problema dunque è come ci si fa carico nella relazione adulti-bambini
di questi segnali, come si possono raccogliere, decifrare, far evolvere.
Tra i tanti modi c’è quello di pensare anche all’aspetto creativo della bugia.
Paradossalmente la bugia del bambino è anche un’invenzione creativa,
che ci interpella a rispondere creativamente. E questo, per noi adulti, è
ancora più impegnativo di un rimprovero.
Rispondere, per esempio con l’umorismo, cercando di smitizzare e sgonfiare la bugia, coglierne il lato spesso tra il patetico e il divertente, senza
umiliare, ma cercando di non farla diventare una tragedia...non è facile.
Sarebbe però la strada più efficace per sgonfiare a poco a poco un pallone che
minaccia di crescere a dismisura e scoppiare addosso a genitori e figli.
Sicuramente non sempre è possibile, né facile. La riuscita dipende
anche dalle nostre capacità di intuire, di cominciare noi ad uscire dal circolo
vizioso.
“Senti Pennac, gli disse un giorno un professore del collegio dove i genitori
disperati lo avevano mandato, professore colpito dalle sue scuse fantasiose per
lezioni non studiate e compiti non fatti. Da oggi in poi ti esonero dai temi. Ma
per un trimestre ti commissiono un romanzo, in ragione di un capitolo alla settimana. Deve essere senza errori di ortografia, per elevare il livello della critica”.
“Quel vecchio signore di un’eleganza desueta, commenta Pennac, aveva
individuato il narratore in me, aveva capito che bisognava far leva sulla mia
propensione al racconto per aprirmi allo studio e alla lettura... Sconfinata
gratitudine... Lì ho svoltato”.
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M. L. Algini: Tra pentole... e coperchi. La bugia nella relazione adulto-bambino 151
Saper rispondere alla bugia inventando soluzioni di questo genere,
sarebbe certamente un modo originale e molto costruttivo di mettere
insieme pentole e coperchi.
Riassunto
Il lavoro si propone di esplorare alcune valenze della bugia nella relazione
adulto e bambino/adolescente.
Il “bugiardo” è sempre tale rispetto ad un interlocutore significativo, interlocutore nella realtà o nella fantasia, che gli crede o non gli crede, che gli contrappone un
proprio assetto affettivo, una propria verità e una propria logica. È rispetto alle dinamiche e alle caratteristiche di questa relazione che il bambino o l’adolescente usano
la bugia, a volte costruendo su di essa il proprio assetto e le proprie strategie interne,
a volte utilizzandola come snodo importante nella relazione con l’adulto.
In quest’ottica di relazione, allora, sull’onda del proverbio “Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi”... di chi sarebbero le pentole e di chi i coperchi?
Parole chiave: bugia, segreto, relazione adulto/bambino, verità.
Bibliografia
AAVV (1986). Bugia e allucinazione. Quaderni di psicoterapia infantile, 13. Roma: Borla.
Aulagnier P (1976). Le droit au secret: condition pour pouvoir penser. Nouvelle revue de psychanalyse, 14 : 141-157.
Brutti C, Parlani R (1986). Bugia ed esperienza psicoanalitica. Quaderni di psicoterapia infantile, 13. Roma: Borla.
Freud S (1908). Teorie sessuali dei bambini. OSF: 5. Torino: Boringhieri, 1972.
Freud S (1913). Le bugie di due bambine. OSF: 7. Torino: Boringhieri, 1975.
Meltzer D (1987). Il modello della mente secondo Bion. In: Neri C, Correale A, Fadda P (a cura
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Pannikar R (1986). Verità-errore-bugia-esperienza psicoanalitica. Quaderni di psicoterapia
infantile, 13. Roma: Borla.
Pennac D (2007). Diario di scuola. Trad. it., Milano: Feltrinelli, 2008.
Maria Luisa Algini, Psicoterapeuta, Membro ordinario SIPsIA, Docente Supervisore
Corso di Psicoterapia ASNE-SIPsIA.
Indirizzo per la corrispondenza/Address for correspondence:
Via Livio Tempesta, 41
00151 Roma
Richard e Piggle, 17, 2, 2009