Pagina 1 - Raccontarsi Raccontando
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Pagina 1 Collana www.raccontarsiraccontando.it Pagina 2 …La vita si fa nel narrarla, e la memoria si fissa con la scrittura: ciò che non riverso in parole sulla carta, lo cancella il tempo. Scrivo a tentoni nel silenzio e nel cammino scopro particelle di verità, piccoli cristalli che stanno nel palmo di una mano e giustificano il mio passaggio per questo mondo…. Isabel Allende Pagina 3 L’ANELLO dedicata a mia sorella Miria ……non lascio che neppure un singolo fantasma del ricordo svanisca con le nuvole….. Kahil Gibran La stavo osservando senza darlo a vedere. Questo era il momento in cui si toglieva l’anello, andava in camera da letto, e lo posava sulla toletta, dentro la ciotolina di cristallo. Ripeteva questo gesto ogni qual volta aveva bisogno della mani libere, ma in particolare quando preparava la cena. Poi sino all’indomani mattina, non lo infilava più. Ero presente, qualche settimana prima, il giorno che mio padre lo aveva portato in dono. Era l’anniversario del loro matrimonio, ed in casa eravamo già tre bimbe. Avevo visto come, lo sguardo di papà fosse pronto a catturare ogni suo piccolo gesto, mentre scartava il minuscolo Pagina 4 pacchettino. E poi gridi di gioia, baci, abbracci, commozione: - - Tanì, amore mio, come hai fatto a sapere che desideravo proprio questo? – E lui, scherzando come sempre: Era l’unico con quella bestiaccia appiccicata sopra, una bestiaccia brutta e cattiva come te! Mamma aspettò, con la mano aperta, che lui infilasse l’anello nell’anulare sinistro, sopra la fede gettando un lungo sguardo dentro gli occhi di papà. Lo tenne al dito solo qualche istante, sussurrando : “più tardi, più tardi”. Cenammo velocemente. Quella sera ci spedirono a dormire più presto del solito perché volevano festeggiare soli soletti la loro ricorrenza. La mattina dopo trovai sul tavolo del tinello, il mozzicone di una candela rossa ed avanzi di dolci, due coppe con del vino e, tutta accartocciata, la velina blu, elegante, con scritto sopra “Oreficeria Ferracin”. Ma ora la curiosità era troppa, e si andava sempre più caricando. Aspettai che la mamma fosse più che indaffarata ed entrai nella sua camera da letto. Cercai con gli occhi e con le dita la toletta, la ciotolina di cristallo e l’anello dai riflessi blu. Pagina 5 Lo presi delicatamente tra le dita. Sì, c’era incisa una figura in oro, come un granchio, ma più lungo e con una coda ricurva ed appuntita. Uno scorpione, doveva essere uno scorpione, perché mia madre diceva spesso che la sua gelosia era causata da essere nata nel segno dello scorpione. E una volta la sentii dire , che anch’io ero una scorpiona, papà un acquario, mia sorella Marilena un capro con le corna e Miria un pesce. Che modo strano di chiamare la gente! Che bello però questo anello, l’oro lucidissimo e la grande pietra blu con inciso in oro l’arcana figura. Chissà quali poteri aveva, visto che la mamma ed il papà erano sempre più innamorati! Lo infilai nel mio dito per sentire cosa si provava. Era pesante e troppo largo, ma bellissimo. - Chi ti ha dato il permesso di entrare e toccare quello che non è tuo? – Sobbalzai, guardando nello specchio della toletta. Vidi la mamma accigliata e scura. -Non ci provare mai più, capito! Vergognati. Ed io mi vergognai tantissimo, io che facevo di tutto per essere brava, saggia, giudiziosa pur di guadagnarmi l’affetto dei miei genitori. Non l’avevo sentita arrivare, ed essere stata scoperta così, mi dette la misura di quale brutta figura stavo facendo. Me ne andai fuori nel giardino, sotto Pagina 6 il fico, silenziosa e colpevole. Si avvicinò la piccola Miria, mi strinse con le sue braccine dicendo: “io tanto bene a te” e mi rimase vicino cercandomi negli occhi, finché non le sorrisi. I semi, però, erano stati comunque gettati. Passarono gli anni, crebbi nonostante tutto, curiosa ed intraprendente, vogliosa di liberarmi dai sensi di colpa e dalla timidezza, fiduciosa e battagliera. Tra i giovani della mia generazione avanzò il bisogno dell’irrazionale, dell’esoterico, dell’alternativo. Ed io, in special modo con le amiche, ero quella che sapeva quasi tutto di segni zodiacali, di sinastrie, di simbologia, di cuspidi e di ascendenti. Imparai anche a fare i tarocchi, traendone conoscenze trasversali sconosciute a molti. La mia sordità congenita mi aiutava ad affinare la percezione. Passarono molti anni da quel giorno in cui mi dovetti vergognare per essere stata curiosa. Mia madre è deceduta lo scorso settembre. Non riesco ancora a mettere a fuoco se provo quel dolore che dovrei provare. Un intimo disagio sì, sordo e profondo, ma non vero e proprio dolore. Io e lei non abbiamo mai recuperato quell’intimità che, da piccola, vivevo come un grande bisogno inespresso. Ci siamo stimate ed osservate, a distanza, con cortesia e rispetto. Non ho mai litigato con mia madre, ma non ci siamo mai, neppure una volta, abbracciate con trasporto. Pagina 7 Oggi sono venute a trovarmi le mie sorelle. Mi parlano di mamma, di tutto quello che hanno trovato nella sua casa. Ricordi, oggetti, memorie di una vita. Mi parlano delle lettere dei miei genitori, fidanzati durante la guerra quando, anche amarsi richiedeva coraggio e tenacia. Hanno portato foto, pacchi di corrispondenza ed un cofanetto con piccoli oggetti destinati a me. Catenine con scorpioni, ciondoli d’argento a forma di scorpione, portachiavi con scorpioni, anche due scatoline di plexiglass con dentro due scorpioni mummificati. Uno più grande ed uno più piccolo. E poi un sacchettino di velluto blu, chiuso da un nastrino dorato: - Mamma aveva destinato questo a te. E’ l’unico oggetto che non ha mai impegnato o venduto nei momenti di difficoltà – mi dice Miria. Sciolgo il nastrino. Provo un’antica emozione, profonda e seppellita dagli anni, che prepotentemente torna a galla. Già intuisco cosa possa contenere, ed apro lentamente il sacchetto. E’ l’anello, quello d’oro e con la grande pietra intarsiata. L’intarsio raffigura come un granchio, ma con il corpo più allungato ed una lunga coda appuntita: uno scorpione. Pagina 8 Non sono ancora riuscita ad infilarlo al dito. Mi dico che è troppo largo. Lo guardo, cerco di cogliere il suo arcano potere. Mi trasmette, solo a guardarlo, tutta la sua magia. Forse, domani, lo porterò dall’orefice, lo farò lucidare, lo farò stringere per adattarlo al mio anulare. Forse. Prima o poi, ne sono certa, riuscirò a riprendere anche questo discorso interrotto tanti anni addietro. Per tentare, ancora una volta, di riannodare uno dei fili con il mio passato,con i miei desideri con le mie emozioni. Forse! Pagina 9 LA ROSCETTA dedicata a Nina, vicina di casa quando ero bambina Lascia dormire il futuro come merita; se lo svegli prima del tempo, otterrai un presente assonnato… F. Kafka Vedi quel casermone? quello con i portici! E’ lì che abita la “Roscetta” con il marito. Quando è andata via, la fanatica che non parlava con nessuno, ha fatto sapere a tutti, gridandolo ai quattro venti, che aveva avuto la fortuna dell’assegnazione di un appartamento all’EUR. A me, questa zona, mi pare più la popolare “Garbatella” che lo scicchettoso quartiere dell’EUR Lo zio Gilberto aveva fermato la lambretta contro il marciapiede ed indicava l’enorme caseggiato troneggiante sulla spianata di terra Pagina 10 battuta lungo la via Cristoforo Colombo. Intorno il deserto di una periferia che, alla piccola Annamaria, sembrava sconfinata. Sul lato opposto del casermone, la “Fiera di Roma” e davanti il sepentone d’asfalto costeggiato di pini marittimi che ,in fondo verso ovest, conduceva alla pineta di Castelfusano ed al mare. Il mare, Annamaria con le manine sul cruscotto della vespa, un po’ guardava il casermone incuriosita, un po’ già le sembrava di sentirlo, l’odore del mare. Si viaggiava così, negli anni ’50. L’uomo guidava il mezzo a due ruote, la donna dietro , sedendosi di lato e chiudendo ben bene la gonna sotto le cosce. Se c’era anche un bambino, il posto privilegiato per lui era davanti , in piedi tra i manubri come una piccola vittoriosa “nike”. Se poi di bimbi ce ne erano due, il più piccolo trovava collocazione tra le braccia della mamma, attaccata, non si sa bene come, alla vita del guidatore. Ripresero la strada verso il mare con il vento che faceva gonfiare l’abitino di pizzo sangallo della bimba e sventolare il fazzoletto sulla testa della zia Ines. Annamaria si chiese perché la Roscetta, ovvero la moglie del postino, ovvero Sora Nina la barese, si fosse fatta murare dentro quell’enorme casermone. Pagina 11 Non era abbastanza felice di stendere il bucato? Eppure lo faceva cantando! E che belle canzoni conosceva a memoria: Maruzzella, Guaglione, e quella che le piaceva così tanto tanto da farla piangere e che diceva più o meno così :”..ahi ahiai paloma ....cucurucucù. .paloma... Lei ascoltava rapita e commossa facendo finta di giocare nel cortile della sua vecchia casa su due piani, con l’orto, l’albero di fico, il fontanone per lavare i panni. Ma perchè la “roscetta” se ne era andata via? Non era forse meglio per lei preparare i sughetti per il marito postino, nella cucina che dava sul giardinetto subito dopo il cancello , piuttosto che nel casermone sullo sterrato? Povera sora Nina la barese, schiva , di poche parole ma che sapeva cantare meglio della mamma; accompagnava il marito sul cancelletto ogni mattina mentre Annamaria prendeva il caffellatte guardando fuori dalla finestra. Lui grosso e rubicondo, lei minuta con tante lentiggini e tanti capelli rossi. Aspettava che lui montasse sulla bicicletta, lo aiutava a mettere e tracolla la borsa di cuoio e poi, in punta di piedi, dava il suo bacio, che doveva essere dolce come un viatico speciale, a giudicare dall’espressione beata ed un po’ ebete di lui. Pagina 12 Non avevano bambini, e lei se ne dispiaceva immensamente. Spesso piangeva quando si parlava di bambini e, qualche volta, chiedeva alla mamma di Annamaria di poter tenere il braccio l’ultima arrivata. Perché la mamma già ne aveva due di bimbi, uno dietro l’altro ovvero bimbe visto che erano femminucce: Annamaria e Marilena, ma già sospettava che tra otto mesi, ne sarebbe arrivato un altro. E poi c’erano le due cuginette Rita e Laura nel lato opposto della casa. Ma perché la Roscetta era andata via da un posto dove la cicogna arrivava spesso e volentieri per andare ad abitare in quell’enorme caseggiato ? Come poteva fare la povera cicogna per trovarla e portare anche a lei un bambino da cullare? A cinque anni è difficile a volte capire quello che combinano i grandi e perché. Veramente tanto difficile anche poterli aiutare a non farsi del male! - “vuoi venire in braccio a me? Lì davanti prendi troppa aria e ti verrà il mal di gola”La zia Ines dal suo posto di fidanzata ufficiale , reclamava anche lei un cucciolo da coccolare e proteggere ed, evidentemente, oggi voleva giocare alla “famigliolachevaalmareconunbimboabordo” -“No, voglio stare davanti, voglio guidare” - rispose la bimba. Pagina 13 Era vero, le piaceva immensamente pensare che fosse lei a condurre il mezzo a due ruote, ma voleva stare davanti anche per un altro motivo: la vera verità era che le sue manine, sfioravano quelle dello zio Gilberto. Era bello lo zio, alto, magro, con occhi azzurri e capelli neri, un po’ burbero a volte, ma sempre pronto a scherzare ed a giocare. Quando sarebbe cresciuta, lo avrebbe sposato lei lo zio: Era sicura che anche lui stesse solo aspettando la sua crescita. Ecco perché era ancora scapolo nonostante di fidanzamento con la zia Ines. Ma adesso c’era una emergenza seria. Bisognava che qualcuno avvertisse la cicogna di dove abitava ora la ex vicina di casa: Altrimenti un piccolo roscetto sarebbe caduto per errore nella stanza da letto della sua mamma e lei si sarebbe trovata un altro fratellino o sorellina miagolante e prepotente. Erano già in tanti dentro casa! Il papà , poi, era sempre ad imparare cose nuove sugli aerei in volo per i cieli e loro a terra, nella casa con il giardino ad aspettarlo. Avrebbe chiesto allo zio di scrivere lui alla cicogna per spiegare bene come stavano le cose, sì, lui lo avrebbe fatto, un po’ sul serio ed un po’ celiando come era suo costume. Ma come era bello lo zio! Pagina 14 nessuna delle sue amichette aveva uno zio così bello, così alto e così capace di farla volare con capriole da capogiro, riprendendola all’ultimo momento ridendo dei suoi gridolini complici di gioia e paura. Abitava nella casa al piano di sopra, insieme alla nonna Elena lui, mica come il papà che, studiando, studiando, se ne andava per aereoporti! Lo zio avrebbe saputo come e cosa scrivere. Allora sì che lei si sarebbe sentita tranquilla che il bimbo sarebbe arrivato e nel luogo giusto dentro la casa del grosso marito postino e della sua minuscola moglie. Quel palazzone era tanto grande e poi era tutto circondato dallo sterrato pieno di polvere, chiunque si sarebbe perso anche una cicogna animata dalle migliori intenzioni. Ora che aveva trovato la soluzione, riprese a guardare, soddisfatta, gli oleandri fioriti lungo la strada che portava i tre sulla lambretta, verso la spiaggia di Castelfusano. Aspirava forte l’aria frizzante ed aveva la sensazione di volere tanto bene a quella ex vicina di casa strana e triste. Non sapeva ancora, Annamaria, che di lì a tre mesi lo zio si sarebbe sposato con la zia Ines e poco dopo la cicogna, anziché andare dalla moglie del postino, avrebbe depositato un fagottino al piano di sopra, in casa degli zii novelli sposi ; una bambina, Paola, la prima di una serie di altre Pagina 15 cuginette e sorelle (sarebbero diventate 12) , tutte ancora e solo femmine! Pagina 16 L’ALTALENA Dedicata alla mia vecchia casa …il ricordo è poesia, e la poesia non è se non ricordo (G.Pascoli) Dovevo essere veramente molto piccola, perché il mio primo ricordo è legato alla “casa vecchia”, quella con il fontanone e l’albero di fico e c’era ancora la pergola con l’uva che fu tagliata via quando avevo 5 anni. Sotto il fico, legata a due grossi rami, stava l’altalena dalla quale ero caduta. Ricordo le grida della mamma, ricordo anche le sculacciate per aver tentato di salirci da sola, cadendo. Un fazzoletto bagnato asciugò il sangue che usciva dal naso. Poi la mamma mi prese in braccio ed approfittò del mio pianto per cercare di darmi addormentare. Pagina 17 Ecco, con il visetto sulla spalla di lei, avvertii il sapore del sangue,l’’odore pungente delle foglie di fico ed il tepore del sole che ,a sprazzi, appariva e scompariva sotto la pergola; sensazioni forti e dolci, amare e piene. Quando spingo la memoria più indietro possibile nella mia infanzia, e qui che si ferma il ricordo cosciente. Un ricordo lontano, sfocato eppure vivo. Qualche anno dopo, quella abitazione fu lasciata per una moderna, al terzo piano di un moderno fabbricato. La vecchia casa abbattuta, il giardino seppellito sotto le fondamenta di una nuova costruzione di sette piani. Questa sera, mentre scrivo, la vecchia casa torna nitida davanti ai miei occhi, con il suo orto, le rose,la pergola, il fontanone e l’albero di fico al quale era legata una altalena. Pagina 18 LO SGABUZZINO Dedicata amia nonna Elena L’aspetto delle cose varia secondo le emozioni, e così noi vediamo magia e bellezza in loro; ma bellezza e magia, in realtà, sono in noi (K.Gibran) Avrei voglia di raccontarvi dell’Istituto Scolastico alla Certosa, della grotta con la Madonnina. E’ lì che ho frequentato l’asilo. Quello dei piccoli e quello dei grandi, quando avevo tre, quattro e cinque anni. Ricordo un canto e sento la mia voce insieme a quella delle altre bambine: “la solitudine si deve fuggire, si deve fuggire sol con le compagne si può gioire, sol con le compagne si può gioire, scegli una bimba che sappia ballare, che sappia ballare…..” Pagina 19 mentre canticchio sottovoce questo canto lontano, un altro ricordo, prepotentemente, occupando il mio spazio mentale. Una porta, il buio. Ci finii per punizione nello sgabuzzino. Cosa avessi combinato, non lo so. Rammento solo lo scatto della chiave, il buio e l’angoscia, l’abbandono. Roba da chiamata a “telefono azzurro”, ma ai miei tempi non esisteva. Piangevo, gridavo di voler uscire. La porta rimaneva serrata. Il sole fuori, il buio intorno, tratte un piccolo fascio di luce che penetrava da una piccolissima finestrella chiusa da una retina anti insetti. Sentii una voce, da quella finestrella: “ Anna, Anna, non piangere, vieni , vieni da nonna” Mi avvicinai e vidi le sue dita che mi passavano attraverso la retina anti insetti, un pescetto di liquerizia. Lo presi e cominciai a succhiarlo e lei ancora: “ Stai buona,non piangere. Io ho portato la seggiolina. Mi siedo qui vicino alla finestrella, a fare la maglia e, quando vuoi un altro pescetto, mi chiami e io te lo passo.” Rassicurata da quella presenza e con gli occhi che si stavano abituando all’oscurità vidi un vestito a fiori, sbilenco su di una stampella che attirò la mia attenzione. E poi una bilancia di ottone con tutti i pesi e pesini in perfetto ordine, una Pagina 20 cappelliera, un quadro con scene di caccia, gli occhi di mio nonno che mi guardavano da un vecchio ritratto. Curiosa aprii con cautela una cassettiera. Era colma di avanzi di pizzo, pannolenci, velluto, organdis. E poi bottoni, fibbie, nastri e nastrini. Su tutto aleggiava un odore a me sconosciuto. Era naftalina. Toccare, guardare, frugare, annusare. Iniziò uno splendido gioco. Con vecchi abiti ed avanzi di tessuti, divenni principessa salvata da un principe e sirena amata dal pescatore. E ancora, regina di un regno incantato e fata che sapeva volare. Prima che il sole calasse, fui liberata. La nonna era già andata via per non farsi vedere. Quello sgabuzzino restò, per tutta la mia infanzia, il mio luogo segreto, dove mi nascondevo per incontrare la magìa, il mistero,il sogno. Ancora oggi, i magazzini dei rigattieri, le botteghe di vintage, i mercatini dell’usato, continuano a chiamarmi, complici. Fuori dalle vie principali, tra i vicoli della Roma più nascosta e segreta. La magìa! Pagina 21 (ideogramma del coraggio) IL CORAGGIO DI TUTTI I GIORNI dedicata a Rita ed Ilaria …. Anche lei aveva salito il Calvario, che è una montagna scoscesa….. E non sentiva neanche i suoi piedi che la portavano… Non sentiva le gambe sotto di sè….. anche lei aveva salito il suo calvario….. anche lei era salita, salita…….quello che è strano è che tutti la rispettavano. La gente rispetta molto i genitori dei condannati. Dicevano addirittura “ la povera donna”..…e intanto picchiavano suo figlio….. (Charles Peguy, Rita ed io, siamo cresciute nello stesso giardino della casa di nostra nonna, insieme alle nostre sorelle ed alle nostre cugine. Dodici bambine in tutto, che hanno condiviso spazi e tempo, studiando nello stesso Istituto di Suore e giocando nello stesso cortile. Rita ed io eravamo le più grandicelle , le prime ad uscire insieme con i rispettivi fidanzatini, Pagina 22 nell’età dell’innocenza e della fiducia nella futuro. Da due anni, le giornate di Rita, sono scandite da incontri sulla violenza nella carceri ed udienze presso aule di tribunale: giovedì 9 febbraio, giovedì 16, sabato 18, giovedì 23, martedì 28, mercoledì 7 marzo…. e lei, insieme a sua figlia Ilaria ed a suo marito Gianni è sempre lì in aula, tenace, paziente, fiduciosa nella capacità di scovare verità e nel fatto che giustizia sarà applicata. Ho chiesto a Rita dove ha saputo trovare il coraggio che la sostiene e lei mi ha risposto: “l’ho trovato nello sguardo fiero ed implacabile di mia figlia, Ilaria. Ho colto lo sguardo di lei ormai donna e non più solo figlia, quando il dolore atroce quello che ti lascia incredula e devastata, ha bussato alla porta della mia casa portando, nel modo peggiore, una notifica di nomina per svolgere “accertamenti urgenti non ripetibili” sulla salma di Stefano. Parole burocratiche, dietro alle quali si celava un significato tremendo: Stefano era morto ed era necessaria una autopsia. In quelle terribili giornate io non volevo più mangiare né bere, perché volevo solo morire. E’ stato allora che Ilaria mi ha preso Pagina 23 per le spalle, fissandomi negli occhi e dicendomi: - Mamma devi reagire, devi farlo per Valerio e Giulia, i miei bambini hanno bisogno della loro nonna! Devi reagire e combattere perché a nessun altro ragazzo debba succedere quello che è successo a Stefano. E’ stato così che mia figlia Ilaria e diventata madre di sua madre ed è stato così che ho potuto rendere pubblico un devastante dolore privato. E’ stato così che ho compreso come non fossero le Istituzioni carcerarie colpevoli di quanto era successo a Stefano, ma solo quella manciata di persone che hanno tradito sia la loro stessa umanità che il compito loro assegnato dalla collettività. E’ stato così che insieme ad Ilaria ed al padre di Stefano, abbiamo potuto trovare le parole ed i comportamenti più dignitosi; non odiando nessuno, ma provando solo profonda pietà per quelle persone. Quella pietà che avremmo voluto avessero provato anche loro nei confronti di Stefano, inerme e fragile, abbandonato proprio da chi doveva prendersi cura di lui” Pagina 24 Ilaria, per diventare la madre di sua madre, ha dovuto affrontare traumi per il quali non era pronta e che ha raccontato nel suo libro dedicato al fratello. In quelle pagine racconta il giorno in cui è riuscita ad ottenere il permesso di poter vedere Stefano, dopo un lungo lottare contro burocrazia e burocrati, all’interno dell’obitorio dell’ospedale Pertini di Roma. Ilaria non ha avuto subito il coraggio per entrare, mentre i genitori sì, sono entrati subito. E sono state proprio le loro urla strazianti di orrore e incredulità che l’hanno spinta a varcare quella soglia. Nel suo libro “volevo dirti che non eri solo” Ilaria ha ricordato così quei terribili momenti: “… Gridavano frasi difficilmente comprensibili, sentivo mio padre ripetere : “Oddio, Oddio!”, e mia madre che tra i singhiozzi chiedeva a ripetizione “Che cosa gli hanno fatto?, Cosa gli hanno fatto?” Ho afferrato quel po’ di coraggio che ancora mi sorreggeva ed ho varcato la porta. Stefano era disteso su una barella, protetto da una teca di vetro, ma se non avessi saputo che era lui difficilmente l’avrei riconosciuto. Uno spettacolo tremendo. Aveva il volto scuro e nero, quasi che fosse bruciato, e Pagina 25 incavato fino alle ossa. Poco più di un teschio. Aveva una macchia sotto lo zigomo destro, mai vista prima, la mandibola storta, un bozzo enorme sotto il sopracciglio sinistro; e poi gli occhi sembravano usciti dall’orbita, il destro pesto e incassato verso l’interno”. E da quel momento comincia il calvario per ottenere giustizia fatto di domande che attendono ancora una completa risposta. Quali sono state le circostanze che hanno portato Stefano alla morte? Perché quella morte assurda avvenuta quando era affidato nelle mani dello Stato, quello stesso Stato in cui ancora Rita, Ilaria, e Gianni vogliono credere? Perché burocrazia e menzogne hanno frapposto decine di ostacoli tra Stefano ed i suoi familiari quando, quest’ultimi, chiedevano notizie sulla sua salute? Perché quel diniego di concedere a Stefano un colloquio con il suo avvocato Abbraccio mia cugina e, nel suo sguardo, vedo la stessa fierezza implacabile che anima lo sguardo di Ilaria. E’ stata lei, quindi, che ha saputo trasmettere a sua figlia insieme al latte con cui l’ha nutrita, il coraggio vero. Non quello dell’atto eclatante che rende imperiture Pagina 26 le gesta degli eroi, ma il coraggio da ricercare dentro se stessi ogni giorno, senza mai sapere se lo troverai e se ti sosterrà ancora una volta. Ed ogni volta che sia necessario, devi nutrire e credere in quel coraggio, perché sai benissimo che, senza quella forza, poco potresti fare per te e per gli altri. Pagina 27 ANASTASIA Dedicata alla mia amica Gabriella ed alla sua gatta La loro amicizia era seria e silenziosa come tutti i grandi sentimenti destinati a durare una vita intera. E come tutti i grandi sentimenti, anche questo conteneva una certa dose di pudore e di senso di colpa. Non ci si può appropriare impunemente di un essere,sottraendolo agli altri” (Le braci, Sàndor Màrai) Qualcosa di inconsueto era nell’aria. Annusò ancora una volta l’umidità del mattino. La primavera portava con se l’odore dei fiori del muschio. Ma c’era qualcosa in più a turbare l’Anastasia; un richiamo prepotente di vita, di morte. L’Anastasia! Quel nome era stato scelto da Ennio, il capofamiglia. Il nome dell’ultima dei Romanoff, la Pagina 28 sopravvissuta all’eccidio. Come per lei il caso e mani pietose avevano ridefinito un destino già disegnato. Erano state Paola e Carla a convertire la strada di sicura morte nel sentiero di una possibile vita. La gatta giaceva sull’asfalto della via Setta, nel punto in cui si vede il ponte sul fiume, orribilmente schiacciata dalle ruote di un auto. Il ventre squarciato. I piccoli non ancora nati, sembravano immobili, chiusi alla vita. La speranzosità ebbe il sopravvento. Si avvicinarono, guardarono attentamente e .......... sì, un batuffolino si muoveva debolmente, minuscolo ma vivo, deciso a resistere ancora. Poi fu tutta una frenetica scommessa. Una scatola di cartone calda ed ovattata, una sveglia che imitasse il cuore della mamma, il latte con il contagocce e le carezze leggere sul pancino, quasi come una lingua materna. La Gabriella osservava con trepidazione la scommessa di questa piccola vita. Lei, madre di cinque figlie, maestrina e tata di altri 20 presso l’asilo comunale. Visse e crebbe l’Anastasia. Occhi grandi ed ipnotici, felina ed elegante. Un carattere selvaggio e stranito. Crebbe, amata da tutta la famiglia, contesa e rispettata. Ma la gatta aveva scelto una interlocutrice privilegiata: la Gabriella. Due femmine, due madri, con un legame ancestrale Pagina 29 tanto misterioso quanto intenso. Depositarie, l’una verso l’altra, di segretezze fatte di sguardi, linguaggi, racconti e profonde affettività, che solo loro due sapevano comprendere. Crebbe l’Anastasia; sfuggente, forastica e bella, bellissima. Nessuno in casa osava dominarla. Rubava la poltrona all’Ennio, il marito di Gabriella, svicolava elegantemente tra gli altri animali presenti in casa: la cagna Ulla, il porcellino d’india, gli altri gatti. Chiunque entrasse in casa Pieri, era oggetto della valutazione attenta del suo sguardo inquieto ed indagatore. Quella mattina, dormivano tutti. E quel richiamo nell’aria era sempre più acuto. No, non era solo il richiamo amoroso. Conosceva il richiamo dell’amore, l’aveva già seguito ed aveva già figliato altre volte. No, non era solo quello. Avanzò cauta. Il cancello sulla via Setta era leggermente aperto. Aspettava di essere superato. Passò oltre, seguendo quell’odore, attenta, prudente, curiosa come sempre. Fu nello stesso punto della curva. Dove si vede il ponte sul fiume. Nello stesso esatto punto dove aveva incontrato la vita che venne travolta ed uccisa. Pagina 30 Pagina 31