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Un contributo agli studi daliniani: le cornici (pre)surrealiste di Alessandro Gallicchio Premessa. L’intento che si prefigge tale saggio è quello di studiare un corpus di opere realizzate da Salvador Dalí in un arco di tempo che va dal 1919 al 1928 (periodo definito dalla critica come pre-surrealista) e analizzarne alcune peculiarità iconografiche. Prima di intraprendere tale analisi appare però necessario dare una definizione precisa dei termini “(pre)surrealista” e “cornice” contenuti nel titolo del presente contributo. L’accezione “(pre)surrealista” fa riferimento al periodo antecedente all’adesione di Dalí al surrealismo, ma non solo: le opere realizzate in quegli anni sono caratterizzate, di fatto, dalla presenza del paesaggio catalano, che sarà preponderante non solo fino al suo trasferimento a Parigi, bensì lungo tutto l’arco della sua produzione. Con il termine “cornice”, invece, non si vuole alludere alla struttura tridimensionale finalizzata alla protezione e al sostegno del dipinto sulla parete, ma piuttosto a un elemento iconografico, ovvero quello della finestra, in grado di circoscrivere un determinato campo visivo e isolare l’immagine rispetto all’insieme del quadro. Nelle opere del giovane Dalì, tale elemento funge da scenario per la rappresentazione di paesaggi che servono ad attualizzare la dialettica interno/esterno e a valorizzare il concetto di natura. A partire dal Rinascimento, infatti, l’immagine della natura ha iniziato a presupporre l’esistenza di uno spazio interno, di uno spazio di “cultura”, civile, dal quale poter osservare un “fuori”. Il rettangolo della finestra serve dunque a trasformare il “fuori” in paesaggio, permettendo all’artista di creare un quadro nel quadro. 1 È dunque estremamente significativo notare come Dalí inserisca frequentemente delle finestre dalle quali si possano osservare scenari dell’Empordà, regione da cui egli proveniva. Questi paesaggi restarono circoscritti all’interno di tale area rettangolare durante tutto il suo periodo formativo, all’incirca fino al 1928, per poi espandersi sulla tela e ospitare i frutti delle sperimentazioni surrealiste. Da qui l’importanza di ricercare le ragioni consce e inconsce che spinsero l’artista catalano a rappresentare ossessivamente i segni caratteristici del suo luogo d’origine. L’adolescenza e Cadaqués. Dalí nasce a Figueres, una piccola cittadina commerciale dell’Empordà, dove suo padre, Don Salvador Dalí i Cusí, esercitava la professione di notaio della provincia. Don Salvador era originario di Cadaquès, un piccolo villaggio di pescatori a ventotto chilometri da Figueras, dove la famiglia Dalí era solita affittare una casa vacanze2 e in cui, durante il periodo estivo, ospitava personalità importanti del mondo della pittura e della musica.3 Nello stesso villaggio – e più precisamente nella baia di Es Sortell – avevano una casa anche i Pitxtot, una famiglia di artisti vicina ai Dalí, di cui Ramon, pittore impressionista, fu il primo maestro di Salvador. Dato che nella residenza famigliare non vi era abbastanza spazio per allestire uno studio di pittura, Ramon Pitxtot consigliò al suo prodigioso alunno una piccola stanza di pescatori nel centro di Cadaqués, dove poter esercitare liberamente la sua arte. Dalí la descriveva così: «Era una grande stanza bianca al piano superiore di una povera casetta di pescatori» con «al centro un grosso sgabello e uno più piccolo appeso ad un chiodo». 4 Tale descrizione rimanda immediatamente all’opera Autoritratto nello studio [fig. 1], realizzata dall’artista nel 1919 all’interno del suo studio di Cadaqués. 5 Qui Dalí, ancora quindicenne, decide di rappresentarsi al lavoro mentre dipinge, sottolineando il desiderio di essere considerato a tutti gli effetti artista. Questo però non avviene in un luogo asettico, bensì all’interno della stanza allestita per lui da Pitxtot nel centro del piccolo villaggio marittimo 6 . Lo dimostra la finestra che si apre sul mar Mediterraneo, mare che il giovane Dalí ebbe l’opportunità di osservare durante i suoi lunghi soggiorni in Costa Brava. Ma cosa spinse l’artista ad eleggere Cadaqués – come tra l’altro fece in dipinti quali La mia cugina Montserrat (1917), Ritratto della nonna Anna che cuce (1919), Ritratto del violoncellista Richard Pitxot (1920) e Ritratto della nonna Anna che cuce (1920) – a paesaggio privilegiato per la sua rappresentazione? Va innanzitutto specificato che Dalí, durante tutta la sua adolescenza, dovunque si trovasse, non sognava che di tornare nella casa estiva che fin dall’infanzia aveva amato sfrenatamente. Sin da bambino vagabondava per ogni sentiero del villaggio, lo conosceva nei più minuti particolari;7 era il luogo in cui trovava equilibrio la sua eccentricità, l’ambiente perfetto per esprimere a pieno i suoi istinti. Dal suo diario si evince l’ansia che provava nei giorni che precedevano l’inizio delle vacanze e la partenza per Cadaqués; in quei giorni, sostiene Dalí, non riusciva a pensare ad altro che a quel piccolo villaggio.8 L’egemonia di tale paesaggio all’interno del suo operare artistico può dunque essere giustificata da motivazioni strettamente personali: il suo forte attaccamento al mondo dell’infanzia e ai tempi spensierati della fanciullezza. Sarebbe tuttavia errato fermarsi a queste conclusioni. Infatti non va dimenticato che Dalì era stato alunno di Pitxot, il quale lo iniziò al luminismo pittorico mediterraneo, tendenza molto in voga nell’ambiente artistico catalano a cavallo tra la fine del XIX sec. e l’inizio del XX sec.; egli era inoltre a conoscenza di Sunyer e del noucentisme, a cui non v’è dubbio che guardò con interesse.9 Queste ricerche dovettero sicuramente influenzare il giovanissimo Dalí, orientandolo sempre più verso la riscoperta delle tradizioni e del carattere mediterraneo della pittura catalana. Tale attrazione si trasformò, di conseguenza, nel desiderio sfrenato di dipingere il paesaggio che più lo aveva impressionato, ovvero Cadaqués, e che al contempo rispecchiava fortemente le caratteristiche paesaggistiche ricercate dai maestri a cui il giovane pittore guardava con interesse. Nel suo Ritratto della nonna Anna che cuce (1920) [fig. 2] si ritrovano queste stesse problematiche. L’anziana signora viene rappresentata all’interno di una stanza con una finestra che si affaccia proprio su Cadaqués.10 Qui s’incontrano due temi molto cari alla corrente mediterraneista: la maternità e il paesaggio. La nonna che cuce rimanda inevitabilmente a un mondo casalingo, famigliare, è il simbolo di quella vita domestica spagnola che aveva contraddistinto l’opera di Modest Urgell i Inglada e Manuel Benedito, a cui Dalí era debitore;11 mentre il paesaggio che s’intravede dalla finestra – che in questo caso assume un ruolo determinante – viene dipinto con un’attenzione minuziosa al colore ed alla luce (si veda la resa dei riflessi nell’acqua), temi, questi ultimi, cari alla pittura noucentista.12 Non è dunque difficile immaginare quanto le caratteristiche luminose dei paesaggi mediterranei dovessero aver colpito Dalí e con che cura egli cercò di rendere fedelmente tali tonalità. Se nel suo Autoritratto nello studio decise di utilizzare, ancora influenzato dalla tavolozza di colori di Pitxot, uno stile d’impressione, con tratti che fanno pensare alla pittura postimpressionista e a quella fauvista,13 nel Ritratto della nonna Anna che cuce la tavola cromatica divenne più uniforme e le pennellate meno impulsive. Qui raggiunse quella quiete stilistica e quell’uniformità tonale che conferirono a tale dipinto un’aura quasi religiosa, mettendo lo spettatore nella condizione di trovarsi a osservare una scena talmente intima da trovarsi in imbarazzo. La necessità di rappresentare Cadaqués nasce dunque da due ragioni, una di carattere psicologico e l’altra di carattere poetico. Se da un lato il villaggio rappresenta un luogo magico, ricco di ricordi, una sorta di spazio incontaminato in cui ritrovare la felicità e l’armonia, dall’altro corrisponde perfettamente all’idea di paesaggio proposta dalla corrente mediterraneista della pittura catalana, la quale privilegiava scorci costieri e luminosi. Si può quindi concludere ripronendo il quesito avanzato da Eugenio Carmona: «[Dalí] vivendo nel Mediterraneo, quale adolescente creativo e vivace non ha improvvisamente scoperto la brillantezza del mare e della luce nel suo ambiente, nelle felici giornate estive o nelle cromatiche atmosfere di una limpida e tiepida giornata invernale?».14 Molto probabilmente sì, ma ciò fu dovuto non unicamente ad un interesse pittorico nei confronti del paesaggio costiero catalano, bensì ad una predisposizione psicologica dell’artista alla rievocazione dei valori tradizionali della sua terra, che si tradusse nella riproposizione di Cadaqués come leitmotiv. Il ruolo centrale del paesaggio catalano. Un evento cruciale per la carriera del giovane Dalì fu sicuramente la sua prima mostra personale a Barcellona, che si tenne dal 14 al 27 novembre del 1925 alla Galleria Dalmau e che ebbe un riscontro molto positivo da parte della critica di settore. Lo conferma un articolo pubblicato sulla Gaseta de les arts: «Aquesta exposició revela un artista de grans dols. Anima viva, sent totes les inquiètats de l’hora i es llensa a totes les especulacions amb gran empenta i diriem amb vera magestat».15 Tale esposizione fu decisiva per Dalì, innanzitutto perché gli permise di farsi conoscere dall’ambiente barcellonese ed in secondo luogo perché poté entrare a far parte della cerchia di artisti che gravitavano intorno a Josep Dalmau, il gallerista più influente per ciò che riguardava il movimento avanguardista catalano. Fra le opere che riscossero maggior successo in tale mostra va menzionata Ragazza alla finestra [fig. 3], un dipinto che rientra ancora nel soggetto pittorico fin qui analizzato ma che mostra nel frattempo come fossero avvenuti alcuni cambiamenti a livello stilistico. Se l’impianto iconografico – e più precisamente la presenza del paesaggio catalano – non aveva subito modifiche, in tale periodo il giovane Dalì si dimostrò sempre più orientato stilisticamente verso la metafisica italiana, la Neue Sachlichkeit tedesca e la pittura classica. Fèlix Fanés, a questo proposito, sostiene che nei dipinti esposti a Barcellona la resa dello sfondo, naturalistico e purificato, sia dovuta a una rilettura personale della pittura di De Chirico e Carrà, mentre la freddezza con cui vennero rappresentati gli interni si debba all’influenza di pittori postespressionisti tedeschi quali Kanoldt, Schad o Schrimpf. 16 Al contempo però la Ragazza alla finestra rientra ancora all’interno della tradizione latina e mediterranea: il tratto fermo, la precisione della linea, la volontà di rimanere fedele alla realtà fino al punto da farla sembrare artificiosa, non intaccano la carica mediterranea della scena, confermata, oltre che dalla presenza di uno scorcio dell’Emprodà al di là della finestra, dalla sensualità con cui viene rappresentata la ragazza di spalle, sua sorella. Si tratta di una figura solida, dotata della gravità che caratterizza le statue arcaiche, quasi un mito di fertilità,17 delineata da un tratto sicuro e sinuoso che sottolinea con che maestria già a ventuno anni Dalì fosse padrone dell’arte del disegno.18 La finestra, anche in questo caso, è dominante, ritaglia quella porzione di tela che permette di sfondare la prospettiva e aprire la vista su un villaggio costiero, che si può intravedere attraverso il riflesso di alcune architetture sui vetri dell’anta, alla destra della figura femminile. Il ricorso al paesaggio e alla figura di spalle rimanda inevitabilmente a Caspar David Friedrich, artista che con il suo Donna alla finestra del 1822 rappresenta un rilevante modello per Dalì.19 Egli ebbe l’opportunità di conoscerlo attraverso un saggio di Ludwig Juzti, intitolato Kaspar David Friedrich (1921), facilmente reperibile nelle biblioteche di Barcellona.20 Un altro dipinto di questo periodo, Ragazza che cuce del 1926 [fig. 4],21contiene una finestra dalla quale s’intravede un frammento dell’Emprodà. In alcuni aspetti tale opera può essere considerata come la variante della Merlettaia di Veermer, che Dalí studiò grazie ad alcune riproduzioni dell’epoca. Il trattamento della figura femminile, la sua elevazione alla categoria poetica dell’umile lavoratrice e la sua inscrizione in uno spazio chiuso e austero ricordano, di fatto, la pittura di genere olandese.22 In tale cornice però vi è un aspetto ulteriore, ossia l’organizzazione prospettica dello spazio, con il punto di fuga che converge al centro della finestra: «Tot convergeix vers el centre de la tela, centre de simetria, tot i engendrant un ritme radial, aquella composició per radiació tan cara a Paul Cézanne».23 Se Cézanne assume un ruolo principale per ciò che riguarda l’organizzazione spaziale del dipinto non va dimenticata l’influenza dell’opera Morte della Vergine di Mantegna, dove dietro la scena funebre si apre un’enorme finestra che, fungendo da punto di fuga, indirizza lo sguardo dello spettatore verso la laguna di Mantova. Tale dipinto fu fonte di ispirazione per l’artista, che ebbe l’opportunità di ammirarlo al Museo del Prado di Madrid durante la sua permanenza all’interno dell’Accademia delle Belle Arti.24 La critica ha più volte evidenziato l’atteggiamento eclettico del giovane Dalí, il cui stile venne influenzato sia da ricerche a lui più prossime che dai grandi maestri della tradizione. Il riferimento a epoche diverse non deve però stupire in quanto l’artista catalano a questa data – essendo già cosciente del suo lavoro – si era impegnato nella sperimentazione di diversi linguaggi al fine di orientarsi verso uno stile proprio. È inoltre importante evidenziare come egli, nonostante fosse ancora alla ricerca di una determinata identità stilistica, avesse deciso di rimanere fedele ad alcuni temi, quali quelli della finestra e del paesaggio catalano, che restarono costanti imprescindibili all’interno della sua opera.25 L’importanza data a tali soggetti è giustificata dallo stesso Dalí, il quale afferma: «Ho già detto altre volte, e lo ripeto ora, che la cosa chiamata dagli altri, e da me, un “paesaggio” esiste soltanto sulle rive del Mediterraneo, e in nessun altro luogo. Ma la cosa più straordinaria è questa: che il punto dove il “paesaggio” diventa più bello, più intelligente, più completo, sta nei pressi di Cadaqués, proprio dove per mia immensa fortuna (e me ne rendo perfettamente conto) Salvador Dalí poté, fin dalla prima infanzia, trascorrere “esteticamente” le sue estati». Continua dicendo: «E che cosa costituisce la primordiale bellezza, la primordiale eccellenza del paesaggio, insuperabile, di Cadaqués? La sua “struttura”, null’altro. Ogni collina, ogni contorno roccioso avrebbero potuto esser disegnati da Leonardo. Se si eccettua la struttura, non è altro. Nessuna vegetazione, tranne gli olivi, che con il loro colore giallo paiono chiome venerabili e coronano le vecchie colline, rugose di antichi tracciati».26 In queste parole si possono rintracciare alcuni rimandi al repertorio estetico del noucentisme, che dominò la scena catalana fino agli anni trenta, contribuendo alla crescita artistica dell’allora adolescente Salvador Dalí. Tale tendenza si opponeva all’arte impressionista in quanto privilegiava visioni classiciste e mediterraneiste propiziando un nuovo significato del rapporto tra arte plastica e intercettazione della vernacolarità, di cui ne è un esempio la pittura paesaggistica di Joaquim Sunyer. Quest’ultimo rappresentò la Catalogna con un’attenzione maniacale all’equilibrio dei toni ed all’euritmia delle forme e dei colori, inserendo nudi femminili dai canoni classici, all’interno dei paesaggi aridi della Costa Brava.27 Il dialogo tra il rigore compositivo e la resa tonale dei paesaggi mediterranei costituiva uno stile inconfondibile, un modello al quale tutti i giovani artisti dell’epoca, e fra questi lo stesso Dalí, guardavano con entusiasmo. Il noucentisme era d’altronde in sintonia con la cultura del tempo, sempre più indirizzata verso la riscoperta dell’antico, delle tradizioni e del carattere vernacolare dell’esistenza, e fu per tale motivo che si tramutò velocemente nella spina dorsale dell’arte catalana. Salvador Dalí, almeno fino al 1926, dovette guardare con entusiasmo a questo movimento e non deve stupire il fatto che utilizzò alcuni dei dettami da esso propugnati. Infine non va sottovalutato come l’ossessione dell’artista nei confronti dei luoghi nativi abbia potuto indirizzare il suo sguardo verso fonti quali Sunyer e i paesaggisti catalani e come l’elogio della “casa del padre” (Cadaqués e Figueres), con tutte le sue implicazioni affettive e psicologiche, rappresenti un aspetto imprescindibile della sua poetica. Oltre agli esempi già citati, anche La merlettaia davanti al mare a Cadaqués (1920), Figura di profilo (1925) e Ragazza di Figueres (1926) rappresentano scene in cui una finestra proietta lo sguardo dello spettatore sui paesaggi simbolo della terra paterna di Salvador Dalí. Epilogo. Il 1927 segna un altro momento importante per la maturazione artistica di Dalí: la sua adesione al movimento anti-artistico, volto alla proclamazione dell’assassinio della pittura in nome di una ricerca a favore della società macchinista, funzionale, massificata, capace di creare una nuova tipologia di cultura popolare. È il periodo in cui l’artista si avvicina alle ricerche cubiste e puriste e inizia ad affacciarsi all’ambiente avanguardista parigino. Le opere realizzate in questi anni si differenziano da tutta la sua produzione precedente per la scelta di un linguaggio geometrizzante che privilegia la scomposizione formale degli oggetti e la destrutturazione dei piani. Qui Dalí sposa a pieno i principi puristi enunciati da Le Corbusier e Ozenfant sulle pagine di L’Esprit Nouveau, a cui lo stesso artista era abbonato.28 Nonostante tale cambio di rotta, però, vi è un’ultima opera, terminata nel 1928, che rientra nella tipologia di dipinti analizzati fino ad ora: si tratta del Ritratto di Mercedes d’Abadal del 1927-28 [fig. 5], andata dispersa. Questo dipinto gli era stato commissionato nel 1927 da Ramon de Abadal, una personalità influente del periodo, per festeggiare sua figlia Mercedes. Si tratta di un ritratto di una ragazza di tre quarti dietro la quale si apre una finestra che occupa quasi tutta la parte sinistra del dipinto. Attraverso tale apertura si può intravedere il solito paesaggio dell’Empordà, anche se in questo caso Dalí ha optato per uno scorcio dell’entroterra, forse per rappresentare uno dei ricchi casolari degli Abadal che possedevano numerose proprietà in Catalogna. Anche in quest’opera la finestra funge da punto di fuga e il paesaggio fa da padrone. Tralasciando la figura femminile all’interno della stanza, è interessante soffermarsi sulla scena paesaggistica: la grande cascina, i terreni coltivati e le colline sullo sfondo possono far pensare a Miró, alle sue rappresentazioni di Mont-roig, soprattutto per ciò che riguarda la resa del campo coltivato e la struttura del casolare. Dalí, a questa data, conosceva già Miró, il quale era ben inserito nel mondo artistico parigino. Non appare dunque così azzardato sostenere che il giovane artista avesse ammirato le opere del più maturo conterraneo e ne avesse preso spunto, anche perché non va dimenticato che in entrambi vi era un forte attaccamento ai luoghi d’origine e alla cultura vernacolare da cui provenivano. Questi aspetti sono le ultime tracce del Dalí “pre-surrealista”, ancora legato alla pittura tradizionale catalana e al mediterraneismo (il dipinto infatti venne esposto come esemplare unico nel suo genere già nel 1929, nel pieno del fervore anti-artistico dell’artista).29 D’ora in poi il suo stile muterà drasticamente e di conseguenza il paesaggio, così come si è visto fino ad ora, non avrà più spazio. La regione dell’Empordà verrà rappresentata o come sfondo per le “elucubrazioni” surrealiste oppure come scenario di visioni iperrealiste. Solo le considerazioni di carattere generale espresse a riguardo dell’importanza dei luoghi e della cultura catalana rimangono valide, anche se necessiterebbero, in base al periodo storico-artistico che si desidererà prendere in analisi, alcune rettifiche. Desidero dedicare questo breve saggio ad Ariana Guillamon i Martinez e famiglia, senza i quali non avrei mai potuto apprezzare fino in fondo lo splendore dei paesaggi e della cultura catalana (Visca Catalunya!). Avvertenze. Ove presenti sono state riportate le traduzioni in italiano dei testi stranieri, per quelli non ancora tradotti si è optato per la trascrizione in lingua originale. 1 Cfr. Victor Stoichita, L’invenzione del quadro. Arte, artefici e artifici nella pittura europea (1993), Il Saggiatore, Milano, 2007, p. 46. 2 Cfr. Ian Gibson, Salvador Dalí: the Catalan background in Ian, Gibson (a cura di), Dalí: the early years, (catalogo della mostra, New York, Metropolitan Museum of Art, 29 giugno-18 settembre 1994), Thames and Hudson, London, 1994, p. 56. 3 «Don Salvador era molto appassionato di canto e di pittura. Fu il primo a pubblicare le famose sardanas di José Venturas che rimise in voga le danze del folklore catalano perdute da secoli». Robert Descharnes, Il mondo di Salvador Dalí (1962), Garzanti, Milano, 1972, p. 14. 4 Cit. in Dawn Ades, Ritratti: gli anni giovanili, in Dawn Ades (a cura di), Dalí, (catalogo della mostra, Venezia, Palazzo Grassi, 12 settembre-16 gennaio 2005; Philadelphia, The Philadelphia Museum of Art, 16 febbraio-15 maggio 2005), Bompiani, Milano, 2004, p. 26. 5 Cfr. Rafael Torroella, El primer Dalí 1918-1929, IVAM, Madrid, 2005, p. 47. 6 Cfr. Dawn Ades, Ritratti: gli anni giovanili, in Dawn, Ades (a cura di), Dalí, cit., p. 26. 7 Cfr. Robert Descharnes, Il mondo di Salvador Dalí, cit., p. 14. 8 Cit. in Montserrat Aguer e Fèlix Fanés, Illustrated biography in Ian Gibson (a cura di), Dalí: the early years, cit., p. 22. 9 Cfr. Eugenio Carmona, Secondo “pensiero”: genius loci – Mirò Dalí, in Eugenio Carmona (a cura di), Picasso Mirò Dalí. Giovani e arrabbiati: la nascita della modernità, (catalogo della mostra, Firenze, Palazzo Strozzi, 2011), Skira, Ginevra-Milano, 2011, pp. 82-83. 10 Cfr. Rafael Torroella, El primer Dalí 1918-1929, cit., p. 65. 11 Cfr. Dawn Ades, Dalí, Thames and Hadson, London, 1982, p. 12 e Dawn Ades, Ritratti: gli anni giovanili, in Dawn Ades (a cura di), Dalí, cit., p. 34. 12 Robert Descharnes, Salvador Dalí, Abrams, New York, 1993, p. 76. 13 Si azzarda tale confronto in seguito ad un’accurata analisi stilistica del dipinto, la quale ha evidenziato come le pennellate corpose e materiche, le vaste campiture di colore, nonché alcuni particolari (come la sedia sulla destra) facciano pensare ad una somiglianza con i maestri postimpressionisti. L’ipotesi di una possibile influenza della pittura postimpressionista e fauve sul giovane Dalí è confermata anche dalla Ades: cfr. Dawn Ades, Dalí, cit., p. 13 e Dawn Ades, Ritratti: gli anni giovanili, in Dawn Ades (a cura di), Dalí, cit., p. 26. 14 Eugenio Carmona, Secondo “pensiero”: genius loci – Mirò Dalí, in Eugenio Carmona (a cura di), Picasso Mirò Dalí, cit., p. 82. 15 “Galeries Dalmau-Exposició Dalí”, Gaseta de les Arts, n. 38, dicembre 1925, p. 6. 16 Cfr. Fèlix Fanés, Salvador Dalí. La costrucción de la imagen 1925-1930, Electa, Madrid, 1999, p. 30. 17 Cfr. Ivi, p. 38. 18 Cfr. Dawn Ades, Dalí, cit., p. 25 e Dawn Ades, Ritratti: gli anni giovanili, in Dawn Ades (a cura di), Dalí, cit., p. 70. 19 «La sua tecnica liscia, di una perfezione quasi eccessiva, ricorda la maniera di Caspar David Friedrich». Waldemar George, “Formes”, L’Art à Paris, n. 26-27, giugno-luglio 1932, pp. 18-19. Si veda inoltre, per ciò che riguarda la bibliografia recente: Dawn Ades, Dalí, cit., p. 32 e Fèlix Fanés, Salvador Dalí, cit., p. 39. 20 Cfr. Fèlix Fanés, Salvador Dalí, cit., p. 39. 21 Alcune fonti sostengono che il dipinto sia andato disperso mentre la Fundació Gala-Salvador Dalí dichiara che faccia parte della collezione Cusí. Si fa dunque riferimento all’istituzione di Figueres: cfr. http://www.salvador-dali.org/cataleg_raonat/fitxa_obra.html?obra=181&inici=1926&fi=1930 (ultima consultazione 09/09/11). Un disegno preparatorio dell’opera è stato pubblicato su L’Amic de les Arts, n. 8, novembre 1926, ora nell’edizione fac-simile Edicions i Propostes Culturals Andana, Barcelona, 2008, p. 6. 22 Cfr. Fèlix Fanés, Salvador Dalí, cit., p. 48 e Dawn Ades, Dalí, cit., p. 29. 23 Sebastian Gasch,“Salvador Dalí”, L’Amic de les Arts, n. 11, febbraio 1927, cit., p. 16. 24 Cfr. Fèlix Fanés, Salvador Dalí, cit., p. 48. 25 Per dare una visione più ampia delle presenze “finestrali” nella pittura daliniana della metà degli anni Venti si rimanda a un breve saggio in cui vengono analizzati gli indizi di Barcellona nell’opera del giovane Dalí. Si veda Joan Minguet i Battlori, “Los indicios de Barcelona en la obra de Dalí”, Cuaderno Central, n. 63, inverno-primavera 2004, p. 28. 26 Salvador Dalí, La mia vita segreta (1942), Abscondita, Milano, 2006, p. 101. 27 Cfr. Eugenio Carmona, Secondo “pensiero”: genius loci – Mirò Dalí, in Eugenio Carmona (a cura di), Picasso Mirò Dalí, cit., p. 74. 28 Un’analisi più esaustiva del concetto anti-artistico di Salvador Dalí viene espressa in Joan Minguet i Battlori, El “Manifiesto Amarillo”: Dalí, Gash, Montanyà y el antiarte, Departement de Cultura, Generalitat de Catalunya, Círculo de Lectores y Fundació Joan Miró, Barcelona, 2004. 29 Cfr. Fèlix Fanés, Salvador Dalí, cit., pp. 127-128. IMMAGINI 1. Salvador Dalí, Autoritratto nello studio, 1919 2. Salvador Dalí, Ritratto della nonna Anna che cuce, 1920 3. Salvador Dalí, Ragazza alla finestra, 1925 4. Salvador Dalí, Ragazza che cuce, 1926 5. Salvador Dalí, Ritratto di Mercedes d’Abadal, 1927-1928