dolce come le amarene cronaca di una tempesta

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dolce come le amarene cronaca di una tempesta
: zibaldone
gli ossimori che ondeggiano in versi sciolti: /Saltimbanco
di pensieri chiaroscuri/dove non può il sorriso sovrastare il
pianto/ nel tacerti urla che spezzano catene al vento/ ed
ancora ecco vivere nell’anastrofe:/germogli mai schiusi tra
i rovi/-feriti-dai rigori invernali/fredde coperte scaldano/.
Molta attenzione è riposta dalla poetessa alla scelta dei titoli che precedono le liriche, sono anch’essi quasi versi sospesi, oserei dire, come nuvole d’appoggio ai versi che seguono:
“Seppur mi resti, incessante pensiero”; “Tu mi sai”; “Il silenzio che più non tace”... Poesia che si compone di silenzi e
rumori della natura, fantasie di voli ed attese tinte rubando
il giallo agli aquiloni:/strappando il giallo agli aquiloni per
tingere le attese/senza perderne i sapori/. Liriche ampie,
pagine piene, come allungate carezze, vestono il tomo di
vita e respiro in continuo movimento come moto ondoso con
la forza dell’onda: /hai ascoltato la forza dell’onda/svelarti
la trasparenza d’azzurro mentre d’azzurro/ ti colorava i giorni/... ed ecco ancora, la sensuale carezza del mare, presente
e prorompente:/Sei l’onda che mi infrange/mare che disconosce la stanchezza/misurando il ritmo nell’infinito andare
e tornare/...vellutata marea che m’accarezza/ per vestirmi
eternamente di sé, del suo profumo/. E scorrono pagine di
tempo tra poesie d’amore in orizzonti sospesi, ricami di preghiere, spogli tralci in filigrane di memorie; con un lessico ricco di metafore la Fleri riveste di porporina dorata il
sentimento ricco dell’amore impreziosendolo di tenerezza,
leggerezza ma anche di intensa passione. Il libro, una pubblicazione di Edizioni L’oltre, coadiuvato da belle immagini
a colori ed in bianco e nero trattiene al suo interno tutto il
sole di Sicilia nel bellissimo componimento:”Mentri lu tempu scurri” che la poetessa dedica alla sua amata terra nella
forza calda del dialetto.
Pierangela Fleri
Parole mute
Edizioni L’Oltre, 2015
pp. 80, euro 12,00
Dolce come le amarene
di Irene Aurora Paci
Annie conta gli anni con il
cambiare delle stagioni. Così
come i suoi compleanni, conta ogni giorno i filari di alberi di amarene, di quel frutto
aspro e vigoroso che tiene lei
e la famiglia ancorati al paese
e dipendenti dai capricci del
tempo. Annie segue l’evoluzione della gradazione dal
verde all’arancione delle foglie, e poi le guarda cadere.
Annie ha dodici anni, ma vive
in un mondo di adulti, in cui gli interessi e le attività dei
suoi coetanei non riescono ad entrare; né abbiamo voglia
che questo accada, accorgendoci più o meno violentemente
della povertà nella quale i ragazzi si accomodano.
Quello di cui si parla sono questioni trivialmente pratiche:
soldi, conti, imprese. Dolce come le amarene è una storia
tedesca dove i bambini crescono nella natura e, liberi di
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scorrazzare nei campi e di muoversi da soli, diventano ben
presto autonomi; è tedesca nella concisione dell’espressione dei concetti, nell’adeguamento della lingua al contenuto,
nel pragmatismo dei suoi personaggi.
È un modello educativo che viene portato dall’autrice al
rango di storia, ma la narrazione è pervasa da accademica
dedizione pedagogica, spesso troppo fredda per la piccola
Annie che vorremmo sentire piangere e tremare davvero,
mentre fa i conti con fatti più grandi di lei, con abbandoni,
ritrovamenti, nascite, corse verso la maturità.
Dolce come le amarene è una storia di crescita, è il racconto di una bambina con una madre assente e con un nonno
inconsapevole e platealmente irresponsabile. La storia di un
affetto mancato, la cui assenza tramanda effetti e bisogni.
Lo stile, però, non è greve, bensì scanzonato, fresco, rapido. Nonostante la diligenza di Claudia Schreiber, è capace di
coinvolgere: interseca le vite, con occhi esterni ma fatti di
bambine che cambiano così come si rincorrono le stagioni e,
come fanno il sole e la pioggia, la notte e il giorno, anch’esse semplicemente esistono, con naturalezza.
Claudia Schreiber
Dolce come le amarene
Keller, 2014
pp. 304, euro 16,00
Cronaca di una tempesta
di Loredana Simonetti
Nell’ultimo quarto del secolo XIX l’America diventò la
speranza di vita per migliaia
di famiglie europee. Quando
la terra non produceva frutti
e la fame era la più grande
preoccupazione con cui convivere, circa 16,5 milioni di
persone abbandonarono le
loro terre d’origine e affrontarono viaggi disperati per
raggiungere le grandi praterie
americane, dal Dakota all’Iowa, terre buone da coltivare per iniziare una vita nuova nella
certezza di una speranza per il futuro.
Un ultimo saluto alle montagne innevate norvegesi, alle
foreste sempreverdi irlandesi prima di affondare quei ricordi
nei lontani paesaggi familiari.
Quelle praterie nordamericane accolsero gli immigrati
che, ritrovando serenità, furono in grado di insediare nuove
radici e affrontare una vita migliore. Non potevano, però,
immaginare che quelle terre fossero vulnerabili alle tempeste di neve e impararono presto ad avvistare le nuvole fuligginose che presagivano la tempesta in arrivo.
Una tragica tempesta rimase storica, quella del 12 gennaio 1888.
David Laskin, nel suo libro “La tempesta dei bambini” ricostruisce con precisione certosina la drammatica vicenda
vissuta da quelle popolazioni. La sua cronaca, a tratti romanzata, spiega i fenomeni atmosferici che colpirono quella
fetta di terra, così esposta alle tempeste e ai repentini abbassamenti di temperatura. Anche la stazione di meteoro-
logia, che non diede l’allarme della catastrofe in arrivo, fu
sotto inchiesta.
Nessuno, alla fine, ebbe colpa della mancata previsione e
la perturbazione atmosferica con quell’ondata di freddo inesplorato stese un velo di morte ovunque, e in particolare su
250 bambini che, di ritorno dalle scuole, cercarono di aiutarsi l’un l’altro, morendo assiderati.
Il tempo si ferma quel 12 gennaio, si ferma per sempre di
fronte alla prostrazione di quei piccoli corpi nella neve. “Al
calar della notte, ognuno di loro dovette capire che non vi
fosse alcuna speranza di fuggire e trovare un riparo, nessuna
possibilità di essere trovato. L’inimmaginabile era accaduto.”.
Poche famiglie abbandonarono le praterie dopo quella
catastrofe e con lo sguardo indurito dal lutto tremendo, la
popolazione sopravvisse lo stesso ma il grande boom del Dakota ormai era finito.
“Mille tempeste di polvere e ghiaccio e povertà e disperazione sono andate e venute da allora, ma questa è quella che
hanno sempre ricordato. Da quel giorno, il cielo non è mai
più sembrato lo stesso.”.
David Laskin
La tempesta dei bambini
Gingko, 2014
pp. 335, euro 16,00
Destini incrociati
di Martino Ciano
Un incontro all’ultimo sangue tra poesia e narrativa. È
ciò che più affascina de La
lampada del grilletto di Gervaso Curtis, eteronimo di
Giuseppe Vicinanza, scrittore
salernitano che ci porta in
questo affascinante viaggio
extrasensoriale. Non uno ma
tre protagonisti di epoche
e luoghi diversi legati da un
unico destino, ossia, dare un
senso nuovo alla propria esistenza. Grazie a questo bisogno di evasione comune agli
uomini di ogni tempo, Curtis accosta le sensazioni di un
ragazzo del nostro tempo a quelle di un gladiatore vissuto
nell’antica Roma.
Al centro, la voce di un mentore rinchiuso in una lampada. Anima comune, essenza incorrotta dei due protagonisti,
che ispira il rito di spoliazione di entrambi. Di qui il legame
con la poesia di Rimbaud, usata dall’autore come suggeritrice della rivolta metafisica cui sono chiamati tutti gli esseri
umani quando l’esistenza si fa incomprensibile. È un libro coraggioso quello pubblicato dalla Opposto edizioni di Roma,
in cui la narrativa assume un ruolo di ricerca e di ritorno alla
propria essenza primordiale. È una lotta tra spiriti quella che
ci racconta Curtis. Una guerra tra anime che contestano la
società e la morale. Mai banale, mai scontato, mai ampolloso.
La prosa di Curtis è caratterizzata da un linguaggio fresco,
moderno e universale. La parola è forza, è una dichiarazione
di indipendenza. È uno stile innovativo da assaporare con gli
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