psicoanalisi e professioni pedagogiche
Transcript
psicoanalisi e professioni pedagogiche
PSICOANALISI E PROFESSIONI PEDAGOGICHE Con questo scritto si intende proporre una riflessione sul possibile connubio tra psicoanalisi e pedagogia in riferimento ai loro ambiti clinici, dove per "clinica" ci si riferisce a quell'attività professionale rivolta alle relazioni d'aiuto a diretto contatto con la persona. Lo si farà anche attraverso la rilettura delle pagine lasciateci da C. Rogers, dalle quali emerge con forza quanto le relazioni d'aiuto siano posizionabili lungo un continuum non sezionabile in comparti distinti. Nel contesto professionale entro il quale opera il pedagogista, infatti, soprattutto quando esso prevede relazioni di aiuto con soggetti in stato di sofferenza psichica o fisica o conturbati da gravi problematiche comportamentali, risulta evidente l'inevitabilità di una crasi totale che dovrebbe sussistere fra terapia (psicoterapia, terapia educazionale, fisioterapia ecc.) ed educazione nel senso più lato e antico attribuibile a questo termine, e cioè quella relazione fra due o più persone volta ad accrescere, stimolare e sviluppare le potenzialità del o degli educandi, senza per altro tralasciare l'inevitabile apporto formativo e umanamente accrescitivo che coinvolge, ed è auspicabile che coinvolga, l’operatore stesso. Da queste considerazioni dipartono alcuni nodi concettuali che, allo steso tempo, ne costituiscano le basi teoriche: 1) Il pedagogista-educatore deve necessariamente possedere competenze psicologiche, pedagogiche e socio - antropologiche 2) L'intervento pedagogico, se giunge a buon fine, ha espletato una evidente azione terapeutica 3) Ogni terapia comporta indubitabili componenti educative 4) Le difficoltà e il carico emotivo che il pedagogista-educatore si trova a dover affrontare nella sua azione professionale a favore di soggetti altamente problematici eguaglia quelle incontrate dallo psichiatra e dallo psicoterapeuta, per questa ragione detto professionista deve necessariamente possedere competenze che, seppur differenziabili nelle loro specifiche sfumature debbono altresì presentare un analogo 1 elevato livello. Il pedagogista-educatore in possesso di queste competenze deve pertanto vedersi riconosciuta pari dignità professionale. 5) Seppur i "contratti" fra cliente e pedagogista, educando ed educatore, paziente e psichiatra siano formalmente differenti, il loro obiettivo di base è il medesimo: il benessere della persona. Per altro, educatore, pedagogista e psicoterapeuta devono necessariamente relazionarsi con all'altro da un punto di vista psicologico, pedagogico e socio-antropologico, se vogliono rispettare, riconoscere e preservare la globalità e la complessità della persona in quanto tale. L'approccio rogersiano mette appunto l'accento sul concetto di relazione fra persone e dichiara a più riprese quanto siano terapeutiche le componenti dell'empatia, della congruenza e dell'accettazione incondizionata. E, a questo proposito, nessuno vorrà negare che tali prerogative siano non solo auspicabili, ma costituiscano la base comune di una reale relazione di aiuto. È evidente che, in riferimento alla psicoanalisi classicamente intesa, alcuni enunciati rogersiani parrebbero non poter essere inclusi. Ad esempio, l'asetticità legata a problematiche transferali e controtransferali, auspicata dalla psicoanalisi classica, sembra confliggere con l'autenticità e il rapporto interpersonale dai connotati amicali, non solo prospettati da Rogers, ma tipicamente presenti in una sana relazione pedagogico-educativa. Ebbene, da questo punto di vista, onde evitare equivoci e incompatibilità teoriche, che altro non farebbero se non oscurare una dialettica disciplinare pregna di possibili sviluppi, sembrerebbe opportuno fare riferimento alla pedagogia e alla psicoanalisi quali scienze dell'umano, e dunque “lenti di ingrandimento”, adatte a leggere le piccole scritte presenti a piè di ogni pagina della vita dell’uomo. Allora, come Rogers, si parlerà di "relazioni di aiuto" e si citeranno la psicoanalisi e la pedagogia, o meglio la chiave di lettura psicoanalitica e pedagogica, quali supporti fondamentali di tali relazioni, tanto umane da essere d'aiuto. Dopo questa introduzione, indispensabile affinché potesse essere chiara fin dall'inizio la natura dell’argomento trattato, sembrerebbe opportuno affrontare più 2 approfonditamente le questioni specifiche a cui ci si riferisce quando si sceglie di “legare” in modo stretto due universi epistemologici. Occorre cioè andare ad esplorare anche gli angoli nascosti, o poco conosciuti, delle due discipline, al fine di evidenziarne il loro inevitabile legame nelle radici dell'umano. Se nell'introduzione a questo articolo poc'anzi si citava Rogers quale stimolo intellettuale e fonte di incoraggiamento alla prosecuzione di un discorso unificante e unificato, che accolga al suo interno le scienze pedagogiche e la psicoanalisi, certo sarà opportuno andare a “disturbare” il padre di quest’ultima, dal quale prendere a prestito quelle chiare affermazioni che già all'inizio del secolo scorso, proprio durante il faticoso lavoro di sistematizzazione della disciplina psicoanalitica, furono scritte dallo stesso a favore di un utilizzo educativo del sapere psicoanalitico. In "Prefazione a - Gioventù traviata – " di Aichhorn, Freud afferma: «Di tutte le applicazioni della psicoanalisi nessuna ha destato così grandi interessi e speranze come quella che si riferisce alla pratica dell'educazione infantile. […] Il mio apporto personale a questa applicazione della psicoanalisi è stato assolutamente irrilevante […]. Non per questo tuttavia disconosco ai miei amici pedagogisti il diritto di rivendicare al loro lavoro un alto valore sociale». E più oltre: «Dalle esperienze e dai successi di August Aichorn possiamo trarre, a mio parere, due avvertimenti: […] l'educatore deve acquisire una cultura psicoanalitica, in assenza della quale l'oggetto della sua ricerca, il bambino, rimane un enigma inattingibile»1. Invero, Freud precisa che il lavoro dell'educatore non può essere sostituito dall'influsso psicoanalitico, tuttavia egli avanza la speranza che in futuro il rapporto tra educazione e ricerca psicoanalitica venga sottoposto ad indagine approfondita. L'autore afferma che i presupposti psicoanalitici, e cioè una particolare disposizione verso l'analista e lo sviluppo di determinate strutture psichiche, mancherebbero nel lavoro con i bambini e con i criminali (trattati da Aichhorn). Tuttavia, concludendo la sua prefazione al testo di Aichorn, Freud afferma: «Se l'educatore ha appreso cos'è l'analisi perché l' ha sperimentata sulla propria persona ed è giunto a saperla utilizzare come ausilio al proprio lavoro su casi patologici […] a me sembra 1 Freud S., Prefazione a - Il metodo psicoanalitico di Oskar Pfister – trad. it. in Opere vol. 10, Bollati Boringhieri, Torino, p.181 3 evidente che bisogna consentirgli di esercitala senza porgli dinanzi impedimenti determinati da una mentalità angusta».2 È sempre Freud in “Il problema dell’analisi condotta da non medici” ad affermare “Questo ammalato, che lo psicoanalista sia medico o no gli è indifferente […]. Per lui è molto più importante che l’analista possegga quelle doti personali che possono attrarre la sua confidenza, e che inoltre abbia quelle conoscenze teoriche e quella esperienza che lo rendono idoneo ad assolvere le sue funzioni. […]. I non medici che oggi esercitano l’analisi non sono individui qualsiasi raccattati d’ogni dove, ma persone con formazione accademica, dottori in filosofia, pedagogisti e alcune signore di grande esperienza e dalla personalità eminente”3 Seppur, quindi, sia unanimemente affermata la necessità di distinguere la psicoanalisi dall'educazione, e questo nonostante lo stesso Freud abbia dichiarato che la psicoanalisi può essere considerata una "posteducazione", sembra coglibile un auspicio affinché il sapere psicoanalitico entri a far parte a pieno titolo del patrimonio di conoscenze del pedagogista, e quindi arrivi ad essere vero e proprio strumento educativo. Non è certo semplice delineare il modo in cui ciò può avvenire, tuttavia sembrerebbe auspicabile partire dai contributi che l'analisi personale dell'educatore può apportare alla sua pratica professionale. Sembra infatti risiedere qui il focus di tutta la questione, così come già ebbe chiaramente ad intendere Freud. Ekstein propone una acuta e interessante correlazione tra le fasi dello sviluppo psicosessuale e le problematiche inerenti l'apprendimento e l'educazione latamente intesa: così la fase orale fornirebbe nozioni sul significato dei rapporti oggettuali; la fase anale sotto il profilo educativo avrebbe il compito di strutturare la capacità di regolazione interiore del bambino e la sua disponibilità ad accogliere l'autorità esterna; poi, con l'inizio della scuola sopravviene la fase fallico edipica, il superamento della quale, secondo Erikson, citato da Ekstein, non solo darebbe il via 2 3 Freud S. (1925), op. cit. P. 183 Freud S. (1926) Il problema dell’analisi condotta da non medici, trad. it. in Opere vol. 10, Bollati Boringhieri, Torino, p. 410 4 ai precursori di coscienza, Super Io e ideale dell' Io, ma sarebbe altresì responsabile dell'instaurarsi dell'iniziativa o, di converso in caso di fissazione, dell'apatia. Ecco dunque la curiosità del bambino, che invero troverà i suoi limiti in qualsiasi ordinamento sociale. E a questo proposito Ekstein non perde l'occasione per fare alcune osservazioni di carattere strettamente educativo, che certo torneranno utili alla riflessione su i possibili contributi della psicoanalisi ad una prassi e a una riflessione pedagogica che non si rivolgono solo ad una popolazione di bambini piccoli al fine di stimolarne l'apprendimento, ma si adoprano a favore di soggetti in condizioni di disagio o affetti da franca patologia quali interventi di sostegno, ovvero terapeutici in senso lato. Afferma Ekstein dunque: «Troviamo ordinamenti sociali nei quali non c'è posto per la curiosità […]. Un siffatto ordinamento sociale […] esclude qualunque progresso o adattamento in senso creativo. […] Possiamo immaginare anche ordinamenti sociali […] nei quali non esistono inibizioni […]. In un ordinamento, o meglio disordine sociale del genere […] bambini e adolescenti sarebbero solo impulsivi e distruttori, e non svilupperebbero una vera iniziativa controllata»4. Invero, l’autore, non solo aderisce nettamente all’idea di un connubio tra pedagogia e psicoanalisi, ma fa di più, allarga ulteriormente l’orizzonte intellettuale. Ekstein tratta infatti la questione dal punto di vista della formazione psicoanalitica di insegnanti ed educatori, la quale favorirebbe in essi una adeguata comprensione del bambino e della sua evoluzione nella capacità di apprendimento, senza sottacere l'auspicabilità di un'analisi personale per gli educatori professionali e per gli insegnanti: «[…] onde poter realizzare[…]», afferma appunto, «[…] un più intimo contatto con se stessi, con il bambino, con l'adolescente»5 e, si può aggiungere senza temere di tradire il testo, con qualunque soggetto essi si trovino ad operare all'interno delle loro specifiche competenze. Che cosa offre all’educatore la psicoanalisi? Pfister, dopo una estesa trattazione sulla funzione peculiare della psicoanalisi, e cioè quella di indagare le 4 5 Ekstein R. L’influsso della psicoanalisi sulla educazione e l’insegnamento in Ammon G. Pedagogia e psicoanalisi, trad. it. 1975, Guaraldi editore, Rimini-Firenze (passim) Ivi 5 componenti inconsce della personalità, al fine di controllarne gli effetti sulla vita del soggetto, così risponde alla domanda: «Essa ha una grande importanza per l’educatore, poiché la scoperta di quei fattori inconsci i quali influenzano nel modo più vivace la vita cosciente, costituisce in infiniti casi la premessa condizionale per raggiungerli e dominarli»; e ancora, afferma Pfister molto chiaramente: «La finalità dell’educazione psicoanalitica è quella stessa della pedagogia generale: la prima non è che un buon istrumento nelle mani della seconda»6. E con questa frase Pfister pare voler evidenziare l’azione liberatrice che caratterizza sia la psicoanalisi, sia la pedagogia psicoanalitica. Lo fa peraltro precisando e illuminando tutta la questione: «Si potrebbe tutt’al più soggiungere che la psicoanalisi tende al dominio assoluto di noi stessi, intendendosi con ciò anche il dominio delle forze subliminali: ma in quale direzione debba essere esercitato un tale dominio, rimane sempre e sola competenza della Pedagogia generale»7. In effetti Pfister propone una interessante chiave di lettura sulla questione: la psicoanalisi attuerebbe un’azione liberatrice dai connotati teoricamente “negativi”, nel senso che vi attribuisce Pfister «[…] spezzare le catene con le quali i processi psichici inconsci tengono avvinta la vita della coscienza»8; l’educazione psicoanalitica procederebbe con una azione indicatrice e di incanalazione “costruttiva”, senza peraltro, come si sarà capito, attribuire ai due termini alcuna connotazione positiva o negativa. L’autore, altresì, ci tiene a sottolineare che «[…] le due sorta di lavoro: il negativo, di liberazione ed il positivo, di ricostruzione, non si svolgono separatamente o in contrasto […]»9. Invero, Pfister riprende estesamente ciò che già aveva affermato Freud in merito alle differenti situazioni in cui si trovano ad operare psicoanalisti ed educatori: i secondi trattano spesso con soggetti non patologici e nel pieno delle loro potenzialità; inoltre, l’educatore si trova a doversi necessariamente occupare delle questioni morali ed etiche, con la conseguenza, si 6 Pfister O. (1917), Pedagogia e Psicoanalisi, trad. it. 1927, Biblioteca psicoanalitica italiana, Napoli, p. 12 7 Pfister O. (1917), op. cit. p. 13 Ivi, p. 12 9 Ivi, p. 13 8 6 può affermare, di dover affrontare problematiche transferali e controtransferali di notevole complessità. Pfister pone precisi e circostanziati riferimenti per molte di quelle situazioni in cui gli educatori si trovano ad agire, quali difficoltà di apprendimento, disgrazie, problematiche generali di sviluppo, ma soprattutto gravi disturbi del comportamento, e chiama proprio la psicoanalisi a ricoprire l’indispensabile ruolo di chiave interpretativa per tali fenomeni disintegrativi, i quali troppo spesso vengono attribuiti a scarsa volontà, o peggio a difetto morale. «[…] in tali casi […]», afferma l’autore, «[…] i piccoli pazienti si accorgono di sottostare ad una segreta coazione, quando sono ammoniti di abbandonare una cattiva abitudine e non ci riescono»10. Peraltro Pfister non manca di affermare che maestri ed educatori incompetenti, giudicando certe stranezze o certi comportamenti devianti come segni di pigrizia o malanimo, non fanno che aggravare lo smarrimento e l’angoscia di questi soggetti. Davvero perfettamente trasferibili a numerosissime realtà odierne paiono essere le affermazioni di Pfister rispetto ai problemi di comportamento degli adolescenti, refrattari, oggi più che mai, sia alle esortazioni che alla cosiddetta “linea dura” delle punizioni e, altresì, a parere dell’autore, incomprensibili se non in un’ottica psicanalitica. «Ciò che l’educatore […]», osserva Pfister, «[…] sapeva dire di condanna rispetto all’azione incriminata, lo sapeva dire, meglio di lui, il piccolo colpevole, il quale, dei discorsi sulla bellezza del virtuoso agire, era perfettamente conscio e persuaso». «Ma a che vale dire: -tu devi amare-, quando nessun benché minimo sentimento muove le profondità del tuo cuore […]?».11 Una psicoanalisi, dunque, intesa come metodo educativo di cui, si può convenire con Pfister, l’educatore ha il diritto di servirsi quale metodo di terapia educazionale, laddove si ravvisi nell’anomalia psichica e comportamentale la diretta necessità dell’elemento rieducativo latamente inteso12. Non manca certo Pfister di parlare di transfert, fenomeno che già Freud aveva dichiarato essere presente in ogni relazione umana. E a maggior ragione, pare 10 Pfister O. (1917), op. cit. introduzione Ivi, p. 25 12 Ivi, p. 1-29 (passim) 11 7 evidente, il transfert si presenta nella relazione educativa, e proprio qui, in questa relazione, deve poter essere utilizzato al fine di una feconda rieducazione, supportata da una pedagogia psicoanalitica il cui fondamento epistemologico nasca dall’unione feconda di due discipline che, a loro volta, trattando della complessità umana, debbono necessariamente avvalersi di tutte le scienze umane. Emerge un concetto di relazione d'aiuto, intesa quale relazione globale fra due o più persone, dove le componenti umane e spirituali siano essenziali e poggino sulla tecnica e sulle conoscenze intellettuali allo stesso modo con cui gli occupanti di un'auto utilizzano l'auto stessa: a nessuno, infatti, verrebbe in mente di mettere in dubbio il primato delle persone occupanti sul mezzo di trasporto da loro occupato, pur tenendo certo nel giusto conto il mezzo stesso, senza il quale coprire lunghe distanze risulterebbe tanto problematico quanto improbabile . Andrea Vignolo 8 BIBLIOGRAFIA Ekstein R. L’influsso della psicoanalisi sulla educazione e l’insegnamento in Ammon G. Pedagogia e psicoanalisi, trad. it. 1975, Guaraldi editore, Rimini-Firenze Freud S. (1913) Prefazione a – Il metodo psicoanalitico di Oskar Pfister – trad. it. in Opere vol. 7, Bollati Boringhieri, Torino (1925) Prefazione a – Gioventù traviata – di August Aichhorn, trad. it. in Opere vol. 10, Bollati Boringhieri, Torino (1926) Il problema dell’analisi condotta da non medici, trad. it. in Opere vol. 10, Bollati Boringhieri, Torino Pfister O (1917) Pedagogia e Psicoanalisi, trad. it. 1927, Biblioteca psicoanalitica italiana, Napoli Rogers C. R. La terapia centrata sul cliente, trad. it. 1970, Martinelli & C., Firenze Sassetti P. Il Pedagogo, tra Maestro e Analista, in Notes Magico 2004/4, Cinamen, Firenze 9