Filololò rema nell`aria

Transcript

Filololò rema nell`aria
Paolo Ghezzi e Emanuela Artini
Filololò
rema nell’aria
Storia di Alessia
Erickson
Indice
Prologo
Il raggio verde
7
Introduzione
La prima nota
9
Impatto
11
Interpolazioni (la mamma)
19
Interludi (il papà)
43
Voce di Alessia
113
Voci su Alessia
141
Doppio epilogo
181
Album di Alessia
185
Prologo
Il raggio verde
Il raggio verde si impiglia a sera in scandole, frasche e onde
riflesse.
Affaccendati come siamo spesso, non ci colpisce, sbadati ci
coglie di striscio.
Sciama invece sulle lunghe ciglia di una ragazza in attesa, come
un messaggio impercettibile.
A noialtri lei sembra in deliquio, presa da incantamento.
Ma chi osserva il raggio verde (dice la leggenda) ha il privilegio
di vedere nel suo e nel cuore degli altri. Lo sfarfallio dell’ultimo
raggio radente dondola nel suo nistagmo, nelle sue pupille nere
ballerine e diventa un’onda sonora.
Così se non siamo immersi nel chiasso, frastornati da mille
stimoli, ci arrivano la voce modulata e le sue cantilene. Tiritere che adombrano un mondo liquido arcano iperuranio dove
citroen fa rima con chopin.
La ragazza ride «Sono tornata per cantare insieme questa bella
canzoncina», «dove cammina il mio respiro».
Così, mi sono detta, perché non raccontare la storia di nostra
figlia ventottenne, non esattamente normodotata, extracomunitaria alla quintessenza, cacciatrice di raggi verdi rivelatori e
di parole chimera?
e.a.
7
Introduzione
La prima nota
la prima nota di yesterday dei beatles è il la sotto il pentagramma.
un la da cui possono cominciare mille canzoni. ma per chi ha
l’orecchio assoluto, che tu sappia o no che lo stereo sta suonando
i beatles, quel la non è solo un la, perché trasmette una vibrazione nell’aria che prelude alla parola che arriverà dodici battute
dopo: yesterday, definitiva come un addio, scolpita nel tempo.
alessia è clinicamente una paziente con esiti permanenti da
meningoencefalocele occipitale, tecnicamente una disabile con
handicap gravissimi, sanitariamente una persona non autosufficiente, giuridicamente un soggetto interdetto, assistenzialmente
una invalida al cento per cento.
alessia non sa alzarsi, stare in piedi, camminare da sola. alessia
non sa vestirsi, non sa lavarsi, non sa bere autonomamente.
alessia non dice: ho fame, mi annoio, non ti sopporto, metti
su i beatles. alessia ci vede pochissimo, non sa leggere, non sa
com’è fatto un cd e che cosa c’è scritto sulla copertina.
però alessia, tra le mille informazioni che ha immagazzinato
nel suo cervello irregolare eppure miracolosamente custode di
un archivio sonoro che va da bach a paul simon, alessia che
non ha mai studiato inglese e che non sa interloquire con un
discorso articolato e coerente, alessia riconosce quel la anche
se nessuno le ha detto che in quell’antologia dei beatles dopo
la traccia di hey jude arriva yesterday.
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e un giorno in cui sente quel la, alessia dice, distintamente,
senza enfasi, quasi come una necessaria didascalia, in forma di
cortese domanda: la conosci yesterday?
lo dice pacatamente, a se stessa e agli altri, come prova concreta
di decifrazione di un segnale che le arriva da quel mondo che
l’avvolge in un’aria sonora e che lei non sa raccontare, che vede
confusamente e di cui intuisce solo voci e rumori.
di queste stupefacenti agnizioni, di questi miracoli cognitivi che
nascono dalle cellule scombinate di un cervello statisticamente
rarissimo e morfologicamente unico, alessia ne regala ogni
giorno. geniali, spiazzanti, insospettati dai cosiddetti specialisti
che si sono limitati a certificarne — nell’implacabile asetticità
del cliché clinico — il grave ritardo mentale accompagnato da
tratti autistici.
è per questo che, ventotto anni dopo la sua nascita traumatica,
ventotto anni dopo lo shock che ha provocato il suo venire al
mondo, nonostante tutta la fatica e il disordine con cui la sua
non ordinaria esistenza ha cambiato le nostre vite, noi le siamo
riconoscenti. perché ancora, ogni giorno, con la sua voce e le
sue invenzioni verbali, ci spiazza e ci fa compagnia.
è per questo che ci è venuta voglia di raccontarla, alessia, di
sottrarre la sua piccola vita colorata di musica al grande oblio
grigio che di solito risucchia le vite anormali nell’indifferenza
o nella commiserazione.
così, questa è la storia, e anche un ritratto a più voci, di alessia,
la bambina che canta.
e la cosa bella è che — nonostante il caso sia ingiusto e assurdo
come ogni altro handicap al mondo — non è per niente una
storia triste.
p.gh.
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Impatto
ANGELODIDIO
angelodidiocheseiilsuocustode salvala salvala salvala
angelo… salvala…
cammino furiosamente giaculatoriando sui marciapiedi di una
città che non riconosco più, faccio la spola tra casa dei miei e
la clinica dove alessia è nata, dove sua mamma — coraggiosa
e ignara, riccioli neri sparsi sul cuscino — ha sentito i dettagli
della pancia tagliata nel dormiveglia dell’anestesia, sono i soliti
marciapiedi i semafori gli incroci le scorciatoie per noi del quartiere, ma è come se la città avesse perso l’audio, non sento più
il traffico, e anche il video è velato, un televisore fuori sintonia,
un acquario urbano.
angelodidio angelodidio salvalasalvalasalvala…
alla faccia di tutti. comunque sarà. comunque.
sì, perché quando ti nasce un figlio diverso, un’improbabilità
statistica — una volta si diceva disgraziato, era paternalistico
e colpevolizzante, ma rendeva l’idea — e questo figlio arranca
per sopravvivere, perché devono operarlo alla testa e la sua
vita è appesa a un filo (e quella bava invisibile, partorita dalle
parche, la vedi in mano ai neurochirurghi di verona che adesso
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l’hanno presa in consegna), in quei momenti c’è sempre chi,
per consolarti, ti butta lì scuotendo la testa l’ipotesi estrema,
con compassionevole compunzione: certo, piuttosto che vivere
inchiodati… piuttosto che così…
ma quando ti è nato un figlio, anzi una figlia, anzi lei, alessia,
e l’hai vista misera e arruffata e rossa in viso nell’incubatrice,
e adesso la pensi sotto i ferri dei professori col camice verde, a
cento chilometri da dove la mamma l’ha messa al mondo, con
poche ore di vita extrauterina e una confusa, straordinaria, imbarazzante prima visione del mondo, allora non puoi che fare il tifo
per lei, e consegnarla ai suoi distratti protettori celesti affinché,
dopo aver combinato quel pasticcio, almeno non spezzino il
filo che la lega a noi, anzi prendano corde e moschettoni, ago
e filo, colla e scotch, la imbraghino, la assicurino, e la fermino
sull’orlo dell’abisso, dondolante ma viva. viva viva viva.
da verona mi telefona il nonno medico che devo decidere io, se
autorizzare l’intervento chirurgico — la mamma ancora persa
nel post partum, la testa confusa, i punti in pancia, la nausea
anestetica — perché può avere un esito fatale, e comunque non
sarà risolutivo, perché…
– ma si può non operare?, chiedo inghiottendo l’angoscia.
– morirebbe in qualche ora, rispondono.
– che domande mi fate, allora, cominciate, salvatela, salvatela,
salvatela, salvatela.
uno su centomila: eppure non mi viene in mente di recriminare
per non essere tra gli altri novantanovemilanovecentonovantanove. mi pare piuttosto di essermi presto rassegnato alla legge
della statistica: se c’è una norma, c’è l’eccezione, e se tutti
obiettano all’eccezione, se la rifiutano, se se la svignano, dove
vanno a finire la regola, l’anomalia e tutta quanta la statistica?
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salvalasalvalasalvalasalvalasalvalasalvalasalvalasalvala.
il professor b. e il suo assistente dottor m. la prendono tra i
loro guanti di lattice, addormentata, e affrontano la testolina
con quel buco occipitale dove fuoriesce un pezzo di encefalo:
rimuovono materia cerebrale, fanno una plastica per chiudere
il buco, puliscono, cuciono. la testina è richiusa, interventotecnicamente-riuscito si dice.
sergio, che l’ha accompagnata in ambulanza ed è del mestiere,
dice che sono stati bravi, è durata quattro ore, sono usciti sudati,
severi ma cortesi, realisti, la prognosi è riservata i danni sono
gravi il futuro è imperscrutabile ma certamente compromesso.
peccato…
L’ECCEZIONE DELL’IMPERFEZIONE
ma l’eccezione dell’imperfezione l’ho già accettata e mi sembra
una medaglia al valore, una croce da reduce, un distintivo di
privilegio, e adesso voglio solo vederti con i tuoi occhietti gonfi
e chiusi, la testa fasciata, le cannule che ti fanno mangiare e
respirare.
devifarcela devifarcela devifarcela.
talita kum, disse il rabbi di nazareth, il figlio di david: bambina,
alzati. e l’aramaico — talita kum — che sembra la formula magica di una fiaba, evoca miracoli antichi e favolosi, guarigioni,
tocchi divini perfino.
ce l’hai fatta.
almeno, sei sopravvissuta all’operazione.
bisogna aspettare, ma intanto sei viva.
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Interludi
(il papà)
LE COSE BELLE (LISTA INCOMPLETA)
le cose brutte che ti sei risparmiata le sappiamo a memoria: le
cattive compagnie, i maschi maneschi, lo sballo con le pasticche,
la tristezza di essere mollata da un ragazzo, o di trovarti sperduta
e troppo sola al mondo in una qualche stazione d’autobus in
una terra lontana dove non parlano la tua lingua e ti guardano
storto.
e però, santo cielo, ti sei persa un sacco di cose belle, e la lista
per una volta bisogna stilarla (per poi non pensarci più): le
corse a perdifiato nei prati di montagne, le sciate col vento in
faccia, la faccia piena di neve dopo la caduta, il primo bacio
sulla bocca, leggere dostoevskij e tolstoj e il libro di samuele (e
scoprire perché tuo fratello si chiama così: samuele! samuele!
quattro volte, lo svegliava dio, mica il sacerdote eli), la cappella
sistina, suonare la chitarra, imparare il francese, scrivere cazzate sui diari delle tue amiche, scrivere una poesia, fumare una
sigaretta di nascosto, tornare a casa tardi, mandarci al diavolo
dopo una bella litigata, fare l’università, tradurre shakespeare,
ascoltare benigni che recita l’inferno, un viaggio in autostop
con le tue amiche, arrampicare in montagna, pedalare in bicicletta, imparare a cucinare il pesto buono come quello della
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mamma, andare a trovare la nonna, ballare il tango, andare in
motorino, comprarti l’ultimo libro di isabel allende e l’ultimo
disco dei coldplay e sognare di essere gwyneth paltrow, laccarti
le unghie, truccarti gli occhi, arrivare a scuola in ritardo perché
ti sei fermata troppo a chiacchierare, visitare da sola il louvre e
notre dame, aprire la finestra la mattina e rifarti il letto, cantare
in un coro (saresti brava), chattare su facebook, comprarti un
telefonino rosa, andare al cinema con la tua migliore amica
e ridere con lei mangiando popcorn, contestare gli orari di
rientro, fare scherzi a tuo fratello, portartelo a spasso finché è
piccolo e ti segue, giocare a scacchi con tuo cugino, imparare
ad andare in barca a vela, nuotare a crawl, discutere di politica,
votare contro berlusconi.
troppe cose ti sei persa, ingiustizia senza risarcimento nonostante
i cieli promessi, perché le cose belle della terra puoi assaggiarle
solo qui: portare a spasso il cane, osservare una colonna di formiche sulla radice di un albero, montare sulla cavalla di giorgio
e andarti a respirare l’alba al passo, raccogliere fiori, fotografare
un capriolo, rotolarti in mezzo al fieno, salire su un albero per
guardare più lontano.
innamorarti.
fare l’amore.
fare un bambino.
LUGLIO OTTANTANOVE
un anno fa dicevi solo «vava», il 15 settembre hai detto «gnagna»,
mamma, a natale hai cantato ghiroghirocongo. importante ora,
a due anni e mezzo, è che impari a usare le mani.
alla lezione per genitori di sordociechi — temporanea ammissione onoraria, per te che ci senti benissimo — si prova lo striscio
sul corpo, bendati, trascinati su una coperta leggera. per capire
come si sente e si vede col corpo.
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Voce di Alessia
(grammelot e Weltanschauung)
Britta Müller-Baltschun (la moglie di Franz della Rosa Bianca,
dalla candida barba resistenziale), ha lavorato con i ragazzi
speciali e di Alessia, che a tratti parla come un oracolo, dice:
«Sembra che ogni tanto alzi il sipario».
E quando parla, lo fa prima con gli occhi, che si accendono
nella comunicazione. «Ha gli occhi magnetici», disse una volta
un’operatrice sociale, mentre il fratello da piccolo oscillava nel
decodificarla: da «Sembra un robot» a «Sembra un gattino con
gli occhi lucidi e tremuli».
Un gatto con gli stivali storti che scandisce sentenze, però:
secondo il professor Loris T., Alessia ha dentro la dimensione
narrativo-affabulatoria. La sua mamma aggiunge: è olofrastica.
Va ascoltata, comunque.
E — delle sue frasi preferite, del suo personalissimo grammelot
— il catalogo è questo.
Autoritratti
La signorina Filololò rema nell’aria
Sei una bellissima ragassina
Signorina verderame
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La Sibilla
Se non schiacci ti vendo
Il sorriso che mi manchi
Frasi solenni o poetiche
Ritornerò! (dice ai compagni dopo l’ultima lezione di filosofia)
Tutta la vita, una gioia infinita
Non sai la gioia che mi dai
Il vento vola
Sinestesie
Non farmi il solletico (al sentire il tic tac della freccia dell’automobile)
Lampi di autoironia
Il mio corpo perfetto (attribuendosi «il tuo corpo perfetto» da
Suzanne di Leonard Cohen)
Capisce, per quello
Sono solo cose inutili (quando provano, invano, a farle manipolare qualche oggetto o materiale)
Non ho capito nientina
Mamma e dintorni
Le mamme suonano
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Lei cantava: la mamma non c’è (in assenza di E.)
Madamina, cos’è il catalogo?
Papà e dintorni
Paolo è vivo; mio padre dov’è?
La canzone di mio padre
Samuele e dintorni
Mettiti seduto a contare le tue dita (quando il fratello si imbizzarrisce davanti alla matematica)
Bravo flauto traverso!
Sono un pianista (quando il fratello improvvisa alla tastiera)
Hai fatto i compiti? Matematica, inglese, tedesco, geografia?
Blues?
Merdas (quando il fratello studiava, en passant, latino)
Mio fratello è figlio unico
Qual è la canzone di Samuele? (quando lui toglie dal bagagliaio
la carrozzina e ci mette strumenti e amplificatori per un nuovo
concerto dei Curly Frog)
Soprannomi inventati
Colorada (per Veronica, amica argentina)
Micio (per il papà)
Il figo del mà (per suo fratello)
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Sogno (per l’assistente Sonia)
Anima da pirata (per lo zio Pol)
Nonno che passion (per il nonno Sergio)
Ragno (per Urania)
Manuelita (per Emanuela)
TeNiNa (per la nonna)
Rime e allitterazioni
Katrin ➝ Caprìn
Allegato ➝ annegato
Letto ➝ diavoletto
Totem ➝ Tote ensema ’na putèla (in dialetto, da un canto di
montagna: prendi con te una ragazza)
Abbreviazioni e mutazioni
Rico (da riconoscenza e sottomissione)
Giusta o bagnata (anziché giusto o sbagliato)
Tagliere (per dire Xavier)
Così persa ancor la luna… (invece che la «lena» della filastrocca)
Interrogativi retorici e no
Cosa vuol dire gnam gnam?
Ti piace il buonio?
Hai visto il quonio?
Il quonio mio non basta più
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Voci su Alessia
Filololò e la scoperta della sapienza
(Elisa Fazzi, direttrice della scuola di specializzazione in neuropsichiatria infantile e professoressa ordinaria dell’Università
di Brescia)
Questa storia, che non è una storia triste, come precisano gli
autori, o meglio i testimoni, insegna molte cose.
Insegna che la vita apre scenari sconosciuti e imprevisti, offre
orizzonti inimmaginabili e strade impervie da solcare, insegna
che la realtà supera spesso l’immaginazione e che il lungo cammino della conoscenza va ben oltre il luogo comune, espressione
della saggezza dei più.
Da oltre trent’anni, per scelta convinta della mia giovinezza,
condivido i percorsi, cerco di dare risposte, offro ascolto e
soluzioni, spesso impotentemente parziali, a famiglie segnate
dalla prova esistenziale dolorosissima di un figlio diverso, incompiuto, limitato da molti lacci interiori e da tante barriere
sociali e ambientali. Sono testimone accorata e partecipe, mai
assuefatta, di percorsi di sgomento e di dolore, talvolta di disperazione, che tolgono il fiato, lasciano senza parole e spesso
senza nemmeno più lacrime. Ma sempre più frequentemente,
andando oltre le pieghe di questo dolore, ho incontrato nel
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mio ambulatorio figli speciali, madri e padri coraggiosi capaci
di dare significato all’incomprensibile, in un cammino non
fatto certo di illusioni, ma ricco di scoperte e sorprese che si
manifestano a chi sa guardare e ascoltare quello che si palesa
o non solo quello che razionalmente si conosce o si teme. E
sempre più spesso mi trovo a condividere con i molti tenaci
e coraggiosi genitori, che ho avuto l’onore e il privilegio di
incontrare nel mio cammino professionale e umano, un
pensiero: nessuno può desiderare una prova come quella di
avere un figlio con una disabilità e certo ogni persona può
solo augurarsi di esserne risparmiata ma, una volta di fronte
all’imponderabile e all’inverosimile che mai avremmo neanche lontanamente immaginato divenire lo scenario della
nostra vita, assorbito lo shock, emersi dallo sbigottimento e
dal rifiuto, se ci apriamo all’accettazione e all’accoglienza di
questa nuova prospettiva esistenziale che si apre, non possiamo
che uscirne cambiati, migliori, con una sapienza delle cose e
una conoscenza dell’UOMO, irraggiungibili in altro modo e
cui non possiamo più rinunciare, che diventano un bagaglio
di ricchezza, di profondità, di umanità che ci modifica nel
profondo e, forse, ci rende migliori.
La storia di Filololò e dei suoi genitori insegna che la vita va vista
da tante prospettive, che non ci sono etichette, che la normalità
è un’opinione basata sulle statistiche e sul luogo comune, che
infinite sfumature, scoperte, particolari e frammenti di verità
e bellezza si palesano a chi sa osservare senza pregiudizi, che
spesso i disabili, i ciechi e i sordi siamo noi incapaci di afferrare il pensiero, lo sguardo, i segnali di chi si esprime in modo
non convenzionale, che la diagnosi è spesso una lapide che ci
impedisce di far emergere la vita che si afferma comunque e di
vedere quanto è evidente a chi sa guardare con occhi attenti e
cuore puro.
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Grazie ad Alessia-Filololò, ai suoi genitori e a Samuele per questa
testimonianza e per il dono della condivisione di questa storia
di amore, poesia e speranza.
La chiappa della tappa
(tema del fratello Samuele, a 13 anni)
Si può definire Alessia in tanti modi: un ipod, un jukebox,
una cantante, una critica musicale, una critica cinematografica
(anche se vede poco), un’amica, una comica, una Poetessa, una
dea, una filosofa, una atleta lanciatrice di peso (il suo biberon)
e ce ne sono una caterva di altre definizioni che non scrivo
perché finirei tutto il libro da solo…
Perché un ipod? Sa tutte le canzoni… se provi a iniziare una
canzone, bastan tre note, lei subito riesce a cantarla con un po’
di vergogna ma è davvero p-a-z-z-e-s-c-o.
Altro fatto impressionante: un giorno avevo comprato un cd
degli AC/DC, lo metto su per la prima volta e lei già dopo
una strofa la canta in inglese maccheronico e incasinato ma la
melodia c’è. Quindi invece che comprarsi un ipod piccolino e
stupido è meglio vivere assieme ad una comica cercacanzoni!
Alessia ha una voce soave da soprano quando non la storpia
apposta facendo versi per la vergogna, potrebbe benissimo
cantare in un coro ma non so se il direttore sarebbe d’accordo
con una che parte solo dopo che sente le prime tre note, senza
spartito e senza aver studiato il solfeggio.
Io e Ale ci divertiamo un sacco quando metto su Ray Charles,
facciamo degli urletti, cantiamo e ci scateniamo, e vedo che in
lei nasce un sorriso così felice che, secondo me, la musica per
lei è una risorsa indispensabile come il cibo, il sonno…
Riesce a emettere delle note acutissime: la Maria Callas italiana.
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L’altro giorno in macchina ascoltavo per la prima volta un disco
di rock’n’roll e lei stava zittissima però ogni tanto diceva a me
e al papà: «Canta canta!» e allora cantavamo per farla ridere.
Quattro secondi prima della fine della canzone lei diceva proprio come una critica musicale: «È bella è bella». Le piacciono
proprio tutti i tipi di musica: io sono l’insegnante di blues e
rock, la mamma di classica, il papà di lirica e pop.
Per farle dei regali grandissimi bisogna mettere una canzone che
canta in particolare in quei giorni: lei rimane muta, non respira
neanche, guarda il cielo per dire dentro di sé: «Grazie Dio che
esiste la musica!», gli occhi luccicanti che ballano a ritmo…
Sono contentissimo di avere una sorella così speciale. Mi diverto
con lei proprio tanto, la tratto come un’amica…
È una comica: storpia tutte le canzoni, fa delle strane posizioni
alla Bolt, la paragoniamo a vari attori simpaticamente… Fa
diventare «Adesso che sei dovunque sei» «adisu ghi sii duvinghi
sii» e ci fa tanto ridere. Riesce a dire delle filastrocche prese dalle
canzoni tutte senza respirare velocemente facendole diventare
scioglilingua!
Quando si gratta per esempio la gamba per una puntura di
zanzara tira la mandibola in fuori e allora l’ho paragonata a
Marlon Brando e diventa «Tappa Brando», quando è innervosita fa diventare le labbra dure e le spinge in fuori imitando
secondo me Bruce Willis.
E questo genio è anche una poetessa! Dice delle poesie prese da
canzoni, come in un puzzle lei congiunge due poesie diverse.
Quando la conoscerà tutto il mondo lei diventerà una Dea,
un’altra religione fondata sulla musica e sulla poesia. Verranno
dal Tibet fin in via Cappuccini, dall’Australia, Somalia, Cile…
Se tutti gli uomini di questa terra capissero Alessia come la capisco io, allora riuscirà in quello che ho appena detto. Quindi a
fianco delle statue di Buddha e Gesù ci sarà la statuina di Alessia
sorridente! Fan, religiosi, curiosi e divi verranno a trovarla!
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Pensate che sensitiva Alessia: stavamo preparando i bagagli e io
mi sono ricordato che c’erano i miei occhiali sopra la fontana
a quindici metri da Alessia, li ho presi senza far nessun rumore
e li ho indossati. Lei subito ha detto: «Occhiali!» e io sono
rimasto scioccato per cinque minuti… Allora: lei non ci vede
quasi niente, quindi ha sentito il rumore, non udibile dagli
altri, della stanghettina toccata dal mio dito!
È pure un’atleta: fa karate, spezza i calici a metà con una manata
quando è nervosa!
Quando non vuole bere, fiuuuuu, lancia il biberon in aria e si
sa dove l’ha lanciato perché lascia tutta la scia di tè, beve solo
Estathè e se provi a darle San Benedetto o qualcos’altro lei lo
lancia in aria. Puoi ingannare qualcun altro ma Alessia no.
Sono fiero di avere Alessia come sorella… Se qualcuno la
insultasse io sarei capace di farlo volare fino al Vietnam dal
colonnello Kurtz.
80% di musica
(post scriptum di Samuele, ora studente dell’Accademia jazz)
Si dice che il corpo umano di una persona «normale» sia composto per l’80% di acqua. In Alessia invece l’80% è musica.
Quando è da sola sotto il portico esterno della casa, mentre
suono o leggo qualcosa, a volte la ascolto attentamente e la
sento canticchiare motivetti ripetitivi di musica classica o pop.
Fin qui, nulla di straordinario.
Continuando ad ascoltarla, sento però che gioca con quella
melodia, alzandola di tono, di terze o di quinte. Ha la capacità
da musicista di sviluppare un motivo trasportandolo e variandolo di tono come faceva Mozart nella forma sonata. Che sia
volontario o involontario, nessuno lo può sapere. Ma con tutta
la musica classica che ascolta e che io suonavo, ha appreso questa
capacità non da poco.
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