parla l`amico dell`ultima vittima

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parla l`amico dell`ultima vittima
Altri misteri
Il mostro di Firenze
i sedici delitt del mostro
l’ottavo ed ultimo duplice omicidio
PARLA L’AMICO DELL’ULTIMA VITTIMA
Nel 1985 l’ultimo duplice omicidio del mostro di Firenze.
L’intervista all’amico di infanzia
del giovane francese ucciso
che fu, in ordine di tempo, l’ultima vittima
di una lunga catena di sangue.
di Paolo Cochi
Salvatore Maugeri, nasce il 14 giugno 1958 à
Montbéliard, amico sin dall’infanzia di Jean Michel
Kravechvili. Laureato in sociologia, dal 1995 è
docente a l'università di Orleans. Si occupa di ricerche
nel campo della sociologia della gestione, nel
laboratorio Vallorem, della stessa università. Ha
scritto un ampia ricostruzione della vicenda del
"mostro", non ancora pubblicata, da anni cerca la
verità sulla morte del suo amico Jean Michel.
Maugeri si esprime in maniera molto critica su come
furono condotte le indagini e su come attualmente si
considera la vicenda.
Jean Michel Kravechvili
Sono passati più di 25 anni dall'ultimo terribile duplice delitto del mostro
di Firenze, ma ancora l'eco della vicenda non si è spento, una vicenda
piena di zone d'ombra, che le sentenze della giustizia italiana non hanno
pienamente spiegato. Secondo lei perché?
E' semplice : la giustizia e gli inquirenti hanno completamente sbagliato
strada, particolarmente dopo il 1995 siamo andati completamento fuori
percorso. L’indagine si è come smarrita, ripartendo da presupposti
completamente privi di fondamento. Pare veramente sconcertante constatare
come tante persone considerate ragionevoli, educate, colte e diplomate siano
cadute così pesantemente in queste ridicole questioni occultiste, sataniste e
complottiste! Forse poteva accadere solo in un paese come l’Italia, colma di
fanatici religiosi, che ci fanno tornare indietro al tempo del medioevo.
Da racconti di personaggi mezzi scemi o alcolizzati cronici e da voce
pubbliche (rumeurs) le più caricaturali e assurde si è voluto costruire una
tesi completamente senza costrutto su mandanti e sette sataniche, messe
nere. Ancora più incredibile è constatare il fatto che non solo gli
investigatori, ma anche dei magistrati abbiano prestato credito a queste
dicerie. Dove sono i mandanti? Svaniti e nessuno se ne preoccupa oggi?
Pero, i crimini, a leggere le sentenze non sono stati realizzati per
guadagnare soldi, no? Dove sono i predetti milioni di euro del Pacciani o
del Vanni? Ho fatto i conti, certo il Pacciani era “ricco” per essere un
semplice contadino, ma credo che si sia molto esagerato nel farlo passare per
un nababbo e tutto sommato la giustizia non si è neppure molto preoccupata
di questo fatto. Come mai nessuno ha mai fatto i conti giusti per contestare
certi calcoli sui redditi del Pacciani , esempio fra tanti?
Perfino il Dr Vigna, infatti, ha dovuto ammettere, nel documentario
realizzato due anni fa da una giornalista francese, che la tesi dei mandanti
è da considerare errata, da scartare… Purtroppo, non solo i mandanti sono
da scordare, ma tutte le sciocchezze sulle messe nere e sulle sette sataniste. A
questo proposito ho un’osservazione da fare: come mai si è cominciato a
parlare di satanismo proprio con le vittime francesi? Come mai loro sono
state presentate come adepti di sette sataniste venute proprio in Italia per
celebrare chi sa che rito satanico e da quel momento trasformate, chi sa
perché, da partecipanti a vittime? Come mai non si è fatto questo tipo di
ipotesi per le vittime italiane?
La risposta è semplice: perché lì presenti a Firenze c’erano le famiglie per
dimostrare il contrario e denunciare al primo tentativo di diffamazione di
questo tipo gli autori di questi racconti assurdi! Invece, nel caso dei
francesi, la distanza, la lingua, l’inconsapevolezza dei famigliari dovuta a
questi ostacoli ha fatto sì che qualcuno si permettesse di infangare le vittime,
sicuro di non suscitare controversie con le famiglie, che rimangono
inconsapevoli di queste schifezze. E come se non bastasse ora c’è l’hanno con
me, presentandomi, su certi siti, come adepto al satanismo. Ma questa volta
cadono su di un osso, perché io l’italiano lo parlo e con l’avvocato Adriani
ho legato un rapporto strettissimo: queste stupidità non le lasceremo
diffondere .
Come mai nessuno ha mai pagato per quello che è stato fatto subire alle
signore della villa “Poggio ai Grilli”, sospettate di satanismo e di essere
legate con il “mostro”, salvo poi lanciarle completamente da parte, senza
una scusa? Per non dire niente di tutti questi professionisti, a cominciare
dal farmacista di San Casciano, che sono stati sospettati di essere i
mandanti e adepti all’occultismo... Dove sono arrivate queste indagini ? Nel
nulla! Allora, la polizia, la giustizia si possono permettere tutto con la gente,
piccola o grande che sia?
Per concludere, dirò che le indagine vanno rifate da capo con un occhio
nuovo partendo da ciò che i fatti, solo i fatti, ci permettono di dire e da ciò
che la scienza criminalista ci consente di ipotizzare sul comportamento dei
criminali seriali. Da questo punto mi pare ovvio che:
1) la tesi di crimini collettivi, in questo caso, non colma proprio con i fatti.
2) il Pacciani, pure essendo un essere disgustoso, non corrisponde al profilo
del criminale del mostro.
Su quali punti delle indagini e delle sentenze si trova d’accordo?
Su pochi in verità, perché di fatti sicuri ce ne sono pochissimi in questa
brutta storia… Le indagine sembrano state fatte con cosi poca cautela, pure
nel caso del 1985. Pare che non ci sia quasi niente sul quale poggiarsi.
Perfino l’identità dell’arma, se ho letto bene certi siti, va messa in dubbio.
Facciamo un esempio: come mai certe volte ci sono meno bossoli che
proiettili sui luoghi dei delitti? Non può essere, per esempio, che il criminale
utilizzasse certe volte contemporaneamente due pistole, una in ogni mano,
uno che espelleva i bossoli, l’altro no? E perché no? Tutto è possibile. Si
spiegherebbe così il fatto che le
vittime non avessero neanche il
tempo di muoversi per un tentativo
di fuga…
Invece, si è voluto per forza
pensare a una Beretta, e perché
una Beretta? Qua ancora è una
mere ipotesi: altre armi possono
tirare delle 22 long rifle… Dei
dubbi ce ne sono tanti. Faccio un altro esempio. Se ho letto bene, c’è gente
che si meraviglia del fatto che nel caso del '68 si siano ritrovati i bossoli
negli archivi del palazzo di giustizia, dal momento che la sentenza era stata
pronunciata e i reperti sarebbero dovuti essere distrutti. Invece, c’è chi la
pensa diversamente, ossia che non essendo stata ritrovata l'arma, i reperti
che avrebbero potuto permettere un’identificazione posteriore dovevano
rimanere negli archivi. Come mai questo tipo di esitazione? C’è o no una
dottrina giuridica in questo caso che permetta di rispondere chiaramente?
Inoltre, si legge, che il delitto del '68 è stato messo in relazione agli altri
perché un carabiniere si sarebbe ricordato del caso. Invece c’è chi racconta
che fu una lettera anonima a ricordare all’arma dei CC la similitudine dei
casi… Perché fare luce su quest’aspetto è importante? Per valutare la
pertinenza dell’ipotesi che sia stato il criminale stesso a introdurre i bossoli
negli archivi, per mandare dopo la lettera che avrebbe fatto associare il caso
del '68 agli altri.
Certo, nello stesso tempo bisogna valutare la possibilità per un addetto ai
lavori di “inquinare” la situazione depistando, il che significa che il mostro
potrebbe essere un appartenente all'Arma, come certe persone ipotizzano.
Faccio tutti questi discorsi per dimostrare a che punto le verità sono poche, i
dubbi immensi, e che di fatto seguire un'unica pista, con tanto accanimento,
sembra una metodologia ingenua, scarsa e tutto sommato deludente. Sto
dicendo in un altro modo che certo la faccenda è terribilmente complicata,
ma carabinieri, polizia e i giudici stessi non hanno saputo dare la risposta
giusta al caso. Al limite si potrebbe perdonare l’inefficienza perché, ripeto,
siamo di fronte a un caso terribilmente difficile, ma quello che non si può
perdonare sono le calunnie alle vittime, le falsità che si sono diffuse per
mancanza di riscontri come nel caso del percorso e della durata della gita dei
Francesi, per esempio, che abbiamo chiarito nel nostro piccolo libro e last
but not least la mancanza di generosità nei confronti dei famigliari
stranieri. Non so quanto l’Italia si sia preoccupata dei famigliari delle
vittime tedesche, ma per quanto riguarda le vittime francesi, posso dire che è
stata una vera vergogna. In un caso come questo si aspetta un’assistenza
stretta, un atteggiamento generoso e dimostrazione di compassione. Invece,
niente. Il silenzio, la solitudine, il disprezzo nei confronti dei genitori, delle
sorelle e del fratello. Hanno dovuto affrontare la situazione solo con le loro
forze.
Lei era amico dell'ultima vittima Jean Michel Kravechvili , quali sono gli
ultimi ricordi circa Jean Michel?
Jean-Michel era un ragazzo piena di vita ed entusiasta, nato in una
famiglia che da parte del padre aveva già pagato il suo tributo alle
sofferenze e alle sciagure familiari: d’origine Georgiana, il padre aveva
potuto fuggire dal paese (all’epoca una repubblica sovietica. NdR),
credo approfittando di una partita di pallavolo giocata in Francia,
rinunciando così a tutti i contatti con la sua famiglia e con il passato.
Non una rottura da poco, però era andato avanti. Si era sposato con una
Francese e aveva potuto vivere (lavorava alla Peugeot) e formare una
famiglia in Francia. Jean-Michel era il penultimo di 5 figli, il secondo
maschio. La sorella maggiore è morta di cancro, forse poco tempo dopo
di lui, non ricordo bene. Il padre è morto 3 o 4 anni fa. La madre vive
ancora. E una donna discreta che si porta nel profondo questo dramma,
sapendo e capendo poco di quello che è successo. Forse è meglio così.
Però è tremendo pensare che nessuno sia venuto mai dall’Italia per
spiegare, consolare.
Jean-Michel suonava la batteria. Gli piaceva il rock, il reggae, il jazz.
Aveva molti amici a Besançon, dove stava, e “campava” come poteva
di musica, in ambienti sempre alternativi, comunitari. Lo conoscevo
dall’infanzia. Era più giovane di me ed era in classe con mio fratello
piccolo, nella stessa scuola mia. Ci vedevamo ogni giorno. Dal momento
dell’adolescenza agli inizi degli anni Ottanta eravamo sempre insieme,
con altri due ragazzi, suonavamo insieme. Condividevamo tutte le gioie
e le pene dell’esistenza, scoprendo la vita, i suoi piaceri e le fregature…
Eravamo convinti di potere vivere di musica e giravamo la regione in un
furgone vecchio e stanco, per concerti e manifestazioni varie. Si beveva,
si fumava un po’, sempre cercando un modo di vivere che non sarebbe
stato quello dei nostri genitori, logorati sin da l’infanzia dal lavoro in
fabbrica.
Bisogna conoscere la nostra Franche-Comté, particolarmente il Pays de
Montbéliard, luogo di nascita e crescita della famiglia Peugeot. Un
ambiente luterano, dove ci si sente dire fin da piccoli che il massimo è
lavorare alla Peugeot, consumare nei negozi Peugeot, circolare in una
Peugeot, e passare il mese d’agosto in un centro di vacanze Peugeot…
Naturalmente, noi avevamo un unico sogno: fuggire da li, scappare
dall’influenza Peugeot - cosa che a quei tempi introduceva un scarto
doloroso con i nostri anziani, e anche questo bisogna metterlo nel conto:
tra il padre e il figlio c’era amore, certo, ma anche incomprensione, come
in tante famiglie nostre, che il tempo non ha potuto eliminare, come è
successo invece nelle altre famiglie, dove il passare degli anni ha
permesso spesso di avvicinare le generazioni.
Per tornare ai miei legami con Jean-Michel, bisogna dire che gli ultimi
anni prima della sua scomparsa lo frequentavo poco, vivevo altrove e le
nostre strade si erano un po’ divise a causa delle diverse scelte di vita.
Però avevamo condiviso molto e la nostra amicizia rimaneva,
mancavano solo le occasioni per risvegliarla. Sono rimasto vicino alle
sorelle, specialmente la più piccola e spesso ci chiediamo cosa avrebbe
Michel fatto della sua vita. Nessuno può saperlo e naturalmente è la
stessa cosa per tutte le vittime del “mostro”, tutte giovani come lui e
tutte innocenti… E così, ci torna in mente la violenza di queste
scomparse.
La data dell'omicidio, secondo lei, è davvero
quella dell'8 settembre 1985?
Questo argomento l’abbiamo sviluppato a
lungo nel nostro libretto con l’avvocato
Adriani e Francesco Capelletti, il suo
collaboratore. Io sono certo che la data di
domenica 8 settembre è errata. Tante cose lo
dicono, ma specialmente il fatto che scontrini
di ristoranti, negozi, benzina non ci sono più
tra gli oggetti che abbiamo trovato nella tenda
o nella macchina (cose che gli investigatori
non hanno mai valutato…). Invece, per i tre
giorni prima, dopo il loro passaggio del
Il ulogo del barbaro assassinio di Nadine e Michel
confine, Nadine aveva conservato tutto, perché era lei a tenere la
contabilità, visto che in Italia ci veniva non solo per turismo ma anche,
come si sa, per visitare la fiera della calzatura di Bologna, che chiudeva
molto verosimilmente proprio domenica 8 settembre, anche se nel rapporto
dei Carabinieri si indica come data di chiusura della manifestazione quella
assai meno probabile di lunedì 9 settembre. Senza parlare del fatto che la
macchina è rimasta ferma per due giorni (il sabato e la domenica) e che i
dati dei medici legali non coincidono con lo stato di decomposizione dei
cadaveri e, sempre se si tiene valida la data della domenica, con la questione
del rigor mortis.
Pur non avendo nessuna certezza, la mia convinzione è che loro due abbiano
montato la tenda nel tardo pomeriggio del venerdì, mangiando il loro ultimo
pasto, può darsi, alla festa dell’Unità a Cerbaia dove un testimone ha detto
di averli notati. Sono stati uccisi dopo, o la notte stessa del venerdì, o la
mattina del sabato, alle prime luci dell’alba…
Secondo me, alla fiera di Bologna volevano andarci sulla via del ritorno. Il
loro viaggio era un viaggio di rapida scoperta dell’Italia del centro-nord,
stando non più di una notte nello stesso posto. Sono convinto che sarebbero
dovuti partire il sabato stesso per arrivare a Bologna nel primo pomeriggio,
visitare un po’ la fiera il giorno stesso, trascorrere lì la notte, ritornandoci la
domenica per finire la visita e ordinare le commesse ai fornitori scelti il
giorno prima. Prima di riprendere la strada per la Francia, avrebbero forse
dormito un’ultima notte sui laghi, prima di arrivare in Francia il lunedì.
Ho parlato con la figlia più grande di Nadine e con la signora che gestiva il
negozio durante l’assenza di Nadine. La scuola riapriva il martedì e il
negozio era chiuso il lunedì. Tutto quadrava per un ritorno in Francia al
massimo il lunedì pomeriggio, dopo questa fermata alla fiera di Bologna.
Come si potrebbe spiegare la loro sosta nella zona di Firenze anche la
domenica? Non ha alcun senso…
Pensa che si possa trovare qualche elemento in più, quantomeno per
arrivare ad una verità storica?
A quasi 27 anni dai fatti - sempre se si parla solo del caso del 1985 - appare
improbabile poter scoprire qualcosa di determinante. Ci vorrebbe un
miracolo o qualcuno che sappia qualcosa di preciso e che fosse deciso a
parlare, prima di sparire… Invece, per quanto riguarda l’identificazione
degli errori, le insufficienze e le mancanze investigative, non è la stessa
cosa. Le carte ci sono ancora, i metodi si possono ricostruire e criticare:
allora si può capire quanto è mancato alla polizia e alla giustizia italiana
per avvicinarsi alla verità.
A questo proposito va sottolineato, a mio avviso, il deludente atteggiamento
della procura di Firenze, ma anche del palazzo di giustizia, che si sono
rifiutati di collaborare col nostro avvocato quando ha chiesto il permesso di
esaminare alcuni reperti per chiarire certi punti, o il rilascio di certi
documenti relativi al processo d’Appello ai “compagni di merende”. Vi
rendete conto che a questo processo le famiglie francesi non erano
rappresentate da un legale? Il generoso avvocato Santoni Franchetti era
morto, l’avvocato Adriani non era ancora subentrato nella faccenda e le
famiglie sono rimaste nell’ignoranza di tutto questo! Ma come si può
concepire una cosa simile in un paese moderno, civile e democratico?
Pero, nonostante il mio pessimismo, direi che se le indagini fossero
ricominciate da capo, con un occhio nuovo, senza presupposti assurdi, tipo
il satanismo, ecc., qualcosa di nuovo sarebbe potuto venire alla luce.
Comunque, per il rispetto di tutte le vittime, vale la pena di continuare a
cercare…
Ritiene possibile che questa tipologia di delitti abbia una matrice
"esoterica"?
Ho già risposto.
Si è fatto un'idea sul perché il "mostro"
smette di uccidere dopo il 1985?
Direi che è l’unico fatto, secondo me, che
darebbe del peso - anche se non ci credo per
niente-, alla tesi “Pacciani è il “mostro”.
Pacciani non è il “mostro”
1) perché è entrato nella faccenda, nell'85,
dopo una denuncia che con i crimini del
“mostro” non c'entrava per niente, e che però
ha fatto comodo a quanti erano preoccupati del
caso.
Pietro Pacciani, durante il processo
2) perché col profilo del criminale seriale la figura di Pacciani non ha nulla
in comune.
Ma perché, dopo il 1985, il “mostro” non ha più colpito? Non lo so.
Possiamo fare solo delle ipotesi (è morto, perché era vecchio; è diventato
troppo vecchio per rischiare; è stato ricoverato in un ospedale psichiatrico
perché la sua follia lo ha alienato definitivamente; è in galera per altri
fatti…). Nessuno può rispondere a questa domanda, a meno che non si
consideri Pacciani il “mostro” (o meglio, uno dei “mostri”…). Comunque
è una domanda dalla quale sarebbe interessante ripartire per riaprire le
indagini.
C’è anche Salvatore Vinci ad essere scomparso dopo il 1985, se non sbaglio,
anche lui sospettato di essere il “mostro”. Da questo punto di vista si può
anche scartare l’ipotesi, assai astrusa, degli scrittori Preston e Spezi, che
hanno fatto il nome del figlio di Vinci, senza una singola prova, e non
capisco come mai quest'ultimo non abbia mai chiesto riparazione alla
giustizia… Invece, il libro di Spezi sulla sua incarcerazione (Inviato in
galera) mi è molto piaciuto, dice molto della giustizia in generale e della
giustizia italiana. E' scritto in un modo elegante e permette di capire lo stato
d’animo di chi si trova in prigione, un'esperienza che bisogna vivere per
capirla veramente. Di contro, il suo libro con Preston è molto criticabile,
non solo perché imbocca questa strada diffamatoria, ma anche perché tratta
in maniera troppo leggera una storia troppo dolorosa per essere trattata in
questo modo “giallesco”, se si può dire, a puri fini commerciali.
Tutto questo per dire che ci sono e si potrebbero fare delle ipotesi alternative
a “Pacciani è il mostro” per spiegare perché non ci sono stati più omicidi
dopo il 1985...
A suo giudizio i delitti del mostro erano opera di una persona o di un
gruppo?
Ho gia risposto. Non sono criminologo, solo un sociologo, ma avendo letto
un po’ di criminologia, avendo letto il resoconto dello FBI, conoscendo un
po' la dinamica degli omicidi, capisco che questo tipo di crimini non venga
fatto in gruppo o da gruppi. E' il risultato di una mente unica, di una follia
troppo specifica, troppo particolare… Vanno interrogati i periti ancora una
volta, a livello mondiale, per poter confermare questa tesi. Dei crimini
barbari commessi in gruppo si sono visti, certo, e qualche volta anche con
gran metodo, se si pensa per esempio al genocidio degli ebrei, però un tipo di
crimine a connotazione sessuale come questo, compiuto con tanta ritualità,
precisione, ripetizione, non sembra proprio quello di uno gruppo, nemmeno
di due persone… No, il criminale era unico, agiva da solo, di notte, come
una volpe, con molto cautela e capacità di mimetizzarsi nell'ambiente e poi
svanire nel nulla.
L’immagine che mi è sempre venuta in mente è quella di un vostro
fotoromanzo chiamato “Killing”, pubblicato negli anni '60, tradotto in
Francia in “Satanik” ed erede, se non sbaglio, di un fumetto italiano
chiamato prima Diabolik, dopo Kriminal, tutti quanti figli del nostro
Fantomas francese. Nonostante i nomi, questo criminale non c’entra niente
con le sette, i riti satanisti, ecc., ma uccide per il piacere di farlo e per vedere
soffrire, specialmente le donne, ma non solo, e per arricchirsi.
Più di tutto, mi colpisce la sua capacità di mimetizzarsi col suo ambiente,
di trasformare l’apparenza, di vivere un’esistenza quasi normale, con moglie
e belle macchine, nella vita civile, per poi diventare una bestia senza pietà,
sbucando dal nulla, all’improvviso, per uccidere in modo barbaro, per poi
sparire nella notte come se niente fosse. Per questo personaggio le donne
sono sempre prede: in qualche modo è il nostro immaginario machista,
maschio, dominatore, freddo e strapotente che viene rappresentato e che vedo
alla radice del comportamento del “mostro”… E' solo un impressione,
naturalmente, e può darsi che sbagli. Anzi, sbaglio sicuramente, però mi
permette di dare la mia visione del “mostro”. Lontano, insomma, da ciò che
sappiamo del Pacciani e dei “compagni di merende”… Il “mostro” era (è?)
una persona fredda, calcolatrice, cauta, preparata e in guerra contro il
genere umano. Uccide perché è il suo modo di godere.
E' attualmente possibile, attraverso una ri-analisi dei reperti, con le
moderne tecniche, arrivare ad una verità diversa da quella delle sentenze?
E’ stato riportato da fonti d’informazione italiane che gli inquirenti
avrebbero sottoposto il timbro e le buste mandate a tre magistrati nell’ottobre
1985 alle tecniche del DNA, però solo per confrontarli col Dna del defunto
Narducci. L’esito sarebbe stato negativo.
Per tornare alla domanda, si può sempre ricorrere alle tecniche moderne
però, prima di tutto, bisogna disporre di un indirizzo, di una direttrice, di
un'ipotesi per orientare le indagini. Per questo bisogna smetterla con le piste
privilegiate fino a oggi, ma riaprire le indagini a 360 gradi, ricominciare
cioè da capo, senza preconcetti. Chi lo vuole fare questo sforzo in Italia? Chi
vuole buttarsi di nuovo in questa drammatica e schifosa faccenda? Tranne
l’ammirevole avvocato Adriani, che si preoccupato dei famigliari francesi
per tanti anni, gratuitamente e quasi giornalmente, e le rare persone che lui
stesso riesce a mobilitare per riflettere sul caso, chi ce l’ha ancora questa
forza, questa determinazione, questo coraggio per ricercare la verità? Certo,
ci sono tutti i “ricercatori della domenica”, quelli che sui siti Internet
continuano a pensare a questo mistero, certe volte anche con grande
sincerità, onestà e impegno, più spesso con una leggerezza e un
protagonismo disgustoso, ma ci vuole naturalmente ben di più. Ci vogliono
le forze dello Stato, l’apparato di tutte le forze dell’ordine, magistrati decisi e
giusti, interessati alla verità e non a proteggere a tutti costi le sentenze già
pronunciate, per non trovarsi nella situazione di dovere riconoscere i propri
sbagli e le proprie responsabilità… Di fronte a tutto questo, la questione
delle tecniche moderne mi appare meramente retorica…
Fonte: www.cronaca-nera.it, 22 agosto 2012