La saggezza del digiuno

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La saggezza del digiuno
La saggezza del digiuno
Assisi – Domus Pacis, 24 febbraio 2012
Carissimi,
nei venerdì di Quaresima siamo invitati a praticare il digiuno, che si fa segno
condiviso di partecipazione personale e comunitaria al dinamismo pasquale. Il profeta Isaia
ci svela il senso e il fine di un digiuno che sia non solo cristiano, ma anche cristologico:
«Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto» (Is 58,8).
Il digiuno, al quale la Chiesa ci invita in questo tempo forte, non nasce certo da
motivazioni di ordine fisico o estetico, ma scaturisce dall’esigenza che l’uomo ha di una
purificazione interiore che lo disintossichi dall’inquinamento del peccato e del male; lo
educhi a quelle salutari rinunce che affrancano il credente dalla schiavitù del proprio io; lo
renda più attento e disponibile all’ascolto di Dio e al servizio dei fratelli. Così spiega
Thomas Merton: «Beato l’uomo nel quale la carne non pesa sullo spirito ma riposa leggera
nelle sue braccia come un gentile compagno. Ecco perché c’è saggezza nel digiuno. La
mente lucida e il passo leggero dell’uomo che non ha ecceduto nel mangiare permettono di
vedere chiara la via da percorrere e di compiere il viaggio nella vita fino alla gioia più
sublime».
Il digiuno crea le condizioni per rivelare quali sono le ferite più profonde che hanno
bisogno di essere rimarginate e guarite, ed è a questa cura che fa riferimento il Signore Gesù
quando pone il digiuno in un orizzonte sponsale e non meramente rituale: «Possono forse gli
invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo
sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno» (Mt 915).
Il nostro digiuno ci immerge in Gesù, il più piccolo tra i piccoli che insegna a
«sciogliere le catene (...) togliere i legami (...) dividere il pane (...) vestire uno che vedi
nudo» (Is 59,6-7). Comprendiamo bene come la risposta di Gesù agli scribi e ai discepoli di
Giovanni orienta il nostro digiuno in una dimensione di passione e di compassione.
San Romano il Melode scrive: «Pentiti, anima mia; col pensiero unisciti a Cristo;
grida gemendo: «Concedimi il perdono dei peccati, affinché riceva da te, che solo sei buono
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(Mc 10,18), l’assoluzione e la vita eterna» ...
Mosé ed Elia, torri di fuoco, erano grandi nelle loro opere... Sono i primi fra i profeti,
parlavano liberamente a Dio, gli si potevano avvicinare per pregarlo e stare con lui faccia a
faccia (Es 34,5; 1Re 19,13) - cosa incredibile e impressionante. Eppure, ricorrevano
volentieri al digiuno, che li portava a Dio (Es 34,28; 1Re 19,8). Il digiuno, con le opere,
dona dunque la vita eterna.
E’ col digiuno che i demoni vengono scacciati, come con una spada, poiché essi non
ne sopportano le gioie; amano il gaudente e l'ubriacone. Ma non reggono alla vista del
digiuno; scappano lontano, come insegna il nostro Dio, Cristo, quando dice: «E’ col digiuno
e la preghiera che si scaccia questa specie di demoni» (cfr Mc 9,29). Ecco perché s'insegna
che il digiuno dà agli uomini la vita eterna...
Il digiuno restituisce a chi lo pratica la casa paterna da cui Adamo fu cacciato... E’ Dio
stesso, l’amico degli uomini (Sap 1,6), che all'inizio aveva affidato al digiuno l'uomo che
aveva creato, come ad una madre amorevole, come ad un maestro. Gli aveva proibito di
mangiare a un solo albero (Gen 2,17). E se l’uomo avesse osservato questo digiuno, avrebbe
abitato con gli angeli. Ma egli ha rifiutato ed ha trovato la sofferenza e la morte, l’asprezza
delle spine e dei rovi, e l’angoscia di una vita soggetta al dolore (Gen 3,17s). Ora, se in
Paradiso il digiuno è utile, quanto più lo sarà quaggiù, per procurarci la vita eterna!» (Inno
Adamo ed Eva, 1-5; SC 99).
Di questa consapevolezza è testimone autentico il nostro San Francesco: «Il Signore
concesse a me, frate Francesco, d’incominciare così a fare penitenza, poiché essendo io nei
peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi; e il Signore stesso mi condusse
tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro
mi fu cambiato in dolcezza di animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo»
(2Test 1-3: FF 110).
La penitenza fu per lui un autentico rinnovamento interiore, teso a un’obbedienza
amorosa al Padre, che lo chiamava a vivere secondo la forma del santo Vangelo, dando la
morte a tutto ciò che si oppone al cammino di conversione: «Ognuno, diceva, ha in sua
potestà il nemico, cioè il corpo, per mezzo del quale pecca. Perciò è beato quel servo che
terrà prigioniero il nemico affidato alla sua potestà e sapientemente si custodirà dal
medesimo: poiché, finché farà questo, nessun altro nemico visibile o invisibile gli potrà
nuocere» (Am 10: FF 159).
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Visse, inoltre, la penitenza nella dimensione esteriore. Credo che siano pochi i santi
che, come Francesco, abbiano trattato così duramente il proprio corpo sottoponendolo a
opere di penitenza. Lo faceva per evitare che il corpo gli impedisse il cammino di
rinnovamento interiore (quindi per ragione di mortificazione) e per tenerlo in esercizio nella
disponibilità a un tale cammino; lo faceva, anche e soprattutto, per esigenza di condivisione.
Egli sentiva di dover condividere col Maestro le sofferenze della croce onde espiare con lui
il peccato del mondo e contribuire alla sua salvezza: «O Signore mio Gesù Cristo - così
pregò sulla Verna - due grazie ti prego che tu mi faccia, innanzi che io muoia: la prima che
in vita mia io senta nell’anima e nel corpo mio, quanto è possibile, quel dolore che tu, dolce
Gesù, sentisti nell’ora della tua acerbissima passione, la seconda si è ch’io senta nel cuor
mio, quanto è possibile, quello eccessivo amore del quale tu, Figliolo di Dio, eri acceso a
sostenere volentieri tanta passione per noi peccatori» (Fior Della terza considerazione sulle
stimmate FF 1919).
Il risultato di questo cammino penitenziale, che coinvolse Francesco interiormente ed
esteriormente, fu la conquista di quella libertà e di quella triplice armonia, propria dello
stato originale.
La sua volontà venne a trovarsi in una totale sottomissione a Dio e il suo corpo in una
totale sottomissione all’anima: «L’accordo tra lo spirito e la carne, scrive Tommaso da
Celano, appariva in Francesco così perfetto che quest’ultima, invece di costituire un
ostacolo al primo, lo precedeva nella corsa verso la santità» (1Cel 97: FF489).
Vergine Santa, cammina con noi in questo tempo di grazia. Portaci sulle tue braccia e
presentaci all’altare del tuo Figlio così da essere sicuri del perdono e della misericordia
divina. Amen.
+ Vincenzo Pelvi
Arcivescovo
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