La discordanza e la macchina della schizofrenia

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La discordanza e la macchina della schizofrenia
 Associazione Lacaniana di Napoli membro dellʼALI e dellʼALI-in-Italia
La discordanza e la macchina della schizofrenia
(Martedì 6 dicembre 2016)
Mario Bottone
Questo testo è la lezione integrale che svolgerò il 6 dicembre 2016 sulla schizofrenia in
Lacan dal 1956 al 1959. La sua lettura agevolerà sia lo svolgimento di questa lezione sia la
possibilità di porre delle questioni meditate.
1. Introduzione
Nel corso degli anni ’50, nei suoi lavori sulla psicosi, sia seminariali che scritti, Lacan ha
sempre privilegiato la paranoia rispetto alla schizofrenia. È noto come, all’inizio del Seminario III
dedicato alle psicosi, attribuirà allo stesso Freud il gesto di privilegiare la paranoia nella sua
dottrina.
“In quanto è stato fatto, in quanto si fa, in quanto si è pronti a fare nel trattamento delle
psicosi si affrontano assai più volentieri le schizofrenie che le paranoie. Alle schizofrenie ci si
interessa in modo molto più vivo e da esse ci si attendono molti più risultati. Ma allora, perché è
invece la paranoia a detenere nella dottrina freudiana una situazione in qualche modo di privilegio,
quella di un nodo, ma anche di un nucleo resistente?”1.
In realtà, le cose sono un po’ più complicate, giacché il progetto di Lacan consisteva
nell’individuare un criterio che permettesse la costituzione di un campo unitario delle psicosi, una
sorta di ripresa, in campo analitico, di quella “psicosi unica” che aveva attraversato il dibattito
psichiatrico classico. Ricostruendo ciò che aveva svolto nel corso del Seminario III, Lacan
affermerà la “assoluta necessità di isolare quell’articolazione essenziale del simbolismo che si
chiama il significante, per capire qualsiasi cosa, analiticamente parlando, del campo propriamente
paranoico delle psicosi”2.
1
2
J. Lacan, Il seminario. Libro III. Le psicosi (1955-1956). Einaudi, Torino 20102, p. 5.
J. Lacan, Il seminario. Libro IV. La relazione oggettuale (1956-1957). Einaudi, Torino 20072, p. 5.
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L’articolazione significante veniva così incaricata di circoscrivere il campo delle psicosi (e
occorrerebbe dare alla metafora territoriale tutto il suo peso), se non addirittura di unificarlo, campo
che Lacan qualifica come “propriamente paranoico”. Certo, sarebbe opportuno chiarire se in questo
campo rientra a pieno titolo anche la schizofrenia o se vi hanno diritto di cittadinanza solo le forme
paranoiche della psicosi. D’altra parte quest’ultima ipotesi si troverebbe rafforzata dalla tesi di
dottorato del 1932. In questo testo, infatti, riferendosi a un suo articolo dell’anno precedente (1931),
Lacan dichiarò che in esso si era proposto, in opposizione alla frammentazione nosografica della
paranoia nella psichiatria francese, di integrare in quest’ultima sia la pretesa costituzione paranoica
sia il delirio di interpretazione che i deliri passionali, proponendo così un “raggruppamento unitario
delle psicosi paranoiche”3. La schizofrenia non vi era contenuta, e pertanto resta da stabilire se
l’articolazione significante avanzata a partire dagli anni ‘50 permette di iscriverla nel campo
paranoico o di escluderla da tale campo. Credo di poter avanzare che la risposta di Lacan è
negativa, e a questo punto non resta che chiarire qual è la specificità della schizofrenia rispetto alla
paranoia.
Per affrontare questo problema mi è sembrato opportuno esaminare le riflessioni di Lacan
sulla schizofrenia tra il 1956 e il 1959. L’esame che vi propongo presenta certamente dei limiti e mi
auguro che dalla discussione che ne seguirà possa giungere un contributo all’avanzamento di quello
che considero un lavoro di ricerca. Uno dei contributi potrebbe essere quello di stabilire se la
schizofrenia è ascrivibile al “campo propriamente paranoico delle psicosi”. Dividerò questo
percorso in tre tappe.
La prima tappa è costituita dal testo Risposta al commento di Jean Hyppolite sulla
Verneinung di Freud, pubblicato per la prima volta nel 1956 e ripubblicato nel 1966 negli Scritti4, e
da alcuni spunti che si possono trarre dal Seminario III del 1955-565.
La seconda tappa chiama in causa alcune considerazioni che si possono trarre dal Seminario
V del 1957-586 e da Una questione preliminare ad ogni possibile trattamento della psicosi
pubblicato per la prima volta nel 1958 e ripubblicato anch’esso nel 1966 negli Scritti7.
3
J. Lacan, Della psicosi paranoica nei suoi rapporti con la personalità. Einaudi, Torino 1980, p. 20. L’articolo a cui
Lacan si riferisce è del 1931. J. Lacan, Struttura delle psicosi paranoiche. In La Psicoanalisi, n° 39 2006, Astrolabio
Roma, pp. 10-24.
4
J. Lacan, Réponse au commentaire de Jean Hyppolite sur la «Verneinung» de Freud. In J. Lacan, Écrits. Éditions du
Seuil, Paris 1966, pp. 381-399. (Trad. it. J. Lacan, Risposta al commento di Jean Hyppolite sulla Verneinung di Freud.
In J. Lacan, Scritti. Einaudi, Torino 1974, pp. 373-390).
5
J. Lacan, Il seminario III, cit.
6
J. Lacan, Il seminario. Libro V. Le formazioni dell’inconscio (1957-1958). Einaudi, Torino 2004.
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In queste prime due tappe la clinica differenziale fra schizofrenia e paranoia passa attraverso
una differenza di funzionamento del significante: nel primo caso abbiamo il “significante reale”, nel
secondo il “significante nel reale”8. Tale dimostrazione richiederà un esame dettagliato di ciò che
Lacan chiama simbolizzazione primordiale, e della sua eventuale presenza o assenza nella paranoia
e nella schizofrenia.
La terza tappa, infine, è costituita da ciò che Lacan dice della schizofrenia nella lezione del
24 giugno 1959 del Seminario VI. Il desiderio e la sua interpretazione (1958-1959)9. Qui viene
ripresa la simbolizzazione primordiale ma si trova articolata con la nozione di taglio.
2. La schizofrenia nel 1956
Benché nella Risposta al commento di Jean Hyppolite sulla Verneinung di Freud Lacan non
faccia ancora riferimento né al Nome-del-Padre né al fallo che, com’è noto, faranno il loro ingresso
nella teoria solo alla fine del Seminario III e soprattutto nel Seminario IV10, mi sembra opportuno
prendere in considerazione questo testo per gli sviluppi che apre sulla differenza fra schizofrenia e
paranoia a partire dal funzionamento del simbolico, dell’immaginario e del reale. Limitandoci a ciò
che qui ci interessa, ossia l’esame della schizofrenia, questo ci impone di prendere le mosse dalla
simbolizzazione primordiale nel 1956.
2. 1. La simbolizzazione primordiale nel 1956
Cominciamo con il citare un passo che precede ciò che Lacan dirà immediatamente dopo sia
a proposito della schizofrenia che della paranoia.
7
J. Lacan, D’une question préliminaire à tout traitement possible de la psychose. In J. Lacan, Écrits, cit., pp. 531-583.
(J. Lacan, Una questione preliminare ad ogni trattamento possibile della psicosi. J. Lacan, Scritti, cit., pp. 527-579.
8
Su questa distinzione, rinvio sin da ora a C. Soler, L’inconscio a cielo aperto della psicosi. Franco Angeli, Milano
2014, pp. 103.110.
9
J. Lacan, Il seminario. Libro VI. Il desiderio e la sua interpretazione. Einaudi, Torino 2016.
10
J. Lacan, Il seminario. Libro IV. La relazione oggettuale (1956-1957). Einaudi, Torino 20072. La nozione di grande
Altro, invece, la si trova nel testo che precede quello che stiamo esaminando, Introduzione al commento di Jean
Hyppolite sulla Verneinung di Freud. Qui si legge una formula che diventerà canonica: “l’inconscio è il discorso
dell’Altro” (in J. Lacan, Scritti, cit., p. 371).
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“Nell’ordine simbolico i vuoti sono altrettanto significanti che i pieni; e sembra, se
intendiamo Freud oggi, che sia la beanza di un vuoto (béance d’un vide) a costituire il primo passo
di tutto il suo [ordine simbolico] movimento dialettico”11.
Innanzitutto esaminiamo questo riferimento a Freud. Si tratta di una ripresa da parte di
Lacan di ciò che il padre della psicoanalisi aveva scritto in Al di là del principio di piacere (1920) a
proposito di un gioco che aveva osservato in un suo nipotino di un anno e mezzo. Questo gioco –
che il bambino aveva l’abitudine di ripetere e che “si era inventato da sé” – era esplicitamente
connesso con l’assenza della madre. Ecco la descrizione di questo gioco:
“Il bambino aveva un rocchetto di legno intorno a cui era avvolto del filo. […] tenendo il
filo a cui era attaccato, gettava… con grande abilità il rocchetto oltre la cortina del suo lettino in
modo da farlo sparire, pronunciando al tempo stesso… ‘o-o-o’ [‘fort’ = via]; poi tirava nuovamente
il rocchetto fuori dal letto, e salutava la sua ricomparsa con un allegro ‘da’ [qui]. Questo era dunque
il giuoco completo – sparizione e riapparizione – del quale era dato assistere di norma solo al primo
atto, ripetuto instancabilmente come giuoco a sé stante, anche se il piacere maggiore era legato
indubbiamente al secondo atto.
“L’interpretazione del giuoco divenne dunque ovvia. Era in rapporto con il grande risultato
di civiltà raggiunto dal bambino, e cioè con la rinuncia pulsionale (rinuncia al soddisfacimento
pulsionale) che consisteva nel permettere senza proteste che la madre se ne andasse”12.
Questo gioco, che sorge in connessione con l’assenza della madre, si supporta di un oggetto
reale, il rocchetto di legno, ed è accompagnato da due termini tra loro opposti: Fort (“via”) e Da
(“qui”). Il gioco mostra così un’alternanza fra presenza e assenza o, come scrive Freud, apparizione
e sparizione. Possiamo scrivere con dei segni algebrici la presenza e l’assenza: il segno + per la
presenza e quello - per l’assenza.
Riepiloghiamo sinteticamente gli elementi in gioco.
Primo: abbiamo l’assenza della madre.
Secondo: abbiamo l’invenzione di un gioco che iscrive questa assenza in un’alternanza fra la
presenza (+) e l’assenza (-).
Terzo: il gioco del Fort-Da non è altro che una simbolizzazione, ossia è la trasposizione in
ambito simbolico dell’assenza della madre.
11
12
J. Lacan, Réponse au commentaire de Jean Hyppolite, cit., p. 392. (Trad. it. cit., p. 384).
S. Freud, Al di là del principio di piacere. In OSF, vol. 9, p. 201.
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In questo testo Lacan riprende questo gioco e lo interpreta utilizzando sia ciò che la
linguistica strutturale ha permesso di cogliere del funzionamento della lingua sia alcune riflessioni
filosofiche a lui contemporanee (una certa lettura di Hegel e soprattutto Heidegger), perciò afferma
“se intendiamo Freud oggi”. Che cosa dice di questo gioco?
Innanzitutto, i vuoti significanti, proprio in quanto significanti, sono tali solo nel loro
rapporto oppositivo con i pieni. In altri termini, il Fort, il via (assenza) fa appello al Da, al qui
(presenza), e viceversa. Giacché, come è noto, “la presenza e l’assenza traggono l’una dall’altra il
loro appello”13.
In secondo luogo, la beanza di un vuoto o, potremmo dire, l’apertura di un vuoto (béance è
anche apertura), quella a partire da cui prende avvio il movimento simbolico, è costituita
dall’operazione del simbolico sul reale14.
Inoltre, Lacan qualifica questo “primo passo” come “simbolizzazione primordiale”15, ossia
come quella simbolizzazione a partire da cui l’ordine simbolico si mette in movimento.
Infine, questa simbolizzazione primordiale per Lacan coincide con ciò che Freud chiamava
affermazione (Bejahung), e che per Lacan funge da apripista alle virtualità di questo movimento16.
2. 2. La schizofrenia: tutto il simbolico è reale
A questo punto segue il passo sulla schizofrenia:
“Il che sembra spiegare l’insistenza posta dallo schizofrenico a reiterare (réitérer) questo
passo. Invano, perché per lui tutto il simbolico è reale”17.
13
J. Lacan, Il seminario su «La lettera rubata». In J. Lacan, Scritti, cit., p. 43.
È così che Lacan presenta il rapporto fra la funzione simbolica della parola e il reale: “La parola introduce la cavità
dell’essere nella tessitura del reale, l’uno e l’altra si sostengono e si bilanciano, sono esattamente correlativi” (J. Lacan,
Il seminario. Libro I. Gli scritti tecnici di Freud (1953-1954). Einaudi, Torino 20142, p. 268).
15
J. Lacan, Risposta al commento di Jean Hyppolite, cit., p. 375.
16
Dopo aver distinto le due decisioni che la funzione del giudizio deve prendere, ossia la funzione di attribuzione
(“concedere o rifiutare una qualità a una cosa”), e quella di esistenza (“accordare o contestare l’esistenza nella realtà a
una rappresentazione”), Freud radica l’affermazione nel giudizio di attribuzione. “Lo studio del giudizio ci consente di
penetrare, forse per la prima volta, nella genesi di una funzione intellettuale a partire dal giuoco dei moti pulsionali
primari. Il giudicare rappresenta l’ulteriore e funzionale sviluppo dell’inclusione nell’Io o dell’espulsione dall’Io, che in
origine avvenivano secondo il principio di piacere. La sua polarità sembra corrispondere all’antitesi esistente fra i due
gruppi di pulsioni di cui abbiamo supposto l’esistenza. L’affermazione (Die Bejahung) – come sostituto
dell’unificazione – appartiene all’Eros, e la negazione – che è una conseguenza dell’espulsione (Ausstossung) – alla
pulsione di distruzione” (S. Freud, La negazione. In OSF, vol. 10, p. 198; pp. 200-201). Teniamo fermi questi due
termini: affermazione (Bejahung) che Freud radica nell’Eros, ed espulsione (Ausstossung) che radica nella pulsione di
distruzione, cioè di morte.
17
Ivi, p. 384.
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Immediatamente dopo segue il passo sulla paranoia che citerò più avanti, per il momento
isolo gli elementi chiave di questa tesi.
1) C’è un’insistenza da parte dello schizofrenico a reiterare il primo passo del movimento
dialettico del simbolico. Il verbo “reiterare” non è scelto a caso da Lacan e va distinto dal verbo
“ripetere”. Infatti, come abbiamo già scritto, Lacan considera la simbolizzazione primordiale,
manifestata dal gioco Fort! Da!, come il primo passo di questo movimento dialettico. Ora, “…
l’automatismo di ripetizione (Wiederholungszwang) trae principio da ciò che abbiamo chiamato
insistenza della catena significante”18.
Se lo svolgimento della catena significante presuppone la simbolizzazione primordiale, e se
l’automatismo di ripetizione richiede la catena significante, allora il darsi di questo automatismo
mostra retroattivamente che la simbolizzazione primordiale è già avvenuta. Quando Lacan afferma
che lo schizofrenico reitera il passo della simbolizzazione primordiale, vuole dire che nella
schizofrenia fallisce proprio il darsi di questa simbolizzazione che inaugura l’automatismo di
ripetizione della catena significante. Nell’automatismo di ripetizione, l’accento cade sull’insistenza
della catena significante, il cui funzionamento après-coup mostra che una temporalità è all’opera;
nel caso dello schizofrenico, invece, l’accento cade sull’insistenza a reiterare il primo passo, il che
fa sì che la reiterazione va pensata come un arresto del tempo. E se lo schizofrenico reitera questo
passo è perché tenta di far partire il movimento dialettico del simbolico.
2) Tuttavia questo sforzo risulta inutile poiché, ed ecco il punto decisivo, per lo
schizofrenico “tutto il simbolico è reale”. Che vuol dire? Lacan dice che “tutto il simbolico è reale”,
il che impone una duplice precisazione.
Innanzitutto, nel caso della schizofrenia il simbolico è reale nella sua totalità. In questo caso
non vale la formula secondo cui “ciò che non è nato al simbolico, appare nel reale”19, giacché
questa formula implica che solo una parte del simbolico è stata rigettata e ritorna nel reale, come
appare chiaro, per esempio, nell’allucinazione del dito tagliato nell’uomo dei lupi (rigetto della
castrazione) o nell’allucinazione verbale, fenomeni clinici non escludono, di fatto e di diritto, che
altre parti del simbolico possano essere operative all’interno dello stesso simbolico.
In secondo luogo, Lacan non dice che nella schizofrenia il simbolico appare nel reale ma che
è reale. Per cogliere questa differenza si impone un chiarimento preliminare del termine “reale” in
questo testo del 1956. Per tale chiarimento dobbiamo esaminare alcune cose:
18
19
J. Lacan, Il seminario su «La lettera rubata», cit., p. 7.
J. Lacan, Risposta al commento…, cit., p. 380.
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a) i rapporti fra il simbolico e il reale, distinguendo quest’ultimo dalla realtà;
b) chiarire la funzione che in questo testo di Lacan svolge la nozione freudiana di
Verwerfung – funzione cui lo psicoanalista francese attribuisce varie forme, come vedremo alla fine
di questo mio lavoro, tra cui quella che qualifica il meccanismo specifico della psicosi. In questo
testo del 1956, e in riferimento al meccanismo dell’allucinazione del dito tagliato nell’uomo dei
lupi, Lacan traduce il termine Verwerfung con “retranchement, espunzione”20, prima di proporre il
termine forclusion, forclusione, per indicare il meccanismo proprio della psicosi21. Questo
meccanismo costituisce una forma speciale di negazione, che si oppone in parte o totalmente
all’affermazione (Bejahung), ossia alla simbolizzazione primordiale;
c) dobbiamo tenere in considerazione il trattamento che Lacan riserva a un altro termine
freudiano presente nel testo La negazione, e precisamente Austossung, espulsione, da distinguere
dalla Verwerfung (espunzione). L’espulsione (Austossung) costituisce anch’essa una forma di
negazione benché distinta dall’espunzione (Verwerfung).
Dunque, all’origine abbiamo una sola affermazione, la Bejahung, e due possibili nonché
diverse negazioni: Austossung e Verwerfung. Tutto ciò rende necessario stabilire i rapporti fra i
seguenti termini: simbolico/reale; Bejahung (affermazione)/Austossung (espulsione); reale/realtà;
Bejahung
(affermazione)/Verwerfung
(espunzione);
Verwerfung
(espunzione)/
Austossung
(espulsione).
Mi preme dire che in questo testo del 1956 ci sono molti problemi irrisolti; non entrerò in
questi dettagli e cercherò di sviluppare ciò che ci interessa.
2. 3. Simbolico/reale
Come ho già in parte anticipato, l’operazione di Lacan consiste nel far equivalere “ogni
manifestazione dell’ordine simbolico… con la Bejahung”. Quest’ultima è “posta da Freud come il
processo primario in cui il giudizio attributivo si radica, e che non è altro che la condizione
primordiale perché del reale qualcosa venga ad offrirsi alla rivelazione dell’essere, o… sia lasciato
20
Ivi, p. 378.
È solo nell’ultima lezione del Seminario III, che Lacan propone il termine forclusion (forclusione) per tradurre il
termine tedesco Verwerfung (J. Lacan, Seminario III, cit., p. 363).
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essere. Freud ci porta infatti proprio a questo punto arretrato, perché è soltanto dopo che
qualsivoglia cosa potrà esservi ritrovata come essente”22.
Primo: l’affermazione (Bejahung) costituisce quel punto arretrato a partire da cui prende le
mosse il movimento dell’ordine simbolico, ed è soltanto dopo il darsi di questo punto che sarebbe
possibile ritrovare qualcosa come essente, cioè come esistente (ciò su cui si eserciterà il giudizio di
esistenza secondo Freud).
Secondo: l’affermazione si gioca tra il simbolico e il reale.
“Siamo portati così a una sorta di intersezione del simbolico e del reale che si può dire
immediata, in quanto si opera senza intermediario immaginario…”23.
Dunque, la Bejahung, come simbolizzazione primordiale, designa l’intersezione immediata
del simbolico e del reale, senza che l’immaginario entri minimamente in questo primo tempo. In
effetti, bisogna tenere in considerazione che in questo testo Lacan prende in considerazione
soprattutto i modi di interferenza fra il simbolico e il reale. Questi modi sono diversi fra loro e la
loro diversità dà conto di fenomeni clinici differenti24.
Terzo: l’affermazione (Bejahung) è affermazione di che cosa? Con simbolizzazione
primordiale Lacan intende una sorta di creazione del simbolico oppure questa simbolizzazione è
l’affermazione di un simbolico che è già là? Benché le cose si presentino in questo testo in modo un
po’ ingarbugliato, possiamo dire che la Bejahung come simbolizzazione primordiale non riguarda
l’origine del linguaggio, né del simbolico in generale. Quest’ultimo, al contrario, è ammesso come
là, e là in totalità. Lacan l’aveva già stabilito in una conferenza dell’8 luglio 1953:
“Beninteso, il problema dell’origine del linguaggio è uno degli argomenti che meglio si
prestano a generare deliri organizzati, collettivi o individuali. Non è questo che dobbiamo fare. Il
linguaggio c’è (Le langage est là). Emerge (C’est un émergent). Ora che è emerso non potremo mai
più sapere né quando né in che modo sia cominciato, né come sia stato prima di esistere”25.
Quindi l’essere rivelato dalla simbolizzazione primordiale è proprio il linguaggio, che
originariamente è confuso con il reale. Questo vuol dire che la coppia presenza e assenza, benché
22
J. Lacan, Risposta al commento…, cit., p. 379.
Ivi, p. 375.
24
Ivi, p. 384. Lacan introduce un altro modo di interferenza fra simbolico e reale, in questo caso non subito (come
nell’allucinazione) ma agito (acting-out). Per mostrarlo Lacan prende in considerazione il caso di Kris dell’uomo delle
cervella fresche.
25
J. Lacan, Le symbolique, l’imaginaire et le réel. In J. Lacan, Des Noms-Du-Père. Éditions du Seuil, Paris 2005, p. 27.
(Trad. it. J. Lacan, Il Simbolico, l’immaginario e il reale. In J. Lacan, Dei Nomi-del-Padre. Einaudi, Torino 2006, p.
13).
23
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costituisca un’opposizione significante, è originariamente data nel reale, e questo comporta che è
sottoposta al funzionamento del reale, funzionamento che la rende reale. Chiariamo questo punto.
La presenza e l’assenza funzionano come opposizione differenziale solo nel simbolico. È qui
che possiamo scriverli come una coppia differenziale:
presenza ≠ assenza
Si noti che in questa scrittura abbiamo tre termini: la presenza, l’assenza e la differenza (≠),
il che fa sì che nel simbolico non si tratta proprio di una coppia. Ed è questa differenza che rende
possibile il fatto che ciascun termine fa appello all’altro. Scriviamo la presenza con S1 e l’assenza
con S2:
S1 → S2
Ora, nel reale non è dato nessun funzionamento differenziale. Il reale, e ci ritorneremo più
avanti, è “identico alla sua esistenza”26, “è senza fessure”27. Quando qualcosa si trova nel reale è
sottoposto alla legge del reale, e pertanto è reale in questo senso. In questo caso S1 e S2
costituiscono una serie omogenea e identica che funzionano “come una interpunzione senza testo”28
– e “senza testo” vuol dire senza articolazione differenziale. In altri termini, S1 è identico a se
stesso, così come S2. Affermare che nella schizofrenia “tutto il simbolico è reale” equivale a dire
che il simbolico è interamente sottomesso a questa legge del reale.
Comunque sia, è solo quando il bambino inventa il gioco del rocchetto che la coppia
presenza/assenza si trova staccata dal reale e funziona secondo le leggi differenziali del campo
simbolico. È vero che siamo immersi sin dall’origine in un “bagno di linguaggio”, ma questo
linguaggio deve emergere dal reale con cui inizialmente è confuso. Per quanto definita
simbolizzazione primordiale, la Bejahung non ha niente di una creazione ex nihilo del simbolico.
Possiamo dire che la simbolizzazione primordiale è un’assunzione di quel simbolico che è già là,
26
J. Lacan, Risposta al commento…, cit. p. 380.
J. Lacan, Le séminaire. Livre II. Le moi dans la théorie de Freud et dans la technique de la psychanalyse (19541955). Éditions du Seuil, Paris 1978. Trad. it. J. Lacan, Il seminario. Libro II. L’io nella teoria di Freud e nella tecnica
della psicoanalisi (1954-1955). Einaudi, Torino 20062, p. 114).
28
J. Lacan, Risposta al commento…, cit., p. 380.
27
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nel reale. In altri termini, la Bejahung è l’assunzione di un simbolico che è già supposto interamente
costituito e non la creazione di questo simbolico29.
È questa la lettura che si impone nel Seminario III. Nella lezione del 15 febbraio 1956, in cui
annuncia la pubblicazione del testo che stiamo leggendo, Lacan afferma:
“Di che cosa si tratta quando parlo di Verwerfung? Si tratta del rigetto di un significante
primordiale nelle tenebre esterne, un significante che quindi mancherà a questo livello. Ecco il
meccanismo fondamentale che suppongo alla base della paranoia. Si tratta di un processo
primordiale di esclusione da un interno primitivo, che non è l’interno del corpo, ma quello di un
primo corpo di significante”30.
La presenza di un interno primitivo, “un primo corpo di significante” su cui opera la
Verwerfung, mostra che questo corpo significante è già là, e su cui può esercitarsi la Bejahung.
2. 4. Affermazione (Bejahung)/ espulsione (Austossung)
In cosa consiste l’espulsione (Ausstossung) e qual è il suo rapporto con la l’affermazione
(Bejahung), cioè con la simbolizzazione primordiale? In effetti, la simbolizzazione primordiale,
ossia l’affermazione, è essa stessa espulsione (Ausstossung) nella misura in cui è una negazione del
reale del soggetto. Chiariamo questo punto.
La simbolizzazione primordiale indica l’iscrizione del soggetto nel movimento simbolico.
Tale iscrizione ha una faccia negativa per il soggetto, costituita proprio dall’espulsione. Citando
Freud in tedesco, e facendo equivalere l’Ich (Io) freudiano al soggetto, Lacan scrive:
“… la Ausstossung aus dem Ich, l’espulsione fuori dal soggetto. Il reale è costituita da
quest’ultima, in quanto il reale è l’ambito di ciò che sussiste fuori dalla simbolizzazione”31.
L’espulsione primordiale (Ausstossung) è il momento logico che dà conto della separazione
del reale e del simbolico per un soggetto, giacché è proprio il soggetto in quanto tale che si tratta qui
di pensare. In questo senso l’Ausstossung non è altro che il rovescio negativo di una sola e
29
Su questo passaggio, rinvio all’importante testi di F. Balmès, Ce que Lacan dit de l’être. PUF, Paris 1999, pp. 70-71.
Il tentativo di pensare questa creazione ex nihilo del simbolico, ossia di pensare quello che è un vero e proprio
passaggio al limite, Lacan lo proporrà qualche anno più tardi (cfr. J. Lacan, Il seminario. Libro VII. L’etica della
psicoanalisi (1959-1960). Einaudi, Torino 20082. Per un commento rigoroso di questo seminario rinvio a B. Moroncini
– R. Petrillo, L’etica del desiderio. Un commentario del seminario sull’etica di Jacques Lacan. Cronopio, Napoli 2007.
30
J. Lacan, Il seminario III, cit., p. 173. In questa lezione Lacan utilizza ancora il termine rejet per tradurre la nozione
di Verwerfung, perché, come già scritto, è solo nell’ultima lezione che propone forclusione.
31
J. Lacan, Risposta al commento…, p. 380.
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medesima operazione, il cui lato positivo è la Bejahung. Questo annientamento appartiene
strutturalmente alla funzione simbolica: “il simbolo si manifesta in primo luogo come uccisione
della cosa”32. Ogni simbolizzazione è pensata innanzitutto come “uccisione”, ossia come
negativizzazione. In questo senso la simbolizzazione primordiale sarebbe essa stessa espulsione.
Dunque, quest’ultima è il rovescio negativo della Bejahung, il che vuol dire che esiste un rapporto
dialettico fra queste due operazioni. È in questi termini che Lacan ha pensato inizialmente la barra
che cade sul reale del soggetto preso nella sua stupida e ineffabile esistenza. Come sappiamo, in
seguito sarà il fallo l’operatore sia di questo annientamento che della stessa significantizzazione. Ma
nello stesso tempo, l’affermazione appartiene alla vita. Se, come Freud scrive, l’affermazione
riguarda l’Eros, e se l’espulsione riguarda la pulsione di morte, allora in questa simbolizzazione
primordiale si trovano unificate la pulsione di vita e quella di morte. Naturalmente l’emergenza
della vita deve introdurre necessariamente l’immaginario che chiama in causa la realtà in quanto
distinta dal reale.
2. 5. Reale/Realtà
Con la Bejahung siamo situati nel punto di intersezione fra simbolico e reale, punto in cui si
afferma il movimento simbolico o, come afferma Lacan, “condizione primordiale perché del reale
qualcosa venga ad offrirsi alla rivelazione dell’essere”. Il reale di cui si tratta sembra preesistente
all’ordine simbolico, e d’altra parte Lacan lo lascia intendere quando, nel passo che abbiamo citato
sulla Verwerfung nel Seminario III, dichiara che quest’ultima consiste “nel rigetto di un significante
primordiale nelle tenebre esterne”, da intendere esterne al simbolico, ossia nelle tenebre del reale.
Già il termine “tenebre” fa pensare che si tratta di un luogo oscuro, opposto alla luce del simbolico,
il che ci impone di chiarire in cosa consiste il reale. Cominciamo con lo stabilire che cosa il reale
non è in questo testo.
Il reale non si confonde con l’essere, giacché quest’ultimo, come abbiamo visto, è ciò che
del reale viene alla rivelazione dell’essere grazie alla simbolizzazione primordiale. In questo
momento del percorso di Lacan, l’essere è il simbolico portato alla luce dalla simbolizzazione
primordiale.
32
J. Lacan, Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi. In j. Lacan, Scritti, cit., p. 313.
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Il reale non è nemmeno la realtà, più o meno equivalente a ciò che Lacan chiama essente,
ossia a ciò che può essere ritrovato come esistente o inesistente a partire dall’apertura offerta dalla
primitiva simbolizzazione. E tuttavia, come vedremo fra poco, nella realtà vi è il reale33.
Dunque, il reale si distingue sia dall’essere (simbolico) sia dall’essente, in una doppia rottura
con il simbolico:
- in quanto correlato all’espulsione, rovescio negativo della Bejahung, il reale è ciò che è
espulso, sussiste fuori dalla simbolizzazione e resiste a quest’ultima;
- il reale è anteriore ed esteriore alla parola, e come tale estraneo a quest’ultima.
“Giacché il reale non attende, e non attende il soggetto, perché non attende nulla dalla
parola. Ma è lì, identico alla sua esistenza, rumore in cui si può tutto intendere, e pronto a
sommergere dei suoi bagliori quel che il «principio di realtà» vi costruisce sotto il nome di mondo
esterno”34.
Ciò che chiamiamo il mondo esterno è costruito “nel” reale, sotto il regime del principio di
realtà, ma il reale, situato sotto questo mondo costruito da tale principio, e come tale fittizio, è
sempre pronto a sommergerlo. Il reale come primo fuori non obbedisce al principio di realtà.
Quest’ultimo, almeno in questo momento del percorso di Lacan, fa parte della regolazione
simbolica, o meglio: è ciò che il simbolico istituisce nel reale a partire dalla sua efficacia. Lacan
precisa la differenza tra reale e realtà, e mostra come quest’ultima si costituisce in due tempi.
“Prima c’è stata l’espulsione primaria, cioè il reale come esterno al soggetto. Poi all’interno
della rappresentazione (Vorstellung), costituita dalla riproduzione (immaginaria) della prima
percezione, la discriminazione della realtà in quanto ciò che dell’oggetto di questa prima percezione
non è soltanto posto dal soggetto come esistente, ma può essere ritrovato (wiedergefunden) nel
posto in cui può impossessarsene”35.
Primo tempo: c’è stata l’espulsione primaria, quella che costituisce il reale come esterno
radicale al soggetto. Questa operazione, come abbiamo già scritto, è dialetticamente correlata con la
Bejahung.
33
Su questo problema, riprendo le tesi di F. Balmès, cit.
J. Lacan, Risposta al commento, cit., p. 380. Nel Seminario II si legge: “Tenete presente questo, a proposito di
esteriorità e interiorità – questa distinzione non ha alcun senso a livello del reale. Il reale è senza fessure. Quello che vi
insegno, e per cui Freud converge con ciò che possiamo chiamare filosofia della scienza, è che non abbiamo nessun
altro mezzo per cogliere il reale – su tutti i piani e non solamente quello della conoscenza – se non la mediazione del
simbolico. Il reale è assolutamente senza fessure… E in quello stato ipotetico di auto chiusura che nella teoria freudiana
si suppone essere quello del soggetto all’inizio, che cosa potrebbe voler dire che il soggetto è tutto?” (J. Lacan,
Seminario II, cit., pp. 114-115).
35
J. Lacan, Risposta al commento…, pp. 380-381.
34
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Secondo tempo: giunge “nel soggetto” la riproduzione immaginaria della prima percezione,
riproduzione che costituisce la Vorstellung, la rappresentazione. È all’interno della Vorstellung,
ossia di ciò che del reale è preso “dentro”, che si discrimina la realtà. La realtà, cioè quel che
dell’oggetto di questa prima percezione non è soltanto posto come esistente (cioè di fatto iscritto),
ma “può essere ritrovato nel posto in cui può impossessarsene”.
Come si può vedere, la realtà è una tessitura di simbolico e immaginario, a condizione di
stabilire che la rappresentazione, come riproduzione immaginaria, si istituisce in un tempo secondo
rispetto alla simbolizzazione primordiale che è anche espulsione.
2. 6. Affermazione (Bejahung)/ espunzione (Verwerfung)
“La Verwerfung ha dunque tagliato corto con ogni manifestazione dell’ordine simbolico,
cioè con la Bejahung”36.
Dire che la Verwerfung ha tagliato corto con ogni manifestazione dell’ordine simbolico
equivale a dire che il suo “effetto è un’abolizione simbolica”37. Questo vuol dire che interferisce o
con la simbolizzazione primordiale tout court o che, in questa simbolizzazione, qualcosa dell’ordine
simbolico viene rigettato. Da qui si comprende che la Verwerfung non ha nulla a che vedere con
l’espulsione (Ausstossung), nella misura in cui interferisce più o meno radicalmente con
l’affermazione del simbolico, ossia mantiene nelle tenebre esterne del reale quel simbolico che è già
là, impedendone la separazione. La Verwerfung è una negazione che impedisce al simbolico di
venire alla luce o nella sua totalità (“tutto il simbolico è reale”) o in una sua parte, che, trovandosi
espunta o rigettata, fa ritorno nel reale.
2. 7. Schizofrenia ≠ paranoia
Ritorniamo alla schizofrenia e riprendiamo il passo di Lacan che ho già citato:
“Il che sembra spiegare l’insistenza posta dallo schizofrenico a reiterare (réitérer) questo
passo. Invano, perché per lui tutto il simbolico è reale”.
36
37
Ivi, p. 379.
Ivi, p. 378.
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Citiamo adesso il passo sulla paranoia, anche se sarà oggetto della lezione di martedì 10
gennaio 2017.
“Ben differente in ciò dal paranoico, di cui nella nostra tesi38 abbiamo mostrato le strutture
immaginarie prevalenti, cioè la retroazione, in un tempo ciclico che rende tanto difficile l’anamnesi
delle sue turbe, di fenomeni elementari che sono soltanto pre-significanti e che solo dopo una lunga
e penosa organizzazione discorsiva giungono a stabilire, a costituire quell’universo sempre parziale
che si chiama delirio”39.
Nella paranoia, dunque, c’è una prevalenza delle strutture immaginarie, il che permette la
costituzione del delirio che Lacan qualifica come “universo sempre parziale”, e parziale vuol dire,
come vedremo nella prossima lezione, che nella paranoia c’è anche la realtà, benché ridotta a una
“sorta di ilota”40. L’annodamento fra i tre registri sembra farsi proprio attraverso l’immaginario che
viene a supplire il simbolico. Ma se nella paranoia c’è l’immaginario, allora questo vuol dire che è
avvenuta la simbolizzazione primordiale. Pertanto la presenza o l’assenza di questa simbolizzazione
primordiale è ciò che permette di distinguere la schizofrenia dalla paranoia.
Nel caso della schizofrenia, infatti, dobbiamo registrare un’assenza o quanto meno una
restrizione significativa dell’immaginario, giacché quest’ultimo implica, come ormai sappiamo, la
simbolizzazione primordiale. Una tale restrizione spiegherebbe la ragione per cui nella schizofrenia
si possono trovare deliri frammentari, appena abbozzati ma mancherebbe un delirio organizzato,
tipico della paranoia. Da qui si comprendono due enunciati di Lacan per quanto riguarda la
differenza fra schizofrenia e paranoia:
“La paranoia, a differenza della schizofrenia, è sempre in relazione con l’alienazione
immaginaria dell’io”41.
“… negli schizofrenici, il disordine propriamente psicotico si spinge in linea di principio ben
più in là che nel paranoico”42.
Come si può leggere, Lacan non esclude ciò che gli analisti classici consideravano centrale
nell’etiopatogenesi delle strutture cliniche, ossia che quanto più la patologia è grave tanto più
bisogna collocare indietro il momento dell’arresto dello sviluppo. Tuttavia, pur conservando questa
38
Lacan si riferisce qui alla sua tesi di dottorato in medicina del 1932 (J. Lacan, Della psicosi paranoica nei suoi
rapporti con la personalità. Einaudi, Torino).
39
J. Lacan, Risposta al commento…, cit. p. 384; trad. parzialmente modificata (per il testo francese, pp. 392-393).
40
J. Lacan, Una questione preliminare, cit., p. 569. Il riferimento è all’attracco alle terre di cui parla Schreber (ivi, p.
569, nota 3).
41
J. Lacan, Il seminario II, cit., p. 285.
42
J. Lacan, Il seminario III, cit., p. 168.
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idea, Lacan la reinterpreta a partire dal funzionamento del simbolico: non si tratta di un tempo
evolutivo, quanto piuttosto di un tempo logico nello svolgimento della struttura simbolica.
Dunque, nel caso della schizofrenia abbiamo il simbolico reale e la restrizione
dell’immaginario. Da questa tesi possiamo trarre alcune conseguenze sul piano della clinica. Ne
isolo tre.
Innanzitutto, la reiterazione della simbolizzazione primordiale ha come sua conseguenza che
lo schizofrenico, diversamente dal paranoico, non istituisce l’Altro. Infatti, nel momento in cui
questa simbolizzazione ha la funzione di inaugurare il simbolico, cioè di inaugurare l’Altro come
luogo del simbolico, il suo non compimento determina una non istituzione dell’Altro, e di
conseguenza una non istituzione dell’articolazione significante. Da qui la tesi secondo cui nella
schizofrenia sono fondamentali il disturbo associativo e l’autismo.
Per quel che riguarda il disturbo associativo, quest’ultimo si presenta come l’impossibilità
dell’articolazione significante dato che la catena significante non è stata inaugurata dalla
simbolizzazione primordiale43. Per quanto riguarda l’autismo, mentre per Bleuler coincide con “la
chiusura completa e permanente verso il mondo esterno”, con la conseguenza che gli schizofrenici
“vivono in un mondo a sé; se ne stanno con i loro desideri che ritengono appagati”44, il che vuol
dire in un mondo fantastico, per Lacan il mondo esterno è l’Altro, e l’autismo non è la condizione di
una vita immaginaria e fantastica, data la povertà dell’immaginario nella schizofrenia, e soprattutto
l’assenza del desiderio, su cui ritorneremo.
In secondo luogo, proprio l’assenza del desiderio spiegherebbe l’abulia presente negli
schizofrenici. Questo sintomo negativo sarebbe da ascriversi proprio all’assenza della spinta del
desiderio che possiamo riscontrare in questi pazienti.
Infine, certe forme di automutilazione schizofreniche possono esprimere un tentativo di
espulsione del reale. Spieghiamo questo punto. In effetti, come abbiamo scritto, l’espulsione
(Ausstossung) è la faccia negativa dell’affermazione (Bejahung). Ora, se nella schizofrenia manca
l’affermazione questo vuol dire che manca anche l’espulsione. Quando Lacan afferma che lo
schizofrenico reitera il primo passo del simbolico, ossia l’affermazione, dobbiamo intendere che
reitera anche l’espulsione. Ma in questo caso, dato che il simbolico è reale, la negativizzazione
introdotta dall’espulsione si esprime proprio sul reale del corpo.
43
Per Lacan ciò che l’associazionismo ha isolato come contiguità e similitudini nelle associazioni è da ricondurre alle
leggi della catena significante, ossia metonimia e metafora. Cfr. J. Lacan, SVI, pp. 51-55.
44
E. Bleuler, Dementia praecox o il gruppo delle schizofrenie. La Nuova Italia Scientifica, Roma 1985, p. 78 e p. 75.
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2. 8. Ritorno sull’immaginario nella schizofrenia
La tesi secondo cui l’immaginario nella schizofrenia è ridotto pone due ordini di problemi.
Possiamo formulare il primo problema nei seguenti termini: se la simbolizzazione
primordiale è fallita negli schizofrenici, allora come è possibile che la schizofrenia si manifesta in
un’età avanzata? In altri termini, che cosa ha fatto sì che un soggetto si tenesse malgrado l’assenza
della simbolizzazione primordiale? È in questo contesto che Lacan riprende “… il meccanismo del
come se che Helene Deutsch ha messo in luce come una dimensione significativa della
sintomatologia degli schizofrenici.
“È un meccanismo di compensazione immaginaria – verificate qui l’utilità della distinzione
dei tre registri…”45.
Qui bisogna innanzitutto evitare una confusione. Il come se non è il delirio, il quale
rappresenta il lavoro dell’immaginario per supplire a quella faglia nel simbolico data da ciò che
Lacan chiamerà forclusione del Nome-del-Padre. Il termine come se indica un meccanismo di
compensazione immaginaria che ha permesso a un soggetto di tenersi nell’esistenza fino al
momento dello scatenamento della psicosi. Già, ma da dove viene questa compensazione
immaginaria, dato che nella schizofrenia l’inserzione dell’immaginario è ridotta o addirittura
assente? È qui che si gioca un’altra distinzione fra la schizofrenia e la paranoia, questa volta
riguardante l’immaginario. Indubbiamente questa seconda distinzione dipende dalla prima, ossia
dall’assenza della simbolizzazione primordiale nella schizofrenia e dalla sua presenza nella
paranoia.
Forse non è un caso che prima di chiamare in causa il meccanismo del come se Lacan fa
riferimento ad un caso di schizofrenia giovanile riportato da Katan46. Si tratta di un ragazzo che
Katan aveva visto nel momento in cui stava virando verso la psicosi. In questo soggetto, nell’età
della pubertà, non c’era nulla dell’ordine dell’accesso a qualcosa che potesse indicare una
realizzazione nel tipo virile. Tutto era mancato. Se tentava di conquistare la tipizzazione
dell’atteggiamento virile, ciò avveniva tramite un’imitazione, un agganciarsi al seguito di un
compagno. Come lui e standogli dietro, cominciò a dedicarsi alle prime manovre sessuali della
45
J. Lacan, Il seminario III, p. 221.
L’importanza di questo caso clinico per Lacan è testimoniata dal fatto che l’articolo di Katan fu tradotto in francese e
pubblicato nel numero 4 della rivista fondata da Lacan e il suo gruppo, La Psychanalyse. Cfr. M. Katan, Aspects
structuraux d’un cas de schizophrénie. In La Psychanalyse, n° 4, pp. 178-225. Per il comment di Lacan, Il seminario III,
cit., p. 221.
46
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pubertà, in particolare la masturbazione; vi rinunciò in seguito a un’ingiunzione del compagno, e
cominciò sempre più a identificarsi con lui in tutta una serie di esercizi chiamati di autoconquista.
Si comportava come se fosse in preda a un padre severo, il che era il caso del suo compagno. Come
lui, si interessò a una ragazza, la quale, guarda caso, è la stessa cui si interessava il compagno. E
quando andò abbastanza avanti in questa identificazione col compagno, la ragazza gli cascò tra le
braccia. A quel punto si scatenò la psicosi. Si sarà notato che in prima battuta Lacan ha parlato di
“imitazione”, per poi passare all’identificazione, il che lascia intendere che nella schizofrenia
l’identificazione immaginaria del soggetto è più un’imitazione e se si legge per esteso il caso clinico
di Katan ci si accorge che in questo caso è proprio di imitazione che si tratta.
Il secondo ordine di problema riguarda invece la spiegazione che bisogna dare della
differenza fra ciò che è rigettato (o forcluso) nella schizofrenia e ciò che è rigettato nella paranoia. È
noto che a partire dalla fine del Seminario III, Lacan isolerà la forclusione del Nome-del-Padre
come meccanismo specifico della psicosi, e questa tesi si troverà confermata nel 1958, nel testo
Una questione preliminare. Tuttavia, non si può fare nemmeno come la notte in cui tutte le vacche
sono nere, per citare un’espressione famosa altrove. Infatti, se nella schizofrenia “tutto il simbolico
è reale”, mentre nella paranoia qualcosa del simbolico si è realizzato, allora convocare solo la
forclusione del Nome-del-Padre non è sufficiente per dare conto di questa differenza, giacché ci si
può sempre chiedere perché qualcuno diventa schizofrenico e qualcun altro paranoico.
Con quest’ultimo ordine di problema passiamo all’esame della schizofrenia nel 1958, il che
implica una nuova collocazione della simbolizzazione primordiale nella costituzione del soggetto.
3. La simbolizzazione primordiale nel 1958
Due anni dopo, nel 1958, nel Seminario V (1957-1958) e in Una questione preliminare ad
ogni possibile trattamento della psicosi (1958), Lacan propone varie formulazioni di questo
momento inaugurale del movimento simbolico. Qui “la beanza di un vuoto” è esplicitamente
riportata all’assenza della madre. Fermo restando il riferimento al gioco del Fort-Da, possiamo
esaminare il modo in cui Lacan riprende la simbolizzazione primordiale in rapporto alla metafora
paterna.
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Una prima, e importante, formulazione la si trova in riferimento alla “metafora del Nomedel-Padre, cioè la metafora che sostituisce questo Nome al posto primitivamente (premièrement)
simbolizzato dall’operazione dell’assenza della madre”47.
Questa definizione della metafora paterna mette in gioco due diverse operazioni che si
svolgono in due tempi logici distinti.
La seconda operazione consiste nella sostituzione del Nome-del-Padre al prodotto della
simbolizzazione primordiale. Tale operazione tuttavia ne implica un’altra precedente, e cioè quella
che costituisce il posto primitivamente simbolizzato a partire dall’operazione dell’assenza della
madre. Si tratta di una simbolizzazione primitiva e si articola con quella Bejahung di cui abbiamo
già parlato e che dà avvio alla catena significante.
Lacan insiste su questo punto laddove afferma che “la catena significante… [è] inaugurata
dalla simbolizzazione primordiale (resa manifesta dal gioco: Fort! Da!, messo in luce da Freud
all’origine dell’automatismo di ripetizione)”48. Possiamo isolare tre cose.
Innanzitutto, dire che il Fort! Da! rende manifesta la simbolizzazione primordiale equivale a
dire che questa simbolizzazione è qualcosa che dobbiamo supporre e che non possiamo cogliere
direttamente.
In secondo luogo, all’origine dell’automatismo di ripetizione si situa proprio il Fort-Da, il
quale a sua volta manifesta la simbolizzazione di un’assenza primordiale. Così lungi dal dire che la
ripetizione è ripetizione di qualcosa che c’era e bisogna ritrovare, bisogna dire che “è proprio da ciò
che non era che procede ciò che si ripete”49.
Infine, l’inaugurazione della catena significante coincide con l’istituzione dell’Altro come
luogo del significante. In altri termini, la simbolizzazione primordiale fa sì che l’Altro sia posto
come distinto dal reale.
Vi invito a riflettere su questo termine “operazione” nella misura in cui mostra che l’assenza
della madre è operativa, ossia mostra che questa assenza (o apertura di un vuoto) apre alla
possibilità della simbolizzazione. Il che vuol dire che la simbolizzazione che ne risulta non è
quest’assenza stessa in persona, se così posso dire, giacché quest’ultima si è già sottratta e non è
rappresentabile. Infatti, qual è il prodotto di questa simbolizzazione? Il prodotto di questa
simbolizzazione è ciò che troviamo nei termini della metafora paterna, ossia il “Desiderio della
Madre” che per Lacan non indica la madre reale ma un significante, e precisamente quel
47
J. Lacan, D’une question préliminaire…, cit., p. 557. (J. Lacan, Una questione preliminare…, cit., p. 553).
J. Lacan, D’une question préliminaire, cit. p. 575; trad. it. cit., p. 571.
49
J. Lacan, Il seminario su «La lettera rubata», cit., p. 40.
48
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significante che si è istituito nella simbolizzazione con l’esclusione dell’assenza della madre in
quanto tale assenza è solo una pura operazione. Questo significa che una tale simbolizzazione
consiste nel barrare l’assenza della madre. È solo a partire da qui che possiamo pensare il fatto che
il risultato della simbolizzazione primordiale è la cellula più elementare della metafora paterna, la
cui scrittura è la seguente50:
DM
x
Laddove la x indica il desiderio ignoto, enigmatico della madre e non già il fallo come
significato immaginario. È questo l’enigma che deve essere risolto dai tempi logici della metafora
paterna, cioè dalla sostituzione del Nome-del-Padre al posto del Desiderio della Madre. Comunque
sia, questa scrittura presuppone che si sia realizzata la simbolizzazione primordiale che barra
l’assenza della madre, e si sia costituito il desiderio dell’Altro.
Ora, si pone la seguente domanda: la forclusione del Nome-del-Padre determina la mancata
sostituzione di questo significante al significante Desiderio della Madre o la scomparsa della
simbolizzazione primordiale e, dunque, di DM/x? Questa precisazione è ancora una volta decisiva
per distinguere la schizofrenia dalla paranoia, e richiede un chiarimento su questi due tempi logici
della metafora paterna.
Il secondo tempo è quello in cui il Nome-del-Padre si sostituisce al DM, e lo si ritrova nella
definizione della metafora paterna nel momento in cui, se così posso dire, si realizza pienamente.
Ma questo Nome si sostituisce a una simbolizzazione primordiale che Lacan colloca logicamente
prima di questa sostituzione. Una tale simbolizzazione è possibile solo se l’Altro, incarnato dalla
madre o da chicchessia, ha istituito la funzione paterna nel suo discorso. In altri termini, poiché la
simbolizzazione primordiale apre al Desiderio della Madre, essa implica che una tale funzione sia
operativa dal lato del discorso della madre. E questo primo tempo è logicamente e qualitativamente
differente dal secondo. Infatti, non si spiegherebbe perché, nel caso di Schreber, per esempio (e noi
ci ritorneremo al momento dell’esame della paranoia), è proprio il padre del presidente di Corte
d’Appello a rendere impossibile il compimento della metafora paterna, e non la madre, giacché qui
la simbolizzazione primordiale è comunque avvenuta51.
50
Questa scrittura la si ricava da ciò che J. Lacan afferma in Il seminario V, cit., p. 176.
Ecco il lungo passo in cui Lacan spiega come l’intervento paterno possa determinare la forclusione del Nome-delPadre dal simbolico. “Ancor più a fondo, la relazione del padre con questa legge deve essere considerata in se stessa,
51
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Nel caso della schizofrenia non si è realizzato nemmeno il tempo logico della
simbolizzazione primordiale, o meglio: lo schizofrenico, potremmo dire, reitera questo primo
tempo. Affermare che si tratta di un tempo logico e non evolutivo equivale a dire che si tratta di un
tempo che possiamo dedurre dalla struttura clinica e non qualcosa che si suppone osservabile
all’origine.
Una seconda formulazione di questa simbolizzazione è anch’essa decisiva per la distinzione
fra schizofrenia e paranoia, e la si trova laddove Lacan stabilisce un “legame genetico” fra lo stadio
dello specchio e “la simbolizzazione della Madre in quanto primordiale”52.
Questa formulazione sembra contraddire la precedente giacché in questo caso si ha
l’impressione che a essere simbolizzata sia la Madre e non l’assenza della madre. In effetti, nel caso
esaminato prima veniva presa in considerazione esclusivamente l’assenza della madre, in quanto è
questa stessa assenza a essere operativa della simbolizzazione. In questo secondo caso, invece, si dà
per scontato che questa simbolizzazione primordiale sia avvenuta, ossia che il Desiderio della
Madre si sia istituito, e che a partire da qui è possibile istituire un legame genetico, cioè un legame
di generazione cronologica fra questo Desiderio e la relazione immaginaria dello stadio dello
specchio. In altri termini, lo stadio dello specchio, cioè la relazione del bambino con la propria
immagine speculare, è secondaria alla simbolizzazione primordiale della madre in quanto assente.
Questo vuol dire che per Lacan l’inserzione dell’immaginario ha come sua condizione una
simbolizzazione primordiale.
Appare chiaro che nel 1958 Lacan riprende quanto scritto nel 1956 sulla differenza fra
schizofrenia e paranoia, mostrando come nel primo caso manchi la simbolizzazione primordiale
dell’assenza della madre, con la conseguenza che lo stesso immaginario si trova ridotto.
4. La schizofrenia nel Seminario VI
giacché vi si troverà la ragione del paradosso per cui gli effetti devastanti (ravageants) della figura paterna si osservano
con particolare frequenza nei casi in cui il padre ha realmente la funzione di legislatore o se ne vale, che egli sia di fatto
di quelli che fanno le leggi o che si ponga come pilastro della fede, come prototipo dell’integrità o della devozione,
come uomo di virtù o come virtuoso (en vertueux ou en virtuose), come servitore di un’opera di salvezza, di qualche
oggetto o mancanza d’oggetto le si convenga (en servant d’une œuvre de salut, de quelque objet ou manque d’objet
qu’il aille), (come servitore) di nazione o di natalità (de nation ou de natalité), di salvaguardia o di salubrità (de
sauvegrade ou de salubrité), di legato o di legalità (de legs ou de légalité), del puro, del peggio o dell’impero (du pur,
du pire ou de l’empire). Questi sono tutti ideali che gli offrono fin troppe occasioni per essere in posizione di demerito,
di insufficienza e persino di frode, e, per dirla tutta, da escludere il Nome-del-Padre dalla sua posizione nel significante”
(J. Lacan, D’une question préliminaire, cit. p. 579; trad. it. cit., pp. 575-576).
52
D’une question préliminaire cit., p. 571; trad. it. cit., p. 567.
20
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Il lungo brano che segue è tratto dalla lezione del 24 giugno 1959 del Seminario VI. Il
desiderio e la sua interpretazione (1958-1959). È da un passaggio di questo brano che ho tratto il
titolo della mia lezione: La discordanza e la macchina della schizofrenia. Prima di giungere alla
schizofrenia, Lacan prende le mosse dal masochismo, facendone però un uso atto a dimostrare
qualcosa che va al di là della dimensione perversa, ossia dimostrare il rapporto fra l’istinto di morte
e il taglio – taglio che nel discorso costituisce il supporto dell’istinto di morte. Il modo in cui questo
rapporto si mostra nel godimento e nel fantasma masochista, permette a Lacan di confermare la sua
tesi secondo cui il soggetto si costituisce in un certo rapporto con l’Altro. Dopo questo esame del
fantasma masochista, Lacan passa alla schizofrenia. Il brano si conclude su una considerazione
importante sulla Verwerfung. È il caso allora di citare e commentare questo lungo brano che ci
conduce dall’esame del fantasma masochista alla schizofrenia. Interromperò in alcuni punti questa
lunga citazione per commentare i singoli passaggi.
“Per il nostro approccio alla perversione ci serviremo come polo della più radicale fra le
posizioni perverse del desiderio, quella che la teoria analitica pone alla base dello sviluppo, come il
suo punto più originale, e anche come punto terminale delle regressioni più estreme, ovvero il
masochismo”.
Dunque, Lacan prende le mosse dal masochismo perché mostra il punto più originale dello
sviluppo, e qui il punto originale è quello della costituzione del soggetto nel significante, e nello
stesso tempo evidenzia il punto terminale “delle regressioni più estreme”, tra cui potrebbe rientrare
la regressione nell’esperienza analitica. Già da queste poche battute si può cogliere in quale
direzione Lacan utilizza il masochismo: qualcosa è presente in questa perversione che ci permette di
cogliere il modo in cui il soggetto si costituisce nel significante. Continuiamo la citazione.
“Perché non cominciare sottolineando un’evidenza fornita dal fantasma, così da farvi
toccare con mano fino a che punto i piani vengano trascurati a causa del modo precipitoso con cui
in analisi si propongono formule collassate della natura di ciò che ci si presenta?
“È infatti ben noto che si tende a ridurre il masochismo nelle sue diverse forme al rapporto
radicale del soggetto con la propria vita. Si prendono a pretesto certe indicazioni valide e preziose
di Freud su questo tema per far confluire il masochismo in un istinto di morte, e sostenere che
qualcosa di contrario all’organizzazione degli istinti si fa sentire in modo immediato al livello stesso
della pulsione, considerata come uno slancio organico”.
21
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Lacan fa riferimento qui a ciò che Freud aveva scritto nel suo testo Il problema economico
del masochismo, e al modo in cui era stato letto dai suoi successori. È noto, infatti, che per spiegare
l’origine del masochismo, Freud chiama in causa le due specie di pulsioni, quelle di morte e di vita.
La tesi è la seguente: nell’essere vivente agisce una pulsione di morte o di distruzione che punta a
disintegrarlo e a ricondurlo allo stato della stabilità inorganica (anche se quest’ultima può essere
soltanto relativa). Il compito della libido è di mettere la pulsione di morte in condizioni tali da non
nuocere, e questo compito lo assolve dirottando gran parte della pulsione distruttiva verso l’esterno,
contro gli oggetti del mondo esterno. Parte di questa pulsione di distruzione, ormai estroflessa, è
messa al servizio della funzione sessuale, e ciò dà luogo al vero e proprio sadismo. “Un’altra parte,
invece, non viene estroflessa, permane nell’organismo, e con l’aiuto dell’eccitamento sessuale
concomitante… viene libidicamente legata. In questa parte dobbiamo riconoscere il masochismo
originario, erogeno”53.
Riepiloghiamo.
Primo: nell’organismo agisce originariamente una pulsione di morte che lavora contro la
vita, contro ciò che Lacan chiama “slancio organico”.
Secondo: la libido dirotta questa pulsione verso l’esterno e la combinazione tra eccitazione
sessuale e distruzione dà luogo al sadismo.
Terzo: non tutta la pulsione di morte viene estroflessa, c’è un resto che permane attaccato
all’organismo; in questo resto, combinato con la libido, riconosciamo il masochismo originario,
erogeno.
Ora, per Lacan c’è nel masochismo un obiettivo sul quale non è indifferente fissarsi per
porre certe questioni, e isola il fatto che
“… un tratto singolare, a torto trascurato, ci appare in modo eclatante proprio all’interno
della fantasmatica di quello che chiamiamo masochismo.
“Pur facendo del masochismo l’esito di uno fra gli istinti più radicali, gli analisti sono senza
alcun dubbio d’accordo nell’ammettere che, in buona sostanza, il godimento masochista esige che
nelle sevizie non venga superato un certo limite. Ora, alcuni tratti di questo godimento, se messi in
rilievo, sono, credo, in grado di illuminarci almeno su un medium di questo godimento, dove
possiamo riconoscere il rapporto fra il soggetto e il discorso dell’Altro”.
53
S. Freud, Il problema economico del masochismo. In OSF, vol. X, pp. 9-10. Ricordo che in questo testo Freud
distingue tre forme di masochismo: erogeno, femminile e morale. Il masochismo erogeno, che consiste nel dolore posto
come condizione dell’eccitamento sessuale, è alla base delle altre due forme (p. 7), e pertanto Freud lo chiama
“masochismo primario” (p. 9).
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Sottolineiamo due cose.
Primo: nel masochismo non viene superato un certo limite, il che vuol dire che la pratica
masochista si gioca fondamentalmente nell’ambito della scena, ossia della finzione o, potremmo
dire, resta limitata al fantasma54.
Secondo: la parola “tratto (o tratti)” ha qui la sua importanza. È un termine che per Lacan
indica i tratti strutturali, in questo caso i tratti del godimento masochista, i quali ci illuminano “su
un medium di questo godimento”, ossia sul fatto che questo godimento, lungi dall’essere
immediato, è mediato da un certo tipo di rapporto fra il soggetto e l’Altro. Quali sono questi
rapporti?
“Basta infatti avere ascoltato le confidenze di un masochista – o avere letto anche il minore
dei numerosi scritti dedicati al masochismo, di cui alcuni, più o meno buoni, sono usciti di recente –
per riconoscere una dimensione essenziale del godimento masochista nel particolare tipo di
passività che il soggetto prova quando gode nel rappresentarsi come il suo destino si giochi al di
sopra della sua testa, fra un certo numero di persone che lo attorniano e che, senza tenere
minimamente conto di lui, discutono del destino da riservargli. Non è forse vero che è questa una
delle dimensioni più fortemente salienti e percettibili del godimento masochista? D’altronde il
soggetto stesso vi insiste come su uno dei tratti costitutivi della relazione masochista.
“Insomma, che il soggetto si costituisce in quanto soggetto nel discorso non c’è nulla che ci
permetta di coglierlo meglio di questo fantasma in cui tale discorso è rigoglioso, esplicito, rivelato.
È qui spinta all’estremo la possibilità che il soggetto venga ritenuto un nonnulla (néant) da questo
discorso”.
Il fantasma masochista rivela che il soggetto si costituisce in quel discorso che viene
dall’Altro, e questo discorso rende il soggetto “un nonnulla”, ossia lo barra55. Segnalo altre due
cose. Innanzitutto, che il godimento masochista non è un godimento delocalizzato come in certe
54
Freud stesso ricorda che nel masochismo l’evirazione, o l’accecamento quale suo sostituto, che fanno parte di ciò che
il masochista fantastica, “lascia spesso nelle fantasie la sua traccia negativa nella condizione che proprio ai genitali o
agli occhi non dev’essere assolutamente recato alcun danno” (ivi, p. 8).
55
Richiamando in una lezione precedente i tre tempi del fantasma freudiano “un bambino viene picchiato”, e “la
letteratura masochista”, in particolare “un romanzo recente”, Lacan si era chiesto “qual è alla fin fine l’essenza del
fantasma masochista? È la rappresentazione da parte del soggetto di una serie di esperienze immaginate che seguono
un’inclinazione in cui pendenza, sponda e limite consistono essenzialmente nel fatto che egli viene trattato puramente e
semplicemente come una cosa, come qualcosa che, al limite, si mercanteggia, si vende, si strapazza, viene annullato in
ogni genere di possibilità augurale di cogliersi come autonomo”. E i tempi di questo fantasma, di cui il secondo è
decisivo, conducono a quell’ultimo tempo in cui il soggetto trova “il punto di equilibrio della sua posizione, ossia la .
Perché una volta entrato nella dialettica della parola, se vi entra, egli deve formularsi da qualche parte come soggetto”
(J. Lacan, Il seminario VI, cit., p. 140). Il romanzo recente a cui Lacan si riferisce qui, come anche nel lungo brano che
stiamo commentando è di P. Réage, Histoire d’O. Bompiani, Milano 2013.
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forme di psicosi, giacché, come ho già rilevato, “il rapporto fra il soggetto e il discorso dell’Altro” è
il “medium di questo godimento”. In secondo luogo non bisogna confondere ciò che avviene nel
fantasma masochista con ciò che si manifesta in un fenomeno della psicosi, ossia la significazione
personale. In questo caso il soggetto psicotico è certo che ciò che lo circonda nel reale si riferisca a
lui, ma appunto nel reale, non nel fantasma come nel caso del fantasma masochista.
“Troviamo qui uno dei primi gradini – un gradino, per Dio, molto importante, perché
proprio a partire da lì si svilupperà un certo numero di manifestazioni sintomatiche –, il gradino da
dove possiamo vedere delinearsi all’orizzonte il rapporto che può esservi fra l’istinto di morte,
considerato come una delle istanze più radicali, e d’altra parte ciò che, nel discorso, ci offre il
supporto senza il quale non potremmo accedere a esso, ovvero il taglio – supporto di quel nonessere in cui consiste una delle dimensioni originali, costitutive, implicite, alle radici stesse di ogni
simbolizzazione”.
Giungiamo così all’uso che Lacan fa del fantasma masochista: il rapporto che questo
fantasma rivela fra quella istanza radicale che è l’istinto di morte e il taglio, che nel discorso è il
supporto del non-essere, e che viene situato alle radici “di ogni simbolizzazione” e, dunque, della
stessa simbolizzazione primordiale. E il taglio di cui parla qui è in un rapporto strutturale con la
barra56. Ora, sulla base del seminario che ho svolto l’anno scorso, noi sappiamo che il fallo diventa
la barra, quella barra che porta la morte57. Dunque, nel discorso il taglio funge da supporto della
pulsione di morte, e nello stesso tempo è anche ciò che ci permette di accedere a quest’ultima.
Continuiamo la citazione.
“Abbiamo già articolato, e per un intero anno, l’anno che abbiamo dedicato ad Al di là del
principio di piacere, come la funzione propria della simbolizzazione sia essenzialmente da
rintracciare nel fondamento del taglio. Il taglio è ciò per cui la corrente di una tensione originale,
qualunque essa sia, viene presa in una serie di alternative che introducono quella che possiamo
chiamare la macchina fondamentale. Questa macchina è precisamente ciò che ritroviamo come
distaccato, svincolato, alla base della schizofrenia. Lì il soggetto si identifica con la discordanza
come tale di questa macchina rispetto alla corrente vitale”.
56
Poco prima, in questa stessa lezione, parlando della presenza del soggetto nel fantasma, la cui scrittura è (
a),
Lacan afferma: “È presente nel fantasma in quanto vi è rappresentato dalla funzione del taglio, vale a dire dalla
funzione essenziale che gli pertiene in un discorso – che non è uno qualsiasi, un discorso che gli sfugge, il discorso
dell’inconscio” (J. Lacan, Il seminario VI, cit., p. 502).
57
Parlando del fallo, Lacan scrive che esso “diviene la sbarra”, e introduce qui quella condizione di complementarietà
di cui ho parlato nell’ultima lezione dell’anno scorso (J. Lacan, La significazione del fallo. In: J. Lacan, Scritti, cit., p.
690). L’introduzione del taglio in questo seminario è ciò che permetterà a Lacan di pensare il fatto che con il taglio cade
qualcosa.
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Scomponiamo i passaggi.
Primo: Lacan fa del taglio il fondamento stesso della simbolizzazione, e dichiara di aver
introdotto il taglio già nel Seminario II, laddove aveva proposto la macchina come costituita da una
serie di alternative, la cui cellula elementare, se così posso dire, è la presenza e l’assenza, ossia + e , o 0 e I58.
Secondo: il taglio fa sì che la “corrente di una tensione originale”, corrente che ha la
caratteristica di essere continua e che può essere reale o immaginaria (“qualunque essa sia”), si
trova presa nelle alternanze discontinue introdotte dal taglio della macchina simbolica. Non c’è
dubbio che questa presa mostra la funzione di annodamento operata dal taglio fra due ordini
differenti per natura: quello della corrente vitale e quello della macchina significante.
Terzo: come troviamo questa macchina nella schizofrenia? Ebbene la troviamo distaccata,
svincolata dalla corrente vitale. Scriviamola in questo modo:
corrente vitale // macchina significante
Dove // è la scrittura della discordanza.
Il soggetto schizofrenico non si trova né nel continuo della corrente vitale, né è identificato
al taglio introdotto dalla macchina, bensì è identificato con la “discordanza come tale”, dice Lacan,
di questa macchina rispetto alla corrente vitale. Indubbiamente c’è sempre una discordanza fra la
macchina significante e una certa corrente vitale, discordanza che fa dire a ognuno di noi che non
troviamo le parole o i significanti per dire ciò che viviamo. In questo caso, la discordanza è
qualcosa che viviamo e sentiamo anche se dipende dalla stessa macchina significante. In altri
termini, non si tratta di un vissuto che si potrebbe presentare indipendentemente da questa
discordanza. Il paradosso di quest’affermazione consiste nel mostrare il carattere plurale del
soggetto: infatti, sono nell’articolazione significante, nella discordanza e nel reale (o immaginario)
continuo. Lo schizofrenico, invece, è identificato con la “discordanza come tale”, e tutto si gioca in
58
Nel Seminario II ci sono molte lezioni in cui Lacan parla del simbolico come di una macchina. Quest’ultimo termine
è veramente decisivo in questo seminario, ed è impossibile ricostruirlo in questo contesto. Tuttavia c’è un unico passo,
se ho letto bene, dove Lacan fa riferimento al taglio introdotto dalla macchina simbolica: “Tutto è legato all’ordine
simbolico, da quando ci sono degli uomini al mondo e parlano. E ciò che si trasmette e tende a costituirsi è un immenso
messaggio dove tutto il reale è a poco a poco ritrasportato, ricreato, rifatto. La simbolizzazione del reale tende a essere
equivalente all’universo, e i soggetti non sono altro che dei relais, dei supporti. Il nostro fare lì dentro è un taglio
(coupure) a livello di uno di questi accoppiamenti” (J. Lacan, Le séminaire. Livre II. Le moi dans la théorie de Freud et
dans la technique de la psychanalyse (1954-1955). Éditions du Seuil, Paris 1978, p. 441. Trad. it. J. Lacan, Il seminario.
Libro II. L’io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi (1954-1955). Einaudi, Torino 20062, p. 370).
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questo “come tale”. Perché in questo caso la discordanza non riguarda niente di nominabile, niente
che può essere ricondotto a qualcosa di particolare, come nel caso della vita cosiddetta normale. Ma
soprattutto testimonia di una rottura nei confronti della psichiatria classica, poiché, ci si ricorderà,
Philippe
Chaslin
individuava
nella
discordanza
fra
le
funzioni
(mimica/emozioni;
pensiero/emozione ecc.) il tratto delle follie discordanti (schizofrenia di Bleuler)59. In questo caso si
tratta di una discordanza particolare e certamente ben reperibile nella clinica. Lacan, dal canto suo,
si rifiuta di ridurre la clinica all’accordo o alla discordanza fra funzioni psichiche di cui aveva dato
conto la vecchia psicologia scolastica. Infatti dicendo “come tale” vuole dire che il soggetto
schizofrenico è la discordanza stessa. Il che vuol dire ancora una volta che nella schizofrenia è
mancata la simbolizzazione primordiale, pensata qui come introduzione del taglio. Ma vuol dire
anche che come il fantasma masochista mostrava che il soggetto si costituisce nel taglio, così nella
schizofrenia si mostra proprio la discordanza fra la macchina significante e il reale o l’immaginario.
A questo punto Lacan fa una notazione sulla Verwerfung che merita di essere ben meditata,
e che mi permette di riprendere quanto avevo annunciato.
“Faccio notare per inciso che qui toccate con mano in maniera esemplare, vale a dire
radicale e al contempo del tutto agibile, una delle forme più eminenti della funzione della
Verwerfung. Dal momento che il taglio è costitutivo del discorso e al tempo stesso
irrimediabilmente esterno a esso, possiamo dire che il soggetto, in quanto si identifica con il taglio,
è verworfen. E il fatto che egli si apprenda e si percepisca come reale è dovuto proprio a questo”60.
Si noti che il termine Verwerfung utilizzato qui da Lacan non qualifica assolutamente il
meccanismo specifico della psicosi. Come ho già scritto, la funzione della Verwerfung assume
diverse forme nel discorso di Lacan che meriterebbero di essere isolate di volta in volta. Infatti,
dicendo “una delle forme più eminenti della funzione della Verwerfung”, Lacan lascia intendere non
solo che ci sono più forme di questa funzione ma anche che la forma di cui sta parlando qui è
proprio una delle più eminenti. In cosa consiste questa forma? Consiste nel taglio stesso, il quale
impone una topologia molto particolare: da una parte è costitutivo del discorso e, dall’altra, è
“irrimediabilmente esterno a esso”. In questo caso, diversamente dalla schizofrenia, “il soggetto si
identifica con il taglio”, e pertanto è verworfen, ossia è il soggetto reale che si apprende e si
percepisce come tale nella misura in cui è escluso/rigettato dal discorso. Così da una parte il
59
“Le follie discordanti hanno quale carattere principale comune il fatto di presentare una discordanza, una disarmonia
tra i sintomi, i quali sembrano, fino a un certo grado, indipendenti gli uni dagli altri, e questo prima della demenza
confermata” (P. Chaslin, Elementi di Semeiologia e di clinica della mente. Trad. parziale in M. Alessandrini, Ripensare
la schizofrenia. Edizioni Magi, Roma 2004, p. 58).
60
L’intero brano è tratto da J. Lacan, Il seminario VI, cit., pp. 503-505.
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soggetto reale è un’esclusione interna al discorso e, dall’altra, abbiamo “i punti di ombelicazione
del soggetto nei tagli del significante: il più fondamentale dei quali è la Urverdangüng”61.
Se ci fossero dei dubbi su questo uso che Lacan fa qui della Verwerfung, rimando a un passo
che si trova nel testo Una questione preliminare. Riprendendo i tre significanti del complesso di
Edipo – Padre, Madre e Bambino –, i quali riprendono l’idea primaria di parentela avanzata da
Jones, riletta a partire dalle strutture elementari della parentela di Lévi-Strauss, Lacan afferma
quanto segue:
“Il quarto termine è dato dal soggetto nella sua realtà, che in quanto tale è preclusa (forclose)
nel sistema…”62.
Il fatto che Lacan utilizzi il verbo forclore, tradotto da Contri con precluso63, in un contesto
in cui non si tratta di psicosi ma dell’iscrizione del soggetto nel sistema significante non deve
sorprendere, anche se ha costituito la disperazione di alcuni lettori. In effetti, si trova qui ciò che nel
Seminario VI Lacan chiama una delle forme più eminenti della Verwerfung.
61
È così che Lacan scrive in un testo la cui stesura è contemporanea al Seminario VI. J. Lacan, In memoria di Ernest
Jones: Sulla sua teoria del Simbolismo. In J. Lacan, Scritti, cit., p. 707. Il testo è datato dallo stesso Lacan “gennaiomarzo ’59” (ivi, p. 714). È il caso di insistere su un punto di confronto con Jones. È noto che quest’ultimo ha posto
alcune idee primarie alla base di tutto il simbolismo: “Tutti i simboli rappresentano idee del sé e dei consanguinei
immediati, o dei fenomeni di nascita, amore e morte” (E. Jones, La teoria del simbolismo. In: E. Jones, Teoria del
simbolismo. Scritti sulla sessualità femminile e altri saggi. Astrolabio, Roma 1972, p. 109). Così alla base del
simbolismo ci sarebbero le seguenti idee primarie: il sé, i parenti, la nascita, la morte, l’amore “o più strettamente la
sessualità” (ivi, pp. 109-110). Riprendendo queste idee, Lacan scrive: “Perché queste idee primarie designano i punti in
cui il soggetto sparisce sotto l’essere del significante; che si tratti, infatti, di essere sé, di essere un padre, di essere nato
o di essere morto, come non vedere che il soggetto, se è il soggetto che parla, vi si sostiene solo in funzione del
discorso”. E aggiunge qualcosa che ci dovrebbe essere ormai chiaro: “Appare così che l’analisi rivela che il fallo ha la
funzione di significante della mancanza ad essere determinata nel soggetto dalla sua relazione col significante” (J.
Lacan, In memoria…, cit., p. 707).
62
J. Lacan, D’une question préliminaire, cit., p. 551; trad. it. cit., pp. 547-548.
63
Contri ha giustificato questa traduzione nella Seconda avvertenza del traduttore all’edizione italiana degli Scritti (cit.
p. XVI).
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