ML - Update n. 45

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ML - Update n. 45
MUSICLETTER
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La prima non-rivista che sceglie il meglio della musica in circolazione - www.musicletter.it - Anno III - Update N. 45
50 ALBUMS (2001-2005)
a cura di
Luca D’Ambrosio & Domenico De Gasperis
2001
2005
2001
2005
CONTRIBUTI DI
Marco Archilletti, Massimo Bernardi, Pasquale Boffoli, Daniele Briganti, Michele
Camillò, Pier Angelo Cantù, Jori Cherubini, Franco Dimauro, Luigi Farina, Manuel
Fiorelli, Nicola Guerra, Gianluca Lamberti.
ML © 2007
musicletter.it
chi siamo
Luca D’Ambrosio
Domenico De Gasperis
Nicola Guerra
Jori Cherubini
Massimo Bernardi
Marco Archilletti
Manuel Fiorelli
Pier Angelo Cantù
Pasquale Boffoli
Siamo partiti col piede sbagliato e non
siamo mai passati a quello giusto.
Gianluca Lamberti
Luigi Farina
Riccardo Di Vito
Kevin Shields
Daniele Briganti
Massimo Imbrosciano
Lorenzo Marcelli
Franco Dimauro
Domenico Marcelli
…
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webmaster / progetto grafico
Luca D’Ambrosio
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informazioni e contatti
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[email protected]
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copertina update n. 45 / 2007-04-20
50 ALBUMS (2001-2005) by Luka
ML 2
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update n. 45
sommario
4
PROLOGO
29
KINGS OF CONVENIENCE Quiet Is The
6
ANTONY AND THE JOHNSON I am a Bird
New Loud (2001)
Now (2005)
30
L’ALTRA In The Afternoon (2002)
7
ARCADE FIRE Funeral (2004)
31
LAMBCHOP Is A Woman (2002)
8
DEVENDRA BANHART Nino Rojo (2004)
32
MARK LANEGAN Field Songs (2001)
9
BECK Sea Change (2002)
33
LCD SOUNDSYSTEM S.T. (2005)
10
BOARDS OF CANADA Geogaddi (2002)
34
LOW The Great Destroyer (2005)
11
BONNIE PRINCE BILLY Master And
35
MANITOBA Up In Flames (2003)
Everyone (2003)
36
MATMOS A Chance To Cut Is A Chance To
12
Cure (2001)
BROKEN SOCIAL SCENE You Forgot It In
People (2002)
37
THE MICROPHONES Mount Eerie (2003)
13
38
THE NEW PORNOGRAPHERS Twin Cinema
SOLOMON BURKE Don’t Give Up On Me
(2002)
(2005)
14
CANNIBAL OX The Cold Vein (2001)
39
ONEIDA Each One Teach One (2002)
15
CODY CHESNUTT The Headphone
40
OUTKAST Speakerboxxx/Love Below
Masterpiece (2002)
(2003)
16
cLOUDDEAD S.T. (2001)
41
CAT POWER You Are Free (2003)
17
COLLEEN The Golden Morning Breaks
42
QUEENS OF STONE AGE Song For The Deaf
(2005)
(2002)
18
THE CORAL Magic And Medicine (2003)
43
RADIOHEAD Amnesiac (2001)
19
EELS Blinking Lights And Other
44
DAMIEN RICE O (2003)
Revelations (2005)
45
SIGUR RÓS Takk… (2005)
20
GEOFF FARINA Reverse Eclipse (2001)
46
SOLEX Low Kick And Hard Bop (2001)
21
FRANZ FERDINAND S.T. (2004)
47
SUFJAN STEVENS Illinoise (2005)
22
GHOST Hypnotic Underworld (2004)
48
THE STROKES Is This It (2001)
23
BETH GIBBONS & RUSTIN MAN Out Of
49
TOOL Lateralus (2001)
Season (2002)
50
THE WHITE STRIPES Elephant (2003)
24
THE GO-BETWEENS Oceans Apart (2005)
51
WILCO Yankee Hotel Foxtrot (2002)
25
GORILLAZ S.T. (2001)
52
WIRE Send (2003)
26
MICAH P. HINSON And The Gospel Of
53
STEVE WYNN Here Come The Miracles
Progress (2004)
(2001)
27
INTERPOL Antics (2004)
54
XIU XIU Knife Play (2002)
28
JACKIE-O MOTHERFUCKER Liberation
55
ZERO 7 Simple Things (2001)
(2001)
© ML 2005-2007
BY L UCA D’AMBROSIO
ML non ha scopi di lucro, il suo unico obiettivo è la diffusione della buona musica
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update n. 45
50 albums (2001-2005)
PROLOGO
Finalmente ce l’abbiamo fatta. Dopo innumerevoli rinvii e arrovellanti riflessioni siamo giunti alla
conclusione del progetto dei 50 dischi che, a nostro modesto avviso, hanno caratterizzato la
popular music nel quinquennio 2001/2005. Forse sbaglieremo ma siamo convinti che a oggi
nessuna rivista specializzata, cartacea o presente sulla rete, abbia cercato di analizzare in
maniera più o meno approfondita quanto sia accaduto in ambito “rock” (nell’accezione più ampia
del termine, allargata ai vari generi e sottogeneri) nei primi cinque anni del nuovo secolo. Noi di
Musicletter.it, con tutti i limiti e le manchevolezze del caso (la produzione musicale di questi
tempi è talmente sterminata che è pressoché impossibile stare al passo con le copiose uscite
discografiche che il mercato globale ci offre), abbiamo provato a selezionare gli album più
rappresentativi di queste ultime stagioni con l’auspicio di poter ragguagliare, attraverso un
quadro sinottico ma verosimilmente completo, tutti quei lettori che sotto l’aspetto strettamente
musicale avessero perduto la visione d’insieme. Bisogna ammettere però che un lavoro di siffatta
natura non sarà certamente immune da critiche, più o meno fondate, e dileggi da parte di coloro
che da buon integralisti non guardano oltre il proprio orticello pensando, oltretutto, che il loro
genere preferito sia il migliore e l’unico da prendere in considerazione. Tuttavia ne siamo
consapevoli e da eterni e scanzonati “rockers” siamo pronti a sopportarne eventuali gioie e dolori
che ne scaturiranno. Tenendo fede quindi alla nostra attitudine sostanzialmente anglofona, con
questa operazione abbiamo voluto eleggere democraticamente i lavori più significativi del
periodo 2001-2005, escludendo dallo spoglio le fatiche della scena italiana (per non incappare
nel consueto amor di patria abbiamo pensato di dedicargli in futuro un volume a parte) e talune
realizzazioni di personaggi e gruppi che già tanto hanno dato alla nostra cara amata musica,
eccezion fatta per i Go-Betweens, Solomon Burke, Steve Wynn e Wire, capaci in un certo senso di
reinventarsi se non addirittura di superarsi rispetto al passato. Nella sofferta e travagliata
elencazione avrete la possibilità di trovare qualsiasi espressione musicale: dal folk primitivo e
ordinario all’elettronica sperimentale e dance; dal rock prettamente mainstream e underground a
quello sfacciatamente manieristico, ridondante e mass-mediatico in perfetta contrapposizione a
certe selezioni introspettive e decisamente minimaliste. C’è poi il copia & incolla come pure
l’estemporaneità dalle fogge jazz. L’hard rock e il crossover. Non manca infine la sempreviva
black, in tutte le sue varie sfaccettature, che taglia trasversalmente ogni approccio intellettualoide
rovesciando, ancora una volta sulla società, battiti e parole di disagio provenienti direttamente
dalla strada.
Non c’è presente senza passato, è questo il principio che abbiamo preso in considerazione prima
di avventurarci in questa breve analisi critica. In tutte le forme d’arte per capire il presente
bisogna comunque conoscere il passato e di conseguenza anche il rock non sfugge a questa
regola. Senza tornare troppo indietro possiamo guardare agli anni Novanta con maggior distacco
per capire cosa hanno rappresentato e lasciato in eredità per il periodo che intendiamo analizzare.
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50 albums (2001-2005)
Tre ci sembrano i fenomeni più rilevanti. Il primo è senza ombra di dubbio il grunge che negli anni
‘90 raggiunge l’apice, sia sotto l’aspetto creativo che commerciale, ma saranno quegli stessi anni
a decretarne la morte e con essa la scomparsa (o quasi) del rock più o meno classico. Stesso
discorso vale per il post-rock (definizione che, a detta dei musicisti, esiste solo nella mente dei
critici) che ha lasciato le proprie impronte indelebili negli anni ‘90 per poi disperderle sul finire
degli stessi. Terzo ed ultimo fenomeno rilevante è quello della musica elettronica, nata nei
Settanta come fenomeno teutonico si è affermata alla grande negli Ottanta, consolidandosi
perfettamente nei Novanta e destrutturandosi a cavallo del nuovo millennio grazie alla continua
evoluzione tecnologica permettendo espressioni artistiche infinite o quasi. Progressi e sviluppi,
soprattutto informatici, che hanno dato nuova linfa a diversi generi musicali, fra tutti al pop.
Alla luce di questa brevissima sintesi, cosa possiamo dire? Sicuramente il decennio precedente ha
lasciato in eredità un’attitudine post-rock e un uso sempre più frequente dell’elettronica che
siamo certi continuerà ancora negli anni a venire. Nel lustro considerato sembra che non sia
successo niente di così particolarmente rilevante ma, pensandoci bene, qualcosa forse è
accaduto: il ritorno in voga di ogni sorta di orientamento cultural-musicale appartenente al
passato (revival a 360°). Un calderone di riproposte non solo musicali ma anche di usi e costumi
senza tuttavia identificare in maniera univoca e ben definita questi avvii di ’00. Insomma, se si
guarda a questi anni con occhio attento si capisce subito che quello che è mancato è soprattutto il
cosiddetto “fenomeno” inteso come trend generazionale che caratterizza un periodo e lo
storicizza. Dalla psichedelia al flower pop, passando per il rock’n’roll e la new wave, sembra che
ognuno sia andato per i fatti suoi senza creare una vera e propria tendenza, prodigandosi
esclusivamente a un personale “recupero creativo” del passato.
Sono molti i lavori che per un niente non sono rientrati nell’elenco che a breve vi appresterete a
leggere, tra questi ricordiamo: Black Sheep Boy (Okkervil River), Le Maison De Mon Reve
(CocoRosie,) Bright Flight (Silver Jews), American V: A Hundred Highways (Johnny Cash),
Alligator (The National), The Woods (Sleater Kinney), The Argument (Fugazi), Be (Common) e
tanti altri ancora. Sicuramente ne avremo ancora da discuterne, a ogni modo i cinquanta dischi
segnalati in questa prima analisi - disposti per autore in rigoroso ordine alfabetico rappresentano quanto di “meglio” sia stato prodotto dal 2001 al 2005. Pertanto, buona musica a
tutti.
Luca D’Ambrosio & Domenico De Gasperis
Un sentito ringraziamento a tutti i collaboratori di ML che hanno reso possibile la realizzazione di questo lavoro.
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50 albums (2001-2005)
ARTIST: ANTONY AND THE JOHNSONS
TITLE:
I Am Bird Now
LABEL:
Secretely Canadian
RELEASE: 2005
WEBSITE:
www.antonyandthejohnsons.com
I Am a Bird Now, pubblicato nel febbraio del 2005, non si discosta molto dal primo e omonimo
album, uscito ben sei anni prima. Lo stile, la struttura e la forma dei vari brani, nonché
l’impostazione tradizionale dell’artista, vengono qui mantenuti, lasciando trasparire quella mesta
soavità che lo ha da sempre contraddistinto. Una dolcezza di sottofondo e una naturale libertà di
espressione, accentuate ancor più dal titolo stesso. L’aspetto classico dei pezzi è evidente: la base
armonica, sempre eseguita con il piano, viene di consueto arricchita dal successivo apporto degli
archi. L’atmosfera è eterea, sublime e si riflette nell’angelica semplicità delle melodie. La voce di
Antony è inconfondibile, difficile da descrivere: effeminata ma corposa allo stesso tempo,
esprime, nel suo profondo vibrare, tutta la sensibilità dell’artista londinese trapiantato a New
York, il quale appare come un angelo caduto dal cielo. Tale passionalità, che lo accomuna ad
alcuni suoi artisti preferiti, come Nina Simone e Otis Redding, viene esternata anche nelle sue
impressionanti qualità di performer, acquisite grazie allo studio e all’applicazione del teatro
sperimentale. Tutti i brani sono delle ballad pianistiche, drammatiche e cariche di enfasi, spesso
somiglianti a dei veri e propri cori gospel. Gli archi e i fiati fanno il resto, avvolgendo l’ensemble
in una nube amaramente idilliaca. Una celestiale drammaticità raccontata anche attraverso i testi,
dove si avverte spesso una profonda crisi di identità. Ciò si denota in For Today I Am a Boy, in cui
Antony fa riferimento alla sua omosessualità, al suo essere donna dentro un corpo maschile. Non
a caso, proprio Boy Gorge appare come guest star in You Are my Sister. Tuttavia, non è l’unico
duetto dell’album: infatti, Devendra Banhart interviene in Spiralling, Rufus Wainwright in
What Can I Do? e, dulcis in fundo, Lou Reed in Fistful of Love. L’ex Velvet Underground non
apporta solamente la sua voce, ma anche la sua inconfondibile e tagliente chitarra ritmica. E
pensare che a rendere famoso Antony fu proprio la sua brillante prestazione vocale in Perfect
Day, nella versione dell’album The Raven. I Am a Bird Now è un album fiabesco, fantastico,
che trasla l’ascoltatore in un mondo irreale, dove si crea una simbiosi tra malinconia e sogni ad
occhi aperti.
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50 albums (2001-2005)
ARTIST: ARCADE FIRE
TITLE:
Funeral
LABEL:
Merge
RELEASE: 2004
WEBSITE:
www.arcadefire.com
Funeral è un lavoro che, certamente, si rifà alla stagione musicale emersa una trentina d'anni
fa: la new wave. Il disco non si limita soltanto a copiare le impalcature di un'altra epoca ma a
rimodellarla secondo un modus-operandi ricco di personalità e pregio. Le canzoni che saltano
fuori da questo gioiello sono caratterizzate da un'andatura decisa e febbricitante. Agli strumenti
"classici" si aggiungono xilofono, violino e percussioni assortite che, insieme a frequenti cori,
donano spessore all'ascolto. Se tracce come Neighborhood #2 (Laika), Crown Of Love e Rebellion
(Lies) sono dei capolavori indiscussi, il resto del disco si mantiene sempre su standard
elevatissimi. A nostro modo di vedere Funeral, il cui titolo ripercorre la triste realtà della
scomparsa di alcuni familiari del gruppo durante le registrazioni, è uno degli album più
rappresentativi del lustro in questione. Intenso, malinconico e al contempo deragliante. la
formazione canadese con questo esordio getta le basi per un recupero creativo che sembrerebbe
centrifugare in un solo istante David Bowie, Echo & The Bunnymen, Joy Division…senza mai
perdere di "originalità". Siamo certi che i posteri ne faranno un buon uso.
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50 albums (2001-2005)
ARTIST: DEVENDRA BANHART
TITLE:
Nino Rojo
LABEL:
Young God
RELEASE: 2004
WEBSITE:
www.cripplecrow.com
Essenziale e spartano, con una androginia non sbandierata ma che marcia sottopelle,
insinuandosi con lo stesso diafano timbro di un Marc Bolan che, smessi i panni di rockstar, è
tornato a cantare morbide ninne nanne psichedeliche. Così si conferma Devendra in questo
disco, ancora una volta “vestito” dei suoi disegni dalle tinte legno e cartone e, di nuovo, registrato
con la stessa semplicità con cui portava i suoi pezzi in giro per il mondo, chiusi nella cassa
acustica della sua chitarra, prima di liberarli come colombi per le strade del Texas o del
Venezuela. Quella stessa aria trasognata che aveva fatto innamorare Michael Gira e fatto girare
i coglioni a Sammy Hagar rendendo Devendra una delle poche star credibili nel circuito indie
della prima metà di questo decennio. È lui l’ideale figlio dei folletti passati sui ciottoli del nostro
bosco incantato: Syd Barrett, Roky Erikson, Daniel Johnston, Marc Bolan, Nick Drake,
Robyn Hitchcock, Donovan. Ma le passioni del nostro si spingono in realtà ben oltre,
soprattutto verso il mondo di piccole folksinger dimenticate come Vashti Bunyan, nei primissimi
anni ‘70 autrice di uno struggente album acustico supervisionato dallo stesso team che seguiva le
mosse di Nick Drake e che proprio grazie alla “pubblicità riflessa” di Devendra tornerà ad incidere,
dopo 35 anni di assenza. Un intero mondo in realtà si schiude dopo l’ esplosione del fenomeno
Banhart: dimenticati bauli di folk americano e inglese dei primi del secolo vengono riaperti e dati
in pasto alle masse. Lui è il nuovo Messia del folk rurale, è il Dio che apre le acque dell’indie rock
per farci passare dentro una folla di hobos e buskers che credono nello stesso Testo Sacro: Jana
Hunter, Joanna Newsom, Vetiver, Diana Cluck, Troll, Jack Rose sono alla guida del popolo
New Weird. Strettamente legato, non solo per simultaneità temporale, al suo altro disco del 2004,
Niño Rojo vive di queste piccolissime cose, affascinando grandi e piccini con i girotondi e i
carillon di Wake Up Little Sparrow, Little Yellow Spider, Sister o HorseheadedfleshWizard. È il
Devendra più dimesso e discreto, sofficemente allucinato e per nulla ambizioso, prima della
parziale “svolta” di Cripple Crow. È bello sapere che mentre chiudiamo gli occhi lui è lì, nell’
angolo della nostra stanza, a suonare per lui e per noi le sue filastrocche sghembe e stonate.
ML 8
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update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: BECK
TITLE:
Sea Change
LABEL:
Geffen
RELEASE: 2002
WEBSITE:
www.beck.com
Beck è riconosciuto come uno dei cantautori americani contemporanei più eclettici, in grado di
appropriarsi di stili e generi musicali e, con sorprendente spontaneità ed equilibrato buon gusto, a
farli propri. Dopo una nutrita serie di dischi più o meno belli, più o meno esuberanti ma
indubbiamente di qualità, con Sea Change del 2002 offre il suo lavoro più omogeneo, pacato,
intimista e malinconico sia nella forma che nei contenuti. Arrangiamenti essenziali e delicati,
orchestrazione finemente dosata, una qualità compositiva di livello eccellente. E questo è il
principale tratto distintivo di Beck, e soprattutto di questo disco: la qualità. Non ha una voce
particolare (alla Mark Lanegan per intendersi) su cui impostare e valorizzare una mediocre
melodia; non si esprime con virtuosismi strumentali tali da ammaliare i “tecnici dell’ascolto”. Beck
è un ottimo autore e direi anche un perfetto rielaboratore. In questo disco si agitano con grazia le
anime di Nick Drake (evidentissima per chiunque la citazione di River Man in Round the Bend) e
Gene Clark (le inflessioni “country” appena accennate, rallentate ed eleganti nella maggior parte
dei brani), coadiuvate dall’ombra di uno Scott Walker ispiratissimo (la bellissima ed insinuante
Paper Tiger). È un lavoro che necessita di attenzione, altrimenti rischia di diluirsi nel frastuono e
la frenesia in cui siamo immersi ogni giorno. Ha bisogno di un ascolto accurato per potervi
cogliere ogni sfumatura, ogni alito, ogni tensione melodica (a questo proposito la toccante
Lonsome Tears), ogni raffinatezza strutturale (le aperture spaziali di Sunday Sun). Non c’è un
brano che prevale sugli altri, non un pezzo composto con l’intento di attrarre la massa distratta
(una The New Pollution o una Loser, per intendersi), e che allo stesso tempo potrebbe invece
distogliere l’attenzione dal lavoro nel suo insieme e rompere un così fragile equilibrio. Questa
potrebbe essere una scelta meditata e, se lo fosse, direi anche azzeccata. Forse è il disco più
bello di Beck, forse… difficile affermarlo con decisione di fronte a Mellow Gold del 1994 oppure
Odelay del 1996. Opere talmente diverse da quella in questione, da rendere difficoltoso ogni
confronto.
ML 9
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update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: BOARDS OF CANADA
TITLE:
Geogaddi
LABEL:
Warp
RELEASE: 2002
WEBSITE:
www.boardsofcanada.com
Non lasciatevi ingannare dalla ragione sociale, i Boards Of Canada hanno poco a che spartire
con gli orsi dell’America settentrionale. Eoin e Sandison infatti provengono dalla Scozia e
condividono la stessa etichetta discografica, la Warp degli Autechre, Aphex Twin e decine di
altri gruppi “di punta” della scena elettronica. Dopo aver riscosso numerosi apprezzamenti da
parte della critica specializzata per lo splendido Music Has The Right To Children del 1998, la
formazione scozzese con Geogaddi rivela un altro sfavillante diamante. Un capolavoro in cui
confluisco suoni naturali (provate ad immaginare, se ci riuscite, il suono prodotto da un’alba, da
un tramonto oppure da una notte stellata), sentori malinconici ed effetti digitali. Una gemma
artificiale da custodire gelosamente.
ML 10
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update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: BONNIE PRINCE BILLY
TITLE:
Master And Everyone
LABEL:
Drag City
RELEASE: 2003
WEBSITE:
www.palacerecords.com
L’amore per un disco è un sentimento reale. È qualcosa di strettamente personale che ti
attraversa dentro e che non riuscirai mai a spiegare a nessuno. L’unico artificio è provare a
buttare giù dal proprio cuore quattro umili righe di recensione; tentare di tessere, con le proprie
mani e la propria coscienza, un’agile tela d’emozioni capace di catturarvi in un istante, rendendovi
partecipi della seduzione di un’opera al di là d’ogni riferimento prettamente stilistico e musicale. È
questo insomma l’auspicio più grande con il quale ci apprestiamo a commentarvi Master And
Everyone, album dalla magnificenza intima e naturale che si sbroglia in appena 34 minuti e che
mette in risalto l’aspetto bucolico e indipendente di Will Oldham (alias Bonnie Prince Billy). Il
cantore di Louisville (Kentucky) sa benissimo che fare “rock” con dignità ed onestà culturale
equivale a sopravvivere, ma soprattutto significa credere nei sogni. Ecco quindi che Master And
Everyone, attraverso le sue nobili divagazioni acustiche, la sua gelida poesia e il suo country
quieto e bislacco, si candida a diventare uno dei veri dischi alternativi del nuovo millennio
americano. La voce di Oldham è un anelito che riscalda il cuore; sussurri che s’insinuano in ogni
angolo della mente, dall’iniziale The Way fino all’adorabile Hard Life che sorprende per intensità e
melodia. Dieci composizioni soffici e vaporose dove potrete scoprire quel minimalismo chitarristico
alla Nick Drake e il canto infinito di Marty Slayton che accompagna il nostro principe in questo
viaggio silenzioso e notturno. Un quadretto d’acquerelli dove è possibile scorgere la bellezza della
pace e della virtù.
ML 11
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update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: BROKEN SOCIAL SCENE
TITLE:
You Forgot It In People
LABEL:
Paperbag / Art & Crafts
RELEASE: 2002 / 2003
WEBSITE:
www.arts-crafts.ca/bss/
I canadesi Broken Social Scene - un’orchestra rock di quindici elementi - con l’uscita di You
Forgot It in People realizzano nell’anno 2002 un’opera seducente e intrigante come raramente
capita di ascoltare. Siamo nel territorio della sperimentazione strumentale, che tanti continuano a
definire post-rock, unita a pratiche lo-fi tipiche di certi ambienti indie-pop. Il risultato è un “gran
pasticcio” di suoni eterogenei ma perfettamente amalgamati, con un filo conduttore sempre
presente in tutte le tredici tracce: l’ispirazione. Il lavoro non richiede, per essere apprezzato, un
ascolto attento e celebrale, giacché, pur non essendo un disco di rock’n’roll, ne custodisce la
freschezza e l’impatto emotivo tipico. Tra le tredici gemme ci preme segnalare la meravigliosa
ballata Lover’s Spit, perla tra le perle per una scalata verso il paradiso.
ML 12
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update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: SOLOMON BURKE
TITLE:
Don’t Give Up On Me
LABEL:
Fast Possum
RELEASE: 2002
WEBSITE:
www.thekingsolomonburke.com
Che dire che non è stato ancora detto su Solomon Burke, forse basta citare uno dei suoi
soprannomi, “The King of Rock & Soul”. Un vero Re, con la sua voce calda e coinvolgente, ieri
come oggi. Dopo tanti anni l’emozione è ancora forte se non di più. All’età di “appena” 67 anni ha
prodotto nel 2002, Don’t Give Up On Me, capolavoro di sintesi vocale e musicale con il quale
conferma sempre di più di essere il “Vescovo” della Nostra musica. Fra gli autori dei brani che
compongono questo lavoro si trovano personaggi che hanno fatto la storia del rock come Bob
Dylan, Van Morrison, Tom Waits, Elvis Costello, che impreziosiscono ancora di più questo
che può essere considerato senz’altro uno dei lavori più belli e riusciti degli ultimi anni. Da
segnalare il brano di apertura che da il titolo al disco, scritto da Don Penny, ballata trascinante
di notevole fattura, dove il corpulento soulman di Philadelphia da sicuramente il meglio di sé. Un
capolavoro da conservare gelosamente nella propria discoteca. Un classico.
ML 13
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update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: CANNIBAL OX
TITLE:
The Cold Vein
LABEL:
Def Jux
RELEASE: 2001
WEBSITE:
www.definitivejux.net/jukies/cannibal_ox
I Cannibal Ox sono Vast Aire e Vordul Megilah, entrambi di Harlem, rappers che rimanendo
sempre nell’ambito della tradizione hip-hop danno un contributo fondamentale all’evoluzione di un
genere ormai stereotipato e di classifica. La “Lama Cannibale”, senza creare radicali rivoluzioni di
stile se non per qualche inusitata attitudine psichedelica, taglia tutte quelle ridondanze e
smargiassate che hanno portato alla degenerazione e al ridicolo il gangsta rap. The Cold Vein
racconta per l’ennesima volta i drammi, il degrado e le miserie che si consumano nelle strade di
New York ma con un approccio lirico veramente originale. Si può concludere affermando che
questo disco, nella storia dell’hip-hop, è il più importante dai tempi di Wu-Tang Forever di
quattro anni prima.
ML 14
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update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: CODY CHESNUTT
TITLE:
The Headphone Masterpiece
LABEL:
Ready Set Go!
RELEASE: 2002
WEBSITE:
www.myspace.com/codychessnuttmusic
L’album di debutto del Signor Cody ChesnuTT, The Headphone Masterpiece, è un lavoro
mastodontico di ben 36 tracce, registrato in casa su quattro piste, praticamente lo-fi e suonato
quasi prevalentemente dall’autore. Nel 2002 rimanemmo un po’ tutti meravigliati, sia per la
bellezza incontestabile del doppio cd in questione che per l’atteggiamento spavaldo, fin dalla
copertina, con cui questo ragazzone di Atlanta si presentò al mondo intero. The Headphone
Masterpiece è un calderone bollente e traboccante di soul, funk, folk, elettronica fai da te,
inevitabili incursioni jazz e hip hop, insomma tutto o quasi l’universo della musica nera americana
arricchito da un pop-rock più inglese che a stelle e strisce.
ML 15
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update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: cLOUDDEAD
TITLE:
S.T.
LABEL:
Mush
RELEASE: 2001
WEBSITE:
www.mushrecords.com
I cLOUDDEAD erano un trio (si sono sciolti nel 2004) di Oakland, e la loro importanza
nell’ambito dell’hip-hop dei primi anni Duemila, è paragonabile a quella dei Velvet Underground
per il rock anni Sessanta o agli Slint di Spiderland, per quello a cavallo tra gli anni Ottanta e
Novanta. Why?, Doseone e Odd Nosdam realizzano un’opera seminale che potremmo definire
post hip-hop, distruggendo attraverso sonorità ambient ed avanguardistiche tutte le convenzioni
dell’hip-hop contemporaneo. Clouddead è amato dall’ascoltatore indie-rock, costantemente alla
ricerca di sonorità nuove e coinvolgenti, anche se al primo impatto ostiche, ed è odiato da chi
ascolta prevalentemente hip-hop tradizionale modello gangsta. Noi crediamo che in campo
musicale la curiosità non è mai abbastanza e poi senza questi tre bianchi sperimentatori non
avremmo adesso i meravigliosi Kill The Vultures.
ML 16
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update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: COLLEEN
TITLE:
The Golden Morning Breaks
LABEL:
Leaf
RELEASE: 2005
WEBSITE:
www.colleenplays.org
Se intendiamo la poesia come un insieme di suggestioni dove la concatenazione del significato
delle parole ha pari dignità rispetto al suono evocato dalle stesse, la musica di Cecile Schott, qui
al secondo album dopo il fortunato debutto di Everyone Alive Wants Answers (2003) è dunque
pura poesia di suono, dove la correlazione dei timbri è chiamata ad evocare significati e
suggestioni. Un flusso estatico di ortografia sonora che forse, ma poco importa, saremo poi in
grado di tradurre con parole. Melodie asimmetriche, appunti e divagazioni oniriche al servizio di
una forma d’arte che supera inesorabilmente i canoni geometrici della canzone, ma che non si
rifugia in un universo criptico di autoreferenze e immagini mutanti, bensì comunica con trasporto
emotivo, attraverso suoni ancestrali e i singoli stati d’animo che essi evocano. Un album fatto di
tenui colori antichi, arpeggi, madrigali; impercettibili vibrazioni nascoste nei venti che soffiano a
ogni latitudine, eppure capaci di imprimersi con forza indelebile, come una poesia. Un album che
lascia al tempo che gli dedichiamo la dignità di luogo dove ritrovare e ritrovarsi. E anche gli
strumenti utilizzati, canonici o meno, hanno pari dignità, in questi brani timidi e sospesi, a dei
bicchieri di cristallo suonati come farfalle posate su plettri, arpe e violoncelli, occorre prestare un
orecchio che sappia essere veicolo per l’udito di un’anima assetata. Niente male per una giovane
ragazza francese che ha cominciato ad amare la musica strapazzando la sua chitarra in un gruppo
noise.
ML 17
musicletter.it
update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: THE CORAL
TITLE:
Magic and Medicine
LABEL:
Deltasonic
RELEASE: 2003
WEBSITE:
www.thecoral.co.uk
Dopo lo scoppiettante esordio del 2002, la formazione di Hoylake (Liverpool) si presenta al
grande pubblico con un disco più riflessivo e meno crepitante del precedente. Magic and
Medicine è, infatti, un album mitigato nelle atmosfere, dove il canto di James Skelly – abile, a
tratti, nel rievocare quello di Lee Mavers dei La’s – trova finalmente equilibrio e dove certe
classicità sonore (’60 e ’70) vicine a formazioni come Kinks, Love, Animals e Beach Boys
diventano meno boriose e impudenti. E così, tra reminiscenze garage rock (Confessions Of
A.D.D.D., Talkin' Gypsy Market Blues) e inclinazioni neo-psichedeliche (All Of Our Love, In The
Forest), si registrano echi country-western di Morriconiana memoria (Don't Think You're The First,
Secret Kiss, Bill McCai) e ballate folk, melliflue (Liezah) e sofferenti (Eskimo Lament), mentre gli
ammiccamenti jazz di Milkwood Blues e le andature latino-americane di Careless Hands
completano e suggellano, anche se in maniera diversa, questo secondo lavoro dei Coral. Un
condensato di musica pop dagli effetti magici e terapeutici.
ML 18
musicletter.it
update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: EELS
TITLE:
Blinking Lights And Other Revelations
LABEL:
Vagrant
RELEASE: 2005
WEBSITE:
www.eelstheband.com
Blinking Lights And Other Revelations è il sesto album degli Eels, capitanati da E, ovvero
Mark Oliver Everett. Nonostante riproponga in parte il sound dei lavori precedenti, esso
presenta differenti peculiarità. Innanzitutto, si tratta di un doppio album composto da ben
trentatré brani inediti, scritti da Everett nel suo scantinato, durante gli intervalli temporali tra un
disco e l’altro. I pezzi sono dei veri e propri racconti di vita vissuta, sofferta, in cui traspare una
visione pessimistica del mondo e della realtà circostante. Questa varietà di sensazioni e situazioni
viene espressa attraverso differenti generi musicali, sotto forma di melodie orecchiabili, spesso
intrise di dolce malinconia. La semplicità si assapora anche negli arrangiamenti, sovente eseguiti
con strumenti classici, che non appaiono mai ingombranti. Un lavoro, insomma, in cui Everett si
esprime al meglio, sia qualitativamente che quantitativamente. L’intensità con cui l’artista esterna
i propri sentimenti deriva dalle numerose prove cui è stato sottoposto dalla vita: il padre morì
quando era ancora adolescente mentre la madre scomparve nel 1997 a causa di un cancro.
Immagini giovanili della donna vengono riportate nel booklet e nella stessa copertina. Altra
tragedia fu il suicidio della sorella, ricordata in Suicide Life, uno dei brani più toccanti: una ballad
eseguita con voce e pianoforte, in cui gli archi si insinuano lievemente, accentuando la carica
emotiva. Del resto, la morte della sorella aveva già ispirato la realizzazione dell’album ElectroShock Blues. Il tema della morte viene altresì trattato in In The Yard, Behind The Church, altra
ballata che si erge su una base armonica discendente, dominata dai sintetizzatori, ma che si
scatena successivamente, mediante l’arpeggio della chitarra elettrica, accompagnata dai cori
vocali. Trouble With Dreams, invece, mostra una ritmica più vigorosa, in cui interviene il suono
del vibrafono, strumento che interviene in altri pezzi. Tra essi, va menzionato Blinking Lights (for
me), dove le chitarre ritmiche si susseguono con energia. Si ricordano, infine, Going Fetal, dove
vanno a sposarsi beat e garage, e Railroad Man, un country che si fonda su un’apparente allegria.
Capolavoro di eccezionale espressività, Blinking Lights And Other Revelations è sicuramente
il miglior disco della produzione degli Eels: una brillante rappresentazione delle paure, delle
angosce e dei desideri di Everett.
ML 19
musicletter.it
update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: GEOFF FARINA
TITLE:
Reverse Eclipse
LABEL:
Southern
RELEASE: 2001
WEBSITE:
www.geofffarina.com
Voce, chitarra e cuore, sono questi gli elementi che caratterizzano il secondo lavoro da solista di
Geoffrey Farina dei Karate. Reverse Eclipse, che segue Usonian Dream Sequence del
1998, è un disco che ci ha catturati fin dai primi sussulti per via della sua frugale spontaneità. Un
lavoro “Jazz”, ci verrebbe da dire, ma che “Jazz” in realtà non è (o forse lo è soltanto nello
spirito). Di sicuro però i tredici frammenti che compongo questo Cd non hanno nulla a che vedere
con l’artificioso e il cervellotico, anzi, le sonorità che vengono fuori da Reverse Eclipse sono
immediate, leggere e vellutate, sempre avvolte da una sopita e struggente malinconia. Melodie
pressoché incompiute, sospese tra stilemi di forma-canzone, accenni jazzy e latenti fusioni di rock
e blues che inseguono il canto irrequieto e a tratti lancinante di Geoff. Passaggi d’indelebile
bellezza come Special Diamonds, Henningson Or Hemingway, Gravity, The Dianne Eraser, Olive
Or Otherwise e One Percent che, se messi in sequenza successiva l’uno dopo l’altro, potrebbero
toglierci il respiro rivelandoci l’intera essenza dell’album che, a distanza di alcuni anni, non perde
un briciolo di romanticismo. Un abbagliante quadretto di acquerelli che evidenzia una ingenua e
creativa geometricità come la sua immagine di copertina. Quando si dice che “la musica non è
altro che l’espressione dell’anima”.
ML 20
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update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: FRANZ FERDINAND
TITLE:
S.T.
LABEL:
Domino
RELEASE: 2004
WEBSITE:
www.franzferdinand.co.uk
Il debut album degli Scozzesi Franz Ferdinand ha avuto il pregio di aver rinnovato in termini di
vendita e gradimento la vecchia proposta garage rock. Una ricetta che in meno di quaranta minuti
mescola pregevolmente echi di New Romantic, Stones, Who e post punk, coniugandoli
intelligentemente ad una esecuzione energica ed una attitudine sfrontata quanto basta. Realizzato
all’inizio del 2004, quest’album contiene almeno tre singoli (Matinée, Take Me Out e This Fire) che
hanno raggiunto posizioni brillantissime nelle classifiche di mezzo mondo contribuendo in breve
tempo al consolidamento del nome dei Franz Ferdinand (in questo senso il recente tour di
supporto ai Depeche Mode rappresenta la ciliegina sulla torta). Davvero niente male per un
disco che a detta degli autori aveva il solo scopo di far ballare le ragazze.
ML 21
musicletter.it
update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: GHOST
TITLE:
Hypnotic Underworld
LABEL:
Drag City
RELEASE: 2004
WEBSITE:
www.ghostband.com
I nipponici Ghost (band attiva già negli anni Ottanta), realizzano nel 2004 il loro Exile On Main
St., il loro Tago Mago, in altre parole il disco che rappresenta il compendio completo di quello
che il gruppo è stato e forse sarà nel futuro. Hypnotic Underworld è un lavoro davvero fuori
dal tempo, proiettato nel recupero di quelle atmosfere psichedeliche, progressive, krautrock e
avanguardistiche proprie del periodo 1968-1974. Tra richiami ai Pink Floyd ancora infarciti d’echi
barrettiani, Can, King Crimson e addirittura ai Led Zeppelin e Jethro Tull, l’album si
caratterizza come un’opera tipicamente primi anni Settanta. Tuttavia non si può ridurre questo
lavoro ad un’operazione esclusivamente revivalista, sia per la genuinità delle idee sia perché,
nell’arte come in natura, nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma.
ML 22
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update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: BETH GIBBONS & RUSTIN MAN
TITLE:
Out Of Season
LABEL:
Universal
RELEASE: 2002
WEBSITE:
www.bethgibbons.com
Out of Season è un disco senza tempo, come uscito dal nulla e forse non avrà mai un seguito.
Gli autori sono Beth Gibbons voce dei Portishead (non si hanno più notizie dal live pubblicato
nel 1998) e Rustin Man alias Paul Webb ex bassista dei Talk Talk. Questo lavoro è un autentico
gioiello da riservarci nei giorni di pioggia, quando più forte è la malinconia per l’amore perduto,
con la meravigliosa ed evocativa voce di Beth Gibbons che ci regala sensazioni di grande freddo
alternate a momenti in cui il fuoco della passione ci infiamma irrimediabilmente il cuore (un po’
come succedeva con i dischi dei Portishead). Sono dieci ballate musicalmente in equilibrio tra folk,
soul, jazz e qualche tocco di elettronica più o meno sperimentale, comunque sempre intenso e
comunicativo.
ML 23
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update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: THE GO-BETWEENS
TITLE:
Oceans Apart
LABEL:
Tuition
RELEASE: 2005
WEBSITE:
www.go-betweens.net
Testamento artistico più degno non poteva esserci per Robert Forster e Grant McLennan,
capitolo finale in studio della loro eccelsa e sofisticata arte iniziata nel 1981, percorsi pop mai
abbastanza lodati e saliti agli onori della critica! Dall’iniziale urgente Here Comes A City, la
seguente pastorale Finding You sino alla leggiadra No Reason To Cry, curiosamente vicina al
maturo songwriting di un Graham Edge. La delicata e folkeggiante Boundary River e la fascinosa
Darlinghurst Nights sono di quelle songs che ti lavano l’anima. Il resto di Oceans Apart si attesta
su livelli altrettanto eccellenti. L’anno dopo Grant McLennan ci avrebbe lasciato.
ML 24
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update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: GORILLAZ
TITLE:
S.T.
LABEL:
Parlophone
RELEASE: 2001
WEBSITE:
www.gorillaz.com
Vero e proprio fenomeno mediatico, i Gorillaz nascono dalla fervida mente di Damon Albarn dei
Blur e dall’autore di Tank Girl Jamies Hewlett. Una band che non appare mai in pubblico se non
attraverso un cartone animato eclettico e dall’iconografia horror. Quattro personaggi animati che
ritraggono lo stiloso 2D, il bassista sdentato Murdoc, l’impassibile Noodle e il duro Russel.
Brani certamente orecchiabili e dai larghi ascolti, come Clint Eastwood, Tomorrow Comes Today e
Rock The House, capaci di amalgamare hip-hop, elettronica, funk, dub e passaggi latino
americani. Il risultato è un caleidoscopio musicale decisamente originale e quasi inclassificabile.
Dietro l’immaginario di Damon ci sono inoltre il produttore Dan The Automator, Tina
Weymouth, il dj canadese Kid Koala e il maestro della musica cubana Ibrahim Ferrer. Un
album che coniuga qualità e popolarità.
ML 25
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update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: MICAH P. HINSON
TITLE:
And The Gospel Of Progress
LABEL:
Sketchbook
RELEASE: 2004
WEBSITE:
www.sketchbookrecords.com/micahphinson/
Può suonare sorprendente che uno giovane come Micah possa essere accostato a nomi tutelari
della musica popolare come Johnny Cash, Nick Cave, Leonard Cohen. O magari John Cale,
come fosse uno scozzese di Memphis. E forse potrà sorprendere maggiormente se un giorno,
neanche troppo lontano, il nostro P - puntata - Hinson sarà ammesso nel gotha di quelle stelle cui
molti, compreso chi scrive, non possono far altro che far riferimento per descriverne le (umili?)
gesta artistiche. Ma come tutti loro Hinson possiede una caratteristica rara, quella di sembrare
nuovo ed antico al contempo, classico e deragliante nello stesso istante, coerente e rivoluzionario
nello stesso approccio. E come tutti quei nomi Hinson ha dalla sua un carattere enorme, superiore
alla sua forma esteriore di bianco americano un po’ nerd, un ego grosso grosso ed una vita che
già prima dei vent’anni era da scrivere sul libro nero dei deviati: droghe, galera, risse, soldi falsi.
Un altro salvato dalla strada dal rock‘n‘roll, come da agiografia dei buoni rockers? Date le
tendenze, che si sia salvato definitivamente è tutto da vedere, noi per ora contiamo tre eccellenti
album. Hinson viene dal sud degli States e si sente nella solarità delle melodie e risulta
inclassificabile, spesso sorprendente per come taglia a fette una ballata di sapore western con un
break di elettrica che cambia le carte in tavola. È uno dei migliori figli del centrifugato sonoro dei
nostri tempi, Hinson. Potrebbe persino diventare famosissimo, magari nel tempo o forse perché lo
stardom ne coglierà un pizzico dei suoi molteplici aspetti. Concediamogli la possibilità di non
dover, per forza di cose, rivedere il sole a scacchi della sua nazione o di qualche altro posto che
sembra appartenergli come una mano al guanto. Folsom Prison Blues l’ha già scritta qualcun altro
ed ho l’impressione che al giovanotto, queste americhe odierne sparse per il globo, un’altra
possibilità non gliela darebbero più.
ML 26
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update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: INTERPOL
TITLE:
Antics
LABEL:
Matador
RELEASE: 2004
WEBSITE:
www.interpolnyc.com
Per molti il debutto degli Interpol – Turn On The Bright Light, 2002 – fu un’eccitante sorpresa.
Pur non inventando niente di nuovo, il gruppo richiamava alla mente i gloriosi anni della newwave a cavallo tra i ‘70 e gli ‘80. Joy Division, Gang of Four, The Cure, rappresentano dei
termini di paragone azzeccati. Le caratteristiche che hanno fatto di Turn On.. una sorta di pietra
miliare dei nostri tempi, si ripetono nel 2004 con Antics che ricrea le ambientazioni del primo
disco ma, al contempo, accelera il ritmo e tiene a bada gli istinti. Al momento in cui il laser punta
il cd, a farci adorare i quattro Newyorkesi, ci pensano una voce ammaliante – a ragion del vero
Paul Banks usa le corde vocali parimenti a quelle di Ian Curtis sfiorando, talvolta, il plagio – un
basso potente, una cassa martellante da club rockettaro e una chitarra dal facile ipnotismo. Le
migliori romantic-songs del lotto, per noi: Evil, C’mere, Not Even Jail e Slow Hands. Un disco da
avere per rivivere emozioni passate con piglio post-moderno.
ML 27
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update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: JACKIE-O MOTHERFUCKER
TITLE:
Liberation
LABEL:
Road Cone
RELEASE: 2001
WEBSITE:
www.myspace.com/jomf
I Jackie-o Motherfucker sono una band di Portland, amanti dell’improvvisazione a 360 gradi,
con una produzione discografica alquanto bizzarra (alcuni album sono usciti solo in vinile). La loro
musica scorre liberamente e senza alcuna regola traendo spunti da vari generi come
l’avanguardia, la musica elettronica, il folk, il country tradizionale etc. Il risultato delle loro
sperimentazioni è costituito da un magma sonoro astratto, quasi impalpabile, inafferrabile
all’ascoltatore medio e distratto. Contrariamente a quello che pensiamo noi, taluni sostengono
che le loro fatiche non contengono niente che possa definirsi arte ma solo improvvisazioni senza
bussola dove non si riesce a distinguere una traccia rispetto ad un’altra contenuta nello stesso
disco. Noi non siamo d’accordo con questo giudizio, e riteniamo che Liberation, disco che li ha
posti all’attenzione di molti (parliamo sempre dei circuiti underground) coniughi perfettamente
tutti gli elementi musicali prima citati con un’attitudine psichedelica decisamente originale.
ML 28
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update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: KINGS OF CONVENIENCE
TITLE:
Quiet Is The New Loud
LABEL:
Astralwerks
RELEASE: 2001
WEBSITE:
www.kingsaofconvenience.com
Sono state spese migliaia di parole riguardo al nuovo movimento acustico, fenomeno che
impazzava letteralmente qualche anno fa e che diede visibilità a cantautori timidi e introspettivi.
Oggi che l’euforia si è volatilizzata per correre dietro alle nuove tendenze, ci troviamo fra le mani
una manciata di dischi densi di sentimento. Fra questi, la più bella testimonianza di quel breve
periodo è proprio Quiet Is The New Loud, debutto discografico del duo norvegese composto da
Erik Glambek Boe e Erlend Oye, ovvero i Kings of Convenience. Programmatico fin dal titolo,
il disco snocciola dodici incantevoli composizioni che cullano l’ascoltatore in una oasi di folk
acustico dove gli intrecci vocali conferiscono un senso di intimità quasi toccante mentre la chitarra
acustica e strumenti come tromba, violino e poco altro disegnano bozzetti scarni di cantautorato
antico/moderno. La musica che soffiò dalle parti dell’indimenticabile Nick Drake forse non ha mai
smesso di volare, e ascoltando questo disco potrebbe dirigersi verso il luogo a lei più congeniale:
il cuore.
ML 29
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update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: L’ALTRA
TITLE:
In The Afternoon
LABEL:
Aesthetics
RELEASE: 2002
WEBSITE:
www.laltra.com
Formatisi nel 1997 dall’incontro di Ken Dyber (ovvero Kenneth James, bassista e fondatore
dell’etichetta Aestehics), Joseph Costa (voce e chitarra), Lindsay Anderson (voce e piano) ed
Eben English (batterista e membro dei Del Rey), i chicagoani L’Altra - dopo l’EP d’esordio
datato 1999 e l’applaudito Music Of a Sinking Occasion del 2000 - con In The Afternoon
mettono in scena l’intero immaginario poetico e musicale della scena “post-americana”, in bilico
tra l’intimità del canto e il sottile piacere della ricercatezza. Un album composto da melodie
ammalianti e nobili divagazioni strumentali che, dall’iniziale Soft Connection alla conclusiva
Goodbye Music, lasciano trasparire antiche e disturbate tradizioni. Equilibri armonici, eleganza,
discrezione ritmica e alvei
popolari
che rendono questo lavoro un’autentica meraviglia
neotradizionalista. Un disco decisamente suggestivo come la sua splendida foto di copertina
realizzata dallo stesso Joseph Costa.
ML 30
musicletter.it
update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: LAMBCHOP
TITLE:
Is A Woman
LABEL:
City Slang
RELEASE: 2002
WEBSITE:
www.lambchop.net
Il puntillismo pianistico e il lirismo introverso della voce di Kurt Wagner negli iniziali quasi sette
minuti di Daily Growl, delicata e intimistica, marchiano già a fuoco Is A Woman, sesta opera (se
si escludono ep’s e compilation) di un’eclettica discografia a metà strada tra un neotradizionalismo roots molto personale ed il songwriting asciutto di Wagner. L’altrettanto soffusa e
atmosferica My Blue Wave, conferma la clamorosa rinuncia dei Lambchop a fiati e archi e in
parte alle percussioni
che avevano caratterizzato la produzione precedente e la profonda
diversità dai seguenti contemporanei Aw C’Mon e No You C’Mon usciti nel 2004, caratterizzati
da una straripante complessità ispirativa e strumentale. Is A Woman è opera a parte nella
produzione della band di Chicago, che aveva debuttato senza orpelli nel 1994
con I
Hope
You’re Sitting Down: brani raffinati e concentrati su minimali riffs chitarristici e pianistici Satiedipendenti, su scarne linee melodiche e sul vocalismo essenziale e sussurrato di Kurt Wagner (a
tratti LouReediano) come Flicks e Autumn’s Vicar dimostrano una linearità estrema nella ricerca di
un’introspezione quasi mistica. La commovente e lirica Caterpillar è l’esempio più emblematico in
tal senso: un’ambient-song incomparabile protesa verso un orizzonte indefinito che sembra uscita
dalle sinapsi dell’Eno più rarefatto ed evocativo. Il reggae di Is a Woman conclude un lavoro che
nei primi sette brani raggiunge picchi ispirativi sublimi.
ML 31
musicletter.it
update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: MARK LANEGAN
TITLE:
Field Songs
LABEL:
Sub Pop
RELEASE: 2001
WEBSITE:
www.marklanegan.com
Mark Lanegan è la dimostrazione che certe persone hanno il dono. Dopo aver attraversato
indenne gli anni turbolenti e maledetti del grunge, dopo aver alternato la ricerca e il rumore, il
blues e l'hard-rock, Leadbelly e la psichedelia (con e senza gli Screaming Trees), il songwriter di
Seattle ha inaugurato il nuovo millennio con un'opera immortale, quel Field Songs che odora di
Midwest e di donne dai capelli neri e dal volto bellissimo e malinconico. È un disco che recupera i
fantasmi di un'America lontana, compreso quello di un inatteso Jeffrey Lee Pierce. Da sola, la
doppietta No Easy Action/ Miracle meriterebbe di finire sul dizionario dei sinonimi alla voce
pathos. Poi arriva Pill Hill Serenade e cadono lacrime, e ci si avvicina alla comprensione delle
cose. Disco del decennio? Temiamo di sì...
ML 32
musicletter.it
update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: LCD SOUNDSYSTEM
TITLE:
S.T.
LABEL:
Emi
RELEASE: 2005
WEBSITE:
www.lcdsoundsystem.com
La palla di cristallo che appare nella copertina è forse la migliore chiave di lettura per capire la
musica contenuta all’interno di questo doppio cd. Quasi tutte le discoteche del periodo a cavallo
tra gli anni Settanta e Ottanta, avevano nelle loro piste da ballo, sospesa nel soffitto, questa sfera
che girava continuamente. È proprio nella musica di quegli anni (e non solo) che James Murphy,
noto con la sigla LCD Soundsystem, va a pescare: Talking Heads, Moroder, Fall, Kraftwerk
e altri che non stiamo qui a menzionare. Dalla rilettura di questi artisti viene fuori un elettro-rock
che in tanti hanno definito dance contemporanea o punk-funk ritrovato, mentre a noi piace dire
che James Murphy in un'operazione sfacciatamente derivativa mette su uno spettacolo bizzarro,
originale e coinvolgente. Molti sostengono che questo disco non sia niente di speciale, definendolo
soltanto un buon piatto cucinato da un furbacchione, noi come tanti altri la pensiamo
diversamente. Sarà il tempo a dire chi aveva ragione.
ML 33
musicletter.it
update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: LOW
TITLE:
The Great Destroyer
LABEL:
Sub Pop
RELEASE: 2005
WEBSITE:
www.chairkickers.com
Dopo Things We Lost In The Fire (2001) e Trust (2002) – opere di spirituale bellezza in grado
di comprimere l’essenzialità dello slow-core e il torpore della psichedelia all’interno di strutture
armoniche dai rimandi pop -, i Low aggiungono un altro straordinario tassello alla loro
encomiabile evoluzione musicale. Un album – come dire? – “diverso” dai lavori precedenti (a
causa delle sue nervature essenzialmente Rock e discretamente Noise), tuttavia profondo e
deflagrante, flemmatico e immateriale come sempre. Un disco che procede instancabilmente
lungo i solchi acustici della forma-canzone (la pregevole When I Go Deaf e l’eccelsa Death of a
Salesman) ma capace di esplorare altre dimensioni sonore, dove le ritmiche s’infervorano e le
chitarre s’inaspriscono (Monkey, Everybody’s Song…). The Great Destroyer, settimo full-lenght
del trio di Duluth (prodotto dal Mercury Rev David Fridmann), è una sorta di sintesi artistica che
fonde (o distrugge?) la mitezza dei Beatles, il disagio dei Velvet Underground e l’impeto dei
Sonic Youth. Grazie al talento di Alan Sparhawk (voce e chitarra), Mimi Parker (voce e
percussioni) e Zak Sally (basso), ecco a voi un’altra meraviglia senza tempo con la quale, molto
probabilmente, faremo i conti negli anni a venire.
ML 34
musicletter.it
update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: MANITOBA
TITLE:
Up In Flames
LABEL:
Leaf
RELEASE: 2003
WEBSITE:
www.caribou.fm
Artista eclettico, abile manipolatore di sonorità elettroniche, Dan Snaith certifica la possibilità di
poter creare “in vitro” un elettro-songwriting in continuità con la tradizione psichedelica che va
dai Byrds ai Loop in un profondo e suggestivo stravolgimento che coinvolge l’ascoltatore con
elementi di novità e di raccordo. Vibranti ed ebbre melodie “open space” (Jacknuggeted) si
alternano a fritture di suoni che tagliano i brani creando dimensioni suggestive e inattese (come il
muro di chitarre alla Kevin Shields che irrompe in Bijoux). In continua mutazione, la struttura
pop dell’album si esalta nel dettaglio: la sensazione è di ascoltare una jam session anziché ogni
singolo brano. “Moderno album degli anni Settanta”, caleidoscopio vitale della potenza del suono
applicata alla forma.
ML 35
musicletter.it
update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: MATMOS
TITLE:
A Chance To Cut Is A Chance To Cure
LABEL:
Matador
RELEASE: 2001
WEBSITE:
www.brainwashed.com/matmos
A Chance To Cut Is a Chance To Cure giunge, nella storia di Matmos, in un momento in cui il duo
(Andrew Daniel e Martin Schmidt) è alla ricerca di un nuovo equilibrio nel quale riuscire a
mantenere in vita il desiderio di ricerca su suoni e campionamenti abbinando una maggiore capacità di
far fruire la propria arte ad un pubblico più vasto. Comunemente, nell’elettronica odierna, il
compromesso risulta ben difficile: facilissimo cadere nel deja vu, nel danzereccio posticcio
occultamento con sottili lastre di art flavour. Ancor più facile annebbiare gli obiettivi isolandosi in una
strana navicella, pur affascinante. In effetti il duo di S. Francisco, pur non rinunciando al rigore
abbastanza pronunciato degli esordi, non sembra già da subito appartenere a queste categorie.
Chance… non è il momento di svolta di Matmos, che peraltro avviene con una certa rilassatezza nel
tempo (sarà soprattutto il lavoro svolto in un paio di dischi di Bjork a garantire al nome un’eco su
larga scala) ma è forse il disco che maggiormente utilizza lo humour, rosso come il sangue di tessuti
aperti, come metodologia per stemperare gli angoli e favorire l’approccio. Parlare di concept album non
sembra un azzardo: Chance… discute, a suo modo, di chirurgia plastica, di modificazione fisiologiche
e morfologiche, di abuso su animali e cavie, (prendendo posizione, For Felix And All The Rats, ad
esempio), mostrando, talvolta sottintendendo, l’orrore di una mondo occidentale in piena decadenza
che non ha più la capacità di rendersi conto che da profano profana (mi si perdoni…) il corpo per
giungere in realtà ad alterare metabolismi, olfatto, tatto ed umanità, col solo fine di una estetica
morta, confine interiore che si abbatte senza che nulla venga al suo posto. Chance … descrive il nulla
che
c’è
ormai
in
giro
e
lo
fa
utilizzando
campionamenti,
suoni
trovati,
suzioni,
risucchi,
gorgoglii,raschiamenti sinistri e quant’altro faccia parte del possibile enfatizzato corollario a una ferrea
volontà di apparire. In modalità forse non sempre innovative ma sicuramente efficaci. Nella sua
sarcastica grand-guignolesca scia di chip interattivi Matmos trova quasi sempre un’armonia funzionale
nei protofunk percussivi (Memento Mori) o in articolate sinfonie in cui, ad una suono/strumento guida,
fan da ancelle ogni suono possibile da sala operatoria vera, virtuale o immaginata (la conclusiva
California Rhinoplasty, dieci minuti tondi). In sostanza l’album è, a suo modo, un disco coraggioso
(siamo nel 2001), portatore sano di una elettronica umana capace, pur con certi limiti forse ora
superati, di parlare un linguaggio complesso, articolato ma non fatuo, non elitario non volgare, non
grossolano. E per giunta muovendosi in termini concreti in un paesaggio generalmente fatto di
orizzonti astratti e talvolta volatili, inutili. Un disco di passaggio, di preparazione che, alla fine della
fiera, risulta contenere i prodromi più eccitanti di quello che poi sarà.
ML 36
musicletter.it
update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: THE MICROPHONES
TITLE:
Mount Eerie
LABEL:
K
RELEASE: 2003
WEBSITE:
www.pwelverumandsun.com
Dietro lo pseudonimo The Microphones si nasconde Phil Elvrum, uno dei personaggi più
prolifici e geniali d’inizio secolo. Batterista schivo e irrequieto degli Old Time Relijun, con Mount
Eerie il cantautore americano mette in fila cinque pregevoli composizioni che si muovono tra
sperimentazione e motivi di folk depresso. Canzoni generate dall’angoscia che hanno come filo
conduttore una storia surreale a partire dall’iniziale The Sun, diciassette minuti di melodie
instabili, rumori improvvisi e battiti cardiaci che si disperdono dentro ritmi ancestrali sempre più
incalzanti, passando per le tetre orchestrazioni di Universe (episodio n. 3) e Mount Eerie, fino a
raggiungere la conclusiva Universe (sì, il titolo è lo stesso della precedente) che rivela l’intera e
struggente bellezza della montagna misteriosa. Un disco difficilmente assimilabile al primo ascolto
nonostante Solar System cerchi di profonderci una fugace letizia attraverso le sue atmosfere
placide e quasi popolari. Nel suo complesso Mount Eerie si rivela un lavoro sperimentale e con
forme di cantautorato davvero fuori dal comune. Un concept album da affrontare attentamente e
in più ascolti. Un’opera teatrale? Mah! Di sicuro un capolavoro.
ML 37
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update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: THE NEW PORNOGRAPHERS
TITLE:
Twin Cinema
LABEL:
Matador
RELEASE: 2005
WEBSITE:
www.thenewpornographers.com
Una folgorazione, i canadesi New Pornographers, così espressivi con la loro musica "suonata" ma
semplice e melodiosa. I controcanti, le deliziose armonie, gli effetti elettronici e i sottotesti
analogici sono il contorno necessario alla struttura rock di canzoni che spiccano per la loro
affascinante personalità. Dopo l'album d'esordio Mass Romantic (2000), nel 2003 la band di
A.C. Newman e di Dan Bejar aveva pubblicato il clamoroso Electric Version, disco abbagliante
che permise loro di diventare qualcosa di più di un piccolo culto. Twin Cinema, che
probabilmente non ha la perfezione sonora e compositiva del suo predecessore, ha il merito di
confermare che siamo davanti a un progetto di altissimo livello. Tante band si sono bruciate dopo
il primo o il secondo album, invece questo disco è una continua sorpresa che appaga ed emoziona
fin dalla scossa elettrica dell'iniziale title track, passando per la geniale The Bleeding Heart Show
(che porta l'ascoltatore su svariati livelli melodici riservando ai cori femminili il momento di
pathos più insostenibile) e lasciandosi amare fino alla fine, con menzione speciale per Star Bodies
e per la leggiadra Streets Of Fire. Della formazione di Vancouver fa parte anche la stella
dell'alternative country Neko Case, sublime interprete di struggenti ballate western nei propri
album e qui relegata a seconda quando non terza voce! Una band fondamentale e irrinunciabile,
legata al power pop degli anni Settanta ma attuale e brillante come poche...
ML 38
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update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: ONEIDA
TITLE:
Each One Teach One
LABEL:
Jagjaguwar
RELEASE: 2002
WEBSITE:
www.enemyhogs.com
Se citassimo Magma, Suicide, Can, Chrome, Devo sarebbero solo alcuni dei referenti del
quinto disco del trio newyorkese e certamente non faremmo torto alla strabiliante originalità
sonica
di Bobby Matador & C.! Sheets Of Easter ed Antibiotics, i due lunghi brani del primo
disco stordiscono con la loro aggressiva minimalità noise di stampo krautrock ed aprono nuove
sconvolgenti frontiere alla musica americana del nuovo millennio, con un’ardita miscela di radici
garage ed avanguardia. Le mille sfaccettature di Rugaru, No Label, Black Chamber e di tutto il
secondo disco coniugano con maggior approccio meditativo ed uguale ineluttabile fascinazione
primitivismo ed “aliene” tesi sonore.
ML 39
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update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: OUTKAST
TITLE:
Speakerboxxx/The Love Below
LABEL:
Arista
RELEASE: 2003
WEBSITE:
www.outkast.com
A tre anni dall’acclamato Stankonia, il duo d’Atlanta torna a far parlare di sé con un doppio
lavoro davvero singolare. Il primo, Speakerboxxx, opera di Big Boi che mette in mostra un hiphop decisamente atipico costellato da ritmi selvaggi, incursioni di elettronica, movenze funky e
vagiti di psichedelia. Una prima parte che vede, tra l’altro, la partecipazione di numerosi rapper
tra i quali Concrete, Big Gipp e Ludacris. The Love Below, invece, a firma di André 3000
segna passaggi vocali cari a personaggi come Prince, raggiungendo vertici creativi con la
febbricitante ed esplosiva Hey Ya . Insomma, due “metà distinte e separate” per un’unica
originalità che porta il nome di Outkast. Speakerboxxx/The Love Below, è quanto di meglio
l’hip-hop da classifica ha prodotto negli ultimi anni, un autentico pozzo delle meraviglie, niente a
che vedere con i tanti rapper tamarri che ci propina giornalmente MTV.
ML 40
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update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: CAT POWER
TITLE:
You Are Free
LABEL:
Matador
RELEASE: 2003
WEBSITE:
www.catpowerthegreatest.com
Chan Marshall è già da qualche anno una voce ammaliante nella fin troppo estesa scena della
musica alternativa americana quando pubblica il più oscuro e inquieto dei suoi album. Non è
desertico e radicale come Moon Pix, non è naif come il mitico Dear Sir ma You Are Free è
speculare della dimensione aliena e rallentata che la ragazza si porta in giro in modo ineluttabile.
La forza evocativa delle canzoni lascia intuire la forte depressione che segnerà per anni (e forse
per sempre) l’anima dannata di un’artista che fa parte di un tempo dimenticato. Sola nella
radura, tra foglie e grilli, canta il nudo aspetto del blues e sembra dire che la sua vita è tutta lì.
Così, suo malgrado, diventa una star discussa e fastidiosa, una creatura in conflitto con ogni stile
codificato, una leggenda evanescente.
ML 41
musicletter.it
update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: QUEENS OF STONE AGE
TITLE:
Songs For The Deaf
LABEL:
Interscope
RELEASE: 2002
WEBSITE:
www.qotsa.com
Dalle ceneri dei Kyuss, il gruppo che ha riscosso maggiori attenzioni da parte del grande
pubblico, sono state proprio le Regine dell’età della pietra, capaci di coniugare un suono potente e
abrasivo e un’ attitudine rock a 360°. Josh Homme e Nick Olivieri, per il fatidico terzo disco,
decidono di circondarsi di illustri personaggi e di sostenere l’unica regola possibile per generare
un capolavoro: niente regole. E cosi, fra disturbate frequenze radiofoniche, dove fanno capolino le
voci di Chris Goss (Masters of Reality) Twiggy Ramirez (Marilyn Manson) e personaggi
frequenti nelle Desert Sessions dell’instancabile Homme, troviamo la voce cavernosa di Mr.
Mark Lanegan che impreziosisce A Song For the Dead e Hangin’Tree e la travolgente energia di
Dave Grohl, che torna a suonare la batteria entusiasta e convinto che questo sia il disco migliore
nel quale abbia dato il suo apporto (i fans dei Nirvana prendano appunti). Nei pezzi di maggiore
impronta punk è Nick Olivieri a urlare nel microfono “You think I ain't worth a dollar, but I feel
like a millionaire” ma è ancora Josh Homme a stupire con gioielli garage Go With The Flow,
ballate dalle tinte tristi Mosquito Song e strizzate d’occhio alla melodia No One Knows. Chi ha
orecchie per intendere, intenda.
ML 42
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update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: RADIOHEAD
TITLE:
Amnesiac
LABEL:
Capitol
RELEASE: 2001
WEBSITE:
www.radiohead.com
Nell’Ottobre del 2000 i Radiohead portano a termine quel processo di ricerca del suono e
destrutturazione della forma canzone, iniziato con il capolavoro Ok Computer. Ma se dal
passaggio tra The Bends ed Ok Computer, questo processo era apparso sorprendentemente
coraggioso e ben riuscito, in questo caso si assiste ad una vera e propria rivoluzione stilistica. Kid
A infatti spiazza tutti, critica e fan. I Radiohead non sono più una rock band, e “Kid A”, è a tutti
gli effetti un disco di elettronica alla Aphex Twin. Otto mesi dopo, non ancora assimilato lo shock
di “Kid A”, vede la luce il gemello Amnesiac, prodotto durante le stesse sedute di registrazione.
Il primo è un viaggio in un cyber spazio digitale ed apocalittico tra ambiziosi esperimenti di
musica elettronica, “Amnesiac”, seppur partendo dalla stessa prospettiva, si presenta come un
lavoro più intimo ed emotivo, dove i suoni digitali lasciano ancora spazio a quelli acustici.
L’album si apre con Packt Like Sardines In A Crushed Tin Box, tra percussioni dal suono metallico,
al quale si aggiunge una drum machine ed una linea di basso profonda e lineare che segna il
mood durante tutta la durata del brano. Pyramid Song prende invece forma tra accordi di
pianoforte “zoppicanti” ed incerti, che si risolvono in un’aria orchestrale eseguita dalla St. John’s
Orchestra ed arrangiata da Jonny Grenwood sulla quale Yorke intona un canto che sembra
provenire da luoghi lontani e suggestivi. Sicuramente uno dei brani più riusciti dell’intero lavoro.
In Pull/Pulk Revolving Doors la fa da padrone l’elettronica claustrofoba di Nigel Godrich. La voce
robotizzata recita di porte che conducono in luoghi senza ritorno ed indefiniti, in pieno contrasto
con la voce della traccia successiva (You And Whose Army?) che sembra uscire da una radio degli
anni ‘20. I Might Be Wrong è costruita intorno ad un riff techno/rock ripetuto in un loop ipnotico
in contrasto con la successiva Knives Out che, essendo invece la traccia meno elettronica del
disco, ci restituisce i Radiohead delle versioni precedenti. Life In A Glass House mette fine al
viaggio elettronico e lo fa riportando la musica al suono più caldo che l’uomo conosce: il jazz.
Un’orchestrina, il suono della tromba, un clarinetto, un funerale di New Orleans, la fine del
viaggio, il ritorno sulla terra. Forse, l’ultimo grande disco di post-rock.
ML 43
musicletter.it
update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: DAMIEN RICE
TITLE:
O
LABEL:
14th Floor
RELEASE: 2003
WEBSITE:
www.damienrice.com
Fu durante un soggiorno in Toscana che il cantautore irlandese riuscì a trovare l’ispirazione per il
concepimento di questo album d’esordio. Dieci brani che si fondano su un country-folk dolce e
amaro al contempo, nel quale si possono scorgere le radici musicali dell’artista: Nick Drake, Jeff
Buckley, Donovan, David Gray, Leonard Cohen ma anche Neil Young. Le chitarre acustiche
hanno il sopravvento ma vengono spesso coadiuvate dall’apporto degli archi, soprattutto dal
violoncello; la voce di Damien è calda, profonda, ed è spesso accompagnata da quella femminile
di Lisa Hannigan. La scaletta si apre con Delicate una ballad folk che, col suo andamento
pacato, esprime un’amara malinconia; in Volcano, invece, si avverte una maggior energia con
sprazzi jazz e trip-hop, mentre il tocco magico viene elargito dal violoncello e dal duetto vocale
del Nostro e Lisa Hannigan; la hit single The Blower’s Daughter, con la sua inebriante dolcezza, è
pura poesia musicale. Non manca poi la versatilità di I Remember, costituita da due parti: la
prima, un country suadente e zuccherino, cantato dalla Hannigan; la seconda sfiora toni più
aggressivi, avvicinandosi a sonorità hard-rock. In conclusione, la lunga e variegata Eskimo si
evolve alternandosi tra momenti soavi e più veementi, racchiudendo due brani-fantasma, tra cui
una versione di Silent Night, cantata da Lisa con un testo nuovo. Pubblicato in Inghilterra
nell’estate del 2002, O ha conquistato pubblico e critica, aggiudicandosi perfino il disco di platino.
Nonostante i toni pessimistici e contemplativi, questo debutto lascia intravedere un barlume di
speranza, a differenza degli artisti che tanto hanno influenzato Damien Rice.
ML 44
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update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: SIGUR RÓS
TITLE:
Takk…
LABEL:
Emi
RELEASE: 2005
WEBSITE:
www.sigur-ros.co.uk
I suoni di Takk… (quinto album degli Islandesi Sigur Rós) sono dilatazioni ambientali sparate in
aria da leggere strumentazioni orchestrali, alternate, talvolta, da carillon e microritmiche
assortite. Sospensioni melodico/celestiali - magnifiche, sobrie e salvate da ogni retorica
ridondante – che adagiano l’ascoltatore/viaggiatore su pentagrammi di quiete. La voce di Jón Þor
Birgisson pare quella di un bambino o, dati i luoghi fatati da cui proviene, quella di un folletto.
Insieme a Ágætis Byrjun del 1999, si tratta, a nostro avviso, di uno dei migliori lavori realizzati
dai Nostri dopo le aperture maestose e dilatate di Aperta Parentesi, Chiusa Parentesi del
2002. Ci succede, ogni volta che poniamo l’orecchio a questi suoni, di impigliare cuore e mente
nelle fantastiche policromie custoditevi. Takk…, che in lingua islandese significa “grazie”, è un
disco imperdibile.
ML 45
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update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: SOLEX
TITLE:
Low Kick And Hard Bop
LABEL:
Matador
RELEASE: 2001
WEBSITE:
www.solex.net
Elisabeth Esselink, in arte Solex, cittadina di Amsterdam, con la terza fatica discografica Low
Kick And Hard Bop realizza il suo capolavoro dando un contributo rilevante alla crescita stilistica
del pop contemporaneo attraverso la pratica del taglia e cuci (già in voga da qualche tempo negli
ambienti musicali più innovativi), in altre parole campionare e poi incollare pezzi musicali di
qualsiasi genere e tempo, sicuramente attingendo dal suo negozio di dischi. Nel caso specifico
Solex otteniene un risultato veramente sorprendente. L’album è un’insieme di canzoni pop
irresistibili, appagante per un ascolto in solitudine, perfetto per ballare in un’ideale festa tra amici.
Per finire ci permettiamo di dare un consiglio a coloro che sono poco avvezzi a queste sonorità:
se al primo ascolto provate fastidio, non arrendetevi ma ascoltatelo almeno altre tre o quattro
volte, scoprirete autentiche gemme.
ML 46
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update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: SUFJAN STEVENS
TITLE:
Come On Feel The Illinoise
LABEL:
Rough Trade
RELEASE: 2005
WEBSITE:
www.sufjan.com
Da qualche parte qualcuno continua a chiamarlo menestrello ma Sufjan è piuttosto un
compositore complesso, con una passione smodata per gli arrangiamenti sofisticati e ricercati.
Figlio di Burt Bacharach più che di Pete Seeger, senza tema di smentite. L’antinomia alla
dottrina low fi che ha partorito la “scena” neo-folk degli anni Novanta, con una logica da kolossal
che sembra stridere con la fragilità che il concetto di “menestrello” evoca. È come se Paul Simon
suonasse l’Aida. Un gusto per la ridondanza e l’ enfasi che Sufjan amplifica con titoli quanto meno
estrosi e prolissi e un’aria da sequel hollywoodiano che sorpassa il concetto stesso di “conceptalbum” per diventare uno spin-off da blockbuster. Illinoise, ad esempio, è la seconda “puntata”
di una ideale serie dedicata agli stati americani. Un disco dalla gestazione movimentata, non
tanto sul piano artistico (le “riprese” dureranno praticamente pochissimi mesi, tra l’autunno del
2004 e l’inverno dell’anno successivo, con le implicazioni metereopatiche e le suggestioni che
questo implica) quanto su quello concettuale-iconografico. Succede così che il superman che vola
tra i grattacieli di Chicago sotto gli occhi di Al Capone viene rimosso su pressioni della Marvel e
sostituito con dei palloncini “virtuali” (nel senso che sulla copertina della seconda tiratura il cielo
appare sgombro, ma se inserite il cd nel vostro Media Player, li vedrete apparire come per
incanto) e il titolo storpiato dal Come On Feel The Illinoise che campeggia sul fronte della
cover, a un più canonico Illinoise stampato sulle alette laterali. Un senso di incertezza che il
disco in fin dei conti ribadisce: l’effetto delle partiture è a tratti straniante, perché l’intero album
lavora per “immersione”. Lo spettro acustico si riempie, gradualmente, fino a traboccare. The
Predatory Wasp, a circa metà dell’ Opera, ne è un po’ l’emblema: si apre timida, canterburyana,
sommessa fiorendo poi di violini prima di tramutarsi in un gospel corale che sa di Polyphonic
Spree ma anche di certe progressioni armoniche reiterate care a Enya. Sfarzoso e ingannevole,
lo sfavillio di Illinoise è la celebrazione del sogno Americano. Infranto (come su John Wayne Gacy
Jr.), patriottico ed epico (The Great Frontier), religioso (The seer’ s tower), semplicemente
disperato (Chicago) ma comunque narrato con lo slancio di una Odissea contemporanea. E Sufjan
è un Omero che scrive tra mille voci di sirene.
ML 47
musicletter.it
update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: THE STROKES
TITLE:
Is This It?
LABEL:
RCA
RELEASE: 2001
WEBSITE:
www.thestrokes.com
I newyorkesi The Strokes irrompono nella scena rock, all’indomani dell’attacco alle Twin Towers,
con un disco, Is this it, che cattura l’attenzione di tutta la stampa musicale e soprattutto di gran
parte dell’auditorio rock con giudizi diametralmente opposti. In tanti sono pronti a scommettere
su questi cinque ragazzotti figli di papà, indicandoli come la rock’n’roll band del nuovo millennio,
altri, i soliti detrattori con la puzza sotto il naso, nemmeno li prendono in considerazione, presi
come sono a masturbarsi con l’ultimo “grande” disco minimalista e se proprio devono dare un
giudizio non possono che gridare all’ennesima truffa. Sicuramente non saranno il nuovo
testamento del rock’n’roll ma hanno avuto il merito di riportare al centro dell’attenzione quel
suono chitarristico, certamente derivativo e figlio dei Velvet Underground meno sperimentali,
Stooges e Television (ma nemmeno i Clash e i Nirvana sono passati invano), che ti fa vibrare
il cuore e allo stesso tempo ti mette una voglia irrefrenabile di saltellare come uno sbarbatello
qualsiasi.
ML 48
musicletter.it
update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: TOOL
TITLE:
Lateralus
LABEL:
Volcano
RELEASE: 2001
WEBSITE:
www.toolband.com
Lateralus è stato pubblicato dopo cinque anni di beghe con la vecchia label, un lasso di tempo
che piuttosto che alienarli ha fortificato i Tool. Ænima era stato un album epocale che li aveva
consacrati a livello planetario; all’apice della scena Nu-Metal ci si sarebbe aspettato una proposta
meno ermetica ed anticommerciale ma questo non rientra nei costumi dei Tool che del Nu-Metal
sono comunque stati precursori. Il lavoro in questione non indugia minimamente su toni ruffiani,
al contrario, esalta gli intricati elementi di psichedelia del precedente lavoro senza per questo
smussare la componente hard impreziosita dalla peculiare voce di Maynard James Keenan,
anello di congiunzione delle complesse partiture musicali che caratterizzano l’album. I Tool hanno
sublimato un genere che li rende ineguagliabili, sono e continueranno ad essere il futuro
dell’heavy metal.
ML 49
musicletter.it
update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: THE WHITE STRIPES
TITLE:
Elephant
LABEL:
XL
RELEASE: 2003
WEBSITE:
www.whitestripes.com
Elephant, quarta fatica dei detroitiani White Stripes, è sicuramente il disco più maturo e
compatto realizzato finora dal chiacchierato duo, pieno zeppo di grandi canzoni, in altre parole il
loro capolavoro. La strumentazione vintage usata ci regala un profumo antico, quasi a volerci
proiettare ad un primordiale rock blues tipicamente anni cinquanta e sessanta. Tuttavia il ritmo
senza respiro delle songs unito ad un'incredibile asciuttezza dei suoni ci fa sembrare questo
lavoro come qualcosa di retrò e moderno allo stesso tempo, caratteristica peculiare di tutti i
grandi dischi rock. Guardarsi indietro e scrivere canzoni ispirate che suonano attuali, è questa la
magica ricetta di Jack & Meg White. Quest’album, ne siamo sicuri, si è già ritagliato un posticino
di tutto rispetto nella storia della musica che più amiamo.
ML 50
musicletter.it
update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: WILCO
TITLE:
Yankee Hotel Foxtrot
LABEL:
Nonesuch
RELEASE: 2002
WEBSITE:
www.wilcoworld.net
I Wilco oggi sono considerati uno dei gruppi più influenti della scena alt-country americana, e
anche se il termine è abusato per descrivere un genere di musica attuale che si rifà alla
tradizione, è perfetto per descrivere la miscela musicale proposta da Jeff Tweedy e compagni.
Dopo lo scioglimento dei leggendari Uncle Tupelo, Tweedy ha cercato con la sigla Wilco di
spingersi sempre di più verso una musica figlia dei nostri tempi e dopo tre album di notevole
fattura ecco finalmente il capolavoro. Inizialmente rifiutato dalla Reprise perché ritenuto poco
commerciale e posticipato di un anno, Yankee Hotel Foxtrot snocciola musica ad alto tasso
emotivo ornata da suggestive dilatazioni musicali, che creano senso di smarrimento e totale
estasi sonora. Un disco che in mezzo a ballate della migliore tradizione pop (Pot Kettle Black),
deliziosi sipari folk (Kamera), (Ashes of American Flags), intense divagazioni sommerse in
melodie perfette (Poor Place) e brani strappalacrime (Reservations) trova anche il tempo di
parlare della buia situazione del mondo oppresso dalle guerre (War on War). Alternativi sì, ma
con l’anima.
ML 51
musicletter.it
update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: WIRE
TITLE:
Send
LABEL:
Pink Flag
RELEASE: 2003
WEBSITE:
www.pinkflag.com
L’ecletticità ispirativa ha sempre contraddistinto Colin Newman & C. sin dai giorni punk e da
quel Pink Flag album/debutto che già si distaccava nettamente dalla media delle produzioni di
quel genere. C’erano nel loro sound delle intuizioni ritmico-compositive trasversali entusiasmanti
che trasfiguravano la forza bruta e grezza del punk facendolo sconfinare in territori espressivi
seducenti e vergini. I seguenti Chairs Missing e 154 li proiettavano senza indugi in un limbo
artistico in cui il punk era già un pallido ricordo a favore di una freddezza splendida e
metronomica, di ritmi taglienti ed aerei e di una psichedelia malinconico/metafisica estrinsecata in
ballate arcane, allusivamente inquietanti, che qualcuno ha definito barrettiane. Dopo questa
triade mesmerica la carriera di Colin Newman, Bruce Gilbert, Robert Gotobed e Graham
Lewis si è protratta generosamente eclettica attraverso varie combinazioni, sperimentazioni con
l’elettronica, prove solistiche (soprattutto di Colin Newman). Sino alla notizia shock per noi che
un po’ li avevamo persi di vista, della riunione della formazione originale agli albori del terzo
millennio e l’uscita nel 2002 dei due volumi Read & Burn. I due documenti testimoniavano
nitidamente di un quartetto che non aveva perso lo smalto artistico di tanti anni prima, anzi
stupefacente nel Vol. 1 era il serrato tiro chitarristico di In The Art Of Stopping, Comet e Agfers
Of Kodack, un incrocio maturo tra l’intransigenza esecutiva giovanile e la saggezza ‘ambient’
acquisita negli anni. Send, il lavoro degli Wire più completo da più di dieci anni esce per la loro
etichetta Pink Flag e contiene i tre brani succitati più quattro dal secondo volume di Read &
Burn, scolpiti anch’essi in ritmi ipnotici e duri come Spent, alle soglie di una sorta di cupa noisedance come Nice Streets Above sino all’incubo tecnologico di 99.9. A mio parere comunque gli
episodi più riusciti ed intensi di Send sono proprio gli unici quattro completamente inediti: Half
Eaten è una delle tipiche mutanti giostre strumentali per cui gli Wire sono famosi ma il prodigio si
compie soprattutto (per quanto mi riguarda!) con Mr Marx’s Table, song complessa e cangiante,
intrisa di psichedelia sognante che riporta agli onirismi di Chairs Missing, Being Watched, lenta
ed intrigante e soprattutto You Can’t Leave Now, ancora lentezze metafisiche, dark, perentoria ed
introspettiva
all’inverosimile,
tutte
eccellenti
riprove
di
una
vitalità
artistica
ben
lungi
dall’esaurirsi. Crudeli ed onirici, questi sono i vecchi/nuovi Wire nel 2003 … gli Wire di sempre.
ML 52
musicletter.it
update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: STEVE WYNN
TITLE:
Here Come The Miracles
LABEL:
Blue Rose
RELEASE: 2001
WEBSITE:
www.stevewynn.net
La vita musicale di Steve Wynn ha sempre dovuto fare i conti con il suo glorioso passato;
condottiero eroico e romantico di quei Dream Syndicate che ogni volta evocano ricordi e groppi
in gola, il nostro eroe negli anni post-sogno del sindacato ha continuato a fare musica senza nulla
aggiungere a quanto di magico aveva saputo evocare negli anni ‘80. Ma è proprio con questo
Here Come The Miracles che Wynn apre la trilogia del deserto (seguiranno Static Trasmission e
Tick…Tick…Tick… anch’essi registrati in quel di Tucson, Arizona), un doppio disco ispirato e
ricco di suggestioni, idee e canzoni che suonano attuali eppure figlie del miglior paisley
underground. Imbarazzo della scelta, veramente, che ci fa prediligere le rasoiate elettriche di
Substain e Southern California Line, ballate dolci-amare quali Blackout e Charity, il rock’n’roll
sporco e adrenalinico di Watch Your Step, i rumorismi di frontiera di Topanga Canyon Freaks (con
Howe Gelb al piano), il pop sognante di Morningside Heights, le code psichedeliche, fino alla
spensierata ballata dylaniana There Will Come a Day. Il Medicine Show dei nostri tempi? Non c’è
nessun dubbio.
ML 53
musicletter.it
update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: XIU XIU
TITLE:
Knife Play
LABEL:
5 Rue Christine / Kill Rock Stars
RELEASE: 2002
WEBSITE:
www.xiuxiu.org
Non brilla sicuramente il sole della California nei lavori degli Xiu Xiu, gruppo proveniente da San
Josè, ma piuttosto l’aria grigia e fumosa della perfida Albione. Le muse ispiratrici di questa band
capitanata dal cantante James Stewart, rappresentano le prime file di quel fenomeno tutto
inglese (periodo 1979-1985) che per semplicità di sintesi potremmo definire dark-wave.
Ascoltando la loro musica, infatti, sono inevitabili i riferimenti ai Joy Division/New Order, Talk
Talk, Cure e Bauhaus, ma la cosa più importante è che l’accostamento riguarda più l’attitudine
che lo stile musicale vero e proprio. Knife Play, album d’esordio del quartetto, sorprende
soprattutto per il suono quasi inaudito, spigoloso e urticante, mentre la voce di James Stewart
sembra continuamente in bilico, sul punto cadere rovinosamente da un momento all’altro. Questo
viaggio in apnea, verso un pianeta sconosciuto e malsano, è l’ideale per quei momenti di
solitudine indotta dal rifiuto (momentaneo) del consorzio umano.
ML 54
musicletter.it
update n. 45
50 albums (2001-2005)
ARTIST: ZERO 7
TITLE:
Simple Things
LABEL:
Ultimate Dilemma
RELEASE: 2001
WEBSITE:
www.zero7.co.uk
Nonostante siano stati (ingiustamente) etichettati come gli “Air inglesi”, con Simple Things,
album di debutto, gli Zero 7 si sono affermati come band consapevole della propria identità,
capace di creare un insieme di brani, organico e contraddistinto. Eppure, la similitudine con altri
artisti appare quasi evidente: gli Zero 7, infatti, sono stati comparati a band come Morcheeba,
Rae & Christian ma soprattutto Massive Attack, in riferimento ai quali molti critici hanno
associato Simple Thing a Mezzanine, capolavoro del 1998. La complessità espressiva del duo,
costituito da Henry Binns e Sam Hardaker, si concretizza attraverso un mix di elementi. Il
timbro soul, esternato in particolare dalla voce di Sophie Barker, Mozez e Sia Furler, si
amalgama ad un persistente ritmo hip-hop, mentre l’apporto di strumenti classici, come gli archi,
il flauto e i fiati, costruisce le atmosfere in forma sublime e armoniosa. Tale sensualità raggiunge
il suo culmine in Destiny, una ballad acid-jazz in cui la voce femminile si presenta suadente e
smarrita, come in un idillio, tra gli archi e l’arpeggio della chitarra; la vocalist si esprime anche in
In the Waiting Line, con un background sonoro più elettronico, ma soprattutto nel pezzo di
chiusura, la dolcissima ed onirica Spinning. Anche la voce maschile si manifesta accattivante,
soprattutto quella calda e profonda di Mozez in I Have Seen, canzone d’apertura, in cui il ritmo
cadenzato
è
arricchito
da
tenui
tappeti
sonori
che,
nella
loro
semplicità,
appaiono
contemporaneamente ipnotici ed inquietanti. La track list, infine, è caratterizzata da numerosi
brani strumentali, tra cui spicca Out Of Town, dove gli accordi in tonalità minore, eseguiti
dall’arpeggio della chitarra acustica, creano la base su cui si erige una brillante melodia della
tromba; Red Dust, attraverso la soavità del flauto, rimembra vagamente il sound dei Jethro Tull.
Polaris con i suoi suoni spettrali, potrebbe essere la colonna sonora di un thriller. Assai
struggente, infine, è This World, in cui la voce passionale di Sia Furler (vocalist anche nella title
track) sovrasta una base armonica costruita con Fender Rhodes. Pubblicato nel 2001, Simple
Things, con il suo sound raffinato e genialmente eclettico, è certamente uno dei migliori album
d’esordio degli ultimi 10 anni.
ML 55
50 ALBUMS (2001-2005)
ML
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