La notte della Bastiglia. Luca Telese dal Fatto

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La notte della Bastiglia. Luca Telese dal Fatto
La notte della Bastiglia che cambierà l’Europa
di Luca Telese | 8 maggio 2012 – Il Fatto Quotidiano
Parigi, domenica sera, benvenuti nel tempo che cambia. Benvenuti nella notte della Bastiglia, nella
notte di François Hollande, la notte della speranza francese, della grande battaglia elettorale
europea, la notte dei mille colori e delle mille razze. Benvenuti nella notte in cui Parigi, per un
giorno, è tornata Capitale del mondo e in cui tutti gli analisti si chiedono se questa festa un giorno
sarà considerata l’inizio della fine o il primo passo di una resurrezione, per un continente
strangolato dal debito e dalle politiche di rigore finanziario. Agli angoli delle strade cantano
“Sarkozy-c’est-fini!”, la piccola Maristelle, sei anni e boccoli d’oro, grida dalle spalle del papà con il
tricolore bleu-blanc-rouge disegnato a tempera sulle guance: “On changeeee!”, si cambia.
Il vento della Grecia
Ci sono tanti venti che soffiano nelle vele del candidato socialista, in questa infuocata e gioiosa
notte europea, e in questa settimana di passioni: venti di bufera che arrivano dalla Grecia, correnti
carsiche che arrivano dall’Italia, rumori serbi, onde sismiche tedesche. Entri in piazza della
Bastiglia, nel giorno della vittoria del partito della Rosa, e ti pare di essere alla festa per la finale di
un campionato del mondo o in una delle piazze leggendarie del Novecento più popolare, quelle in
bianco e nero degli anni Trenta. Entri in una piazza di gente arrampicata sui pali e appesa alle
inferriate brunite delle finestre, una piazza di bandiere e di cartelli, di grida, cori, ragazzi seduti
sopra le scatole d’acciaio dei semafori e stretti ai basamenti delle colonne, una piazza di
champagne, panini con la salsiccia e sogni, voci che intonano la Marsigliese a ogni angolo.
Quando da Atene arriva l’immagine delle svastiche ricomposte di Alba Dorata, i ragazzi sotto il
maxi schermo fischiano: “Buuuuuuuùù”. Svastiche sul Pireo, inni nazionalisti a Belgrado, rose
rosse a Parigi: questa crisi è come una porta girevole, che può proiettarti a destra come a sinistra.
Ha vinto Hollande, hanno vinto i socialisti, la “Gauche plurielle” che torna al potere dopo la lontana,
quasi mitologica, stagione di governo inaugurata da François Mitterrand nel 1981. Ha vinto un
candidato normale in un tempo anormale. Ha vinto il funzionario grigio che è riuscito nel
capolavoro della sua vita, la metamorfosi: l’incarnazione di un destino diverso da quello che ha
vissuto nei primi cinquant’anni della sua storia. Il candidato che ha un portavoce e consigliere
politico con sangue italiano, Aquilino Morelle.
I due Hollande
Ci sono due Hollande, che ci sono guardati allo specchio senza riconoscersi, in questa notte
elettorale. Da un lato il gregario di partito che per vent’anni ha custodito l’eredità mitterrandiana
come una reliquia, scalando i gradini dell’apparato con diligenza e mestiere. E dall’altro l’oratore
trasfigurato dalla voce arrochita che domenica sera, alla Bastiglia, gridava il suo programma: “Oggi
la Francia è diventata una speranza per tutta l’Europa, oggi da questa piazza torniamo a chiedere
che l’Europa scelga la via della crescita!”.
Ci avevano raccontato, in questi anni, che la differenza fra destra e sinistra non esisteva più, che il
“Sarkoberlusconismo” era l’unica lingua postmoderna in grado di tenere insieme il popolo e i
consumi , la ricchezza e la dinamicità del mercato, le garanzie sociali e il consenso alle imprese.
Ebbene, la notte della Bastiglia ha sgretolato questo luogo comune, questa suggestione
giornalistica. Sarkozy ha perso anche perché nell’immaginario popolare era diventato “il presidente
dei ricchi”, quello che sposa la fotomodella e se ne va in yacht con il suo amico imprenditore
Vincent Bolloré.
“Il cambiamento è ora”
Mentre alla Bastiglia, in piazza a festeggiare, c’era un’altra Francia, c’erano facce che avrebbero
appassionato Pierpaolo Pasolini, c’erano i ragazzi delle banlieue, il popolo delle periferie e delle
province d’oltremare. C’erano i figli dei pieds-noirs, gli arabi di Francia, i francesi che ballano ritmi
africani, le bandiere dei curdi e quelle arcobaleno dei gay che sognano il matrimonio e sono andati
a votare perché la sinistra ha impugnato la bandiera dei Pacs. “Le changement c’est maintenant”, il
cambiamento è ora, recitava lo slogan di Hollande. E lui ripeteva: “Ho fatto due scelte difficili: la
proposta della patrimoniale e quella di assumere sessantamila nuovi professori nelle scuole
pubbliche”. Riuscirà a mantenerle, assieme a quella – costosissima – di mandare i francesi in
pensione a 60 anni?
In piazza, domenica sera, c’era quel 52% di francesi che voleva cambiare. E nei corridoi del
quartier generale socialista, a rue Solferino, si aggirava festante l’ex ministro della cultura dell’era
Mitterrand, Jack Lang: “I socialisti che hanno accettato pedissequamente le ricette del rigore
pagano: quelli che che hanno saputo raccogliere la speranza vincono”. Sono loro, i socialisti di
Hollande. Il riferimento negativo è al Pasok dei Papandreou, spazzato via nelle urne e sorpassato
dalla sinistra radicale di Syriza, dopo essere stato piegato dai precetti della Banca centrale
europea e del Fondo monetario. Alla Bastiglia ballano, cantano, ogni tanto sugli schermi va in onda
il video più gettonato della campagna, quello con i colori fosforescenti che si alternano: “Per tutti
quelli che hanno vissuto il 1981/ e ricordano il cambiamento/ per tutti quelli che non l’hanno
vissuto/ e vogliono viverlo per la prima volta”.
Il presidente e l’utilitaria
Sarkozy arrivò sul palco del cambiamenti con una lussuosa berlina Citroën. Hollande a bordo di
una monovolume familiare, la Mégane. Un segnale anche quello? “C’è un popolo che spera in
Francia in Europa – grida lui – e grazie a noi vuole farla finita con l’austerità”. Viene in mente,
mentre il neopresidente avanza con la sua bellissima e intelligente compagna (la giornalista
Valerie Trierweiller) che per una volta l’assenza di carisma è stata un vantaggio. Se a correre
fosse stato Dominique Strauss-Kahn, l’ex direttore del Fondo monetario internazionale che senza
una cameriera di New York e uno scandalo sessuale sarebbe stato il candidato incontrastato, per
lui sarebbe stato impossibile fare una campagna come quella di Hollande. Impossibile attaccare da
sinistra Sarko sulle politiche economiche, impossibile sparare sulla “dittatura delle banche”, come
ha fatto in questi mesi Hollande. “C’è chi tiene più al denaro che alla gente – ha gridato in un
comizio – per me è esattamente il contrario”.
La crisi ha radicalizzato le alternative. Ha portato voti alla sinistra quando la sinistra ha rifiutato le
politiche di rigore, e ha arricchito il bottino elettorale dell’estrema destra e dell’antipolitica quando le
ha sposate. La crisi ha demolito il populismo liberale, e la sua politica di promesse, e vale per
Silvio Berlusconi come per Sarkozy.
La notte della Bastiglia, quando la rivedremo nei documentari, con il suo corredo di colori e di
canti, resterà (qualsiasi cosa accada) la notte in cui la direzione del vento è cambiata. Per andare
dove? È questa la domanda a cui né la piccola Maristelle, né il trasfigurato Hollande sanno ancora
ancora rispondere.