rilievi dendrometrici preparatori al piano di gestione della riserva

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rilievi dendrometrici preparatori al piano di gestione della riserva
Research Paper / Contributo di ricerca
ALESSANDRO BOTTACCI (*) (°) - MATTEO PADULA (**) - STEFANO RADICCHI (***)
EMIDIO GRASSO (***)
RILIEVI DENDROMETRICI PREPARATORI AL PIANO DI GESTIONE
DELLA RISERVA NATURALE BIOGENETICA DI CAMALDOLI
(*) Capo dell’Ufficio per la Biodiversità, Ispettorato generale del Corpo forestale dello Stato, Via G. Carducci 5, Roma;
[email protected]
(**) Corpo forestale dello Stato, Ufficio territoriale per la Biodiversità di Pratovecchio, Via D. Alighieri 41, 52015
Pratovecchio (AR); [email protected]
(***) Corpo forestale dello Stato, Posto fisso UTB di Camaldoli, Via Camaldoli 21 52010 Camaldoli, Poppi (AR);
[email protected]
(°) Autore corrispondente.
Il lavoro è inserito nelle ricerche preparatorie alla realizzazione del Piano di Gestione della Riserva
naturale biogenetica di Camaldoli. Si illustrano i risultati di una indagine campionaria effettuata per
aggiornare le informazioni sui parametri dendrometrici dei soprassuoli forestali che coprono il 98%
della Riserva. L’indagine è stata condotta su 82 aree di saggio di 12 m di raggio, nelle quali sono stati
misurati e/o calcolati i principali parametri dendrometrici (diametro, altezza, volume, densità, incremento
medio, ecc.). Contemporaneamente, sulle stesse aree è stato effettuato un rilievo relascopico su cluster per
verificarne l’attendibilità in una eventuale continuazione delle indagini con metodi più speditivi. Sono
stati rilevati anche dati inerenti la necromassa presente, con un valore medio di 22,95 m 3ha-1 e un rapporto
percentuale di 3,71 rispetto al volume legnoso vivo per ettaro. Sono risultate in media 673 piante vive/ha,
con 48,35 m2ha-1 di area basimetrica media e con un volume di 614,76 m3ha-1. L’abete bianco e il faggio
contribuiscono ad oltre l’81% di questo volume.
Parole chiave: riserve biogenetiche; piano di gestione; rilievi dendrometrici.
Key words: biogenetic reserves; management plan; dendrometric measurements.
Citazione – Bottacci A., Padula M., Radicchi S., Grasso E., 2012 – Rilievi dendrometrici preparatori
al Piano di gestione della Riserva naturale biogenetica di Camaldoli. L’Italia Forestale e Montana, 67
(4): 317-328. http://dx.doi.org/10.4129/ifm.2012.4.01
1. Introduzione
1.1. Scopo dello studio
Il presente studio si inserisce in una serie
di ricerche preparatorie volte a fornire informazioni di base per la redazione del Piano di
gestione della Riserva naturale di Camaldoli.
Al fine di avere un quadro completo della situazione sono in corso di realizzazione studi
specifici in vari settori (micologia, flora e
vegetazione, geologia, fauna, entomologia,
ecc.).
Trattandosi però di una Riserva quasi esclusivamente costituita da ecosistemi forestali, si
è ritenuto necessario procedere anche ad una
ricognizione delle caratteristiche delle formazioni forestali presenti. Come sarà illustrato
al paragrafo 1.2., la foresta è stata oggetto da
molti secoli ad una gestione attiva da parte
dell’uomo. Solo negli ultimi decenni si sono in-
– L’Italia Forestale e Montana / Italian Journal of Forest and Mountain Environments
© 2012 Accademia Italiana di Scienze Forestali
67 (4): 317-328, 2012
doi: 10.4129/ifm.2012.4.01
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terrotti gli interventi di coltivazione ed utilizzazione e si è intrapreso un cammino di gestione
conservativa, con la finalità di raggiungere per
via naturale strutture più evolute e complesse.
In conseguenza di questo, non si sono misurati e calcolati i descrittori dendrometrici
(area basimetrica, volume, incremento, ecc.)
con lo scopo di valutare una possibile ripresa
o come guida per gli interventi selvicolturali,
ma come indice dello stato della foresta e per
valutare, anche se sommariamente, gli effetti
di una scelta gestionale conservativa.
1.2. Area oggetto dello studio
La Riserva naturale biogenetica di Camaldoli si trova sul versante meridionale dell’Appennino Tosco-romagnolo, in Comune di
Poppi, Provincia di Arezzo.
Si estende per 1.103,69 ha, dalla quota di
770 m s.l.m. (bivio Serravalle) fino a quota
1.397 m s.l.m. (Poggio Tre Confini). Occupa
tutto l’alto bacino del Fosso di Camaldoli,
affluente dell’Archiano, a sua volta affluente
di sinistra dell’Arno. Il substrato geologico
prevalente è costituito dalla formazione sedimentaria del Macigno del M. Falterona, caratterizzata dall’alternanza di banchi di arenaria
compatta e strati di scisti argillosi.
La Foresta di Camaldoli rappresenta uno
dei complessi boscati italiani di più antica gestione. Quando, nel 1012, vi si insediarono per
la prima volta i monaci benedettini seguaci
della riforma di San Romualdo, l’intero territorio faceva parte di proprietà feudali ed era
utilizzato prevalentemente come area di caccia
e, in parte, come pascolo estivo. I monaci svilupparono, col passare dei secoli, una attività
selvicolturale “scientifica” che venne normata
da una serie di disposizioni riunite in quello che
prende il nome di “Codice forestale camaldolese” (Bottacci, 2012).
I monaci trasformarono una parte dei boschi naturali di faggio e cerro in pascoli, castagneti da frutto e, soprattutto, fustaie di abete
bianco. Una parte delle originarie faggete fu
infine destinata alla produzione di legna da
ardere e per legname da opera di piccole dimensioni.
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La coltivazione dell’abete bianco seguì gli
stessi indirizzi del vicino Monastero di Vallombrosa, costituendo piccoli popolamenti
coetanei utilizzati a taglio raso. Nonostante
l’importanza data alla coltivazione dell’abete
bianco, non possiamo dimenticare che l’attività principale svolta nella foresta fu l’allevamento del bestiame, tanto che alla metà
dell’ottocento ben 530 ha erano privi di copertura forestale e destinati a pascoli e colture
agrarie.
Nel 1866, in seguito alla soppressione degli
ordini religiosi, il Monastero, l’Eremo e la
foresta di Camaldoli divennero proprietà
dello Stato italiano. Nel 1871 la foresta fu
dichiarata inalienabile e affidata alla gestione
dell’Amministrazione forestale. Da questa
data in poi si assiste ad un aumento notevole
della superficie forestale ed in particolare di
quella riferibile alla compresa “abetina”; contemporaneamente si ha la drastica riduzione
delle superfici non forestali, che passano da
530 ha nel 1866 a 56 ha nel 1907. Tale tendenza sarà ulteriormente stimolata dalla legge
535/1901 sulle stazioni climatiche che vieterà
l’effettuazione dei tagli rasi.
La gestione di tipo prudenziale della foresta avrà come effetto anche un graduale aumento delle provvigioni, nonostante i grossi
interventi effettuati dalla Ditta Feltrinelli per i
tagli di guerra nel 1917 e dalle truppe tedesche
e inglesi durante la seconda guerra mondiale.
La foresta di Camaldoli è stata soggetta ad
una lunga attività pianificatoria a partire dal
1925.
Il primo piano di assestamento fu redatto
da Di Tella, per il periodo 1925-1934, con
metodo planimetrico-particellare (Di Tella,
1928). Questo piano prevedeva, tra l’altro la
diffusione dell’abete (da gestire con turno di
100 anni) in sostituzione delle latifoglie, in
particolare del faggio. Per la faggeta fu scelto
il trattamento a tagli successivi uniformi.
Il secondo piano fu redatto da Clauser
(1951), con la supervisione di Patrone, per il
periodo 1951-1960. Per l’abetina le prescrizioni rimasero pressoché invariate, compreso
il turno fissato in 100 anni. La gran parte della
rilievi dendrometrici per il piano di gestione della rnb di camaldoli
faggeta fu destinata a fustaia o a bosco misto
di faggio e abete.
Nel 1965 il terzo piano fu elaborato da
Meschini (1965) per il periodo 1965-1974.
Anche in questo caso le prescrizioni per l’abetina rimasero invariate (taglio raso con rinnovazione artificiale posticipata e turno di 100
anni); l’unica novità fu il tentativo di affiancare alla rinnovazione artificiale quella naturale, con l’introduzione di piccoli gruppi di
latifoglie (faggio, ontano, aceri, frassino, sorbo
degli uccellatori, ecc.). Per quanto riguarda la
faggeta si mantenne il trattamento a tagli successivi uniformi.
L’ultimo piano è stato quello redatto da Paganucci (1983), valido per il periodo 19801994. Le prescrizioni per l’abetina furono
quelle di una graduale trasformazione verso
un bosco misto col faggio, per mezzo di forti
tagli di rinnovazione nelle particelle più vecchie. Indicazioni simili furono date anche per la
faggeta, prescrivendo il taglio di quasi tutti gli
esemplari appartenenti alle classi cronologiche
più vecchie (40-60 anni e 60-80 anni). Il piano
individuava solo cinque comprese: abetina, faggeta, ceduo misto, castagneto da frutto e prati
e pascoli. Per una serie di eventi, alla luce dei
fatti, provvidenziali, tali prescrizioni sono state
attuate solo in minima parte, permettendo alla
foresta di evolvere naturalmente verso una
struttura più complessa, quale quella attuale.
Allo scadere del piano non si è proceduto
subito ad un suo rinnovo e solo da pochi anni
l’Ufficio territoriale per la Biodiversità di Pratovecchio ha dato l’avvio alla redazione di un
nuovo Piano di gestione, anche attraverso una
serie di studi preparatori (Martinelli e Quilghini, 2004; Bianchi et al., 2005a; Bianchi et
al., 2005b; Balzani et al., 2006).
Il piano dovrà tenere conto anche di alcuni
fatti nuovi. Il primo è l’inserimento della Riserva nella Rete Natura 2000 con due aree
SIC (IT5170003 Monte Faggiolo - Giogo
Seccheta¸ IT5170018 Foresta di Camaldoli e
Badia Prataglia) e con una ZPS (IT5170004
Camaldoli, Scodella, Campigna, Badia Prataglia). Il secondo l’approvazione del Piano
del Parco nazionale delle Foreste casentinesi,
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Monte Falterona e Campigna che ha previsto
la costituzione di un’area monumentale nelle
abetine della Riserva che circondano l’Eremo
di Camaldoli. Su questa area è richiesto il
mantenimento della fustaia pura e coetanea
di abete bianco. Tale prescrizione propone al
pianificatore una interessante sfida per assicurare il mantenimento delle struttura storicamente e paesaggisticamente importante, senza
però ricorrere al tradizionale taglio a raso con
rinnovazione artificiale posticipata, intervento
che esula completamente dagli indirizzi generali di gestione della Riserva stessa.
2. Materiali e metodi
2.1. Reticolo di campionamento
Per la stima del volume legnoso presente
nella Riserva, tenendo conto anche delle limitate risorse economiche a disposizione, si è
fatto ricorso ad un indagine campionaria.
Per la scelta del reticolo di campionamento
si sono seguite le indicazioni di Kurt (1987)
che consiglia una maglia triangolare, ritenendola più idonea ai boschi di montagna con
elevate pendenze del terreno.
Per mezzo della stazione GIS presente
presso l’UTB si è sovrapposto alla carta forestale della Riserva un reticolo a maglia triangolare di 100 m di lato (Figura 1). Si sono così
individuati 1.341 punti di inserzione che sono
stati numerati in ordine progressivo. Per ogni
punto, sempre per mezzo del GIS, sono state
determinate le coordinate nominali secondo il
sistema Gauss-Boaga.
2.2. Intensità di campionamento. Indagine pilota
Per determinare l’intensità di campionamento è stata eseguita un’indagine pilota.
Sono stati estratti a sorte 20 punti individuati
poi sul terreno per mezzo di un GPS palmare
Garmin map 76 CSX. In ciascun punto sono
stati fatti i rilievi su un’area di saggio come
descritto successivamente. Basandosi sul parametro “area basimetrica” si è proceduto al
calcolo del coefficiente di variazione (CV) che
è risultato pari a 0,5.
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Figura 1 – Mappa della Riserva naturale biogenetica di Camaldoli con sovrapposto il reticolo
di campionamento ed i punti di rilievo di prima e seconda fase.
Successivamente si è valutato il numero di
aree campione, per un errore percentuale massimo tollerato (ecp0) del 10%, inserendo il CV
calcolato nella seguente formula:
N = (100 * t * CV / ecp0)²
dove:
N = numero aree di saggio;
t = t di Student (=1,729 per df = 19 e p = 0,05);
CV = coefficiente di variazione = s/m;
s = scarto quadratico medio dell’area basimetrica per ettaro media delle 20 aree;
m = area basimetrica per ettaro media delle 20
aree di saggio;
ecp0 = errore percentuale massimo tollerato (=
10%).
rilievi dendrometrici per il piano di gestione della rnb di camaldoli
L’utilizzo della formula sopra riportata ha
permesso di determinare in 82 il numero di
aree di saggio necessarie per avere risultati
con l’attendibilità richiesta, tali cioè da poter
essere applicati all’intero soprassuolo della Riserva.
Solo successivamente, ed a scopo puramente
indicativo, si è proceduto ad un’analisi stratificata dei dati, assegnando ciascuna area di
saggio ad uno delle seguenti tipologie di soprassuolo: abetina, faggeta, bosco misto di
abete bianco e faggio, altre latifoglie (castagneti, querceti di roverella e cerro, carpirete),
altre conifere (pinete di pino nero, pino laricio
e pino silvestre, fustaie di douglasia). Sull’insieme delle aree di saggio ricadenti in ciascun
strato si è proceduto al calcolo dell’errore statistico per valutare il grado di attendibilità dei
risultati ottenuti.
2.3. Area campione
In corrispondenza del punto è stato fissato il
centro di un’area campione di forma circolare
con 12 m di raggio (superficie = 452,16 m2).
Per ogni area campione sono state determinate
le coordinate reali con GPS, come media
di almeno 100 misurazioni. Partendo dalla
pianta più vicina al centro in direzione N e
procedendo verso la periferia ed in senso
orario, sono stati rilevati i seguenti parametri:
–Specie.
– Diametro a petto d’uomo (d1,30) di tutti i
fusti vivi, con soglia diametrica minima ≥
7,5 cm (media di due misure ortogonali tra
loro).
–Altezza (H). L’altezza è stata misurata
con Ipsometro Vertex su 1 pianta ogni 5
cavallettate.
–Altezza dominante (Hd). Con lo stesso
strumento sono state misurate le altezze
delle 4 piante di diametro maggiore per
ogni area campione.
Le altezze sono state utilizzate per la
costruzione di curve ipsometriche per specie
o gruppi di specie al fine di procedere alla
cubatura delle singole piante per mezzo di
tavole a doppia entrata.
Per la cubatura delle aree campione sono
state utilizzate le stesse tavole impiegate nei
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precedenti Piani di assestamento della Foresta
di Camaldoli, questo al fine di favorire anche
il confronto tra piani successivi. Per quanto
riguarda i querceti, per i quali non vi erano
tavole già utilizzate e locali, si è fatto ricorso
alla tavola generale elaborata per l’Inventario
forestale nazionale.
Per la cubatura dei soprassuoli sono state
impiegate le Tavole generali di cubatura
realizzate per l’Inventario forestale nazionale
(IFNI, 1985).
Trattandosi di popolamenti sostanzialmente
coetanei per particella, l’età media ponderata
(Emp) è stata determinata basandosi sull’età e
sulla superficie di tutte le particelle assegnate
allo strato considerato, ricavate dal precedente
Piano di Assestamento (Paganucci, 1983) e
dal Registro particellare conservato presso
l’UTB di Pratovecchio.
L’incremento medio (Im), totale e per strato,
è stato calcolato come rapporto tra il volume
(totale e dello strato) e l’età media ponderata.
Inoltre sono stati calcolati l’età media ponderata per strato e per l’intera foresta, l’incremento medio di massa per strato e l’incremento medio ponderato di massa (Imp).
Quale fattore di ponderazione è stata utilizzata
la superficie occupata da ogni strato. L’incremento è stato calcolato come illustrato sopra,
in quanto i dati volumetrici dell’ultimo piano,
desunti per calcolo e non per cavallettamento
totale, e l’allibramento delle utilizzazioni non
hanno permesso di confrontare i dati.
Allo scopo di stimare il volume del legno
morto (necromassa) presente nella Riserva,
per ogni area campione sono stati applicati i
criteri dell’Inventario Nazionale delle Foreste
e dei Serbatoi di Carbonio (Tabacchi et al.,
2006) con alcune modifiche, come riportato
di seguito:
–Necromassa in piedi (sdt). Sono stati
misurati tutti i tronchi in piedi con H >
1,30 m e d1,30 ≥ 7,5 cm. Di ciascun tronco
sono stati misurati il d1,30 e l’altezza. Per la
determinazione del volume si è seguito il
metodo proposto all’interno del progetto
ForestBIOTA (Forest Biodiversity Testphase Assessment, www.forestbiota.org): gli
alberi interi sono stati cubati con le stesse
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tavole utilizzate per gli alberi vivi; il volume
di quelli stroncati ad altezze superiori ai 4 m
è stato stimato applicando al volume delle
tavole un fattore di riduzione in funzione
anche del volume di fusti simili atterrati;
per gli alberi in piedi stroncati ad altezza
uguale o inferiore ai 4 m, il volume è stato
stimato applicando la formula di Huber.
– Per quanto riguarda il volume di altri pezzi
di necromassa, ogni pezzo inventariato
è stimato mediante la formula di Huber,
mentre il volume di ogni ceppaia
inventariato nelle sottoaree è stimato dalla
formula di Smalian.
– Necromassa a terra (cwd). Tutte le porzioni
di legno a terra con il diametro ≥ 7,5 cm
sono state cubate con la formula della
sezione mediana di Huber.
– Ceppaie (stumps). Sono state assegnate a
questo gruppo tutte le ceppaie di H < 1,30
m. Per la stima del volume è stata applicata
la forma della sezione media di Smalian.
Sono stati rilevati anche gli stadi di
decomposizione del legno morto, secondo la
classificazione proposta da Hunter (1990),
attribuendo ciascuna porzione di legno morto
ad una delle cinque classi previste, sulla base
della stima visiva (colore, presenza di corpi
fruttiferi, di insetti, rosure, corteccia, ecc.) e
tattile (consistenza del materiale) (Tabacchi
et al., 2006).
2.4. Rilievo relascopico
Contemporaneamente ai rilievi tradizionali,
in ogni area di saggio sono state fatte 5 aree relascopiche, utilizzando il relascopio a specchi
di Bitterlich; tenendo conto delle caratteristiche del soprassuolo, si è impiegata la banda
del 2. Le aree relascopiche sono state distribuite su un cluster formato da un area centrale
coincidente con il punto centrale dell’area
campione e 4 aree individuate lungo gli assi
dei punti cardinali con punto di stazione distante 10 m dal centro dell’area campione. I
risultati delle 5 misurazioni sono stati mediati.
Si è infine proceduto al confronto dei
risultati dell’area campione “tradizionale” e
delle aree relascopiche sul cluster, anche in
prospettiva di intensificare i rilievi utilizzando
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un metodo di facile applicabilità e a costi
relativamente bassi.
3. Risultati e discussione
3.1. Analisi dei rilievi sulle 82 aree di saggio
Mediando i valori dei parametri misurati
nelle 82 aree campione si sono ottenuti i valori
riportati in Tabella 1.
Il numero delle piante vive per ettaro è
risultato pari a 673, valore relativamente
alto anche in rapporto all’età media dei
popolamenti della Riserva che è di 84 anni.
Questo valore è da collegarsi sia alla diffusione
di specie sciafile che alla gestione di tipo
conservativo, cui è stata soggetta la foresta
ormai da alcuni decenni, con la quasi totale
sospensione dei tagli intercalari.
Abete bianco e faggio sono le specie
numericamente più presenti, rispettivamente
con il 39,08% ed il 37,15%, come ci si
sarebbe aspettato in considerazione del tipo
di soprassuolo prevalente (fustaia di faggio
e fustaia di abete bianco più o meno mista a
faggio).
L’area basimetrica per ettaro media (G),
calcolata sulle 82 aree, è pari a 48,35 m2ha-1
e indica una foresta in buone condizioni di
accrescimento. A questa area basimetrica
l’abete bianco contribuisce per il 56,15%
mentre la quota percentuale dovuta al faggio è
del 24,27%. La maggiore differenza tra le due
principali specie riguardo all’area basimetrica
in confronto alla differenza nel numero di
esemplari è certamente dovuta alle maggiori
dimensioni diametriche medie delle abetine,
ormai non più soggette al taglio raso da molti
anni, mentre una buona parte dei popolamenti
di faggio risente ancora di pregressi interventi
di utilizzazione, sia col governo a ceduo che
col trattamento a tagli successivi delle fustaie.
Particolarmente interessante è il confronto
dei valori di area basimetrica ottenuti col
cavallettamento totale delle aree di saggio
con quelli ottenuti con i rilievi relascopici.
Come già segnalato, col primo metodo si è
misurata una G = 48,35 m2ha-1 (e = 6,34%)
col metodo relascopico si è stimata una G =
rilievi dendrometrici per il piano di gestione della rnb di camaldoli
323
Tabella 1 – Valori medi di alcuni parametri dendrometrici rilevati nelle 82 aree campione cavallettate,
distribuiti per specie.
Specie
NN% G G% V V%
(m2ha-1) (m3ha-1)
Abete bianco 26339,08 27,1556,15359,8358,53
Pino nero
202,97 1,623,3520,413,22
Abete rosso
30,45 0,861,7711,543,32
Douglasia
10,15 1,232,5419,811,88
Altre conifere 10,15 0,120,24 1,440,23
Totale conifere 28842,79 30,9964,08413,0367,19
Faggio
25037,15 11,7424,27141,1422,96
Cerro
416,09 2,354,8626,134,25
Acero di monte
26
3,86
1,39
2,86
15,40
2,50
Castagno
101,49 0,581,2 6,181,00
Altre latifoglie 588,62 1,312,7 12,892,10
Totale latifoglie 38557,21 17,3635,92201,7332,81
TOTALE
673
100,00 48,35100,00 614,76100,00
Legenda:
N = numero di piante ad ettaro.
G = area basimetrica ad ettaro.
V = volume ad ettaro.
50,35 m2ha-1 (e = 4,57%). I due risultati sono
pertanto simili e ugualmente attendibili. In tal
modo in futuro sarà possibile procedere con
ulteriori rilievi relascopici sui punti della rete
di campionamento, con costi sensibilmente
più bassi.
A questa area basimetrica corrisponde un
volume medio di 614,76 m3ha-1. Tale volume,
dovuto per il 58,53% all’abete bianco e per il
22,96% al faggio, può apparire basso, tenuto
conto dell’età media dei popolamenti; occorre
però considerare alcuni fattori che influiscono
su questo dato. In primo luogo si deve tenere
conto della presenza di aree a minor densità
o di veri e propri gaps, dovuti a sradicamenti
e stroncamenti, a loro volta legati alla moria
dell’abete bianco (Tannensterben), fenomeno
che oggi è poco diffuso ma che negli anni ’80
ha inciso molto sulla vitalità e sulla stabilità
delle particelle di abetina (Clauser e Gellini,
1986; Bottacci et al., 1988). In secondo luogo
è da considerare la presenza di popolamenti di
cerro e di faggio utilizzati, fino a pochi anni fa,
con diradamenti e avviamenti a fustaia, per la
fornitura di legna da ardere ai monaci e alle
strutture dell’Amministrazione. Sul volume
incidono, infine, gli incrementi minori delle
particelle di crinale, prevalentemente di faggio
e, in parte, di abete bianco.
3.2. Analisi dei rilievi applicati all’intera
foresta e per strati
Basandosi sui dati ottenuti nelle aree di
saggio è stata effettuata una analisi per l’intera
foresta e disaggregata per tipo di soprassuolo,
individuando i seguenti strati: fustaia pura di
abete bianco, fustaia pura di faggio, fustaia mista
di abete bianco e faggio, fustaia di latifoglie
varie (cerro, castagno, acero di monte, ecc.),
fustaia di conifere varie (douglasia, pino nero,
pino silvestre).
In Tabella 2 sono riportati i valori dei
principali parametri analizzati per tipo di
soprassuolo e sull’intera superficie della
Riserva.
L’errore statistico percentuale, calcolato per
G e per V, è rimasto, per tutti i tipi di soprassuolo, entro limiti tollerabili (e ≤ 20%), eccettuato per lo strato fustaia di conifere varie,
dove si sono avuti errori rispettivamente pari
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a. bottacci et al.
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Tabella 2 – Principali parametri rilevati nelle aree di saggio distribuiti nei 5 tipi di soprassuolo considerati.
Tipo di soprassuolo
(strato)
Sup.
ADS
N/ha
(ha) (n)
Dm G
e%
V
e%
cm(m2ha-1)(m3ha-1)
Emp
Imp
(anni)(m3ha-1a-1)
Fustaia pura
di abete bianco
515,02
34
571
36,00
58,17
Fustaia pura
di faggio
255,57
20
759
25,97
39,27
15,60
479,27
16,75
84
5,71
Fustaia mista di
abete bianco e faggio 167,28
16
751
27,06
45,97
12,39
561,13
15,07
89
6,30
9
750
22,44
31,73
11,73
331,37
18,20
62
5,34
Fustaia di latifoglie
varie
Fustaia di conifere
varie
Totali e medie 111,18
6,24775,22 7,86 87
8,91
37,34
3
619
31,51
58,06
43,92
835,72
71,10
75
11,14
1.086,39
82
673
30,16
49,14
6,48
629,29
8,26
84
7,49
Legenda:
Sup. = superficie occupata dallo strato (rilievi 2010).
ADS = numero delle aree di saggio.
N/ha = densità (numero di piante ad ettaro).
Dm = diametro medio.
G = area basimetrica ad ettaro misurata col cavallettamento totale dell’area di saggio.
e% = errore percentuale (p=0,10).
Emp = età media ponderata.
Imp = incremento medio ponderato.
a 43,92 % (per G) e 71,10% (per V). I valori
ottenuti per quest’ultimo strato sono quindi
assolutamente privi di significatività statistica.
I 5 tipi di soprassuolo considerati coprono
1.086,38 ha, pari al 98,43% della superficie
totale della Riserva di Camaldoli.
Lo strato fustaia di abete bianco presenta
le densità più basse (571 piante /ha) ed il
diametro medio più alto (36 cm), questo è
da collegare all’età dei popolamenti e ai già
accennati fenomeni di deperimento dell’Abete
bianco che determinano la morte di numerosi
esemplari.
Per quanto riguarda l’area basimetrica per
ettaro, i valori più alti si trovano nella fustaia
pura di abete bianco (58,17 m2ha-1) e nella fustaia
mista di abete bianco e faggio (45,97 m2ha-1).
La vitalità dei popolamenti è anche
evidenziata dal volume ad ettaro, a sua volta
legato all’altezza, al diametro medio e alla
densità. Grazie alle altezze medie superiori
rispetto agli altri tipi di soprassuolo (Tabella 3),
la fustaia pura di abete bianco presenta un
volume medio pari a 775,22 m3h-1, al quale
corrisponde un incremento medio di massa
principale di 8,91 m3h -1anno -1. I valori
mostrano come l’abetina, nonostante nel
corso degli anni si siano presentati eventi
negativi (sradicamenti da neve e vento, effetti
del Tannensterben, attacchi parassitari, ecc.),
presenti ancora una buona vitalità. I valori
più bassi di volume e di incremento medio,
rilevati negli strati di fustaia mista di abete
bianco e faggio (561,13 m3h-1; 6,3 m3h-1anno-1)
e di fustaia pura di faggio (479,27 m3ha-1; 5,71
m3ha-1anno-1), evidenziano la presenza di
popolamenti giovani e utilizzati fino a pochi
Tabella 3 – Altezza media e altezza dominante dei vari tipi
di soprassuolo e dell’intera foresta (valori ponderati sulla
superficie dei tipi di soprassuolo).
Tipo di soprassuolo
Hm
Hd
(m)(m)
Fustaia pura di abete bianco
Fustaia pura di faggio
Fustaia mista di abete bianco e faggio
Fustaia di latifoglie varie
Fustaia di conifere varie
25,20
18,58
20,38
16,79
25,75
29,23
22,62
25,83
21,28
30,01
Tutta la foresta
21,95
26,28
rilievi dendrometrici per il piano di gestione della rnb di camaldoli
anni or sono, come è confermato anche dal
registro particellare conservato presso l’UTB
di Pratovecchio. Occorre evidenziare anche
che nello strato fustaia mista di abete bianco
e faggio vi è una diffusa presenza di gruppi di
faggi giovani derivati dalle sottopiantagioni,
una pratica iniziata nei primi anni settanta
ed ancora impiegata con ottimi risultati, sia
dal punto di vista dei costi che dal punto di
vista del successo dell’impianto (Bottacci e
Clauser, 2004).
3.3. Analisi del volume di legno morto
(necromassa)
I dati riassuntivi sono riportati in Tabella 4.
Il volume di legno morto ad ettaro è risultato
molto variabile tra i vari tipi di soprassuolo. Il
valore medio per l’intera foresta (22,95 m3ha1
) è abbastanza alto (tenuto conto che si tratta
di popolamenti sottoposti ad un regolare
regime di utilizzazioni fino a pochi anni fa).
In particolare la fustaia pura di abete bianco
presenta un valore di 34,38 m3ha-1, dovuto alla
diffusione di grosse piante morte a terra o in
piedi, mentre la percentuale di questo volume
costituita dalle ceppaie è relativamente bassa
(9,65%). Su questo dato influiscono le scelte
gestionali recenti che hanno sospeso gli
interventi colturali (come i diradamenti) e
hanno limitato l’esbosco alle piante morte o
325
deperenti nelle aree a più facile accessibilità.
Calcolando il rapporto percentuale tra la
necromassa ed il volume si ottiene un valore
medio ponderato per tutta la foresta pari a
3,71%; questo valore si avvicina a quelli segnalati in foreste vicino allo stadio di popolamento vetusto (Lombardi et al., 2010). Il
valore del rapporto aumenta in alcuni tipi di
soprassuolo, come nel caso di fustaia pura di
abete bianco (4,54%) e di fustaia mista di abete
bianco e faggio (4,48%); questi valori evidenziano l’evoluzione dei popolamenti verso stadi
più maturi, come conseguenza della sospensione degli interventi di utilizzazione. I bassi
valori del rapporto necromassa/volume piante
vive riscontrati nella fustaia di latifoglie varie
(1,18 %) e nella fustaia pura di faggio (1,99
%) sono da collegarsi agli interventi di avviamento ad alto fusto e di diradamento dal
basso attuati fino a pochi anni fa, anche con lo
scopo di ottenere legna da ardere.
In Tabella 5 è riportata la distribuzione percentuale delle necromassa totale per tipo di
soprassuolo, tipologia e classe di decomposizione.
Gli strati fustaia pura di abete bianco e fustaia
mista di abete bianco e faggio presentano una distribuzione della necromassa concentrata nelle
prime due classi della tipologia “necromassa in
piedi”; in particolare la maggior parte del vo-
Tabella 4 – Distribuzione della necromassa per componenti del legno morto e tipo di soprassuolo (strati).
Tipo di
Necromassa Necromassa
Ceppaie
Necromassa
Volume
soprassuolo
in piedi
a terra
totale
piante vive
(m3ha-1)%
(m3ha-1)%
Fustaia pura
di abete bianco
(m3h-1)%
Necromassa /
volume
piante vive
(m3h-1)(m3h-1)%
15,44
44,90
15,63
45,45
3,32
9,65
34,38
775,22
4,43
2,83
26,36
5,79
53,94
2,11
19,70
10,73
479,27
2,24
Fustaia mista di abete
bianco e faggio
14,97
59,31
7,40
29,32
2,87
11,36
25,24
561,13
4,50
Fustaia di
latifoglie varie
0,73
17,27
2,10
49,84
1,38
32,90
4,21
331,37
1,27
Fustaia di
conifere varie
15,30
84,03
1,22
6,72
1,68
9,25
18,20
835,72
2,18
Tutta la foresta
10,73
42,22
9,57
42,943
2,64
14,84
22,95
629,29
3,65
Fustaia pura
di faggio
326
a. bottacci et al.
ifm lxvii -
4/2012
Tabella 5 – Distribuzione percentuale della necromassa tra le classi di decomposizione (1-5) tra i componenti del legno
morto in ogni tipo di soprassuolo.
Tipo di soprassuolo
Fustaia pura
di abete bianco
Fustaia pura
di faggio
Fustaia mista di
abete bianco e faggio
Fustaia di
latifoglie varie
Necromassa in piedi
12345
20,75 16,12 6,56 1,46
6,81
5,68 13,88
25,04 26,44 7,39 0,44
6,97
10,29
Necromassa a terra
Ceppaie
123 4 5
7,97
9,83 15,92
12345
3,59
8,15
0,76 0,72 0,84 2,62 4,71
0,00 0,51 2,20 8,54 8,45
6,48 24,10
6,58
9,57
7,21
8,29
6,56
3,15
6,39
4,93
1,21 38,30
9,24
0,22
0,86
4,68
2,04
Fustaia di
conifere varie
57,60 26,43
Tutta la foresta
18,8914,18 8,45 0,69
6,4415,2010,18 5,01 6,10
lume è dovuta a esemplari di abete bianco di
grosse dimensioni, morti in piedi di recente e
quindi non utilizzati negli interventi fitosanitari.
La fustaia pura di faggio e la fustaia di latifoglie
varie hanno invece un massimo di necromassa
nella classe 2 di composizione e nella tipologia
“materiale a terra”; tale situazione evidenzia la
fase di transizione nella quale si trovano i boschi di latifoglie, nei quali sono stati sospesi da
alcuni anni i tagli di avviamento e anche i tagli
fitosanitari. In conseguenza di questo e della
fase di transizione verso una fustaia più strutturata, alcuni esemplari muoiono e crollano.
Occorre anche considerare che, in questi strati
l’innalzamento del piano delle chiome porta
ad una modificazione sostanziale della tipologia della chioma, con la morte e la successiva
caduta di molti rami dalle porzioni inferiori.
La presenza di una buona percentuale di necromassa nelle ceppaie di classe 5 dello strato
fustaia di latifoglie varie deve essere considerata
come “memoria” delle pregresse utilizzazioni
e degli interventi di avviamento ad alto fusto
eseguiti alcuni decenni or sono.
4. Conclusioni
La presente indagine può essere considerata
innovativa, rispetto a quelle messe in atto per
la redazione dei precedenti Piani di Assesta-
0,33 2,60 3,12 5,32
0,17 0,19 6,54 7,47 18,53
0,68 2,81 3,88 1,87
0,340,552,19 4,737,03
mento. Essa, la prima dopo molti anni, ha
permesso di ottenere informazioni sufficientemente approssimate sulla quantità e composizione del volume e della necromassa presenti
nella Riserva.
Tali informazioni rappresentano una base
per calibrare meglio gli indirizzi gestionali dei
soprassuoli, anche se, trattandosi di una Riserva naturale biogenetica e non di una foresta produttiva, il Piano di gestione terrà conto
anche di molti altri aspetti riguardanti le varie
componenti degli ecosistemi forestali presenti.
La composizione del soprassuolo risente decisamente dell’impostazione colturale data alla
foresta nel corso dei secoli e soprattutto negli
ultimi 140 anni, da quando cioè la Foresta di
Camaldoli è stata gestita dall’Amministrazione
forestale dello Stato. In particolare si ha ancora una ampia diffusione dell’abete bianco
coltivato in purezza, mentre la rinaturalizzazione con inserimento di faggio sotto la copertura di abete bianco è ancora diffusamente
agli stadi iniziali anche se promettenti.
Interessante notare come i popolamenti, nonostante già da molti anni siano stati pressoché sospesi gli interventi selvicolturali, previsti
nel piano precedente, si presentino in ottime
condizioni e mostrino provvigioni e incrementi elevati. In particolare le abetine pure e
le fustaie miste di abete bianco e faggio, che,
pur avendo superato in molti casi i 100 anni
rilievi dendrometrici per il piano di gestione della rnb di camaldoli
del turno tradizionale, presentano ancora incrementi medi di tutto rispetto (8,91 m3ha-1a-1
e 6,3 m3ha-1a-1).
Pur avendo utilizzato le Tavole di cubatura
IFNI, un dato interessante è stata la presenza
di un buon numero di esemplari di diametro
superiore a quello massimo delle tavole di cubatura utilizzate nei rilievi dei precedenti piani
(Di Tella, 1919; Patrone, 1941; Cantiani,
1960; Bernetti, 1965). Segno questo di un
cambiamento anche strutturale del soprassuolo dove si accentua la presenta di piante
monumentali o, quanto meno, di grandi dimensioni (sono presenti vari esemplari di
abete bianco di altezza superiori ai 40 m e
faggi con diametri superiori a 150 cm) (Bottacci et al., 2007). In epoche passate l’applicazione delle prescrizioni dei piani, con turno
dell’abete bianco fissato a cento anni, non permetteva l’ulteriore sviluppo degli esemplari e
il loro progressivo trasformarsi in alberi monumentali, oggi particolarmente tutelati anche
dal Piano del Parco nazionale. In particolare si
è potuto riscontrare che per l’abete bianco lo
0,5% delle piante cavallettate aveva diametro
superiore a 75 cm (diametro massimo della tavola del Di Tella (1919), mentre per il faggio
la percentuale sale a 1,82 % rispetto alla tavola
di Patrone (1941). Dati decisamente superiori
si sono riscontrati per il pino nero e silvestre
(22,45% di piante con diametro superiore al
massimo della tavola di Cantiani, 1960) e per
la douglasia (13,79% di piante con diametro
superiore a quello massimo della tavola di
Bernetti, 1965).
Interessanti sono anche i risultati ottenuti
sui popolamenti di altre latifoglie (querceti a
cerro, castagneti e, anche se in misura minore,
ostrieti). Nonostante che questi popolamenti
si trovino nelle aree meno fertili della Foresta e siano stati oggetto di interventi più forti
fino a pochi anni fa, mostrano una vitalità che
fa ben sperare per un rapido recupero di una
struttura più evoluta e con maggiore resilienza.
Un discorso a parte va fatto per la presenza
delle necromassa che, specialmente nelle abetine pure e nelle fustaie miste di abete bianco
e faggio, è alquanto elevata. In tal modo si sta
raggiungendo una complessità strutturale del
327
popolamento alla quale corrisponde un miglioramento della biodiversità, come evidenziato da numerosi studi sul valore del legno
morto (Saniga e Schütz, 2002; Tagliapietra, 2003; Radu, 2006; Travaglini et al.
2006; Winter e Möller, 2008;).
In conclusione il presente lavoro, il primo
di questo genere per la foresta di Camaldoli,
ha fornito buoni risultati conoscitivi sui soprassuoli della foresta, con una metodologia
di rilievo statistico relativamente semplice
e poco onerosa. Sulla base dei risultati del
presente lavoro e del confronto statistico tra
errore dei rilievi per area di saggio e rilievi
relascopici sarà, infine possibile condurre
ulteriori stime attraverso i soli rilievi relascopici, in nuovi punti casuali della maglia di
campionamento.
Ringraziamenti
Gli autori vogliono ringraziare per la preziosa collaborazione durante i rilievi di campagna gli Operatori forestali dott.ssa Barbara
Rossi e dott. Sandro Aurelio Marsella, dell’Ufficio territoriale per la Biodiversità di Pratovecchio.
Un grazie particolare va al dott. Fabio Clauser, già Amministratore delle Foreste Casentinesi, per la sua costante disponibilità a dare
indicazioni, consigli e indirizzi, risultati sempre determinanti per la strutturazione del progetto di rilievo, per la valutazione dei risultati
e, infine, per la stesura del testo.
SUMMARY
Dendrometric survey for the Management Plan
of the Natural Biogenetic Reserve of Camaldoli
This paper is part of the preliminary research of the
Management Plan of the Natural Biogenetic Reserve
of Camaldoli. It presents the results of a recent sample
survey regarding the parameters of forest crops covering
98% of the reserve. The survey was carried out on 82
sample areas with m 12 radius. The main dendrometric
parameters were measured, i.e. diameter, height,
volume, density, average increment. At the same time in
those areas a relaskopic survey on the cluster was carried
out in order to verify its reliability for possible future
research with more speedy methods.
328
a. bottacci et al.
Data concerning deadwood were collected as well:
average value 22,95 m3 ha-1 corresponding to 3,71%
of living timber volume per hectare. In conclusion, an
average of 673 living trees per ha, with 48,35 m2ha-1 of
mean basal area, and volume of 614,76 m3 ha-1. Silver fir
and beech represent over 81% of total volume.
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