Foscolo Analisi del testo
Transcript
Foscolo Analisi del testo
ZACINTO A Zacinto, il nono dei sonetti di Ugo Foscolo, presenta numerose affinità con In morte del fratello Giovanni, che occupa la decima posizione. I due componimenti presentano temi affini, un linguaggio poetico corrispondente, e sono stati entrambi composti in un periodo circoscritto. Il decimo è stato scritto successivamente e completa il nono. Se il nono sonetto guarda al passato, il decimo guarda al futuro; se il motivo ispiratore del nono sonetto è la condizione esistenziale di esule del Foscolo e il presagio di avere una tomba senza pianto, il decimo sonetto, ispirato dal suicidio del fratello, constatata la disperazione del tempo presente e conferma i dubbi sul futuro e cioè di morire in terra straniera. Foscolo fu buon profeta del proprio destino: morì a Londra e solo grazie alla generosità degli inglesi, le sue ossa nel 1871 sono state rese all'Italia e traslate a Firenze, dove riposano nella chiesa di Santa Croce. A Zacinto Né più mai toccherò le sacre sponde ove il mio corpo fanciulletto giacque, Zacinto mia, che te specchi nell'onde del greco mar da cui vergine nacque Venere, e fea quelle isole feconde col suo primo sorriso, onde non tacque le tue limpide nubi e le tue fronde l'inclito verso di colui che l'acque cantò fatali, ed il diverso esiglio per cui bello di fama e di sventura baciò la sua petrosa Itaca Ulisse. Tu non altro che il canto avrai del figlio, o materna mia terra; a noi prescrisse il fato illacrimata sepoltura. Parafrasi: Io non potrò mai più toccare le sacre sponde dove trascorsi la mia giovinezza, o Zante mia, che ti rispecchi nelle onde del mare greco dal quale nacque la dea vergine Venere, e rese fertili quelle isole attraverso il suo primo sorriso, motivo per cui l’alta poesia di Omero non poté non parlare del tuo limpido cielo e delle avventure per mare, governate dal fato, di Ulisse e il suo esilio, diverso dal mio (perché io non tornerò più), per il quale, bello per la fama ma anche per la sua malasorte, è arrivato alla fine a baciare la sua rocciosa Itaca . Tu, Zacinto, non avrai altro che la poesia del tuo figlio, perché per me il destino ha stabilito una sepoltura senza lacrime (non pianta dai propri cari). Spiegazione: Il tema del sonetto verte sulla precarietà della condizione di esule e sul sentimento nostalgico nei confronti di una piccola isola del mar Ionio, molto amata, dove il poeta è nato. L’elemento centrale della poesia è l'amore per la patria, lontana e irraggiungibile. E la triplice negazione iniziale esprime per l'appunto la convinzione del poeta di non poter farvi più ritorno. Ripensando alla fanciullezza il poeta ricorda le bellezze del clima e della vegetazione dell'isola, creata dalla dea Venere – nata dalle acque del mare – che lei rese fertile con il suo primo sorriso; e il sublime poema di Omero non poté tacerne il limpido cielo e la vegetazione e narrò le acque fatali e il diverso destino di Ulisse il quale, esule anch'egli, ricco di fama e di sventura, riuscì a ritornare ad Itaca. Tu, o materna mia terra, conclude il Foscolo, non avrai che questa poesia da tuo figlio, perché il Fato ha prescritto a me una tomba senza pianto. La poesia procede senza soluzione di continuità in un crescendo di tensione che toglie il respiro. L'ultima terzina riprende e chiude il tema iniziale. Il motivo della disperazione del poeta è la condizione dell'esule che lancia il suo grido di dolore contro il fato avverso. Ma il Foscolo sviluppa questo messaggio in un crescendo di confronti tra sé e Omero e tra sé e Ulisse. Il Foscolo canta le proprie sventure, mentre Omero celebrò i viaggi di Ulisse, che poté a ritornare a baciare la «petrosa Itaca», mentre a lui non riuscirà di ritornare nella sua piccola isola. Ma come la poesia di Omero ha reso immortale Ulisse e Itaca, così la poesia di Foscolo ha una possibilità di perpetuare la fama di Zacinto e il ricordo del poeta che la canta. Il fato avverso lo costringe a peregrinazioni senza sosta e il poeta sente che e stata stabilita per lui una sepoltura solitaria. Temi Scritto dal Foscolo tra il 1802 e il 1803, il sonetto costituisce una perfetta sintesi della dominante tradizione neoclassica e degli innovativi orientamenti romantici dell'autore. Richiama il mondo della Grecia arcaica e manifesta i sentimenti tipici delle tendenze preromantiche: l'amor di Patria, l'ossessione della morte, la precarietà del tempo, la Poesia, che celebra eroismo e sventura... La vita è avversa e va affrontata secondo una concezione materialistica che esclude un possibile rifugio nella religione. Tra le due componenti è l'anima romantica a prevalere. Temi Romantici: Patriottismo, eroe romantico in esilio Temi Neoclassici: Presenza di Grecismi e Latinismi (Zacinto), figure mitologiche ( Venere), e Omero Intreccio Romantico e Neoclassico: Il tema romantico si intreccia con quello neoclassico quando Foscolo richiama l’ attenzione sul personaggio mitologico di Ulisse, sottolineando in particolar modo la patria ed il fatto che, anche lui come Ulisse, era in esilio. Comunque la figura mitologica (neoclassica) in questo caso, coincide con l’ eroe romantico. Figure Retoriche Le figure retoriche donano al sonetto purezza formale e una perfezione stilistica e, insieme ai riferimenti alla cultura classica, una forma neoclassica all'interno della quale si materializzano i tumultuosi pensieri dell'autore. Perifrasi = V 2 “dove…giacque” Sineddoche = V3: nell'onde; V 7: “nubi” Litote = V 6: “non tacque” Antitesi = V 11: “baciò-petrosa” Struttura La composizione è perfetta, sonetto (metro composto da 14 versi endecasillabi suddivisi in due quartine e due terzine) a rima ABAB ABAB CDE CED, ricca di allitterazioni consonantiche come la cl - f - e suoni vocalici come la e - i - o. Il lessico della poesia è altamente letterario, aulico, pregiato, selezionato e connotativo. La poesia ha un lungo periodo ipotattico che abbraccia le due quartine e la prima terzina. L'ultima terzina ha due periodo paratattici, ma il secondo è in effetti una subordinata causale, introdotta dal punto e virgola. Il primo periodo sintattico ha un andamento sinuoso e veloce, come le acque di un fiume che scorre tra le anse sempre più veloce, fino ad arrivare alla cascata finale, e di nuovo nel letto piatto lentamente il fiume riprende la sua corsa. Così in questo sonetto dopo l'incipit si susseguono sei relative, una dopo l'altra, in un crescendo di immagini nuove e creative fino all'ultima che descrive Ulisse nel suo drammatico viaggio. Il sonetto nella sua ultima terzina riprende il percorso, lentamente, per finire il senso drammatico espresso nei primi due versi. IN MORTE DEL FRATELLO GIOVANNI Gemello del sonetto A Zacinto, ne riprende i temi, introducendo l'evento luttuoso del suicidio del fratello minore di Ugo Foscolo, Giovanni Dionigi, ufficiale dell'esercito della Repubblica Cisalpina, uccisosi a vent'anni nel 1801, forse per il disonore di aver sottratto alla cassa del reggimento la somma necessaria a saldare i propri debiti di gioco. A lui dedicato, ne prende anche il titolo: In morte del fratello Giovanni. Decimo dei dodici Sonetti del Foscolo, come il precedente, fonde la tradizione neoclassica con la cultura del Romanticismo. Composto nel 1803 a Milano, dove il Foscolo si trovava in esilio, il sonetto, altrettanto bello quanto il precedente, ne accentua ulteriormente il senso di sconforto esistenziale. Anche stavolta il poeta si avvale dei temi della cultura classica. Compaiono riferimenti ad alcuni celebri versi che il poeta Catullo scrisse per commemorare la morte del proprio fratello, e la composizione risuona dei modelli poetici e dei versi di Tibullo, Virgilio e Petrarca. In morte del fratello Giovanni Un dì, s'io non andrò sempre fuggendo di gente in gente, me vedrai seduto su la tua pietra, o fratel mio, gemendo il fior de' tuoi gentil anni caduto. La Madre or sol suo dì tardo traendo parla di me col tuo cenere muto, ma io deluse a voi le palme tendo e sol da lunge i miei tetti saluto. Sento gli avversi numi, e le secrete cure che al viver tuo furon tempesta, e prego anch'io nel tuo porto quiete. Questo di tanta speme oggi mi resta! Straniere genti, almen le ossa rendete allora al petto della madre mesta. Parafrasi Un giorno se io non sarò sempre costretto a fuggire di paese in paese mi vedrai seduto sulla tua tomba a piangere per la tua giovinezza troppo presto stroncata dalla morte. Ora solo nostra madre, trascinando i suoi ultimi giorni, parlerà di me con le tue spoglie e io non posso fare altro che porgere le mie braccia e salutare la mia città. Sento anch’io l’ostilità degli dei e le angosce che hanno turbato la tua vita e prego affinchè anch’io possa trovare pace nella morte. Questo solo mi resta di tante speranze giovanili! Dopo la mia morte, che avverrà lontano dalla mia città, vorrei solo che qualcuno riporti le mie spoglie a mia madre. Spiegazione L'incipit che fu di Catullo («Dopo aver traversato terre e mari») assume qui l'impeto della poesia foscoliana («Un dì, s'io non andrò sempre fuggendo»). Il poeta afferma di sperare un giorno di recarsi sulla tomba del fratello a piangere la sua giovinezza così bruscamente stroncata. La madre, rimasta sola e in età avanzata, ormai trascina gli anni, e il poeta la immagina impegnata in un monologo delirante, mentre parla, con il fratello morto («cenere muto») del fratello assente. Preclusa la possibilità di rientrare a Venezia, ceduta da Napoleone all'Austria, il poeta tende le mani, in saluto, da lontano, in volo col pensiero sopra i tetti della città. Una sfortuna ostinata ai tavoli da gioco, le angosce serbate nel privato e, forse per vergogna, mai condivise con alcuno, che il poeta riconosce nel tragico, improvviso gesto di Giovanni, lo inducono a pregare che il fratello possa trovare almeno in morte quella serenità che gli è stata preclusa in vita. Per quanto, di tutte le belle speranze che il poeta riponeva – in se stesso, nel futuro del fratello, nel destino politico di Venezia e nella possibilità dell'esistenza di Dio – «questo» è quanto resta: «vane parole» direbbe Catullo, il cui verso, nella traduzione di Salvatore Quasimodo, recita: «a dire vane parole alle tue ceneri mute». Quando sarà il suo momento, per sé prega il poeta il popolo straniero sul cui suolo si sarà trovato a passare, di voler rendere le proprie spoglie al cordoglio della madre. Un gesto di grande umanità e, allo stesso tempo, di alta simbolicità: pietà e dolore si uniscono nell'invocazione alla comprensione tra i popoli. Temi La morte del fratello, la madre anziana e sola, la condizione di esule sono sentimenti romantici che danno al sonetto un'intensità vibrante ed estrema. Questa lirica sovverte l'ideale del Winckelmann per il quale, secondo il principio per il quale il fondo del mare rimane sempre tranquillo per quante agitata possa essere la superficie, così nell'arte greca l'ideale della bellezza è specchio di un'umanità autonoma, caratterizzata da una armonica fusione di corpo e di spirito, da un nobile dominio delle passioni. In morte del fratello Giovanni mette in primo piano il tumulto delle passioni e infonde vivacità e agitazione anche alla forma che diviene essa stessa più movimentata e calda. Il primo verso, il riferimento agli dei Numi, l’uso di latinismi come cenere, palme, speme, sono elementi neoclassici Figure Retoriche lallitterazione consonantica con il dominio delle consonanti t, r e d e l'allitterazione assonantica con il dominio delle vocali o ed e; allitterazione G nei primi due versi; sineddoche( la parte per il tutto) PIETRA=tomba; metafora FIOR..... = giovinezza precocemente finita; allitterazione della D verso 5, metafora SUO DI' TARDO... = la sua vecchiaia; metafora CENERE MUTO= sulla tua tomba; sineddoche LE PALME= le braccia; sineddoche MIEI TETTI= la mia città; Metafora TEMPESTA=sconvolgimento, dolore; metafora PORTO= morte, luogo di pace; sineddoche OSSA= resti mortali, spoglie; Struttura II sonetto, a rima secondo lo schema ABAB ABAB CDC DCD, possiede Periodi sintattici in prevalenza paratattici con poche subordinate. La struttura è meno complessa rispetto al sonetto A Zacinto, ma non per questo meno convincente, anzi è più pacata e più calma, sorretta dai riferimenti ai classici. DEI SEPOLCRI l carme Dei Sepolcri fu composto dal Foscolo tra il giugno e il settembre 1806, e pubblicato nell'aprile del 1807 a Brescia, con l'epigrafe tratta dal de Legibus di Cicerone: «Deorum Manium iura sancta sunto»: I diritti degli dei mani saranno sacri. Nel 1804 era stato promulgato l'editto napoleonico di Saint-Cloud che poi fu esteso all'Italia il 5 settembre 1806. L'editto imponeva che i cadaveri fossero sepolti soltanto nei cimiteri e che non si facesse alcuna distinzione tra i defunti tra uomini comuni e celebrità. Parafrasi: Il sonno della morte è forse meno doloroso all’ombra dei cipressi e nei sepolcri su cui i parenti possono piangere i loro morti? Quando il Sole per me non feconderà più la terra con le belle specie piante e di animali, e quando il futuro per me non ci sarà più davanti, ricco di lusinghe, né potrò più udire, dolce amico, la tua poesia malinconica, né più sentirò nel cuore l’ispirazione poetica e il sentimento d’amore, unico alimento per la mia vita di esule, quale risarcimento per i giorni perduti potrà mai costruire una pietra tombale che distingua le mie ossa da tutte le altre che la morte dissemina in terra e in mare? E’ proprio vero, Pindemonte! Anche la Speranza, ultima Dea, abbandona i sepolcri; e la dimenticanza avvolge ogni cosa nelle tenebre della notte; il tempo muta l’uomo, i sepolcri, le spoglie e ciò che resta della terra e del cielo. Ma perché l’uomo dovrà privarsi prima del tempo dell’illusione che seppur morto possa tuttavia soffermarsi sulla soglia del regno dei morti? Non vive anche egli sotto terra, quando la bellezza del mondo sarà per lui cessata, se può destare l’illusione di sopravvivenza con il ricordo dei teneri affetti nella mente dei suoi cari? Questa corrispondenza di affetti tra i defunti e i vivi è un dono celeste; e spesso attraverso di essa si continua a vivere con l’amico morto, e il morto continua a vivere con noi, a condizione che la terra pietosa che lo accolse e lo nutrì da bambino, offrendogli nel suo grembo materno l’ultimo rifugio, renda inviolabili i suoi resti dagli oltraggi degli agenti atmosferici e dal sacrilego piede del volgo, e una lapide conservi il nome, e un albero amico, profumato di fiori consòli le ceneri con la dolce ombra. Solo chi non lascia affetti tra i vivi ha poco conforto nella tomba; ......... Tuttavia una nuova legge oggi impone che i sepolcri siano posti fuori dagli sguardi pietosi, e toglie la possibilità di nomi sulle tombe. E senza tomba giace il tuo sacerdote (Parini), o Talia (musa della poesia satirica), il quale cantando per te nella sua povera casa fece crescere una pianta d’alloro con amore costante, e ti offriva corone di fiori (poesie); e tu rendevi bella con la tua ispirazione la poesia che criticava il nobile lombardo (Sardanapalo) per il quale è gradito solo il muggito dei buoi che, provenendo dalle rive dell’Adda e del Ticino, lo rendono beato di ozi e di cibi. Oh bella Musa, dove sei? Non sento il profumo dell’ambrosia, che indica la presenza della musa, fra questi tigli dove io sto seduto sospirando per la mia patria lontana. E tu venivi e gli sorridevi sotto quel tiglio che ora con le fronde intristite sembra fremere perché non ricopre, o Dea, la tomba del vecchio a cui già aveva profuso calma e ombra. Forse tu fra le tombe comuni stai vagando ansiosamente per cercare dove sia sepolto il capo sacro del tuo Parini? A lui la città corrotta compensatrice di cantanti evirati, non ha dedicato una tomba ombrosa, non una lapide, non un’epigrafe; e forse insanguina le ossa di Parini il capo mozzato di un ladro che è stato giustiziato sul patibolo per i suoi delitti. Senti raspare tra le tombe ridotte a macerie e gli sterpi la cagna randagia che vaga tra le fosse, latrando per la fame; e uscire dal teschio, dove si era rintanata per sfuggire la luna, l’upupa e svolazzare tra le croci sparse nel cimitero di campagna, e senti l’immondo uccello rimproverare con il suo verso lugubre i raggi che pietosamente le stelle inviano alle sepolture dimenticate. Invano sulla tomba del tuo poeta, o Dea, invochi gocce di rugiada dalla squallida notte. Ahi! Sui morti non sorgono fiori, se il morto non viene onorato dalle lodi umane e dal pianto amoroso. Spiegazione: La prima parte affronta il tema dell’utilità delle tombe e dei riti dedicati ai morti. Dal punto di vista materialistico e laico essi sono inutili e non riscattano, per chi muore, la perdita della vita. Si nota però un senso legato alla dimensione sociale dell’uomo, e garantito per l’estinto dai superstiti che lo rimpiangono e lo ricordano, prolungandone la vita attraverso la memoria. Per aiutare questo scambio e facilitarne la durata assumo un ruolo importante le tombe,con annessi,i riti funebri. La morte però non è uguale per tutti e non rende i morti tutti uguali. I cattivi possono solo sperare nel perdono di Dio, perché sono esclusi dalla memoria dei superstiti. I buoni, invece, sono a lungo conservati nei ricordi dei vivi. La nuova legge risulta ingiusta perché,per cancellare le differenze sociali e sottolineare l’eguaglianza di natura fra gli uomini, nega di dare il giusto riconoscimento ai meriti dei migliori. Il carme si apre con due domande retoriche, la cui risposta è implicitamente negativa. La morte è meno dolorosa dentro le tombe? La tomba consola della vita perduta? No, perché il tempo che passa travolge tutto nella sua oscurità e perché la natura distrugge ogni cosa nel suo incessante movimento e perché il tempo trasforma ogni uomo e ogni cosa della terra e del cielo. Ma l'uomo perché, prima di morire, deve negarsi l’illusione di rimanere vivo tra i suoi cari? Solo chi muore senza amore ha una tomba solitaria ubicata in una terra desolata ..... Però, una nuova legge proibisce le tombe dentro le città e proibisce di scrivere il nome del defunto sulle lapidi. A causa di questa legge il poeta Giuseppe Parini giace in una fossa comune anonima e la sua tomba non è più riconoscibile. Parini scrisse una opera poetica che pungeva e scherniva il vizioso nobile ozioso lombardo come ad esempio Sardanapalo. Tu, o Talia, cerchi Parini nel cimitero dei plebei, dove una cagna raminga erra e dove l'ùpupa svolazza tra le croci, togliendo il silenzio ai morti. E tu, Talia, invano implori una pioggia sulla tomba del poeta poiché nessun fiore nasce sulle tombe quando non è coltivato da pianto affettuoso (vv. 1 – 90). Struttura e Figure Retoriche I sepolcri sono costituiti da 295 endecasillabi sciolti. Il testo è suddivisibile in quattro parti, secondo il suggerimento offerto dallo stesso autore. È dedicato a Ippolito Pindemonte, poeta, carissimo amico di Ugo Foscolo, che aveva scritto poesie ed epistole sui cimiteri inglesi. I frequenti enjambements rafforzano il senso di difficoltà e di densità espressiva, la sintassi è ricercata. Le figure retoriche sono parte essenziale Dei sepolcri. Esse sono tante a cominciare dalla celebre domanda retorica dell'incipit; continuando vi è il perfetto parallelismo tra le prime due interrogative retoriche (vv. 1 - 15). Le altre figure retoriche sono: uso sistematico delle inversioni, iperbati, parole di origine latina, selezione raffinata del lessico, usi inediti o rari di sostantivi, tropi sublimi, metafore preziose, personificazioni ardue. I frequenti enjambements rafforzano il senso di difficoltà e di densità espressiva.