Scarica Notizie donna n. 10

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EDITORIALE
Sono mezzo milione le donne e le ragazze
che, ogni anno, vengono fatte entrare in Europa e avviate alla prostituzione. La stima è
stata resa ufficiale dalle Nazioni Unite, impegnate a fronteggiare lo sconcertante fenomeno che sta caratterizzando il terzo millennio: la tratta delle nuove schiave.
E’ un business devastante dal punto di vista
sociale ed etico ma imponente quanto a guadagni. Il traffico di donne, infatti, rende più
del traffico di droga e delle armi messi insieme. Anche in Italia la situazione ha dell’incredibile: appena arrivate, le ragazze vengono addirittura vendute all’asta. A Roma, per
esempio, secondo il Comando provinciale
dei Carabinieri, il mercato delle nuove schiave si svolge alla stazione Tiburtina. Bande di
criminali si aggiudicano, per poche centinaia
di euro, donne giunte con autobus regolari
dai propri Paesi che sperano in un lavoro regolare. Una volta agganciate, invece, vengono rinchiuse in lerci tuguri, con sbarre alle finestre, violentate, torturate e ridotte in schiavitù fisica e mentale. A quel punto, prostituirsi diventa il male minore.
Ma ci sono altre verità che tolgono il fiato
quando le intuisci e una di questa riguarda la
maternità abusata. La racconta Giuseppe
Tornatore nel suo ultimo film “La sconosciuta” che affronta il fenomeno con una
crudezza da lasciare storditi: le più belle tra
queste povere schiave vengono scelte come
fattrici e costrette a prostituirsi senza precauzioni. Possono restare incinte anche una volta l’anno e partorire un bambino che sarà immediatamente venduto dopo la nascita a famiglie sterili o a trafficanti di organi. Ognuna di loro, può dare alla luce anche nove figli e non poter stringere a sé, accarezzare
nessuno di loro, nemmeno per un istante.
E noi? Spesso restiamo a guardare, a pensare che (forse) sono storie esagerate, che
(forse) non è possibile arrivare a tanto anche se intuiamo, con sgomento, che potrebbe essere tutto vero.
Supplichiamo, allora, la politica di fare di più
e di farlo presto, avvicinando organizzativamente i Paesi dell’Est, dai quali proviene la
maggior parte di queste ragazze, e costringerli, magari con la minaccia di ritorsioni economiche, a controllare e verificare, anche a distanza di tempo, la fondatezza dei contratti di
lavoro. Imbrogli legalizzati grazie ai quali tante donne entrano in Europa e poi ci muoiono.
Tania Bonnici Castelli
IN MEMORIA
DI UNA GRANDE COMBATTENTE
Vera Finavera è stata un esempio di vita vissuta in seno al sindacato
È sempre arduo cercare di ricordare
qualcuno che non è più tra noi. L’interrogativo più difficile cui dare una
riposta è: perché il ricordo? Pietro Ingrao, nel suo ultimo libro «Volevo la
luna», edito da Einaudi, scrive «come
si dà e si legittima la memoria? E perché temiamo tanto che la memoria si
perda? È la vanità di stare ancora e per
sempre sulla scena o un tentativo di
salvezza? O forse è la memoria di una
soggezione ad altri, tale che non può
reggere il silenzio».
La difficoltà, quindi, è notevole, ma
chi scrive ricorda (o ci prova, almeno)
per una semplice ragione: conservare
la memoria di una persona che (al di là
dell’ideologia, al di là del ricordo fine
a se stesso) ha speso un’intera vita nel
tentativo di cercare di umanizzare le
condizioni sociali di chi partiva svantaggiato rispetto agli altri.
La persona in questione è Vera Finavera, una donna scomparsa nel giugno
scorso, nata ottanta anni prima a Montorio al Vomano. La sua è stata una vita piena, vissuta interamente. Una persona che ha creduto fino alla fine a ciò
per cui si è sempre battuta: quella
splendida utopia di cui sopra.
Il nome di Vera (la si chiamerà così ,
semplicemente) è legato a doppio filo
con quelle che si ricordano come le
«lotte del Vomano»: uno dei momenti
più ricchi di storia del sindacalismo teramano. Tali lotte rientrano nell’alveo
più ampio del Piano del Lavoro, presentato da Giuseppe Di Vittorio nel-
l’ottobre del 1949, nel tentativo di alleviare il forte tasso di disoccupazione
esistente in Italia nel secondo dopoguerra. Esse hanno rivestito una certa
importanza tanto che Paul Ginsborg,
storico inglese di chiara fama, sulla
sua «Storia d’Italia 1943-1996» scrive
«(…) la lotta forse più riuscita legata
al Piano (del Lavoro n.d.a.) ebbe luogo nella Val Vomano, negli Abruzzi.
Lì la Camera del Lavoro, diretta da
Tom Di Paolantonio, organizzò 2000
disoccupati che ripresero la costruzione di una centrale elettrica con invaso
i cui lavori erano stati sospesi sei anni
prima. Dopo negoziati diretti tra la
CGIL e il Governo, al progetto vennero assegnati 100 milioni di lire ed i
lavori vennero completati in tre anni
(…)».
In quegli anni Vera, sempre al fianco
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di una figura di grande spessore come
quella di Tom Di Paolantonio, ha dato
il suo contributo, è stata conosciuta
per il suo impegno profuso nell’organizzare, soprattutto , le donne della zona che, negli “scioperi alla rovescia”,
preparavano le vettovaglie per gli operai che andavano al lavoro. I tempi
erano particolari negli anni Cinquanta:
una donna che si impegnava in prima
persona in rivendicazioni politico-sindacali non era tanto bene accettata (le
autorità di Pubblica Sicurezza, per la
assiduità con cui Vera era presente nelle lotte, la chiamavano “prezzemolo”).
Il carattere puntiglioso, aspro a volte,
le ha permesso di operare alcune scelte dure e di continuare, come dirigente
sindacale, nell’impegno intrapreso.
Ed eccola, dopo qualche anno, nella
provincia di Chieti tra le lavoratrici
stagionali a denunciare presso gli Uffici dell’Ispettorato del Lavoro, le condizioni inumane cui versavano le raccoglitrici di uva. Lei, donna, iscritta
all’Unione Donne Italiane fin dai primi anni Cinquanta, si batteva per chiedere una cosa all’apparenza semplice:
la parità di trattamento tra uomo e
donna.
Il suo cammino di dirigente sindacale
la porta ad essere, nel 1960, fra i
membri, a livello nazionale, del Comitato Tecnico Ortofrutticoli ed Agrumari (si vedano, a tal proposito, gli atti del Congresso Nazionale del 1960
della FILCAMS).
Lascia l’attività sindacale, nel 1964,
dopo essersi sposata, quasi come a sottostare ad una (ingiusta) legge non
scritta valida per una donna: o la carriera o la famiglia. L’impegno nel sociale è continuato anche dopo, fino alla fine, anche se non più a livello professionale.
Ricordarla, si ripete, è giusto solo perché si parla di una donna che ha creduto fino in fondo in quello che ha fatto, senza calcoli di opportunismo ideologico e culturale, sbagliando, a volte,
a prendere posizioni rigidissime ma il
periodo storico in cui ha operato non
lasciava spazio a compromessi.
Un piccolo esempio di vita vissuta.
Come questo, altri; è legittima, pertanto, la memoria.
Vladimiro Stella
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UNA NUOVA
STAGIONE DEI DIRITTI
Non sempre la “libertà di tutti” comprende i deboli e gli emarginati.
È necessario ristabilire un’eguaglianza tra i cittadini
Oggi si può sperare che il rispetto dei diritti dei cittadini venga ripristinato nella
sua interezza, dopo una fase di sottovalutazione e svilimento.
Per troppo tempo i modelli comportamentali di “persone che contano”, amplificati
dai media, sono stati quelli del potere
“muscoloso”, del successo facile a scapito
degli altri, della massificazione e mercificazione di sentimenti, bellezza, rapporti
umani e sociali. Il denaro – accumulato in
fretta, senza troppe domande, al di fuori o
contro legge, senza etica; sbandierato come status symbol, all’insegna del cattivo
gusto e della spocchia da parvenu – è rimasto il feticcio di sempre, rinsaldatosi
nella coscienza individuale e collettiva. A
ciò hanno contribuito sia i comportamenti
concreti che i modelli offerti dal sistema
mediatico.
La libertà, invocata come base della democrazia e della vita, non è stata, in realtà,
la “libertà di tutti”; non si è sostanziata per tutti - degli altri diritti universali, come
vita, lavoro, casa, salute, sicurezza, istruzione, informazione, cultura, giustizia, vivibilità ambientale, padronanza della propria vita, autonomia nelle scelte, pari dignità, speranze e certezze del proprio futuro. La libertà, in questi anni, è stata “l’arbitrio di pochi”, potenti, furbi- di volta in
volta arroganti o servili - e la licenza di
perseguire i propri interessi, legittimi o
meno, con qualunque strumento e sulla
pelle degli altri.
I deboli, gli emarginati, gli onesti sono stati considerati degli impacci, lasciati in balia di quella “libera concorrenza”che nulla
più aveva di quel senso di umano, democratico, solidale, di cui il pensiero liberale
ottocentesco l’aveva arricchita.
La libera concorrenza – quasi sale della
terra - è risultata sganciata dalle “pastoie”
della Costituzione, che - nata dalla libera e
concorde volontà di tutte le forze democratiche vittoriose sul nazifascismo - aveva compiuto il miracolo di conciliare, armonizzare ed esaltare i diritti individuali e
collettivi e su di essi aveva costruito la dignità di un’intera Nazione. Ci si è ubriacati con la parola “famiglia” – a condizione,
che si trattasse di quella sancita da un “regolare” contratto – e non si è avviata una
reale politica di sostegno alle famiglie;
spesso a sparare giudizi erano dei potenti
che di famiglie ne avevano allegramente
più di una. Intanto, sempre più famiglie facevano fatica a sopravvivere, si impoverivano; migliaia di giovani – adulti vivevano con la famiglia di origine, impossibilitati a formarsene una, perché senza lavoro
o con un lavoro sottopagato, senza garanzie per il presente nè per il futuro, condannati ad un precariato angoscioso, di lunga
durata, temuto a vita!
Nessuna politica della casa, sostegno finanziario a costruirsela e… come accedere a finanziamenti privati, in assenza di un
reddito certo?!
E i diversamente abili, gli anziani, il diritto allo studio, in presenza di tagli alla spesa sociale? Quale speranza per chi soffre
per malattie incurabili, in assenza di sostegno e incentivi alla ricerca scientifica?
Si creavano ISTITUZIONI miliardarie,
la cui funzione prevalente sembrava quella di collocare “amici” e “figli di amici”;
intanto le nostre Università sopravvivevano a fatica; ai nostri ricercatori, emigrati in
Università e centri di ricerca stranieri, si
offriva uno sgravio fiscale su un reddito risibile, perché tornassero in Italia.
E i “nuovi” diritti, che nascono dai sommovimenti che stanno modificando la
realtà del vecchio continente, specie i Paesi che, come il nostro, si trovano su una
delle due sponde del Mediterraneo? Certo,
i grandi esodi dai Paesi delle guerre intestine, del sottosviluppo, dei diritti umani
negati, verso i Paesi europei sono un fenomeno difficile da affrontare. I flussi migratori pongono problemi inediti, che richiedono intelligenza, coraggio, sensibilità,
senso della solidarietà, capacità di stringere alleanze e di reperire le risorse necessarie, politiche comuni dell’Unione europea
e degli altri Paesi esteri che si affacciano come noi - su quel Mare che da tempo
consideriamo solo “Nostro”. Lo si stava
affrontando con intelligenza e lungimiranza, nell’ottica di una solidarietà non scevra
di impegno per la nostra sicurezza.
In seguito, una visione miope della realtà
nazionale ed internazionale ha imposto di
affrontare il problema in termini angusti,
basati su una rigida concezione poliziesca;
si sono sfiorati atteggiamenti xenofobi,
con strumenti che, non solo risultavano
inefficaci, ma incentivavano gli arrivi
clandestini.
Tale politica guardava “all’orticello di casa”, ma misconosceva persino le esigenze
del mercato del lavoro interno, di quello
stesso Nord-est di cui si proclamava di voler difendere i diritti e favorire l’ulteriore
sviluppo. La stessa mancanza di prospettiva caratterizzava le politiche ambientali; si
disincentivavano, se non ostacolavano gli
interventi di tutela, sviluppo compatibile di
aree protette o da proteggere; attraverso il
controllo inadeguato e la pioggia dei condoni edilizi si incentivava l’abusivismo.
Da qualche mese, sembra spirare un’aria
nuova. I diritti tornano al centro dell’agenda politica, nonostante i buchi determinati
dal “bilancio creativo”.
Ossatura del programma elettorale dell’Unione, sostenuti da proposte di interventi
concreti, essi erano integrati in tutte le politiche, da quelle del risanamento economico e dello sviluppo produttivo, a quelle
del Lavoro, della Istruzione e Formazione,
della Ricerca scientifica, della Salute, della Casa, dell’Ambiente, della Solidarietà
sociale. Già in questi pochi mesi si sente
con chiarezza che i Diritti “sono” il sale
del programma di governo: l’impegno per
il DIRITTO ALLA PACE ha messo in
campo iniziative che, nel ridare dignità internazionale al nostro Paese, hanno prodotto di fatto la cessazione delle ostilità
nel martoriato Libano e hanno contribuito
ad avviare un percorso di pacificazione
dell’area, ricollocato l’ONU alla testa dei
problemi, ottenuto il consenso degli
U.S.A. e, soprattutto, dei Paesi interessati
come di quelli dell’Unione Europea. Le
indagini ministeriali sui Call Center e sul
lavoro illegittimamente precario sono il
segnale chiaro di voler porre al centro delle politiche del Lavoro il problema del
Precariato e la necessità di modificare almeno gli aspetti più devastanti della Legge 30 sul riordino del mercato del lavoro.
Le immissioni in ruolo di molti lavoratori
di lungo precariato della Scuola vanno
nella stessa direzione, così come la sospensione dell’applicazione della controriforma della Scuola superiore. Il Decreto
Bersani ha riaperto le opportunità occupazionali dei giovani, oltre che avviare una
sana concorrenza all’interno di professioni
un tempo blindate. La legge per la cittadinanza agli extracomunitari, riconoscendo
il diritto di sentirsi a pieno titolo cittadino
italiano a chi legalmente vive e lavora nel
nostro Paese, ne favorisce la integrazione.
Facilitandone l’emersione del lavoro, si
contribuisce alla lotta all’evasione fiscale
e si incrementa lo sviluppo economico del
nostro Paese.
Nonostante le disastrate condizioni dei
conti pubblici ereditati dalla passata legislatura, la Finanziaria in via di definitiva
approvazione ha riaperto le speranze per
un riavvio dello sviluppo economico ed un
miglioramento della vita degli strati più
deboli della popolazione.
Le difficoltà e una certa tortuosità nell’iter
della formazione di questa legge non impediscono di coglierne i segnali innovativi
che saranno ancor più evidenti nel corso
del 2007.
Il calo del debito pubblico al di sotto del
3%; la redistribuzione del reddito attraverso un riequilibrio del prelievo fiscale, a favore delle fasce sociali più deboli; gli in-
terventi tesi ad aggredire l’evasione fiscale; le misure che favoriscono le assunzioni
a tempo indeterminato su quelle a tempo
determinato; l’aumento degli assegni famigliari ed una serie di misure a sostegno
delle famiglie; l’estensione del diritto allo
studio e le misure economiche per sostenerla; la riduzione del cuneo fiscale, che
abbassa il costo del lavoro, con beneficio
delle imprese e dei lavoratori; il rinnovo di
contratti di lavoro da tempo scaduti; la
prevista assunzione di un gran numero di
precari della P.A.; il rigore nella spesa
pubblica e la riduzione dei costi della politica, di cui lo stesso Presidente del Consiglio ed i ministri hanno dato l’esempio, riducendosi del 30% le indennità: sono questi alcuni dei segnali di un modo nuovo di
affrontare i problemi del Paese. La ripresa
economica, l’incremento degli investimenti produttivi pubblici e privati amplieranno le possibilità occupazionali. Le riforme del sistema previdenziale e del welfare, la legge sui diritti delle coppie di fatto, il testamento biologico – avvio preannunciato per i primi mesi del 2007 –, apriranno, sì, una nuova stagione dei diritti individuali e collettivi, attraverso un nuovo
patto tra generazioni, gruppi , individui,
nell’ottica di una solidarietà, che rinsalderà la coesione sociale e mirerà a ridurre gli
egoismi, le disuguaglianze, le intolleranze
di ogni tipo.
Bianca Micacchioni Zuccarini
Consigliera di Parità Provinciale
mensile d’informazione
Direttore responsabile:
Tania Bonnici Castelli
Comitato redazione:
Germana Goderecci, Piera Ruffini, Maria Provvisiero, Simona Crescenti, Paola
Natali, Iolanda Piersanti, Pina Vallese,
Paola Di Giulio.
Tel. 0861.3311 - 0861.331320
Realizzazione editoriale:
Paper’s World srl - Edigrafital
Teramo
Tiratura N° 15.000 copie
Reg. Trib. n° 539 del 05/08/2005
Sede legale: Provincia di Teramo
N° 10 - Dicembre 2006
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Le donne velate dell’Islam
La religione diventa un modo di realizzarsi al femminile.
Una vita d’uscita per evitare il patriarcato
Nei telegiornali vediamo frequentemente donne musulmane che hanno il
velo, molto spesso è una costrizione e
altre volte è una scelta, ma perché le
donne scelgono di portare il velo?
Partiamo dall’osservazione che l’organizzazione sociale si articola intorno al modello maschile, e la donna
deve interiorizzare necessariamente
la legge paterna, accettando di appartenere ad un sesso inferiore. Derivano
così norme comportamentali imposte
dalla famiglia quali: conservare la
verginità, ecc.
La sola possibilità di ottenere un riconoscimento sociale per la donna è
quella di avere figli maschi. La donna
deve occuparsi della sfera familiare
perché è quello il suo unico ruolo, assumere una posizione nella società è
prerogativa esclusiva degli uomini.
L’islamismo, però, propone alle ragazze giovani di diventare “dai’a”,
vale a dire le propagandiste del discorso islamista. Questa diviene un’alternativa che permette il riconoscimento di uno status sociale anche per
le donne.
L’islamismo diviene una via per la
realizzazione dell’io femminile. L’adolescente può quindi aderire all’islamismo, che non rappresenta una trasgressione alla legge paterna, ma allo
stesso tempo la sostituisce.
Si passa da un padre reale ad un padre onnipotente. In questo modo si
mettono in discussione sia il ruolo
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della madre che quello del padre, e ci
si mette al servizio di un ideale che
alimenta la propria stima, ci si mette
dalla parte di Dio.
Queste adolescenti si realizzano nella società guadagnando uno status
perché occupano uno spazio pubblico, la moschea che è luogo di acquisizione e trasmissione del sapere religioso. Le ragazze che diventano
“dai’a” sono sicure, sono forti e non
hanno alcun problema nel confrontarsi con le persone, anzi esercitano in
un certo senso un vero e proprio
ascendente sulla gente, che le rispetta
e le ascolta.
È proprio in opposizione alle donne
democratiche che si definisce l’identità delle donne islamiste, l’immagine
che viene data alle militanti democratiche dagli integralisti è di donne “occidentalizzate” e senza morale.
La realizzazione di questi ruoli, quali
ad esempio quello di diventare dai’a,
però, è solo una scappatoia per evitare il patriarcato, e non è la soluzione
del problema: non solo, questi atteggiamenti porteranno la società a chiudersi in se stessa andando a rafforzare ideali sempre più repressivi.
Antonella Inicorbaf
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“Notizie Donna”
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L’incontro
L’estate nei colori della festa
dava alla città vampate d’afa,
rifletteva sulle vetrine i corpi
tornati abbronzati dal mare,
incuriosivano tende e bazar,
i visi scomodati degli stranieri
dai passi nudi sopra i porfidi
rinnovati e di calore arrossati.
Sviavi in compagnia un rivolo
di gente, tra piazza e portico,
la soprannaturale eleganza
lievemente sprizzata dai capelli
ti stagliava, immagine sottile,
come sogno lontano nei ricordi,
ogni passo sempre più vicina
e ferma accennavi un saluto.
Compromettente gli sguardi,
i vestitini, le tue dita secche,
i miei lunghi capelli, ma di più
il nudo dei corpi ondeggianti,
galleggiavano gli zoccoli bianchi
sul dondolio agitato del piede
e l’anima eburnea passeggera.
Generici i discorsi esageravano
il desiderio di vedersi ancora
col favore urgente del tempo
e inseguire sul taccuino il nome
più che noto nella mente e dire
che sei ancora sola sull’elenco
per andare via tacendoti altro,
il silenzio e il saluto dell’addio.
Rivedersi
Diramano i passi
e dividono i corsi,
mille le illusioni
e le più immense,
dolcezze i cenni,
allegorie le dita,
svenute le parole
lontani gli sguardi,
poco prima di sera
è bastato rivedersi.
I giorni dell’addio
Questi giorni, già freddi, umidi, piovosi,
scivolano e non mi portano a rubare da te
mai un sorriso, un solo alito, uno sfiorino,
e non fanno ricordi da celare nello scrigno
dove ho riposto tra il velluto il tuo corallo.
Ho ancora tanto bisogno di te, mio amore,
ma i tuoi santi lo sanno che mi sono finite
nella mente le parole e non se n’è avverata
mai nessuna, come i desideri tuoi di sole,
non più, neanche in estati calde di vita.
Silvano Toscani
La scelta della CLAUSURA
Preghiera e silenzio salvano il mondo.
Anelli di congiunzione tra Dio e gli uomini
Mentre l’umanità s’inventa sempre
nuovi confini e nuove guerre c’è
qualcuno che vive con la pace dentro.
Parlo di Silvia, donna abruzzese,
giovane manager proiettata verso
una carriera folgorante, con l’animo
tormentato e spesso alla ricerca di
emozioni interiori .
Tutto era molto facile, molto moderno la vita di una trentenne tra colloqui on-line e posta elettronica, tra
contatti importanti e cene propedeutiche, ma inevitabilmente mediocre.
Arrivò la “proposta”, quella della
vocazione e precisamente quella della clausura.
Molteplici perplessità, tanti alibi,
tentennamenti, paure e poi la scelta
di costruire qualcosa con la vocazione.
Un candore irreale e poche ed essenziali battute attraverso la grata calmierarono la mia curiosità:
il perché di quella scelta, il passare
dal laicato al diaconato.
La preghiera e la meditazione concepite come un anello di congiunzione
tra gli uomini e Dio, il pervadere di
una pace che si irradia dentro e che
rende vicina agli altri , lì fuori oltre
la grata.
La scelta della clausura è quanto mai
attuale, oggi i monasteri di clausura
sono indispensabili come “polmoni
verdi” di una città
Queste sono state le parole del Papa
Benedetto XVI citate nell’Angelus
di qualche mese fa parlando ai fedeli commentava la silenziosa testimonianza che in mezzo alle vicende
quotidiane talvolta assai convulse,
unico sostegno che mai vacilla è la
fede.
L’unicità del silenzio, la regola conducono ad una vita che paradossalmente per la stragrande maggioranza
degli individui appare stringata e sacrificata, ma per esse, le suore, è
piena.
ritmo della liturgia o del silenzio
contemplativo aprono alla gratuità,
al superamento di ogni egoismo in
noi ribadisce, e così mentre la monaca di clausura “sembra” essere assente dal mondo, in realtà lo feconda
misteriosamente con la preghiera ed
il sacrificio.
La giovane suora sostiene che vivere
in clausura è il mezzo per ricordarci
chi vive nel mondo, è un’esperienza
di chi porta comunque nel cuore le
ansie, le ferite, le gioie e i dolori, i
combattimenti di ogni essere umano.
Ma non li porta perché vede negli altri leggendo nei giornali o ascoltando in parlatorio; li vive attraverso la
meditazione e l’incessante desiderio
di pregare per vivere.
Anna Marinucci
Componente C.P.O.
Spesso si identifica la vocazione come una scelta per sfuggire alla realtà, al mondo, alle vicissitudini di una
vita difficile e colma di disumani
eventi, ma i percorsi claustrali sono
segni e strumenti necessari per la custodia del cuore e della mente.
“La vita monastica -descrive Silviaè fatta di piccole ma grandi quotidianità: il refettorio, il ricamo, la coltura della piante officinali, il canto, la
lettura e l’orazione. La lontananza
dalle proprie famiglie e dalle città ha
rafforzato l’identità del gruppo
aprendo ognuno di noi ad un’intensa
vita fraterna fatta appunto dalla preghiera ai momenti ricreativi, dalla
solitudine al servizio”.
Inoltre le lunghe ore di preghiera al
Si ringrazia
la Società Cooperativa S.p.A.
CITIGAS
per aver sostenuto con il SUO
contributo la realizzazione di
questa pubblicazione.
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Danielle si racconta in “Asante”
Mi chiamo Danielle Damasco Volpon,
sono nata in Libia trentasette anni fa da
padre piemontese e madre siciliana.
Cresciuta per buona parte dell’infanzia
e dell’adolescenza tra il Ghana ed il Togo, mi sento irrimediabilmente legata
all’Africa da un legame viscerale.
Da piccola ero molto vivace, curiosa
verso la vita ed il Paese che mi ospitava.
Facevo molte domande ed ascoltavo rapita i racconti di “Papà Africa”, il cuoco
di famiglia che era diventato il filo invisibile che mi legava al continente nero.
Era un uomo buono, di religione musulmana, paziente e saggio. Ricordo che
spesso ero pedante con le mie domande,
arrivando al punto di disturbarlo durante la preghiera perché volevo sapere il
motivo per cui metteva il tappetino in
quella direzione, perché si lavava mani
e piedi e perché si prosternava e lui, senza adirarsi, mi faceva segno di aspettare.
Quando aveva finito, rispondeva alle
mie domande non senza avermi prima
rimproverato per la mancanza di riguardo verso la sua professione di fede.
Da lui ho imparato l’arte dell’attesa,
della pazienza. “Prima o poi riceverai risposte alle tue domande, non c’è bisogno di scalpitare”, diceva saggiamente.
Poi, iniziai la scuola ed i miei compagni
di classe contribuirono a rinsaldare il
legame con l’Africa. Eravamo in quarantotto, di nazionalità diverse. Solo io
ed altri due eravamo europei, gli altri
erano tutti Africani ed ognuno si portava dietro gli usi ed i costumi del proprio
paese. Per la mia curiosità cronica era
una pacchia, a studiare ci pensavo poco, ma a fare domande e ad incantarmi
per i loro racconti, ci perdevo ore.
I compagni di gioco erano i ragazzini di
strada. Cenciosi, sporchi, mezzi analfabeti, ma quanto ci divertivamo con la
nostra palla di stracci, con le macchinine ricavate dalle latte, due bastoni infilati in un cerchione e, via! Si correva felici lungo le strade non asfaltate del Togo. Il giorno che ricevetti un pallone in
cuoio per il mio compleanno, erano così felici che sembrava l’avessero donato
a loro. In seguito quel pallone divenne
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Tratto da “Asante”
la chiave che mi consentiva di aprire
ogni porta, chiedere qualunque cosa, mi
bastava dire: ”vi presto il pallone”.
Durante l’adolescenza la mia curiosità
verso l’Africa non si esaurì anzi, ormai
avevo la netta percezione della vastità di
quel continente che per me era come un
pozzo, più tiravo su secchiate, e più acqua ne restava.
Dal 1983 sono tornata a vivere con la
famiglia in Italia. Il distacco dal Paese
che amavo è stato traumatico e per i
primi anni ebbi un rifiuto totale verso la
nuova vita in Italia. Scoperto di essere
affetta da una malattia genetica (S di
Von Recklinghausen), manifestatasi ne
1988, allora ventenne, dopo vari interventi chirurgici affrontai lunghi anni di
terapia riabilitativa. In quel periodo mi
avvicinai alla scrittura tenendo un diario dove annotavo i pensieri, le emozioni ed i ricordi dell’Africa. Così ha preso corpo il mio primo libro: “l’alba dei
ricordi” (autobiografico) e poi, mi sono
accorta che scrivere mi piaceva, mi faceva star bene ed avevo voglia di raccontare altre cose. A quel punto, passare ad un romanzo era un passo scontato.
“Asante”, il mio 3° libro, non poteva
non essere ambientato in Africa, come
tutti gli altri miei sei romanzi scritti fino ad oggi.
Dopo l’ultima sutura, Lara si tolse i guanti di
lattice insanguinati e si disinfettò le mani,
prima di infilarne un paio nuovo, mentre Nathalie accompagnava un altro paziente da lei.
Era una giovane donna esile, con un bel collo lungo adorno di numerose collane d’oro
con pendenti, che le conferiva un’aria aristocratica e raffinata. Lara rammentò di averla
notata quel mattino tra i pazienti, perché stava in disparte, alta e fiera, mentre le altre
sembravano voler evitare il suo sguardo. Il
busto ben eretto, dal seno florido. Avvolto da
stoffe pregiate, le mani ingioiellate e mollemente abbandonate in grembo, i tratti delicati del viso risaltavano la sua figura in mezzo
a tutte quelle mamme accaldate e nervose.
Seguiva da vicino Nathalie con passo flessuoso, ancheggiando i fianchi stretti nel telo
stampato che li avvolgeva. Aveva un brutto
eczema che le deturpava l’avambraccio sinistro, quasi fino al gomito.
“Sister”- durante le ore di lavoro erano tornate ad usare modi informali- “chiedile perché non è venuta qui appena si sono formate
le lesioni”, domandò a Nathalie, mentre si
alzava per prendere una pomata al cortisone.
Le due donne confabularono un po’ in twi, la
lingua degli Ashanti, intanto che Lara spalmava sulla lesione, con una spatolina di legno, uno spesso strato di crema bianca e
grassa. Nathalie porse un po’ di garza a Lara, che iniziò ad avvolgerla leggermente intorno all’avambraccio della donna.
“Dice che il guaritore del suo villaggio non
le dava il permesso di recarsi dagli uominimedicina bianchi” spiegò Nathalie.
“Da dove proviene?”.
Nathalie scambiò altre parole con la donna.
“Da Kofu, un villaggio a poco meno di cento kilometri da Kissimayo, verso Kumasi. Il
guaritore le dava pozioni da bere e un impasto di erbe da applicare sulla pelle”. Lara
sorrise al pensiero del guaritore che, pur di
non ammettere che la medicina dei bianchi
potesse aiutare la giovane, doveva aver cercato in tutti i modi di guarirla.
“Come lo ha convinto alla fine?”, domandò,
mentre fissava la garza con un pezzo di cerotto a nastro, che aveva strappato con i denti. Nathalie riprese a parlare con la donna e
Lara notò la sua espressione rallegrata dalle
risposte della giovane.
“Nana andrà sposa al figlio minore del capo villaggio. E’ stato lui a convincere il
guaritore”.
Vorrei essere un uccello,
per poter volare al mio paese
Quando i bambini profughi palestinesi diventano foto-reporter-giornalisti
Domenica 15 ottobre 2006 abbiamo
vissuto uno speciale pomeriggio nell’aula Magna del Convitto Nazionale
“Delfico” di Teramo, dove forti risuonavano gli echi delle emozioni immortalate dagli scatti dei circa trenta bambini dei campi profughi palestinesi in
Libano, autori del bellissimo libro
Vorrei essere un uccello, per poter
volare al mio paese”.
Centre for Popular Arts (ARCPA)” di
Beirut, che insieme con la dott.ssa May
Haddad promuove l’importante Meeting Internazionale “Janana Summer
Camp” che vede partecipi, come formatori nel campo della pedagogia teatrale e didattica artistica gli artisti-pedagoghi Cam Lecce e Jörg Grünert.
In occasione della presentazione del libro è stato proiettato il documentario
“childhood in the midst of mines” infanzia tra le mine, racconta il quotidiano di bambini e ragazzi che vivono circondati nei loro territori: campi, strade,
giardini, boschi, … da mine.
Il libro tradotto in italiano, spagnolo e
tedesco oltre che in arabo e inglese, era
stato presentato qualche giorno prima
dall’editore Giuseppe Zambon e dalla
curatrice May Haddad alla Fiera del
Libro di Francoforte.
Il Libro nato dal progetto multimediale e speciale “I bambini palestinesi ricordano la loro vita ed esprimono le
loro speranze”, avviato nel 1998, e
durato tre anni, ha coinvolto circa trenta bambini profughi, di età compresa
tra i 9 e i 14 anni, che vivevano e vivono nei campi di Shatila e Bourj Al-Barajneh in Beirut; i bambini sono diventati foto-reporter, giornalisti, operatori
video, scrittori; seguendo le linee pedagogiche del pensiero dell’educatore
brasiliano Paolo Freire. il progetto pedagogico, attraverso l’apprendimento
attivo, mirava a dare la possibilità ai
bambini e ragazzi di fare una ricerca
storica e culturale sulle loro comunità,
sulla memoria, sui racconti dei nonni e
genitori, riflettere sulle loro vite ed
esprimere le loro preoccupazioni, speranze e desideri da un punto di vista
speciale quello del foto-video-reporter
e giornalista e infatti oltre al libro, sono stati realizzati anche due video-documentari.
L’avvio del progetto coincideva con il
50° anniversario dell’esodo di buona
parte della popolazione palestinese
dalla Palestina, avvenuto nel 1948, di
cui i bambini partecipanti al progetto
erano la quarta generazione dei profughi che ancora vivono questo lungo
esilio.
Si calcola che solo in Libano siano presenti circa 400.000 profughi. E nel
mondo complessivamente sono circa 5
milioni i profughi palestinesi che detengono purtroppo lo status di rifugiati
più lungo della storia umana.
L’incontro con la dottoressa May Haddad, da anni impegnata in un grande e
instancabile lavoro di prevenzione socio-sanitaria, con programmi di sostegno alle donne e ai bambini che vivono in aree emarginate e svantaggiate è
stato curato dall’associazione Deposito
Dei Segni insieme con La Commissione delle Pari Opportunità e l’assessorato alle Politiche Sociali della
Provincia di Teramo. Il Deposito dei
Segni è impegnato da alcuni anni con il
Centro Al Jana dell’Arab Resource
Va detto che, purtroppo, il villaggio in
cui è stato girato il dopo documentario
nel sud del Libano, dopo la guerra di
luglio e agosto 2006 non esiste più.
L’autore, il regista Hicham Kayed, del
centro Al-Jana, ha vinto diversi premi
internazionali, con documentari che indagano le condizioni esistenziali del
quotidiano dei bambini e degli adolescenti nei campi profughi palestinesi,
ed altro.
L’iniziativa si inserisce nel più vasto
progetto “La LINEA DI PACE” sostenuto da: Regione Abruzzo; Provincia di Teramo; Provincia di Pescara;
Comune di Pescara; Comune di Spoltore; Comune di Giulianova; Comune
di Martinsicuro; Unione dei Comuni
Città Territorio Val Vibrata. Patrocinio
della Presidenza della Giunta Regionale, della Presidenza del Consiglio Regionale; Collaborazione con la CGIL
di Pescara, Teramo e Regionale.Il progetto, la produzione e l’organizzazione
sono a cura dell’associazione Deposito
Dei Segni.
Cam Lecce
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RACCONTIAMO
LE DONNE
Riflessioni sulla partecipazione
delle donne nella vita sociale politica e
lavorativa dal diritto al voto a oggi
In questo numero, nello spazio riservato a voi che ci leggete, pubblichiamo una lettera pervenuta al nostro giornale da un lettore che si firma con il nome di Gianni.
La pubblicazione della sua missiva, il cui contenuto è a dir poco “critico” nei confronti delle donne, ci offre l’opportunità di asserire come, ancora oggi, vi siano delle preclusioni sull’universo femminile, ricorrendo a falsi punti di riferimento, che
lasciano trasparire retaggi culturali ormai non più in sintonia con l’epoca civile in
cui viviamo.
Comunque da parte nostra nessuna preclusione a giudizi e critiche del mondo maschile di cui vi riportiamo fedelmente una voce.
Lasciamo a Voi eventuali commenti, che siamo pronti ad accogliere ed eventualmente a pubblicare nei prossimi numeri.
RES EST MAGNA TACERE
La Commissione per le Pari Opportunità della provincia di Teramo ha organizzato il 12 gennaio scorso il convegno “Da 60 anni… libere scegliere”al quale hanno partecipato la senatrice Lidia Menapace, l’onorevole Alberto Aiardi e i professori Silvia Salvatici e Massimo Siclari, dell’Università di Teramo.
Il convegno, sapientemente coordinato
dalla giornalista Tania Castelli Bonnici, si è aperto con i saluti dell’assessore Mauro Sacco e l’introduzione di
Germana Goderecci, presidente della
Commissione. È stato proiettato anche
un interessante filmato sulle fasi più
salienti della storia della donne nell’ultimo dopoguerra, con l’intervista rilasciata da Filomena Delli Castelli, deputata abruzzese alla Costituente.
L’iniziativa, oltre a ricordare le donne
della Resistenza e quelle della Costituente, ha voluto festeggiare le migliaia di italiane che, nel corso degli
anni, hanno lottato per ottenere l’applicazione dei principi di parità ed uguaglianza già inseriti nella nostra Carta
costituzionale.
Partendo dalla conquista del diritto al
voto, è stata avviata una riflessione sulla partecipazione femminile alla vita
politica, sociale ed economica odierna.
Il prossimo numero di “Notizie Donna” sarà quasi interamente dedicato al
lungo cammino del diritto al voto.
La redazione
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(Marziale epigr. 4,816)
Alle care amiche di Notizie Donna
Giorni fa nella sala d’aspetto di uno
studio medico, mentre aspettavo il
mio turno, ho notato la rivista “Notizie Donna”. Un po’ per curiosità e un
po’ per ingannare il tempo, ho iniziato a sfogliarla e poi a leggerla.
Sono rimasto particolarmente colpito
dall’articolo apparso in prima pagina
sulla trasmissione “Pupa e Secchione”
e, così, ho deciso di scrivervi per farvi
conoscere il punto di vista di un uomo.
Premesso che una pubblicazione tutta
al femminile è cosa degna di lode, devo tuttavia rimarcare che nell’articolo
in questione, ma non solo in quello,
c’è un anacronistico orgoglio femminista che, pensavo, fosse ormai morto
e sepolto.
Purtroppo per voi, siete ancora alla ricerca di una parità che non può esistere in quanto non è nella natura delle cose. Non potete essere come gli
uomini, la natura vi ha fatte diverse e
vi ha assegnato ruoli diversi.
Siete belle perché dovete attrarre
l’uomo e procreare, noi uomini abbiamo l’intelligenza per progettare e
creare. Donne con uguali capacità
maschili sono proprio rare, per una
Rita Montalcini ci sono centinaia di
donne che dicono che la Gioconda è
stata dipinta da Verdi e che la Svizze-
ra è bagnata dal Tirreno.
È la natura che vi spinge a curare più
l’aspetto che l’intelligenza. Ecco perché passate ore ed ore in palestra per
snellire qua o per ingrossare là, spendete metà del vostro stipendio per l’estetista e per il parrucchiere e per vestire avete bisogno dei consigli di riviste
di moda e …poi, vi abbigliate come la
Bellucci, anche se siete alte 1,50.
Tutti i vostri frivoli impegni vi tengono lontane dai quotidiani, dai libri e
dalle biblioteche. Alla TV il vostro
interesse è rivolto quasi esclusivamente ai reality e raramente a trasmissioni impegnate. Allora, perché
vi offendete se vi chiamiamo Pupe?
Sinceramente non capisco il vostro
risentimento, se volete essere somiglianti (ma non uguali) a noi uomini,
allora leggete di più. Una cosa vi raccomando, non cercate di comandare:
lì dove lo avete fatto avete combinato
solo danni.
Finiamola con la farsa del femminismo e accettatevi per quello che siete,
anche come Pupe siete utili, avete un
compito nella società.
Non so se pubblicherete il mio sfogo,
ma da ora in poi sarò un vostro attento lettore ed anche un vostro attento
critico.
Gianni