Edilizia, cambio d`uso semplice
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Edilizia, cambio d`uso semplice
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE Martedì 16 Settembre 2014 29 DL SBLOCCA ITALIA/ Il dl 133 prevede solo quattro categorie di destinazione urbanistica Edilizia, cambio d’uso semplice Un albergo può trasformarsi con facilità in una residenza DI ANTONIO CICCIA P iù semplice il cambio di destinazione d’uso in edilizia. Il decreto legge sblocca Italia (n. 133/2014) introduce l’articolo 23-ter al Testo Unico per l’edilizia (dpr 380/2001) e individua quattro categorie di destinazione urbanistica. Solo il passaggio da una categoria all’altra è mutamento di destinazione d’uso, mentre i cambi di uso all’interno della medesima categoria sono dequalificati. Così se un albergo diventa residenza non sarà un mutamento di destinazione di uso. Questo salvo che le regioni stabiliscano diversamente. Ma vediamo il dettaglio della nuova disposizione. L’articolo 23-ter del Testo Unico per l’edilizia individua quattro classi: a) residenziale e turistico-ricettiva; b) produttiva e direzionale; c) commerciale; d) rurale. La norma stabilisce che per la legge nazionale costituisce mutamento rilevante della destinazione d’uso ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, anche se non accompagnata dall’esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l’assegnazione dell’immobile o dell’unità immobiliare considerati a una diversa categoria funzionale. Il mutamento di destinazione di uso può essere con o senza opere. Nel secondo caso si parla di mutamento funzionale di destinazione di uso; nel primo caso si parla di mutamento strutturale di destinazione di uso. Questo significa che il passaggio da destinazione residenziale a direzionale è mutamento di destinazione di uso (perché si passa da una categoria a una diversa); mentre il passaggio dalla destinazione I comuni devono pagare la tassa sui telefonini Anche i comuni, come i comuni mortali, devono pagare la tassa sui telefonini. Deve infatti ritenersi di interpretazione autentica la norma del decreto fiscale 4/2014 che indica i cellulari tra le «stazioni radioelettriche» soggette al tributo imposto all’utente: il balzello non risulta in contrasto con direttiva Ue sui servizi di comunicazione e l’esenzione vale solo per lo stato in quanto norma di stretta interpretazione. Ancora: l’assorbimento del ricorso non fa scattare il pagamento di una somma pari al contributo unificato già versato laddove non assimilabile al rigetto né all’improcedibilità. È quanto emerge dalla sentenza 19464/14, pubblicata il 15 settembre dalla sesta sezione della Cassazione che interviene su una fattispecie già affrontata dalle Sezioni unite civili con la sentenza 9565/14. La Suprema corte ha deciso nel merito rigettando il ricorso introduttivo del comune, che dunque non sfugge alla tassa di concessione governativa come abbonato del servizio di telefonia cellulare. Smentita l’interpretazione della Ctr secondo cui lo stesso presupposto impositivo del tributo sarebbe venuto meno dopo la liberalizzazione dei servizi di comunicazione introdotta dal decreto legislativo 259/03. Sono state le sezioni unite a stabilire che l’interpretazione secondo cui oggi la tassa di concessione sarebbe inapplicabile risulta incompatibile con la disposizione ex articolo dello stesso codice delle comunicazione elettriche. Nessun dubbio, poi, che l’articolo 2, comma 4, del decreto 4/2014 sia una norma di interpretazione autentica e, dunque, retroattiva: è infatti intervenuta a fare chiarezza in un contrasto interpretativo che ha diviso la giurisprudenza in sede sia di merito sia di legittimità, tanto da arrivare al collegio esteso. Esclusa anche ogni perplessità sulla conformità ai principi Ue: la tassa di concessione governativa è collegata all’uso dei servizi di telefonia mobile forniti dagli operatori, grava sugli utenti e non costituisce una barriera per l’accesso al mercato. Quanto all’esenzione riconosciuta dall’articolo 13 bis, primo comma, del dpr 641/72, non può essere riconosciuta anche agli enti locali perché non esiste una generalizzata assimilazione tra p.a. Dario Ferrara La sentenza della Cassazione sulla tassa sui telefonini su www.italiaoggi.it/documenti direzionale a quella produttiva o dalla turistica a residenziale non è mutamento di destinazione di uso rilevante ai fini della legislazione edilizia. Quanto alla identificazione delle categorie, comunque, prevale la legge regionale. Alcune regioni hanno già una regolamentazione normativa dei cambi d’uso, con categorie diverse da quelle del decreto Sblocca Italia. Per esempio vi sono regioni in cui la destinazione turistico-ricettiva è considerata a sé stante e non associata alla destinazio- ne residenziale oppure in cui la destinazione direzionale è autonoma rispetto alla destinazione produttiva. La rilevanza di un cambio di utilizzo come formale variazione della destinazione d’uso implica dover ottenere permessi e pagare oneri. La non rilevanza significa, di regola, meno casi in cui bisogna conseguire un titolo edilizio e meno spese per contributi di costruzione. Ad esempio in alcune leggi regionali si prevede che solo sono onerosi i mutamenti delle destinazioni d’uso, anche in assenza di opere edilizie, solo nei casi in cui si verifichi il passaggio dall’una all’altra delle categorie censite. L’onerosità, di regola, è commisurata alla differenza tra gli oneri dovuti per la classe della nuova destinazione d’uso e quelli dovuti per la destinazione in atto, con obbligo di versa- mento del conguaglio. La norma si spinge a disposizioni di dettaglio. In particolare la destinazione d’uso di un fabbricato o di una unità immobiliare va determinata prendendo quella prevalente in termini di superficie utile: in caso di unità con uso promiscuo (casa e ufficio, ad esempio) prevale quella che occupa più superficie ed è questa categoria quella che deve essere presa in esame per valutare cambi d’uso. L’articolo 23 ter si chiude con una norma di carattere generale e cioè che il mutamento della destinazione d’uso all’interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito. Anche qui, però, la legislazione regionale potrebbe disporre diversamente e in quel caso prevale sulla legge nazionale. Lo stesso va detto per i piani regolatori e in generale per gli strumenti urbanistici comunali, che possono vietare il mutamento di destinazione di uso anche all’interno della medesima categoria. Rent to buy, più tutele con la trascrizione Più garanzie per gli acquirenti di immobili che si avvalgano della formula del «rent to buy». I contratti di godimento in funzione della successiva alienazione, che consentono di rimandare al futuro la compravendita vera e propria permettendo però ai potenziali acquirenti di ottenere immediatamente la disponibilità dell’alloggio e di scomputare dal prezzo di vendita i canoni di locazione pagati, sono stati compiutamente disciplinati dal decreto Sblocca Italia (dl 133/2014). Con importanti tutele a favore dei conduttori-potenziali acquirenti che maturano un vero e proprio «diritto» all’acquisto dell’immobile. Ma il vero clou è rappresentato dall’obbligo di trascrizione che ricalca la disciplina della trascrizione del contratto preliminare ma con un prolungamento della durata (il termine di tre anni di cui all’art. 2645-bis del codice civile è elevato a tutta la durata del contratto e comunque a un periodo non superiore a dieci anni). L’obbligo di trascrizione comporta, inoltre, come conseguenza necessaria che i contratti di «rent to buy» rivestano la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata. A fare il punto sulle novità contenute nell’art. 23 del dl 133/2014 è il Consiglio nazionale del Notoriato che ha diffuso le prime note interpretative sull’istituto. I notai plaudono alla scelta del legislatore di rendere obbligatoria la trascrizione dei contratti che peraltro va proprio nella direzione di maggiore certezza e reciproca tutela delle parti auspicata dal Notariato. Le garanzie per i potenziali acquirenti prevedono inoltre il privilegio speciale sull’immobile a garanzia dei crediti (di restituzione) del futuro acquirente per il caso di inadempimento del venditore. Per non parlare poi delle tutele in caso di fallimento di una delle parti. Il decreto Sblocca Italia rinvia infatti sia all’art. 67 comma 3 della legge fallimentare (escludendo, in caso di fallimento del concedente, la revocatoria a tutela del conduttore con diritto all’acquisto che abbia trascritto) sia all’art.72 della stessa legge fallimentare, rimettendo al curatore, in caso di fallimento del conduttore, la valutazione sull’opportunità di continuare il rapporto. Venendo alla disciplina fiscale del contratto, nel silenzio del dl 133 e in assenza di una prassi in materia, il Notariato ritiene che possano applicarsi i principi espressi dall’Agenzia delle entrate in un consulenza data a febbraio 2014 all’ordine dei commercialisti di Monza. In caso di acquisto dal costruttore, ai fini Iva la base imponibile del prezzo di vendita non dovrà ricomprendere quanto già versato a titolo di canone di locazione. Discorso diverso invece per il pagamento dell’imposta di registro. Francesco Cerisano Calcola la tua Tasi su www.italiaoggi.it