Recensione - accademia degli intronati
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Recensione - accademia degli intronati
MARIO DE GREGORIO, Luigi De Angelis (1758-1832) con una lettera di Vincenzo Monti e la ristampa anastatica del ‘Discorso storico su l’Università di Siena’, Torrita di Siena, Associazione culturale Villa Classica, 2008, pp.146+40 ( “Il Moreni. Bibliografia e cataloghi di fondi librari antichi pubblici e privati”,1) Questo primo volume di una collana intitolata a Domenico Moreni – l’instancabile canonico fiorentino, la cui privata biblioteca fu annessa alla Riccardiana nel 1868 – è dedicato a un altro erudito che operò a Siena nello stesso arco di tempo fra Sette e Ottocento.: il francescano Luigi De Angelis. La collana nasce per iniziativa di Paolo Tiezzi Mazzoni della Stella, appassionato collezionista, che in una breve premessa scrive di aver voluto fare omaggio ai due personaggi sopra ricordati per la loro dedizione alla salvaguardia di quel “patrimonio genetico-culturale della nostra terra” costituito dai libri. Ai libri De Angelis dedicò gran parte della sua vita, come guardiano del convento senese di San Francesco, come docente di teologia nell’Università e soprattutto come bibliotecario della Biblioteca pubblica dal 1810 al 1832, anno della sua morte, lungo un percorso segnato da progetti realizzati o falliti, in una frenetica sequenza imposta da un carattere alquanto difficile. De Gregorio traccia la biografia del De Angelis partendo dal giudizio non del tutto lusinghiero che ne dette Giuseppe Porri: “Ad onta della non comune erudizione – scrisse il libraio-editore senese - disparata e confusa […] era la sua mente”. Ciò non ostante, corposo è l’elenco qui riportato delle opere edite del francescano, a cominciare dall’opuscolo sul miracolo delle sacre particole pubblicato nel 1799 e del quale così scrisse il severo cronista Vincenzo Buonsignori: “Dicesi che fin dall’anno 1730 fosse carpita nella chiesa dei frati conventuali di San Francesco una pisside d’argento e che il ladro, curando più il contenente che il contenuto, gettasse le sacre particole in essa chiuse in una cassetta delle elemosine ch’esisteva nella chiesa di Provenzano, ove si conservavano sempre a pubblica venerazione”. Il De Angelis “volle far costatare al pubblico creduto il prodigio della inalterata sostanza ed a sua insinuazione, alla presenza dell’arcivescovo di Siena e del clero della collegiata di Provenzano, alcuni periti attestarono esser la sostanza di quelle ostie sacrate incorrotta, non ostante la loro antichità. Nessuna prova per altro esisteva che quelle particole fossero quelle ritrovate entro la citata cassetta […] pure bastò l’apparenza a suscitare il fanatismo religioso, la malizia di un frate vinse la ragione, […] il frate purgato dalla taccia di giacobinismo, il convento arricchito”. Qualche anno dopo il De Angelis si accinse alla cura della ristampa e dell’aggiornamento delle Notizie istoriche degli intagliatori di Giovanni Gori Gandellini, operazione che “rappresenta senza dubbio il maggiore e più esteso sforzo compilativo dell’abate nell’ambito della sua attività intellettuale” (p.47). Mentre era impegnato nell’edizione dei vari volumi di quell’opera, nel 1810 l’abate rivolse un appello per la riapertura dell’Università di Siena ai tre commissari del governo napoleonico incaricati della pubblica istruzione. L’Ateneo senese era stato ,infatti, ridotto a sola Scuola di medicina aggregata all’Accademia Imperiale di Pisa e il De Angelis – fra l’altro privato della sua cattedra di teologia dogmatica – s’impegnò a delineare per la prima volta una storia del locale Studio, insistendo sulla sua antichità e il suo prestigio. L’opuscolo, intitolato Discorso storico su l’Università di Siena ai signori Cuvier, Coiffier e Balbo, è qui opportunamente riedito in appendice con stampa anastatica. Due anni più tardi un altro appello fu indirizzato dal De Angelis al maire Giulio Bianchi e al Consiglio municipale di Siena per l’istituzione di una galleria d’arte da collocare nelle sale della Sapienza. L’apertura di una Accademia del disegno, di cui l’abate fu nominato segretario, fu il prodromo dell’istituzione dell’Istituto di Belle Arti e dell’annessa Galleria nel 1816, dove furono collocati i dipinti raccolti nella Biblioteca dal vecchio bibliotecario Giuseppe Ciaccheri e dallo stesso De Angelis. “Malgrado le talvolta fantastiche attribuzioni inflitte ai dipinti dal De Angelis stesso – ha scritto Pietro Torriti (in L’Istituto d’arte di Siena, Siena, Il Leccio, 1986, p.63) - malgrado che lo studioso per la mania di voler fra comparire nella collezione quanti più nomi possibile, non si peritasse addirittura di smembrare gli stessi polittici, assegnando a ogni pezzo smembrato il nome di un diverso autore (!), è innegabile il merito di quest’uomo che salvò, se non dalla rovina, almeno dalla dispersione centinaia di opere di eccezionale valore storico-artistico”. Nell’accurato elenco delle opere edite del De Angelis (pp.33-127) sono spesso riprodotte anche “recensioni o note ai singoli lavori particolarmente significative”. Ecco, per esempio, cosa si legge nel primo tomo del “Nuovo giornale de’ letterati” (1822) a proposito della Lettera apologetica […] in favore di Folcacchiero Folcacchieri cavaliere sanese del secolo XII, il primo di cui si trovino poesie italiane (Siena, Porri, 1818): “Illustratore al sommo zelante e infaticabile delle cose patrie il ch. Sig. Ab. De Angelis […] ha perentoriamente, per quanto a noi sembra, vendicato alla città di Siena il vanto d’aver prodotto il primo verseggiatore italiano, il primo almeno di cui sieno fino a noi pervenuti i componimenti; vanto che per assai comune opinione attribuito venìa fino ad ora ad Alcamo, in Sicilia, per quel suo Ciullo, di cui ci rimane la famosa cantilena che comincia ‘Rosa fresca aulentissima ch’appari in ver la state’ “. A una questione di lingua si riferisce anche una lettera che Vincenzo Monti inviò al De Angelis nel giugno 1818, qui riprodotta (pp.133-134) non solo a riprova che il francescano ebbe prestigiosi corrispondenti (segnalati di recente anche da S. RISANI, I luoghi e la storia. Luigi De Angelis bibliotecario alla Sapienza, in “Bullettino senese di storia patria”, CXI, 2004, pp.216-249) , ma anche delle sue valide intuizioni, non sempre andate a buon fine. Il Monti conferma la bontà del progetto deangelisiano di pubblicare le postille di Celso Cittadini al Vocabolario della Crusca stampato a Venezia nel 1612, al fine di “stabilire finalmente la bellissima nostra lingua su gli eterni principii della ragione e della critica, a cui finora i benemeriti Accademici della Crusca per troppo amore di patria hanno avuto poco riguardo”. Con questo libro la figura del De Angelis ha avuto il suo giusto riconoscimento e ben si attaglia a chi, come lui, incrementò in pochi anni la Biblioteca pubblica di Siena da diecimila a quarantacinquemila volumi, il motto che campeggia nell’impresa dell’Associazione ‘Villa Classica’, curatrice della presente elegantissima edizione: Colligite fragmenta ne pereant. GIULIANO CATONI