il ballo in maschera

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IL BALLO IN MASCHERA L’evento era sensazionale, per quanto a Milano di cose sensazionali ne accadessero spesso, ma questa volta davvero tutta la Milano Bene , quella “da bere”, era in subbuglio. Ne parlavano tutti i giornali, anche quelli più seri che hanno in prima pagina le notizie di economia, e poi Facebook e Twitter e la Tv naturalmente. La curiosità e l’attesa quasi nevrotica erano al massimo. Imperversavano dappertutto le foto dei due eccentrici multimilionari del Texas, innamorati dell’Italia, i coniugi Farrel, ricchi da far paura ma anche generosi, pronti ad aprire la loro ben fornita cassaforte per fare beneficienza (sempre ben pubblicizzata!) e magari anche a divertirsi in contemporanea. Questa volta l’avevano pensata bella. Dopo aver preso i debiti contatti con le autorità comunali e aver ottenuto (facilmente) i relativi permessi, avevano organizzato attraverso un loro uomo di fiducia che era venuto appositamente a Milano, un ballo in maschera, no, non un ballo qualsiasi, una festa molto molto speciale. Sarebbe stata la “festa dei colori” e i colori decisi dai Farrel erano : rosso, blu, giallo, viola, azzurro, nero, arancione, fucsia, bianco, verde. Dieci colori per trenta coppie. Ma le coppie non si sarebbero formate spontaneamente, a loro scelta, nossignori, ma in modo casuale. Ci sarebbero state quindi trenta coppie danzerine, tre coppie per ogni colore. I ballerini si sarebbero dovuti recare alla prefettura nell’ apposito ufficio dove avrebbero estratto a sorte un biglietto in cui avrebbero trovato scritto il colore del mantello che avrebbero indossato nonché il numero di coppia. Una sartoria avrebbe provveduto a confezionare i 30 mantelli con cappuccio e procurato le mascherine, sul tipo delle bautte veneziane. Le mascherine, nere, avrebbero lasciato scoperti solo gli occhi , un nastro di sottile velo nero trasparente applicato alla parte bassa avrebbe permesso solo di intravedere la bocca. Il costo dei biglietti era tale da essere accessibile a una parte ristretta di milanesi ma le richieste fioccavano numerose, anche dall’estero L’occasione era irripetibile, e poi c’era la consolazione che tutti i soldi, tolte le spese, sarebbero stati donati dai Farrel a un ente benefico a scelta del comune. I ballerini si sarebbero cimentati in una gara di resistenza, la coppia finalista, rimasta in pista quando le altre 29 si erano ormai ritirate tutte, avrebbe ricevuto in premio un giro del mondo in crociera, su una nave sella società Farrel Navy ovviamente. La coppia unita, se volevano, altrimenti separati. Alice Bernasconi era perplessa: i suoi genitori, cioè suo padre, ricchissimo industriale nel campo delle televisioni private e dell’edilizia e la sua seconda moglie l’avevano iscritta a sua insaputa, colore giallo, numero 3. Alice era pienamente conscia di essere bruttina, col nasone ereditato dal papà e il fisico magrolino, piatto, il lato B praticamente inesistente. Mamma aveva insistito molto per portarla da un chirurgo e farle modificare il naso, ma lei no, dura, perchè se era vero che era timida, introversa, quasi asociale, era anche vero che lei nel tempo si era accettata e pretendeva che l’accettassero anche gli altri. Ma questa volta qualcosa del lato misterioso della festa la stava attraendo e, in fondo, sotto la bautta il naso restava invisibile. L’ingegner Alfred Knaus aveva appena acquistato il biglietto per Franz, colore giallo, numero 3. Era ora che Franz uscisse e questa era l’occasione buona per studiare le sue reazioni con la gente, basta restarsene chiuso nella splendida villa di viale Majno. La grande serata finalmente era giunta. L’Arcimboldi, affittato per l’occasione era pronto: in platea sparite le poltroncine, nella parte più bassa la pista per i ballerini, nella parte superiore eleganti tavolini per chi aveva speso il biglietto di prima categoria, i Bernasconi naturalmente e naturalmente l’ingegner Klaus. Sul palco l’orchestra, i musici in frack. Davanti a tutti i coniugi Farrel. Su ogni tavolino una bottiglia di champagne nel secchiello col ghiaccio. I ballerini sarebbero entrati da ingressi laterali, le signore da destra, i signori da sinistra e si sarebbero incontrati direttamente sulla pista 1 Alice entrò alquanto emozionata, si guardò intorno ansiosa e subito individuò un mantello giallo con un grosso 3 stampato sulla destra. Si avvicinò e stese la mano “Alice”sussurrò. E lui “Franz”. Indossava guanti bianchi, la sua stretta era forte. Sotto il velo della bautta intravedeva una bocca morbida, appena atteggiata a un sorriso che appariva timido. Le fessure per gli occhi lasciavano intravedere pupille azzurre. Era alto, spalle larghe, sotto il mantello si intuiva un corpo snello, asciutto, insomma si capiva che questo Franz era un bel ragazzo. L’orchestra iniziò subito, secondo le direttive dei Farrel. Era un tango. Franz le cingeva la vita con competenza e sicurezza e lei lo seguiva facilmente sulle note di “tango della gelosia”. Nessuna interruzione. Subito dopo un walzer lento e poi un samba, e poi una rumba, e poi una mazurka, e poi una polka. Alice cominciò a sentirsi un po’ stanca, non era abituata a quel turbinio senza tregua. Sentiva i battimani degli astanti, il cuore le batteva forte, e i piedi erano indolenziti. Poi l’orchestra attaccò con i walzer viennesi, uno dopo l’altro. Senza tregua, un due tre, un due tre, un due tre. Guardò Franz : i suoi occhi erano impenetrabili, il suo sorriso impassibile, la pressione del suo braccio intorno alla vita immutata. A lei cominciò a girare le testa. Intorno non vedeva più niente di distinto, solo macchie confuse in un turbinio di colori. Distinse ugualmente che alcune coppie uscivano stremate. Flebilmente disse “Franz, forse…”. Lui non rispose, continuò a portarla in giro. “il bel Danubio blù”, un due tre, un due tre, un due tre. “Franz…io…”. Erano rimaste poche coppie in pista, ma non stavano ballando vorticosamente, avevano rallentato il ritmo. “Franz, io, basta, ti prego, rallenta…io…” “Franz, basta, basta per l’amore di Dio”. Ormai solo loro due sulla pista e un uragano di applausi. “Franz, lasciami, oh Dio! Lascia…”. E poi fu il buio. Click. Franz non si fermò a guardare la sua dama, giallo n. 3, caduta a terra. Si girò e si avviò tranquillo all’uscita. L’ingegner Knaus era lì col telecomando in mano. Click, Franz stramazzò a terra e l’ingegner Knaus lo trascinò faticosamente fino alla sua auto parcheggiata lì vicino. Aprì il portabagagli e lo ficcò lì dentro. Si allontanò in tutta fretta. Avrebbe dovuto apportare ancora molte modifiche alla sua creatura. 2