da BresciaOggi

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lunedì 12 maggio 2008 cronaca pag. 16
GIORGIO CORDINI. Il chitarrista racconta la sua storia di autodidatta arrivato al
successo e l’attività «parallela» in sala di registrazione
La musica mi ha cambiato la vita
di Gian Battista Muzzi
Nella pace della sua casa a Provaglio d’Iseo, Giorgio Cordini racconta di sé, della
sua vita, delle peripezie alle quali è andato incontro e della sua passione per la
chitarra.
«Un bel giorno il mio amico Mauro Pagani mi telefona dicendomi: "ci sarebbe da fare
una tournée con Fabrizio de André"...».
Una bella notizia, una prospettiva importante. Cosa ha provato?
«Lo lascio immaginare a chiunque, musicista o no! Quella telefonata ha sconvolto
completamente la mia vita. Primo, perché ho avuto il coraggio di dire di sì e poi perché,
nonostante gli inevitabili problemi dell’avvio, la vicenda è andata bene: sono piaciuto a
Fabrizio in barba agli uccelli del malaugurio che me l’avevano descritto come uomo dal
pessimo carattere. Fortunatamente, in quel periodo lui aveva smesso di bere ed era
molto più sereno, disteso, e così lo fu fino a quando se n’è andato...».
Quale cambiamento ha prodotto nella sua vita suonare nella band di De André?
«Devo raccontare, anche se brevemente, alcuni fatti della mia vita per spiegarmi
meglio. Quando accettai di lavorare con Fabrizio stavo uscendo da un periodo piuttosto
agitato della mia vita. Avevo smesso di fare l’imprenditore, avevo modificato la mia
situazione famigliare; insomma una rivoluzione a 360 gradi. E, soprattutto, avevo dato
ascolto alla mia vecchia passione: la chitarra. Mi ero rimesso nel mondo della musica e
avevo ripreso contatti con vecchi amici. Le prime occasioni importanti me le offrì, come
al solito, Mauro Pagani, al quale ero unito da un’antica amicizia e che tuttora
frequento».
Perché si era allontanato dalla musica?
«Io ho cominciato a suonare la chitarra a tredici-quattordici anni, quando ancora abitavo
a Venezia. Sono nato là, nel 1950, ma la mia famiglia era brescianissima. Quando ebbi
diciassette anni, ci siamo trasferiti a Brescia. Loro ritornavano ed io ci venivo per la
prima volta. Ho fatto l’ultimo anno di liceo all’Arnaldo. Abitavo in via Crispi, però avevo
paura ad attraversare la strada, abituato com’ero a Venezia. Ci ho messo qualche anno
ad abituarmi alle automobili. Mi sono fatto conoscere nei vari gruppi bresciani e l’anno
successivo ho conosciuto Mauro Pagani. Con lui abbiamo fatto un gruppo, la Forneria
Marconi che, negli anni successivi, quando io non c’ero più, è diventato la Premiata
Forneria Marconi. Lui ha portato avanti il gruppo, mentre io, per qualche anno e da solo,
ho tentato di fare il musicista di professione; però non sono mai riuscito a guadagnare il
necessario per vivere: nel frattempo avevo già famiglia... Ho abbandonato
completamente la chitarra, ho venduto tutto e per dieci anni ho fatto l’imprenditore nel
mondo dell’informatica. Fino a quando il mio tarlo, la mia passione, ha ripreso il
sopravvento».
Torniamo a Fabrizio de André. Poi cosa successe?
«Quando un musicista suona con Fabrizio de André succede che, improvvisamente,
diventa bravissimo; tutti dicono: se ha suonato con de André... Da allora ho suonato
con tanti altri e comunque credo di aver fatto sempre la mia bella figura. Ho suonato
con molti del suo circuito, con Massimo Bubola, Cristiano de André, il figlio; ho suonato
con Roberto Vecchioni, con Irene Fargo, con Finardi; ho fatto anche due tournée con
Ranieri».
Ma non si vive di sole tournée, perché durano solo alcuni mesi all’anno. Durante gli altri
mesi come sbarca il lunario un musicista come lei?
«A causa di questo motivo ho sempre cercato di avere delle attività parallele. Una di
queste, per esempio, è l’attività in studio di registrazione. Se vieni chiamato da un
artista per suonare, passi intere giornate in sala di registrazione. Alcuni vivono di questa
professione. Io non amo molto rinchiudermi in questi opprimenti studi. Mi piace di più,
semmai, girare e suonare dal vivo: dà molta più soddisfazione esibirsi sui palcoscenici e
nei teatri. A proposito di sala di registrazione, sto realizzando un nuovo Cd con Reno
Brandoni: è un duetto chitarra-bouzouki. Nel Cd ci sono quasi tutte nostre canzoni
strumentali. Tra le altre, e questa è un’anteprima, c’è una Ninna nanna bresciana
intitolata "A fa ’l patös" (a fare lo strame), nella quale si sostiene che se per raccogliere
le foglie serve il rastrello, per fare l’amore serve il cervello. C’è anche un brano dedicato
alla mia mamma Anna».
Il musicista, il chitarrista deve sempre, per forza di cose, suonare con altri. La sua figura
non viene un po’ sminuita?
«Io, come Giorgio Cordini, ho cercato di impormi anche con dei brani fatti da me, come
chitarrista. A nome mio ho fatto quattro Cd; uno è un duetto con un altro chitarrista,
Andrea Braido, sono canzoni dedicate ai Beatles; un altro, "Chitarre d’autore", è una
raccolta di canzoni d’autori spogliate del testo per far vedere come suono la chitarra io;
poi "Disarmati", un altro Cd in cui avevo preso in esame il discorso del disarmo e quindi
sono canzoni dedicate alla pace, anche queste quasi tutte strumentali. L’ultimo Cd,
uscito un anno e mezzo fa, è un rifacimento della "Buona Novella" di Fabrizio de André
con un ensemble di nove musicisti, che si chiama Piccola Orchestra Apocrifa. Il nome
deriva dal fatto che il disco "La buona Novella" trae spunto dai racconti dei vangeli
apocrifi.