I celti 2.rob - Simboli sulla roccia

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I celti 2.rob - Simboli sulla roccia
DIVINITA’ CELTICHE SULLE ROCCE DELLA VALCAMONICA
(Comune di Pisogne, Assessorato alla Cultura, “Quaderni della Biblioteca”,
marzo 2001)
Silvana Gavaldo
Dipartimento Valcamonica del Centro Camuno di Studi Preistorici
La presenza – o per lo meno l’influenza – dei Celti in Valcamonica sembra aver
investito profondamente la sfera mitico-religiosa. Le incisioni rupestri camune
presentano per gli ultimi secoli a.C. alcune immagini che, sia pure con le debite
riserve e precauzioni interpretative, offrono molti punti di contatto se non di
identità con il mondo delle divinità celtiche.
La figura più nota è senza dubbio quella del Kernunnos: il dio dalle corna di
cervo, ben documentato nella statuaria gallo-romana. Egli è solitamente
rappresentato seduto o accovacciato, ha al collo o in mano una torque ed è
accompagnato da tori e/o cervi. Nel calderone di Gundestrup figura forse come
“Signore degli animali” ed è associato al serpente a testa d’ariete. Spesso reca
in grembo una cornucopia o una borsa di monete, il che lo avvicina a un dio
dell’abbondanza. In Valcamonica compare sicuramente in due raffigurazioni, a
Naquane e a Piancogno; è in piedi, con le braccia levate nella posizione
dell’orante.
L’incisione di Naquane, più monumentale, lo rappresenta con una torque
intorno al braccio destro; una linea a zig-zag al suo fianco riprende la sagoma
delle imbarcazioni con elemento terminale a testa d’uccello, ma richiama anche
la fisionomia di un serpente: con ambivalenza tutta celtica potrebbe alludere a
entrambi gli aspetti. dI fronte al dio si trova un piccolo personaggio in atto di
preghiera.
Sulla base dello stile e della presenza dell’elemento di imbarcazione, l’incisione
è stata attribuita al VI-V secolo a.C., il che la renderebbe la prima
raffigurazione nota di questa divinità, addirittura proveniente dall’area
propriamente celtica. Si è perciò ipotizzata un’origine alpina di questo diocervo, successivamente fatto proprio dai Celti; ma se sull’identificazione non
sussistono dubbi, quest’ultima ipotesi necessita ancora di verifiche
archeologiche, e bisogna comunque tenere conto di contatti tra l’area alpina e
quella celtica anche prima del VI-V secolo a.C.
Che il cervo avesse un particolare valore per la popolazione camuna sembra
testimoniato a sufficienza dalle numerose raffigurazioni di questo animale,
anche prima del periodo di influenza celtica: oltre che in scene di caccia, il
cervo compare più volte addirittura cavalcato (al pari talora di uccelli),
probabilmente in contesti di narrazione mitologica; è significativo che l’area di
incisioni in cui ricorre con maggiore frequenza sia proprio Naquane, dove
abbiamo visto esservi anche il Kernunnos. Poiché quest’animale aveva
un’importanza fondamentale anche nel pensiero mitico-religioso dei Celti (era
in relazione con il culto dei morti e aveva funzioni di psicopompo; inoltre il
ricrescere periodico delle corna simboleggia il rinnovarsi ciclico e la fertilità), il
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sincretismo o il passaggio del dio-cervo da un popolo all’altro può essere
facilitato.
Il serpente cornuto è attestato con certezza in altre due scene camune di
contesto religioso; nel primo caso vicino a una capanna (elemento che
possiede una valenza funeraria), un guerriero e un disco campito; nel secondo
caso, associato a un altro serpente e a una piccola rosa camuna di cui sembra
riprendere lo schema sinuoso, occupa l’area verso cui si rivolgono almeno tre
personaggi oranti di fase tarda.
Anche in altre immagini abbiamo testimonianza di un significato miticoreligioso dato al serpente; pur non conoscendo il senso preciso delle
associazioni, resta indubbio il valore culturale dato alla scena.
Una terza figura dalle caratteristiche uniche tra le incisioni dalla Valcamonica si
ricollega al mondo celtico, in particolare ad un bassorilievo di altare di età
romano imperiale, proveniente da un santuario di Ercole, ad Ajka (Ungheria). Il
bassorilievo mostra spiccati caratteri celtici nello stile e nella tematica: il
personaggio rappresentato può essere identificato con il dio celtico Esus, che i
Romani assimilavano a Ercole, o Marte, o Mercurio (è tipica l’indeterminatezza
dell’identificazione tra divinità celtiche e romane).
Il dio è noto epigraficamente anche da un altare del I secolo d.C. rinvenuto a
Parigi, come un giovane che abbatte un albero a colpi d’ascia.
La scena raffigurata, che continua sul lato adiacente all’altare, ha un parallelo
in un episodio della saga irlandese di Cuchulainn, quando l’eroe abbatte un
albero per ritrovare il toro divino di cui è in cerca. Nell’altare di Ajka accanto al
dio è invece raffigurato un cervo, che è presente anche vicino all’incisione
camuna. Le caratteristiche del culto di Esus ci vengono accennate da Lucano
(Bellum Civile, I, 445) e da alcuni commenti medievali a Lucano: insieme a
Teutates e a Taranis, Esus era un dio importante, cui venivano sacrificate
vittime appese a un albero in connessione con il dissanguamento. Questo tipo
di sacrificio ribadisce l’importanza dell’albero in connessione con il dio: secondo
Lucano egli riceve culto in luoghi selvaggi, probabilmente proprio nei boschi,
com’era d’altronde costume per la religione celtica.
In Valcamonica non abbiamo raffigurazioni di alberi come sull’altare di Ajka e
di Parigi, ma la roccia stessa con l’incisione di Esus è situata in una zona
boscosa (Carpene) e, probabilmente, allora come oggi il bosco faceva da
sfondo alla scena incisa e agli eventuali riti ad essa correlati.
Nella triade di divinità nominate da Lucano (loc. cit.), un altro dio oltre ad Esus
è ravvisabile in Valcamonica. Si tratta di Taranis, il dio identificato dai Romani
con Jupiter: dio del cielo e del ciclo stagionale, ha come principale attributo la
ruota raggiata. Questo simbolo è presente nelle incisioni con una ricca
tipologia, pienamente confrontabile con i ritrovamenti celtici di amuleti a forma
di ruota, e spesso è anche in associazione con figure armate: la relativa
frequenza di questo segno durante tutta la fase celtica del ciclo camuno
potrebbe spiegarsi con il riferimento ad una divinità come Taranis, che nella
ruota raggiata ha il proprio emblema.
A conferma di ciò abbiamo una possente figura di armato con una ruota a
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cinque raggi al posto della testa (La Bosca): una vera e propria identificazione
tra la divinità antropomorfa e il suo simbolo. Inoltre altri personaggi sono
collegati con ruote o dischi (anche scudi/dischi): è particolare per la posizione
accovacciata o seduta l’immagine rinvenuta a Campanine, area in cui vi è una
notevole presenza di ruote raggiate e in cui si legge una rara iscrizione latina,
IOVIS, che ci riporta al dio latino con cui Taranis era identificato.
Altri riferimenti ad una religiosità di influsso celtico cono nelle figure a due o
tre teste, che richiamano analoghe divinità galliche che i romani assimilarono
al loro Janus o ad Ecate; in un caso uno di questi esseri è in stretta
associazione con un animale, forse un caprino.
Come animali correlati a divinità potrebbero forse essere letti i numerosi
volatili, corvi e galli, che compaiono in questa fase: nell’iconografia religiosa
essi si associano al dio Lug (Mercurio secondo i romani) ed è importante notare
come il dio Mercurio sia tra i più venerati in Valcamonica nel periodo successivo
alla romanizzazione; la presenza di questi volatili nell’arte rupestre di fase
celtica potrebbe forse essere spia di un culto già radicato nella popolazione, cui
i romani avrebbero di nuovo sovrapposto, secondo il loro costume, una divinità
del proprio pantheon.
Queste analogie tra l’arte rupestre camuna di fase celtica e la religione gallica,
anche se non sempre esplicite come nel caso delle raffigurazioni degli dei
Kernunnos, Esus e Taranis, lasciano tuttavia intravedere come i contatti tra le
popolazioni alpine e i Celti siano stati ben più antichi, stretti e profondi di
quanto finora si sia supposto.
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