Maria la spagnuola

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Maria la spagnuola
P. Bertini Malgarini – U. Vignuzzi
Una lingua per il popolo: le traduzioni italiane di ‘Maria la spagnuola’
Scriveva Bruno Migliorini nella sua Storia della lingua italiana, a proposito degli effetti
dell’unificazione sulla prosa letteraria: «Chi consideri panoramicamente la prosa quale si scriveva
correntemente prima dell’unità nazionale e dopo il primo cinquantennio di vita comune, noterà
certo un considerevole progresso sia per quello che concerne l’unità (cioè l’esprimere le stesse idee
con le stesse parole) sia per quel che concerne la vicinanza con la lingua parlata»1.
Lo studioso sostanziava la sua osservazione proponendo un’ampia sinossi delle due prime
traduzioni italiane dell’Assomoir di É. Zola: quella del napoletano Emmanuele Rocco2 «di tendenza
tradizionalistica (1879)» e quella del
pistoiese Policarpo Petrocchi «di tendenza manzoniana
(1880)»3 realizzata4 con la collaborazione di L. Standaert»5, un caso davvero interessante quando si
tenga conto che a brevissima distanza dalla pubblicazione del romanzo in Francia (1877)6 due degli
esponenti di punta delle correnti contrapposte della cosiddetta “questione della lingua” si
affrontarono7 con traduzioni molto divergenti, soprattutto, ma non solo, nella resa dei realia.
Dai brani proposti da Migliorini traiamo un passo particolarmente interessante perché ricco di
termini della cultura “materiale”, specificatamente gastronomica
Zola8
Il y avait aussi, à coté du boulanger, une fruitière, qui vendait des pommes de terre frites et des
moules au persil […] une boutique de charcutier, pleine de monde, d’où sortaient des enfants,
tenant sur leur main, enveloppés d’un papier gras, une côtelette panée, une saucisse ou un bout
de boudin tout chaud. (p. 43)
trad. Rocco:
V’era pure, accanto al panattiere una trecca che vendeva patate fritte e telline al prezzemolo
[…] una bottega di pizzicagnolo, piena di gente, d’onde uscivano fanciulli che tenevano in
1
B. Migliorini, Storia della lingua italiana, Firenze, Sansoni, 19634, p. 676.
2
É. Zola, L’Assomoir (Lo Scannatojo), trad. E. Rocco, Milano, Treves, 1879.
3
É. Zola, L’Assomuàr, traduzione in lingua italiana parlata dei prof.ri Petrocchi e Standaert,
prima traduzione autorizzata dall’autore, Milano, G. Pavia & C, 1880.
4
Migliorini (Storia della lingua, p. 676 nota 4) evidenzia dalla prefazione del Petrocchi
l’affermazione che ha realizzato la sua traduzione «senz’un vocabolo letterario, senz’una parola
che non sia popolare in Toscana; e anche senza nessuna perifrasi».
5
Sulla collaborazione di Louis Standaert alla traduzione di P. Petrocchi, vd. ora N. Ruggiero, La
civiltà dei traduttori. Transcodificazioni del realismo europeo a Napoli nel secondo Ottocento,
Napoli, Guida, 2010, p. 34 e nota 48.
6
Un romanzo del cui enorme successo si era fatto portavoce in Italia Francesco De Sanctis, in una
famosa conferenza del 15 giugno 1879 al Circolo Filologico di Napoli (vd. F. De Sanctis, Zola e
l'Assommoir: conferenza tenuta al Circolo filologico di Napoli il 15 giugno 1879 da Francesco de
Sanctis, Milano, F.lli Treves).
7
Ruggiero, La civiltà dei traduttori, pp. 277-287 raccoglie gli interventi di Petrocchi e Rocco sulla
traduzione dell'Assommoir.
8
É. Zola, L’assommoir, Paris, Bibliothèque-Charpentier, Fasquelle éditeurs, 1877.
1
mano, involta in carta ingrassata, una costoletta crostata, un rocchio di salsiccia o un pezzo
di sanguinaccio caldo caldo. (p. 40)
trad. Petrocchi - Standaert
C’era anche, accanto al fornaio, una fruttaiola che vendeva delle patate fritte e delle telline col
prezzemolo […] una bottega di norcino piena di gente, di dov’uscivan dei ragazzi con una
braciola panata in mano, avvolta in una carta unta, una salsiccia o un biroldo caldo fumante.
(p. 34)
Il clima culturale e linguistico nel quale le due traduzioni9 furono realizzate (e la successiva di
Bideri) è stato accuratamente indagato da N. Ruggiero anche in relazione alle polemiche che se ne
originarono nel recentissimo volume La civiltà dei traduttori10 al quale si rinvia senz’altro pure per
l’abbondante esemplificazione addotta. Ci si è dunque qui limitati a fornire un minimo confronto: le
varianti evidenziate in neretto confermano appieno la sistematica predilezione per un registro
colloquiale da parte del Petrocchi e dello Standaert, registro che non poteva naturalmente non
coniugarsi coll’assunzione del toscano coevo. Varrà la pena di segnalare la resa di moules che per
entrambi i traduttori vale telline e d’altro canto la forma cozza è attestata in italiano (secondo il
NDELI11) a partire dal 1905: il Rocco avrebbe potuto tuttavia far ricorso a mitili o addirittura a
mitoli, termine largamente presente nei testi di lingua, mentre il Petrocchi avrebbe potuto impiegare
muscoli (ovviamente di mare) se non addirittura datteri (che però appartengono a rigore un’altra
specie di bivalvi )12; si sarebbe tentati di definirlo, con la filologia, un “errore congiuntivo”.
Concludeva
Migliorini che qualche decennio più tardi, per l’esattezza nel 1910, «due
traduzioni così profondamente diverse sarebbero [state] impensabili», riconoscendo che la
mediazione era stata realizzata dalla cosiddetta prosa borghese, quella che secondo la citazione del
Pancrazi «era la prosa della nostra vita media, sarebbe stata la prosa del romanzo e della novella
italiana».13
Movendo dall’illustre e notissimo esempio miglioriniano (et si licet parva …), proponiamo il
caso delle vicende di un’altra traduzione di un romanzo “popolare” molto meno importante (e
conosciuto), ma certamente non del tutto marginale nel quadro letterario e culturale dell’Europa
dell’epoca, Maria la hija del jornalero – nella versione italiana Maria la Spagnuola14 con
riferimento però non tanto a un bipolarismo normativo-stilistico di tipo sincronico, ma secondo una
9
Cfr. anche Enrico Ghidetti, Petrocchi da Zola a Manzoni, in In onore di Policarpo Petrocchi. Atti
del Convegno di studi , a cura di A. Ottanelli, C. O. Gori, Pistoia, Gli Ori, 2005, pp. 37-62 (qui pure
P. Manni, Policarpo Petrocchi e la lingua italiana, pp. 63-76).
10
Cit. alla nota 5.
11
Il nuovo etimologico. DELI - Dizionario Etimologico della Lingua Italiana di Manlio Cortelazzo
e Paolo Zolli, seconda edizione in vol. unico a cura di Manlio Cortelazzo e Michele A. Cortelazzo,
Bologna, Zanichelli, 1999.
12
Cfr. le relative voci nel GDLI.
13
Migliorini, Storia della lingua, p. 678 con bibl. relativa.
14
Una riproduzione anastatica della prima traduzione italiana a cura di P. Bertini Malgarini e U.
Vignuzzi di Maria la Spagnuola è stata stampata nell’ambito della ricerca PRIN “Il romanzo e la
storia”, coordinatore nazionale A. M. Morace.
2
diacronia in tempo reale negli anni cruciali dell’Unità italiana. L’autore dell’opera, il liberaldemocratico Wenceslao Ayguals de Izco, è oggi certamente poco noto nel nostro paese: nelle
maggiori storie della letteratura italiana e nei più importanti repertori di questi ultimi anni non se ne
fa mai menzione (neppure in relazione a Sue di cui fu amico e traduttore); eppure il suo nome deve
aver circolato, quanto meno negli ambienti italiani liberal-democratici, proprio negli anni di fuoco
della “rivoluzione italiana”.
Ne è valida testimonianza la dedica che lo scrittore spagnolo appose nel verso dell’occhietto
nella copia del Derecho y la fuerza inviata a Giuseppe Garibaldi15 nel 1866: «A l’ilustre ciudadano
J. Garibaldi, terror de los tiranos y esperanza de los pueblos, en testimonio de admiración y amor
fraternal, el autor. Una parabla vuestra en honor de nuestra revolución havria en España un efecto
magico»16.
Il poema filosofica El derecho y la fuerza aveva riscosso larghi consensi negli ambienti
“progressisti” europei17: a esempio Victor Hugo lo aveva lodato, «en una carta en verso», per la
ferma condanna della pena di morte che vi era contenuta; condanna che, per altro, era già stata già
vigorosamente espressa da Ayguals nel romanzo María la hija de un jornalero: «Ci sia permesso di
qui sospendere per un istante il corso della nostra storia, onde emettere il parer nostro sulla più
importante questione che si possa sottoporre all’intelligenza umana; procureremo di far ciò
laconicamente e con coscienza. C O N V I E N E
18
O NO ABOLIRE LA PENA DI MORTE? »
.
Nel romanzo posizioni egualmente forti sono sostenute contro la schiavitù: non a caso allo
scrittore spagnolo si deve anche una traduzione del notissimo racconto di Harriet Beecher Stowe,
Uncle Tom's cabin: in castigliano La choza de Tom: o sea Vida de los negros en el sur de los
Estados Unidos19.
In effetti Wenceslao Ayguals de Izco è stato uno dei protagonisti della vita culturale del suo
paese nei decenni intorno alla metà del secolo XIX sia come scrittore, sia come editore 20, sia, più in
generale, come uomo politico (fu più volte deputato alle Cortes). La sua attività di romanziere si
sviluppa a partire dagli anni ’3021 intrecciandosi con quella di imprenditore editoriale: come si
15
L’esemplare, stampato a Madrid, Imprenta de R. Labajos, è conservato presso la biblioteca del
Museo Garibaldino di Caprera.
16
Lo ricorda T. Olivari nell’avvio di I libri di Garibaldi, in «Storia e futuro», 1 aprile 2002,
consultabile anche in rete, http://www.storiaefuturo.com/arretrati/2002/01/01/005.html.
17
Cfr. R. Benítez, Wenceslao Ayguals de Izco y su entorno, in Historia de la literatura española,
dir. V. García de la Concha, coord. G. Carnero, vol 8. Siglo XIX (I), Madrid, Espasa Calpe, 1997,
pp. 678-83, alla p. 681.
18
Capitolo II della Parte Sesta, La sentenza, pp. 266-278; a p. 273 sono esplicitamente richiamati I
misteri di Parigi; le citazioni sono dalla prima trad. italiana.
19
Madrid, Imprenta de Ayguals de Izco y hermanos, 1852.
20
«Librero negociante»: così è definito nel già ricordato volume Historia de la literatura spañola.
Siglo XIX (I), coord. G. Carnero, p. 31.
21
Per una prima informazione al riguardo si veda J. I. Ferreras, La novela por entregas 1840-1900
(concentracion obrera y economia editorial), Madrid, Taurus, 1972, in partic. pp. 121-132; cfr.
3
sottolinea nella Storia della letteratura spagnola (di C. Alvar, J.-C. Mainer e R. Navarro, ed.
italiana a cura di Pier Luigi Crovetto)22, «Wenceslao Ayguals de Izco [fu] creatore dell’industria
della letteratura su ordinazione (de entregas) in Spagna, [e] fondatore nel 1843 della Sociedad
Literaria», casa editrice che pubblicò tra l’altro la collezione economica con le traduzioni dei più
famosi romanzieri europei, El novelista universal, con l’obiettivo di favorire una maggior
acculturazione delle classi meno abbienti, non disgiunta dalla volontà di diffusione delle idee
liberal-democratiche: la Sociedad Literaria stampò fra l’altro diversi volumi con traduzioni, oltre
che di Sue, di Hugo e persino di Voltaire.
Varrà la pena di richiamare, almeno in sintesi, il meccanismo della novela por entregas, un
prodotto editoriale nuovo che, come sottolineato da numerosi studiosi23 si adattava perfettamente
alle esigenze del mercato venutesi a creare con la coeva diffusione dell’alfabetizzazione “popolare”
urbana: racconti dagli intrecci di norma molto complicati e per così dire in progress, realizzati sulla
base di canovacci di partenza che venivano modificati e ampliati (o eventualmente ridotti) a
seconda del successo editoriale delle “puntate”; una produzione seriale, spinta da campagne
pubblicitarie mirate e capillari (naturalmente tenendo conto dei mezzi dell’epoca), e rivolta
specificamente agli strati meno colti della società e soprattutto al pubblico femminile24. Elementi
fondamentali di queste pubblicazioni erano la cadenza settimanale, la diffusione a domicilio, e il
frazionamento del libro «en sucesivas unidades de consumo y de lectura»: una quantità fissa di
pagine equivalente a un fascicolo o a un mezzo fascicolo, al costo di appena 2 reali «per 32 pagine
che non a caso rappresentavano il massimo che si potesse leggere durante il tempo libero, di fronte
a una spesa di 8 /10 reali che poteva invece essere o apparire troppo onerosa»;
Cada unidad semanal de lectura es, pues, a la vez completa (contiene generalmente dos
capitulos) e incompleta (el nuevo capitulo se interrumpe de repente); cada unidad de lectura
proporciona al lector la satisfaccion y la insatisfaccion, que es evidentemente la que empuja a
desear el acceso a la continuacion del relato atraves de otra entra entrega25.
Per opportuno confronto dei prezzi di vendita, si ricorderà che le dispense della Quarantana erano
vendute in coppia a 80 centesimi di lira italiana, e che il prezzo di sottoscrizione per l’intera opera
dello stesso Catálogo de novelas y novelistas españoles del siglo XIX, Madrid, Cátedra,1979, pp.
53-54 num. 184.
22
Vol. 2, L’età contemporanea, Torino, Einaudi, 2000, p. 441.
23
Cfr. tra gli altri il già cit. Historia de la literatura española. Siglo XIX (I) nel quale ampio spazio
viene dedicato non solo ad Ayguals ma più in generale alle «publicaciones por entregas»; vd. in
partic. pp. 38-42.
24
Come ricorda D. L. Shaw (Historia de la literatura española. El siglo XIX, ed. accresciuta e
aggiornata, Barcelona, Editorial Ariel, 1992, p. 82), la percentuale di alfabetizzati passò dal 10%
del 1841 al 25% del 1860.
25
Vol. cit.; nostra la traduzione riportata sopra.
4
«era di 37.80 lire italiane, pari a 43.44 lire austriache, le quali, per quei tempi, rappresentavano una
cifra ragguardevole»26.
Di fatto Ayguals fu, a partire dagli anni ’30 dell’Ottocento, il più famoso autore ed editore di
novelas por entregas: per questa sua produzione “folletinesca” - collocata in genere nel solco del
«costumbrismo» spagnolo della prima metà del secolo XIX 27 ovvero della «Novela social»28– è
fondamentale il collegamento (pure personale) con Eugène Sue, del quale Ayguals, come si è detto,
pubblicò numerose traduzioni, spesso per la propria casa editrice. Di particolare rilievo quella di Le
juif errant, El judío errante (novela traducida del francés por D. Wenceslao Ayguals de Izco,
Madrid, 22 tomi in 7 volumi) del 1844-1845, che precede di pochissimo la stampa della «historianovela original» María la hija de un jornalero apparsa a Madrid presso l’autore in due volumi nel
1845-46:
Poco antes del 1 de dicembre de 1845, aparecen las primeras entregas de Maria en una
edición de sorprendente calidad: el papel es excelente, clara y elegante la impresión, buenos en
general los grabados de Benedicto sobre dibujos de Vallejo. Las entregas se distribuyen a través
de cinco librerías madrileñas y en más de duecentotrenta ciudades y pueblos del interior29.
Significativamente, il romanzo è preceduto da una lettera di dedica a Sue: «AL
SIGNORE
EUGENIO
SUE. Ecco qui la mia povera Maria, modesto lavoro che voi mi permetteste porre sotto il vostro
benefico patrocinio. […] Sò, e me ne gode l’animo, che il vostro celebrato nome è il solo titolo che
la mia povera Maria possa presentare onde conseguire il generale aggradimento»; una dedicatoria
non d’occasione, ma quasi manifesto di poetica e di ideologia, in cui Ayguals riassume gli obiettivi
principali della sua opera: in primo luogo «Perorare […] la causa della classe del povero; presentare
il vizio in tutta la sua turpezza […]»); far conoscere nella loro “verità” i «costumi di tutte le classi
del popolo spagnuolo, costumi per anche sconosciuti a quasi tutti gli scrittori stranieri»; e infine, e
soprattutto, offrire al lettore la «sorgente di una solida istruzione» attraverso una lettura che possa
anche divertire. L’importanza di quest’ultimo punto non sfugge al traduttore italiano, che anzi lo
chiarisce, amplificandolo con un’aggiunta che si rifà a un topos già classico: «Non credete voi che lo
scopo cui mirar dovrebbe la sana letteratura sarebbe quello di istruire divertendo?».
26
Vd. Immagini della vita e dei tempi di Alessandro Manzoni raccolte e illustrate da M. Parenti,
Firenze, Sansoni, 1973, p. 175; cfr. M. I. Palazzolo, Il romanzo storico: un best-seller di 150 anni
fa, in I tre occhi dell’editore. Saggi di storia dell’editoria, Roma, Archivio Guido Izzi, 1990, pp.
59-68, in partic. pp. 63-64.
27
Vd. in partic. Historia de la literatura española. T. V, El siglo XIX, diretta da J. Canavaggio, ed.
spagnola a cura di R. Navarro Duran, Barcelona, Editorial Ariel, 1995 [ed. francese 1993], pp. 10711.
28
Vd. a es. J. L. Alborg, Historia de la literatura española. El Romanticismo, Madrid, Gredos,
1988, pp. 694-706.
29
R. Benitez, Ideología del folletin español: Wenceslao Ayguals de Izco (1801-1873), Madrid, José
Porrúa Turanzas, 1979, p. 43, e cfr. tutto il par. 4 Ayguals, «regenador de la novela» 1845-1853, pp.
39-61.
5
Il romanzo racconta le disavventure senza fine della figlia del jornalero, Anselmo «el
Arrojado» (l’Intrepido nella trad. italiana), l’incantevole quanto virtuosa Maria, perseguitata
tenacemente dal turpe francescano Patrizio. Secondo le regole del genere, la storia si conclude con
il trionfo della virtù cioè col matrimonio di Maria con il suo innamorato di sempre, il Marchese di
Bellaflora, mentre risuona la “strepitosa” detonazione di una scarica di moschetteria che “purga” la
Spagna dall’abominevole frate30. Il successo ottenuto con Maria (fra il 1845 e il 1849 ne uscirono
sette edizioni e una ristampa31) spinse Ayguals a scrivere un séguito, La Marquesa de Bellaflor, o
El niño de la inclusa (historia-novela original, Madrid, 1846-47), e a concludere il ciclo, dieci anni
dopo, con El palacio de los crimenes o El pueblo y sus opresores (tercera y última época de María
la hija de un jornalero, Madrid, 1855). Complessivamente una saga di grande fortuna, pur se è un
altro il romanzo in cui la «técnica folletinesca [di Ayguals] llega a su punto mas alto», Pobres y
ricos o La bruja de Madrid, del 1849-5032.
Probabilmente proprio in ragione dei rapporti tra Sue e Ayguals, María fu subito tradotta e
pubblicata in Francia col titolo di Marie l’Espagnole, ou la Victime d’un moine: histoire de
Madrid;33 nell’ed. spagnola del 1847, in una nota della lettera di ringraziamento a Sue stampata in
parallelo in francese e spagnolo su due colonne, Ayguals afferma che il romanzo era stato tradotto
in francese «por su mismo autor»34. L’ed. francese si fregia inoltre di un’introduzione (datata 6
novembre 1846) dello stesso Sue, nella quale il famoso scrittore sottolinea le motivazioni non solo
letterarie di interesse per l’opera di Ayguals:
Scopo del signore Ayguals de Izco è di dipingere un episodio della vita sociale e politica
della Spagna, dal 1834 al 1838. Laonde il lettore vede con una crescente curiosità passare sotto
i suoi occhi quasi tutti i tipi che hanno figurato in quest’epoca storica cotanto feconda in grandi
emozioni popolari […]. Tutti questi personaggi vivono, parlano, agiscono nel loro centro con
una rilevante realtà: è l’ammirabile processo del Walter Scott applicato a protagonisti
contemporanei. […] a questi mobili interessi così potenti, lo scrittore spagnuolo ha saputo
congiungere l’attrattiva della più ardente curiosità;
giungendo a concludere che
ciò che eminentemente distingue l’autore della Maria la Spagnuola è un ardente ed illuminato
patriottismo, un sentimento profondo del diritto, della giustizia e del dovere, un generoso e
santo amore dell’umanità, una fede sincera nel progresso sociale e politico del suo paese […].
30
Per un riassunto più dettagliato si veda il già cit. vol. di J. I. Ferreras, La novela, p. 123: per altro
non così minuzioso e particolareggiato da essere «capaz de desanimar a qualquier posible lector
actual que non sea un profesional del género o carezca de la adequada capacidad heroica», come
sostiene J. L. Alborg, Historia de la literatura española, cit., p. 700.
31
Cfr. il vol. Historia de la literatura española, cit., p. 31.
32
Vd. J. L. Alborg, Historia de la literatura española, cit., p. 700.
33
Paris, Librairie de Dutertre, 1846, 2 voll.
34
Sempre Alborg (Historia de la literatura española, cit., p. 699) rileva che l’opera ebbe in breve
tempo numerose recensioni elogiative.
6
In sostanza il signore Ayguals de Izco, libero pensatore, pria di tutto ci sembra uno dei più
generosi precursori del movimento intellettuale che si compie in Spagna35
(anche per ovvi motivi commerciali, la presenza dell’introduzione di Sue sarà messa in rilievo, fin
dai sottotitoli, nelle edizioni e traduzioni successive).
La fortuna del romanzo di Ayguals non fu però limitata alla sola Francia36: traduzioni
complete apparvero presso che immediatamente in Germania, Maria die Spanierin. Hist.-politischer
Roman, Stuttgart, Franckh, 1847; in Portogallo, Maria, a filha de um jornaleiro, novella historica
original, s. l. e i.ed., 1848-49; e in Italia. Nel nostro paese la prima versione, in una veste grafica di
lusso, è del 1847, a opera di Francesco Giuntini per i tipi di Giuseppe Celli. L’editore-tipografo,
attivo a Firenze dal 182737, «pubblicò saggi storici e politici e opere tecnico-scientifiche»38; il suo
nome compare fra i sottoscrittori dell’«Iscrizione patriottica per la guerra della indipendenza
italiana 1848 aprile 25 - 1849 gennaio 16»39.
L'Archifirenze–Documenti dell’Archivio preunitario del Comune di Firenze conserva
documenti relativi anche al traduttore, Francesco Giuntini: e in particolare una sua domanda di
impiego come precettore nei Ginnasi, datata 10-11 maggio 1849, nella quale Giuntini dichiara, in
quello che potremmo chiamare il suo curriculum, in primo luogo di essere «traduttore di “Maria la
Spagnola, storia contemporanea di Madrid”» di Venceslao Ayguals de Izco; e poi del volume di
Alfonso Ballaydier Roma e Pio IX, pubblicato nel 1847 da S. Birindelli; nonché di essere
compilatore (con F. Scifoni) del Dizionario biografico universale pubblicato da D. Passigli fra il
1840 e il 184840; e infine di essere autore del
Proscritto piemontese, ovvero gli orfani di
Lombardia (a quanto pare rimasto inedito). Le informazioni bibliografiche raccolte nei cataloghi
delle biblioteche italiane ci permettono di precisare e integrare queste notizie: oltre a Roma e Pio 9
(«prima versione italiana» del testo francese di Alphonse Balleydier), e all’attività di traduttorecompilatore del Dizionario biografico universale (di fatto traduzione dal francese), Giuntini aveva
già tradotto Sull’indipendenza dell’Italia di Timon di Louis Marie de La Haye de Cormenin.41 Nel
35
Si cita dalla prima ed. italiana.
Per una prima ricognizione bibliografica, cfr. R. Benitez, Ideología del folletin español:
Wenceslao Ayguals de Izco (1801-1873), cit., pp. 204-205.
37
Dal 1841 al 1852 come continuatore della Celli e Ronchi.
38
Vd. Editori italiani dell’Ottocento. Repertorio, a cura di A. Gigli Marchetti, M. Infelise et alii,
Milano, Franco Angeli, 2004, p. 266 vv. Celli e Celli e Ronchi.
39
Cfr. Archifirenze–Documenti dell’Archivio preunitario del Comune di Firenze,
http://opac.comune.firenze.it .
40
Ovvero il Dizionario biografico universale contenente le notizie più importanti sulla vita e sulle
opere degli uomini celebri, i nomi di regie e di illustri famiglie, di scismi religiosi, di parti civili, di
sette filosofiche dall'origine del mondo fino a’ dì nostri; prima versione dal francese con molte
giunte e correzioni e con una raccolta di tavole comparative ora per la prima volta compilate
dimostranti per secoli e per ordini il tesoro di chiari ingegni che può vantare ogni nazione posta a
riscontro delle altre, dal principio dell’era volgare all'età presente, Firenze, David Passigli tipografoeditore, 1840-1849, voll. 5.
41
Firenze, L. Castellari, 1848.
36
7
1850 Giuntini pubblica la «prima versione italiana» della Storia della sovranità del popolo e dei
delitti commessi in suo nome di A. Vigroux (dell'Aveyron)42; nel 1851, le traduzioni dei voll. dello
stesso A. Balleydier, Storia della rivoluzione di Roma: quadro religioso, politico e militare degli
anni 1846, 1847, 1848, 1849, 1850 in Italia43; di Ch.-V. Prevot visconte d’Arlincourt L’Italia rossa,
o Storia delle rivoluzioni di Roma, Napoli, Palermo, Messina, Firenze, Modena, Torino, Milano e
Venezia: dall'elezione di Pio 9. al di lui ritorno in sua capitale, giugno 1846-aprile 185044; di E.-F.
de la Bonninière visconte di Beaumont-Vassy Storia degli stati italiani dal congresso di Vienna
fino a di nostri: 1815-185045; e del barone Leone d’Hervey-Saint-Denys e Carlo Montelieto Un
re46. Nel 1853 appaiono Mazzini giudicato da se stesso e da’ suoi, opera di Giulio de Breval (J. de
Breval), italianizzata da Francesco Giuntini47, e Il ritorno della Francia alle grandezze dell'Impero
o Storia di Napoleone 3 scritta in francese da B. Renault48. Dopo alcuni anni, nel 1861, in
appendice «all’opera del celebre G. B. F. Descuret intitolata: La medicina delle passioni»49 appare
Un infermo e un malato, «riduzione» di Francesco Giuntini; e da ultimo, nel 1866, l’ormai cav.
Francesco Giuntini (dal 1867 cav. comm.) dà alle stampe La sapienza per tutti, ovvero Raccolta di
pensieri, sentenze e massime tratte dai migliori poeti e filosofi antichi e moderni d'ogni nazione:
primo saggio frutto di letture50.
Questi dati biobibliografici permettono di ben collocare l’attività del Giuntini nella temperie
culturale e politica del ventennio che precede l’Unità, inserendolo in quei gruppi di liberaldemocratici per i quali tra le necessarie premesse al processo di unificazione vi era quella
dell’“insegnamento al popolo”, che poteva realizzarsi sia mediante opere di vera e propria
pamphlettistica politica, sia attraverso testi di divulgazione “scientifica”. Maria la spagnola,
romanzo programmaticamente costruito all’interno di una prospettiva ideologico-politica
“progressiva” nella più vasta dimensione “europea”, viene così a rappresentare un testo della
massima utilità per una propaganda che vuole e deve istruire divertendo.
Dal punto di vista storico-linguistico la traduzione di un romanzo “popolare” (nel senso che
abbiamo cercato di spiegare) è una testimonianza preziosa in quanto, almeno nelle intenzioni,
necessariamente aperta a modelli e registri linguistici non troppo sostenuti, se non addirittura
“medi”: «È un’evidenza che [il romanzo storico italiano] non è letteratura molto appetibile
42
Preceduta da una lettera di A. Nettement, Firenze, a spese dell'editore, 1850.
Dal Nostro «annotata e arricchita di altri documenti storici», Firenze, a spese degli editori, 1851.
44
«Con note», Firenze, a spese dell'Editore, 1851; rist. Napoli 1852.
45
Firenze, s. i. ed., 1851.
46
«Prima versione italiana con note», Prato, Tip. di Passigli, 1851.
47
Firenze, a spese del traduttore.
48
E «ridotta in italiano con annotazioni e appendice», Firenze, Libreria popolare.
49
J.-B. F. Descuret, La medicina delle passioni, ovvero Le passioni considerate nelle relazioni colla
medicina, colle leggi e colla religione, Firenze, Tip. Virgiliana.
50
Firenze, Tip. di A. Salani, 1866, la cui fortuna è testimoniata dalle numerose ristampe: 1867,
1868, 1869, 1870 [?], 1871 sempre per i tipi di A. Salani, 1872 con la Tip. italiana N. Martini, e
1874 con la Tip. Birindelli.
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8
dall’ottica, come si diceva un tempo, estetica; e tuttavia la sua importanza è notevole sia di dal
punto di vista culturale che degli sviluppi della lingua italiana (tra l’altro vi si tentano discese verso
il colloquiale parallele a quanto accade nella poesia “romantica”)»51. Infatti la situazione
sociolinguistica italiana della fine degli anni Quaranta dell’Ottocento era, come ben noto, assai
diversa da quella coeva della Francia di E. Sue, o della Spagna di Ayguals: di qui le enormi
difficoltà che si presentavano a Giuntini (non poi così dissimili da quelle che pochi decenni prima
aveva dovuto affrontare un grande lombardo52) e che in sostanza il nostro traduttore non è in grado
di superare, schiacciato dal peso di una tradizione linguistico-letteraria troppo illustre per essere
accantonata, ma allo stesso tempo inadeguata alle premesse e alle istanze dell’operazione culturale
che si vuole realizzare. Il risultato, per indicarlo con una formula riassuntiva, è quello di una lingua
“pretensiosa e stracciona”, sostanzialmente inverosimile e goffa perché spesso troppo alta (o
arcaica) e insieme però macchiata da colloquialismi e da una fraseologia in certi casi addirittura
municipale (attribuendo gli errori e i disgrafismi più vistosi alla disattenzione del tipografo, che mal
si coniuga però con le pretese di lusso dell’edizione).
Ciò nonostante, a Maria, nella veste italiana, arrise una fortuna non disprezzabile, molto
maggiore comunque di quella delle altre traduzioni e comparabile soltanto con il successo avuto
dall’originale in Spagna; un riscontro indiretto di questa fortuna è fornito dall’inserimento molto
precoce proprio della traduzione italiana nell’Indice dei libri proibiti: nell’Index librorum
prohibitorum santissimi domini nostri Gregorii XVI pontificis maximi iussu editus. Editio novissima
in qua libri omnes ab apostolica sede usque ad annum 1862 proscripti, suis locis recensentur,
Neapoli, excudebat sacerdos Joseph Palella, 1862, a p. 287 si segnala «Maria la Spagnola […]
Prima versione italiana di F. Giuntini. Decr. diei 6 septembris 1852» con l’annotazione Italus
interpres laudabiliter se subjecit, et Opus reprobavit.
In una ormai mutata situazione politica, nel 1861, il romanzo fu nuovamente stampato a
Livorno, presso la Libreria Romantica (tip. di A. Cecchi) in 5 volumi di piccolo formato, con una
veste linguistica già piuttosto rimaneggiata in considerazione probabilmente anche della sede in cui
veniva pubblicato (si tratta, come per le stampe successive, di edizioni economiche). Nel 1869-70
l’opera apparve a Milano per i tipi degli editori Giovanni Greco e Fratelli Valsecchi: il frontespizio
riporta l’indicazione di Seconda edizione, anche se si tratta sostanzialmente di una ristampa dell’ed.
’61; la successiva edizione (in due volumi), dieci anni più tardi (1880), indicata come Terza
edizione, è realizzata sempre a Milano, dall’editore Carlo Simonetti. Infine, di nuovo a Firenze,
presso l’editore Adriano Salani, nel 1888, viene data alle stampe Maria la spagnola. Romanzo
storico sociale nella traduzione del prof. Armando Dominicis, con caduta di molte note e ampi tagli
soprattutto nelle digressioni storico-sociali o più genericamente di “informazione culturale”.
51
P. V. Mengaldo, Presentazione al vol. di A. Zangrandi, Lingua e racconto nel romanzo storico
italiano (1827-1838), Padova, Esedra, 2002, p. 10.
52
Cfr. Ibidem, p. 14.
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Rinviamo ad altra sede per un’analisi di dettaglio, e ci limitiamo a richiamare l'attenzione su
alcuni aspetti di particolare rilievo della traduzione del Giuntini (e delle successive edizioni) nella
prospettiva cui si è accennato. In primo luogo va sottolineato con forza che la lingua proposta dal
nostro traduttore fiorentino è davvero un "composto indigesto" nel senso di una mescolanza non
solo di registri e di livelli, ma anche di arcaismi che vengono messi a contato con neologismi
(spesso stranierismi) recenti: così nel passo che segue, accanto al poetico e fin già duecentesco
lunghesso, troviamo addirittura casimirra per cachemire53:
Riccioli [ricci] neri e grandissimi [lunghissimi], cadenti lunghesso la [ sulla sua] faccia,
venivano fuori da un cappellino bianco di drappo di Napoli, sormontato da due bellissime penne
gialle, separate da un fiocco di nastro color ciliegia; una veste di taffetà scuro lustrato con tre
gale color di rosa, bustino stretto a vita, scialle di casimirra rossa, guanti gialli, con un’infinità di
anelli in ogni dito […]; finalmente uno smaniglio cui era attaccato un grazioso occhialetto,
trastullo che abbelliva le grazie di quella dea: ecco tutto il vago arnese [l’abbigliamento] di
questa ridicola maga (p. 243).
Tutto sommato le edizioni successive, anche quelle che si definiscono come nuove traduzioni,
appaiono piuttosto delle revisioni più o meno ampie del testo di Giuntini con interventi che mirano
a eliminare le forme di 'picco' per abbassare il tasso di difficoltà e quindi di letterarietà/arcaicità del
testo. Un altro elemento di sicuro interesse, come già visto, è la documentazione della presenza di
esotismi variamente adattati nelle diverse edizioni a testimoniarne la grande incertezza in uso
comune; basti un esempio, quello di magogano, termine che compare due volte in un'elencazione di
oggetti d'arredamento di lusso (nel capitolo IX della parte VII, pp. 561-62); nel 1880 si ha
maogani, e nella traduzione del 1888 del prof. A. Dominicis mogogane (sempre due volte).
Secondo il NDELI, il Vocabolario dell'uso toscano di Pietro Fanfani del 1863 riporta, fra le altre, la
variante mogògane, mentre il Tommaseo-Bellini (1869) registra che «In Fir. Magogano». Maogano
è attestato già in Baretti nel 176454.
Un altro aspetto assai problematico per i traduttori italiani, con particolare riferimento al
realismo narrativo e linguistico, come è stato messo da più parti in evidenza55, è quello della resa
53
«Cachemire: voce volgarizzata in cascimirra o casmirra e così registrata nel Petrocchi» (
NDELI che riporta la cit. di Panzini; casimir è datato al 1797). Nelle parentesi quadre sono indicate
le varianti delle edizioni successive.
54
La forma attualmente in uso è attestata per la prima volta nel Tommaseo-Bellini.(vd. NDELI s.v.).
55
Per questo aspetto nelle le traduzioni dell'Assommoir, vd. Ruggiero, La civiltà dei traduttori, pp.
46-47 («Nel corso del lento processo di costituzione di una lingua italiana colloquiale, al traduttore
del lessico del turpiloquio del Assommoir che non volesse attingere al serbatoio dei dialetti,
risultava evidentemente arduo confidare in un patrimonio linguistico comune. Di qui il ricorso
inevitabile alle anguste espressioni vernacolari di P. Petrocchi [...], alle goffe e disusate locuzioni di
Rocco [...] e all'elenco sciatto e contraddittorio di Bideri [...]» che rinvia anche a F. Bruni, Sondaggi
sulla lingua e tecnica narrativa del verismo meridionale, in «Filologia e critica» 7, 1982, pp. 198266, poi in Cultura meridionale e letteratura italiana. I modelli narrativi dell'età moderna, Atti del
AISLLI (Napoli-Salerno, 14-16 aprile 1982), a cura di P. Giannantonio, Napoli, Loffredo, 1985,
pp. 489-547; e a L. Serianni, Il secondo Ottocento: da l'Unità alla prima guerra mondiale, Bologna,
Il Mulino, 1990, pp. 115-121.
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dei disfemismi e della aggressività verbale: difficile raggiungere infatti un buon tuono linguistico
che arrivasse a contemperare allo stesso tempo verosimiglianza e convenienza sociale. Si vedano
appena i tre esempi tratti da un dialogo tra personaggi connotati tra l'ambiguo e il negativo: «
I
56
marchesi han carta bianca per imbuscherarsi della giustizia» (p. II, cap. III, p. 237) ; «se le
impertinenze della vecchia mi fan fischiare incessantemente le orecchia, i daddoli e le smorfie della
ragazza mi fan salire la mostarda al naso» (Ibid.)57; «- Via, via, madre Speranza, non fate tanto la
pinzochera, disse Ambrogio con aria maligna. In vostra gioventù quanti merlotti avete preso?» (p.
239)58.
In conclusione, per un opportuno confronto proponiamo il testo dell'avvio del primo capitolo
nelle stampe del 1847, 1861 e 1888:
(1847)
PROLOGO
I.
IL CONVENTO DEL GRAN SAN FRANCESCO.
Se fa d’uopo riportarsi ad alcuni storici nulla v’ha di curioso quanto l’origine di questo
convento, splendido, magnifico come lo erano gli alloggi di quelli infausti uomini mascherati
che i progressi del secolo han fatto scomparire dalla società, sulla quale esercitavano un
despotico dominio che tuttora tentano di rinnovare, a dispetto dell’incivilimento europeo, e
certamente colle sante intenzioni di tenere il popolo alla catena, e di saziare, con tal mezzo
quella sete di ricchezze, di piaceri e di vendette che li divora.
Si racconta, nè sono fole, che nel 1217 lo stesso santo Patriarca (S. Francesco) fu, per la
Dio grazia, condotto nella città di Madrid, e ciò non saria cosa da non credersi. Gli abitanti gli
offersero una capanna, che in seguito, divenne la cucina del convento. Questo miserabile ridotto
non andò guari che diventò un eremo, e progressivamente pervenne a proporzioni così vaste,
che dopo pochi anni, trasformavasi in un magnifico tempio. (pp. 1-2)
(1861)
56
Nell'orig. spagnolo «pero los marqueses tienen carta blanca para burlarse de la justicia... »; nella
trad. francese «les marquis ont carte blanche pour faire la nique á la justice».
57
Nell'orig. spagnolo «si las impertinencias de la vieja me tienen fastidiada, los melindres y fatuidad
de su hija me aburren que es por demás »; nella trad. francese «si les impertinences de la vieille me
tintent sans cesse aux oreilles, les agaceries et la fatuité de la demoiselle me font monter la moutard
au nez».
58
Nell'orig. spagnolo «-La verdad, tia Esperanza, - dijo maliciosamente Ambrosio: -¿ á quántos
hombres ha engañado usted en su juventud? »; nella trad. francese «- Voyons, ne pleurnichons pas,
mère Espérance. dit Ambroise d'un air maline. Combien de nigauds avez-vous attrapés dans votre
jeunesse? ».
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I.
Fra Patrizio.
Riportandoci ad alcuni storici non vi è nulla di più curioso quanto l’origine di questo
convento, splendido, magnifico come erano gli alloggi di quegli uomini infausti e mascherati
che hanno fatto scomparire dalla società i progressi del secolo, sulla quale esercitavano un
dominio dispotico che tentano tuttora di rinnuovare ad onta dello incivilimento europeo, sempre
con le sante intenzioni di tenere il popolo oppresso e saziare per tal modo quella sete di
ricchezze, di piaceri, e di vendette che li divora.
Si narra, nè sono fole, che nel 1217 lo stesso Santo Patriarca S. Francesco fu per la grazia
di Dio condotto nella città di Madrid, cosa che è da credersi. Gli abitanti gli offersero una
capanna che poscia divenne la cucina del convento. Questo misero abituro non andò molto che
diventò un Eremo e progressivamente pervenne a proporzioni sì vaste che dopo pochi anni
trasformavasi in un tempio magnifico. (p. 3)
(1888)
I.
Fra Patrizio.
Riportandoci ad alcuni storici non vi è nulla di più curioso quanto l’origine del convento
di S. Francesco splendido, magnifico come erano gli alloggi di quegli uomini infausti e
mascherati che hanno fatto scomparire dalla società i progressi del secolo, sulla quale
esercitavano un dominio dispotico che tentano tuttora di rinnuovare ad onta dell’incivilimento
europeo, sempre con le sante intenzioni di tenere il popolo oppresso e saziare per tal modo
quella sete di ricchezze, di piaceri, e di vendette che li divora.
Si narra che quando nel 1217 lo stesso santo patriarca S. Francesco fu condotto nella città
di Madrid, gli abitanti gli offersero una capanna, che poscia divenne la cucina del convento.
Questo misero abituro non andò molto che diventò un eremo e progressivamente
pervenne a proporzioni sì vaste, che dopo pochi anni trasformavasi in un tempio magnifico. (p.
3)
Come si può osservare, le edizioni con le loro varianti documentano appunto anche quei
processi di convergenza verso una lingua della prosa tendenzialmente “media” che viene a
svilupparsi negli anni dell’Unità e soprattutto nei decenni immediatamente successivi; nel nostro
romanzo, non senza controtendenze, magari sporadiche e occasionali, del tipo di rinnuovare che
nell’ed. 1861 sostituisce nel primo capoverso del Prologo rinnovare della prima ed.; le stampe del
’70 e dell’80 hanno rinnovare, ma poi la “nuova” trad. dell’88 ristabilisce il rinnovare del ’61!
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