Rallentare e permettersi di essere imperfetti

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Rallentare e permettersi di essere imperfetti
La finestra sulla mente
La finestra sulla mente
Rallentare e permettersi di
essere imperfetti
di Gaia Vicenzi
Psicologa Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale
Ci sono persone che vivono nel paradosso
di essere tranquilli solo quando riescono
ad avere il controllo su ogni cosa. La conseguenza è una continua esposizione ad uno
stato di allerta, in cui si è costantemente
vigili nel rispettare le regole autoimposte
che mirano a voler prevedere tutto e risolvere tutto. La felicità, l’espressione di sè, la
spontaneità, la tranquillità emotiva, la piacevolezza dello stare nei rapporti intimi, cedono il passo dunque ad una generalizzata
condizione di ipervigilanza in cui domina la
percezione di essere sotto pressione o la
difficoltà a rallentare il proprio ritmo di funzionamento.
Spesso tale stato implica ipercriticismo
nei confronti di se stessi e degli altri, con
un successivo senso di insoddisfazione in
quasi tutte le aree del proprio vivere, proprio perché c’è l’idea che “così non va”.
Il paragone con quello che si desidera è
sempre svantaggioso: le cose (le azioni,
le idee, le situazioni che riguardano il proprio sé e quello degli altri) sono percepite
sempre diverse e più negative di come si
vorrebbe.
Per questo si intensifica il proprio ritmo,
nella convinzione che, se si aumenta l’impegno, l’obiettivo può essere raggiunto.
Ahimè, però, l’obiettivo sfugge sempre perché “non è mai abbastanza”.
Oltre a ciò, percependo di poter controllare
il raggiungimento del risultato con i propri
sforzi, si delega poco o nulla agli altri (che
non agiscono come si vorrebbe e se, agissero, non agirebbero bene).
L’effetto di tale modo di impostare la propria vita è quello di essere bloccati in un
circolo vizioso dove si ha l’idea di dover
sempre fare qualcosa con attenzione e
perfezione. Solo fatto il proprio dovere, ci
si può concedere un elemento di piacere
ma questo è rovinato dal senso di colpa di
“non star facendo il proprio dovere”. L’effet-
to è non staccare mai la spina, continuando
in un moto perpetuo degli obblighi autoimposti.
Per bloccare questo circuito si può agire
attraverso due strade il cui percorso è più
agevole con l’ausilio di una psicoterapia.
La prima mira a ridurre la convinzione che
le cose debbano essere perfette, altrimenti
non hanno valore. Sottostante a tale cognizione vi è un errore di pensiero chiamato
“ragionamento bianco e nero”: usiamo
questo ragionamento quando cerchiamo
di catalogare le cose in termini opposti
(o bianco o nero, o bello o brutto, o bene o
male) senza vederne le sfumature. Per alcuni può essere rassicurante adottare questa modalità perché crea certezze e punti
fissi; allo stesso tempo, però, impoverisce
l’esperienza, non consentendo di vederla
quale essa è, con tutte le sfaccettature con
cui la realtà si presenta.
La seconda strada è definita in inglese con
il termine “downshifting” ovvero “scalare
una marcia”.
Uno dei modi per rallentare è quello di chie-
dere aiuto e delegare, senza l’ansia che il risultato sia perfetto. Parallelamente, è bene
iniziare a pensare di non essere indispensabili.
Occorre aver bene in mente la distinzione
tra ciò che dobbiamo fare, ciò che invece
possono fare gli altri per noi e ciò che può
anche non essere fatto.
Una parola chiave nella dimensione del
ridurre il ritmo del fare e del pensare è
“tempo libero”. Il tempo libero deve essere
il tempo in cui si riesce a partecipare con
consapevolezza ad un’attività che provoca
piacere. Ciò significa che, nel momento in
cui si è impegnati in ciò che piace, la mente è ancorata in quel momento e i pensieri
che la distraggono sono leggeri e privi di
spessore. Il tempo libero può essere anche
un tempo vuoto, nel quale occorre resistere
alla tentazione di riempirlo.
Saper vivere in quello spazio di tempo, accettando che tutto non sia perfetto e che
tutto non sia stato fatto è, a parer mio, l’elemento che permette di vivere in perfetta
armonia con se stessi e con gli altri.
MARZO • APRILE 2013
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