La sindrome del tunnel carpale
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La sindrome del tunnel carpale
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Le parestesie possono irradiarsi all’avambraccio fino alla spalla, venendo a volte confuse con una discopatia cervicale o una epicondilite. I sintomi sono prevalentemente notturni e spesso svegliano il paziente; in seguito tendono a presentarsi anche di giorno. Nelle fasi avanzate compaiono deficit sensitivi, perdita di forza della mano e atrofia del movimento di abduzione e accostamento del pollice. La diffusione. La sindrome del tunnel carpale è tutt’altro che rara: da una indagine condotta in Italia qualche anno fa ne soffrirebbe l’1-2% della popolazione, con una incidenza di 3-4 nuovi casi all’anno ogni 1.000 persone. Si riscontra con maggiore frequenza nel sesso femminile (rapporto donne/uomini di 4 a 1), soprattutto tra i 50 e i 60 anni. Le cause. La familiarità costituisce un fattore di rischio per lo sviluppo della sindrome. Altri fattori predisponenti sono condizioni fisiologiche come la gravidanza e la menopausa, nonché malattie come il diabete, l’obesità, l’artrite reumatoide e l’osteoartrosi. Possono favorirne l’insorgenza anche i depositi sottocutanei di grasso (lipomi), colesterolo (xantomi) o urati (tofi della gotta) che, occupando spazio, restringono il volume del tunnel carpale. Un ruolo patogenetico meno certo hanno invece le attività lavorative che richiedono movimenti ripetitivi del polso, anche se i pazienti lamentano un peggioramento dei sintomi quando usano le mani con applicazione della forza. Il trattamento. Nel 30% circa dei pazienti, i sintomi si risolvono spontaneamente entro 6 mesi dalla diagnosi; indici predittivi di una evoluzione favorevole sono la giovane età e la breve durata dei sintomi. Nella maggior parte dei casi, la sindrome rimane stazionaria, negli altri tende ad aggravarsi nel tempo. Nelle forme lievi (dolore solo notturno, senza deficit sensitivi e motori ancora documentabili) il trattamento è conservativo. Un tutore per il polso da applicare durante la notte aiuta a togliere pressione dal nervo mediano e può migliorare i sintomi e lo stato funzionale sul medio periodo (3 mesi), ma mancano dati su un uso più prolungato. Se il tutore non produce un beneficio accettabile entro 1 mese, una tappa intermedia può essere rappresentata da un ciclo di trattamento con ultrasuoni; i dati sulla loro utilità sono contrastanti (risultati positivi in uno studio, negativi in altri due), ma l’assenza di controindicazioni e di eventi avversi giustifica un tentativo. Se anche gli ultrasuoni non funzionano si passa ai corticosteroidi. Una singola infiltrazione locale di corticosteroide (es. betametasone, desametasone) nella regione prossimale del polso (l’ago viene inserito parallelamente tra il tendine del muscolo palmare della mano e l’arteria ulnare a circa 3 centimetri dalla piega trasversa del polso) ha un’efficacia significativa e duratura anche a distanza di 12 mesi, senza complicanze di rilievo. I corticosteroidi per via orale producono una attenuazione dei sintomi analoga a quella ottenibile con l’infiltrazione locale a 2 settimane e gli effetti positivi durano sino a 8 settimane, ma l’infiltrazione è in grado di mantenere i miglioramenti molto più a lungo. Negli studi realizzati, FANS, magnetoterapia, agopuntura e manipolazione chiropratica del polso non si sono dimostrati più efficaci del placebo. Se i sintomi persistono o si aggravano è richiesta la decompressione chirurgica del nervo mediano che consiste nell’incisione del legamento volare del carpo in artroscopia o a cielo aperto. Non vi sono evidenze che la decompressione endoscopica sia superiore a quella tradizionale negli esiti clinici (la scomparsa del dolore è immediata, i deficit sensitivi regrediscono più lentamente), ma comporta una convalescenza più breve ed è associata a minori complicazioni post-operatorie. Bibliografia Management of carpal tunnel syndrome. DTB 2009; 47:86-9. Marshall SC et al. Local corticosteroid injection for carpal tunnel syndrome. Cochrane Database System Rev 2007; Issue 2, CD001154. Atroshi I and Gummesson C. Non-surgical treatment in carpal tunnel syndrome. Lancet 2009; 374:1042-3. Huisstede BM et al. Carpal tunnel syndrome. Part I and Part II: effectiveness of nonsurgical and surgical treatments-a systematic review. Arch Phys Med Rehabil 2010; 91:981-1024. Unifarm S.p.A. Via Provina, 3 • 38123 Ravina (TN) • Tel. 0461 901111 • [email protected] La sindrome delle gambe senza riposo La sindrome delle gambe senza riposo o RLS (acronimo del termine inglese Restless Legs Syndrome) è caratterizzata da sintomi fastidiosi, talora dolorosi, che si manifestano durante il riposo e/o il sonno, quali bruciori, prurito, formicolio, crampi, insensibilità o debolezza, localizzati agli arti inferiori. In genere, queste sensazioni sgradevoli si manifestano in posizione seduta o sdraiata e vengono attenuate dal movimento, ma il sollievo è di breve durata e chi ne soffre sente un bisogno irrefrenabile di muovere continuamente le gambe. I sintomi peggiorano di sera o nelle prime ore della notte e spesso interrompono il sonno. In un paziente su 5 risultano molto stressanti sia fisicamente che psicologicamente e richiedono un trattamento farmacologico specifico. La diffusione. La RLS può interessare qualunque fascia di età, ma è più comune negli anziani, soprattutto nelle donne, con una prevalenza stimata nella popolazione generale intorno al 10%. Le cause. Le cause non sono note anche se è plausibile l’ipotesi secondo cui il disturbo derivi, del tutto o in parte, da una alterata trasmissione dopaminergica a livello del SNC con un conseguente abbassamento della soglia di attivazione del riflesso flessorio spinale. La sindrome è più frequente nelle persone con carenza di ferro (con o senza anemia), in gravidanza (soprattutto durante il terzo trimestre) e in presenza di ridotta funzionalità renale. La RLS può essere anche una complicanza del diabete e dell’ipotiroidismo. Vi è una familiarità nel 50% circa dei casi. Gli antidepressivi e i neurolettici possono aggravare i sintomi o esserne essi stessi il fattore precipitante. Il trattamento. Il meccanismo patogenetico ipotizzato alla base della RLS ha fatto degli agonisti della dopamina (utilizzati nel morbo di Parkinson) i farmaci più studiati in assoluto. Attualmente, i dopaminergici non ergotaminici ropirinolo (es. Requip, alla dose giornaliera 2 mg) e pramipexolo (es. Mirapexin) vengono considerati i farmaci di prima scelta. Negli USA entrambi i farmaci sono registrati con questa indicazione, ma in Italia solo il pramipexolo retard è stato approvato per il trattamento della RLS da moderata a grave. La dose iniziale è di 0,125 mg una volta al giorno, da assumere 2-3 ore prima di coricarsi. La dose può essere aumentata ogni settimana di 0,125 mg e portata a 0,50 mg (la dose media utilizzata negli studi). Non sono disponibili studi che abbiano confrontato il pramipexolo col ropirinolo o con altri farmaci. Il trattamento va strettamente monitorato perché nella maggior parte dei pazienti i due agonisti della dopamina sono efficaci, ma i sintomi tendono a peggiorare col tempo. Possono insorgere più precocemente verso sera, diventare più intensi o estendersi sino ad interessare il tronco e le braccia (fenomeno dell’augmentation) o più raramente possono ricomparire a metà della notte o nelle prime ore del mattino (effetto rebound). In uno studio osservazionale sull’impiego del pramipexolo a lungo termine (30 mesi) e in una serie di casi retrospettivi, nel 22%-32% dei pazienti trattati per almeno 6 mesi si è verificato l’effetto augmentation che li ha costretti ad anticipare l’orario di assunzione del farmaco o ad assumerlo in due dosi frazionate (pomeriggio e sera); in altri pazienti si è sviluppata una tolleranza che ha richiesto un aumento posologico. Gli effetti indesiderati di più frequente riscontro sono nausea (16%) e sonnolenza (6%), generalmente transitori e di lieve entità. Si sono verificati anche stitichezza, diarrea e secchezza della bocca. Il pramipexolo, come gli altri dopaminergici, può causare allucinazioni e ipotensione posturale, soprattutto nella fase di aumento della dose e sono stati segnalati (nei pazienti con Parkinson) gioco d’azzardo compulsivo e altri disturbi del controllo degli impulsi, compresi ipersessualità e disturbo da alimentazione incontrollata. Anche gli antiepilettici, in particolare gabapentina e pregabalin, sono stati impiegati nel trattamento della sindrome delle gambe senza riposo: i dati preliminari appaiono promettenti, ma si tratta di risultati ottenuti su casistiche numericamente modeste e per periodi limitati di tempo. Tra le benzodiazepine solo il clonazepam è stato valutato in studi controllati, ma con esiti contrastanti. Un apporto integrativo di ferro è in grado di migliorare i sintomi in pazienti con bassi livelli di ferritina e rappresenta la terapia elettiva nella RLS associata a deficit di ferro. A cura del dott. M. Miselli Bibliografia Ekbom K. Restless legs syndrome. J Int Med 2009; 266:419. Drug-induced restless legs syndrome. Prescrire Int 2010; 19:164. Zintzaras E et al. Randomized trials of dopamine agonists in restless legs syndrome: a systematic review, quality assessment, and meta-analysis. Clin Ther 2010; 32:221. Montplaisir J et al. Long-term treatment with pramipexole in restless legs syndrome. Eur J Neurol 2006; 13:1306. Earley CJ. Repeated doses of iron provides effective supplemental treatment of restless legs syndrome. Sleep Med 2005; 6:301. GarciaBorreguero D et al. Treatment of restless legs syndrome with pregabalin: a double-blind, placebo-controlled study. Neurology 2010; 74:1897. Unifarm S.p.A. Via Provina, 3 • 38123 Ravina (TN) • Tel. 0461 901111 • [email protected]