45 anni fa la morte di mons. Gilardi, primo successore di don

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45 anni fa la morte di mons. Gilardi, primo successore di don
HO AMATO I SOFFERENTI FINO A DIMENTICARMI…»
45 anni fa la morte di mons. Gilardi, primo successore di don Gnocchi alla presidenza della Fondazione
di Danilo Carena
Il 2007 segna una ricorrenza importante per la memoria di monsignor Edoardo Gilardi, primo successore di
don Carlo Gnocchi nel 1956 alla guida dell’allora Fondazione Pro Juventute: quest’anno ricorrono infatti il
115° anniversario della sua nascita (avvenuta a Lecco, il 24 marzo 1892) e il 45° anniversario della morte
(Milano, 26 settembre 1962). Monsignor Gilardi rappresenta una figura di primaria importanza per la
Fondazione: fu lui, infatti, a raccogliere il gravoso incarico di presidente al momento della scomparsa di don
Gnocchi, a seguito di un’esplicita volontà espressa in punto di morte dello stesso don Carlo: «Se il consiglio
della Pro Juventute ti offrisse la presidenza dell'Ente - gli disse don Carlo -, sappi che mi farai il più grande
dono accettando. È in questa speranza che vado al Signore».
Monsignor Gilardi ricoprì la carica di presidente della Fondazione per sei anni, dal 1956, fino alla sua
scomparsa, nel 1962, portando tra l’altro a termine il Centro “pilota” di Milano, acquisendo e ristrutturando
il Centro di Marina di Massa, ampliando e sviluppando l'eredità ricevuta da don Gnocchi.
Ordinato sacerdote all'età di 23 anni, don Gilardi è uno dei tanti sacerdoti della diocesi ambrosiana che
hanno inciso il loro nome nella storia dell’assistenza a quanti vivono nel bisogno. Pochi giorni dopo
l’ordinazione, nel maggio 1915 si trovò coinvolto nella prima guerra mondiale come giovanissimo
cappellano del 12° Reggimento Bersaglieri. Incurante dei pericoli sull’infernale fronte del Carso, si prodigò
incessantemente a favore dei feriti gravi e dei morenti, tanto da meritarsi ben cinque medaglie di bronzo e
d’argento al valor militare.
Fondò nel lecchese la “Casa del Cieco”
A guerra finita, nel 1920, fondò la prima casa di lavoro e patronato per i ciechi di guerra in Milano, che lo
porterà negli anni successivi (1931) a dar vita alla Casa del cieco di Civate (Lc), concepita con criteri allora di
avanguardia, per provvedere ad una menomazione non più causata dalla guerra, ma insita nella condizione
umana e di cui pochi si prendevano cura.
L’impegno a favore dei ciechi fu per Gilardi una costante a cui affiancò con il tempo prestigiosi incarichi nel
campo dell’assistenza: venne infatti chiamato a dare il contributo delle sue esperienze all’Istituto
neurologico “Besta” di Milano, all’Associazione Nazionale difesa della gioventù e alla Fondazione “Girola”.
Fu presidente della Federazione europea dell’infanzia motulesa e dal ’45 fino alla sua scomparsa,
commissario aggiunto dell’Associazione mutilati e invalidi di guerra.
Stretto collaboratore di don Gnocchi nel dopoguerra, alla morte di quest’ultimo e all’età di 64 anni non
esitò a ereditare la “Baracca” di don Carlo, fiero di intraprendere questo nuovo impegno nel quale profuse
tutte le sue energie. Come presidente della Fondazione, monsignor Gilardi ottenne numerosi altri attestati
di commossa gratitudine, sempre per il suo amorevole spirito di sacrificio e di disinteressata abnegazione
nell’alleviare le sofferenze umane: tra l’altro, nel Natale ’60, il “Cuor d’oro” Premio Notte di Natale e nel ’61
la medaglia d’oro dell’Amministrazione provinciale di Milano.
La morte a Milano nel settembre del ‘62
La vicenda terrena del generoso sacerdote ambrosiano si concluse in una cameretta dell’ospedale
Fatebenefratelli di Milano il 26 settembre 1962.
Il Comune di Milano - che insieme a quelli di Lecco e di Civate lo aveva premiato con una medaglia d’oro - si
sentì in obbligo di tributargli funerali gratuiti e le migliaia di persone presenti in Duomo alle esequie furono
la più eloquente testimonianza espressa per il suo benefico operato.
«Ho amato i poveri e i sofferenti fino a dimenticarmi - scrisse monsignor Gilardi nel suo testamento
spirituale -; per questo vado tranquillo al Signore, fiducioso nella misericordia del più tenero dei Padri. Mi ha
fatto dono dello stato di grazia, che è il privilegio divino della sofferenza, mi ha regalato nella lunga vita
misteriose e trascendenti dolcezze di unione con Lui. Grazie, Signore, di avermi creato per l’immensa
ineffabile gioia di scoprirti in me e nelle creature, di avermi elevato alla dignità sacerdotale…».