Editoriale
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Editoriale Recentemente un editoriale di «Jama» ha citato l’Italia come uno dei paesi dove sono state adottate nuove misure legislative per permettere un adeguato trattamento del dolore. Il riferimento ha riconosciuto l’impegno dei governi negli ultimi anni e ciò non può non far piacere a chi crede che i responsabili della cosa pubblica abbiano il dovere e la potenzialità di cambiare la qualità e la quantità dell’organizzazione dei servizi sanitari, con rilevanti effetti sul benessere del cittadino. L’esempio dell’impegno contro il dolore può essere usato come modello per analizzare funzioni che a vari livelli devono essere espletate al fine di rendere utili decisioni prese centralmente o – in altro campo – i progressi indicati dalla scienza, perché possano diventare strumenti operativi che producono vantaggi per la salute pubblica. Un primo passaggio è quello di rendere edotta la tecnostruttura delle regioni e delle aziende sanitarie, nonché degli ospedali, che un certo fatto può diventare concretamente (e con un relativo impegno) fattore importante per la salute pubblica. Tipica a questo proposito è stata la sequenza di eventi che su larga scala ha portato a ritenere l’adozione di pratiche antalgiche un intervento fattibile, non costoso né rischioso, e con grandi effetti positivi per le persone che soffrono. Dopo che la tecnostruttura di programmazione ha raggiunto al proprio interno un’adeguata chiarezza su fini e mezzi, è indispensabile passare ad un piano di formazione sul tema prescelto. Per tornare alla terapia antalgica, in Italia oggi vi è una grande disomogeneità rispetto alle conoscenze sul dolore e sulla sua fisiopatologia, sulle sue espressioni nelle varie condizioni cliniche (ad esempio, il dolore postoperatorio, il dolore oncologico, ecc.) e nelle varie età della vita (il dolore del bambino, il dolore dell’anziano, ecc.), sui meccanismi dei farmaci, con particolare riguardo agli oppiacei e ai loro effetti indesiderati, sugli interventi non farmacologici (strumentali, psicologici). Inoltre, di fronte a medici che hanno ricevuto informazioni strutturate, molti altri hanno seguito Tendenze nuove - 2/2008 nuova serie Editoriale soprattutto le polemiche sulle mancate prescrizioni, formandosi quindi una cultura frammentaria (e per sua stessa origine poco equilibrata). Ma anche altre categorie non sono state adeguatamente e sistematicamente informate, come gli infermieri; questa professione si trova direttamente esposta al rapporto con il paziente e la sua famiglia e quindi spesso canale preferenziale per la comunicazione; in assenza di una formazione specifica, si rischia da una parte un eccesso di prudenza nell’uso dei farmaci, dall’altro una certa superficialità, sulla spinta di fattori emotivi di origine prevalentemente giornalistica. Tra le professioni che devono essere formate in modo puntuale, vi sono quelle che esercitano funzioni di counseling molto importante (si pensi, ad esempio, agli assistenti sociali e a quelli sanitari e al loro ruolo di contatto con le situazioni di maggiore fragilità, che sono le più bisognose di supporti per ricevere una terapia adeguata). Non si può dimenticare, inoltre, in un piano informativoeducativo il grande pubblico, per evitare il formarsi di opinioni non corrette, che poi diventano ostacoli pesanti (e talvolta origine di conflitti) nella relazione con chi prescrive e somministra le terapie antalgiche. Una volta realizzato un piano vasto ed integrato di formazione, che deve comprendere in particolare una sorveglianza specifica sugli insegnamenti condotti nei corsi universitari per i vari profili professionali, è opportuno che la responsabilità programmatoria si sposti su due livelli, che – nel caso del dolore – sono, da una parte, la strutturazione di nuovi servizi (hospice e assistenza domiciliare oncologica) e, dall’altra, la sorveglianza perché nei servizi tradizionali si implementino in modo rigoroso protocolli per la diagnosi e la cura. Per quanto riguarda i servizi innovati possono sorgere problematiche economiche, alle quali oggi è però possibile fare fronte con gli stanziamenti specifici decisi negli anni scorsi; occorre però determinazione nella scelta della collocazione, degli operatori addetti, nell’inserimento all’interno della rete dei servizi già esistenti, ecc. A questo livello purtroppo il programmatore si trova talvolta in difficoltà perché «assediato» da volontà opposte, da poteri precostituiti, ecc. Proprio in questa prospettiva è importante disporre del consenso sociale per le decisioni da prendere, superando qualche contrasto. Chi ha la responsabilità delle aziende deve sentire l’autorità che deriva dal proporre soluzioni per migliorare la qualità della vita delle persone che soffrono. Lo stesso deve avvenire quando si interferisce con la vita dei servizi esistenti per misurare – ad esempio – se le metodologie per la rilevazione del dolore e il consumo di oppiacei sono in linea rispetto agli standard internazionali, con riferimento sia alla popolazione generale afferente ad un ospedale sia a situazioni particolarmente delicate (si pensi alla presenza diffusa di dolore cronico di origine oncologica non riconosciuto all’interno delle strutture residenziali per anziani). Sono tematiche non semplici, sia sul piano culturale sia su quello operativo; però testimoniano che un sistema è 148 Editoriale governato e lo mettono in una posizione nettamente differenziata rispetto a servizi autoreferenziali. Questo breve excursus sul problema del dolore rappresenta un modello emblematico dei compiti che investono chi ha la responsabilità di guidare ai vari livelli i sistemi sanitari, perché riguarda in modo particolare tre aspetti irrinunciabili: la formazione, l’innovazione e il controllo. Se chi guida le aziende tiene conto nelle proprie azioni di governo – oltre agli obiettivi che la scienza del management classicamente indica – dei tre livelli di azione, si ottengono risultati di grande importanza per la salute dei cittadini. In questo modo le aziende diventano fucine di idee nuove e ambiti dove il risultato diviene il metro per qualsiasi azione. 149