Rivoluzionari 2: Roberto Farinacci, un rompiscatole

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Rivoluzionari 2: Roberto Farinacci, un rompiscatole
ANTICIPAZIONI
RIVOLUZIONARI COL MANGANELLO
Polemico, violento, intrigante, integralista, amatissimo
dagli squadristi e non solo… Convinto di incarnare lo spirito
della rivoluzione delle camicie nere, Roberto Farinacci
fu per tutto il Fascismo una spina nel fianco del Regime
e dello stesso Mussolini. Che dovette spesso intervenire
per contrastarne gli attacchi che, sfiorandolo, coinvolgevano
persone a lui vicine come il fratello Arnaldo o l’amante-musa
Margherita Sarfatti. Per gentile concessione dell’editore
«Le Lettere», anticipiamo alcuni passi della nuova biografia
del ras di Cremona, in cui si affrontano vari nodi del duro
braccio di ferro Farinacci-Mussolini all’inizio degli anni Trenta:
la politica militare, quella artistica e il Partito…
di Giuseppe Pardini
Un rompiscatole in
N
el 1932 la divergenza di opinioni
tra Farinacci e Mussolini era palese in molte questioni politiche:
dalla sistemazione della magistratura (Farinacci si oppose nei limiti
delle sue possibilità alla “costituzionalizzazione” del Tribunale
speciale per la difesa dello Stato e
al mantenimento di una magistratura straordinaria), all’adozione di una politica culturale ufficiale del regime, dal varo di
una nuova politica militare, al rinnovamento del Pnf e dell’apparato istituzionale dello Stato. (…) Nella politica militare, Farinacci (attraverso il fido Carletti) non condivideva quella arrendevolezza del fascismo verso la “casta”
militare (prefascista), né la politica estera
perseguita sino agli anni Trenta (giudicandola arrendevole, in particolare dopo
l’accordo navale con la Francia). Si oppose
fermamente alla politica attuata da Mussolini (convinto che fosse molto pericoloso “toccare” le forze armate nel confronto
diarchico con la Monarchia, considerandole a quest’ultima organiche) per mano
del capo di stato maggiore generale, Pietro
Badoglio, e tesa a riconfermare il principio dell’autogoverno tecnico delle forze
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armate e la separazione istituzionale dalla Milizia. Farinacci,
spalleggiato da Balbo (col quale c’era stata nel 1932 una ben
più che formale riappacificazione), si fece censore della «cricca badogliana» e del suo gruppo di potere, che di fatto controllava l’esercito e anchilosava l’integrazione tra le tre forze
armate (con grande compressione dell’aeronautica), nonché
si fece interprete delle esigenze di una revisione organizzativa, tecnica e strategica, dell’esercito stesso e delle altre forze
armate, secondo criteri, principi e teorie più moderne, sostenendo infine la tesi della unificazione dei tre dicasteri militari
in un unico Ministero della Difesa nazionale (tema di centrale
importanza, da quando il capo del governo si era “liberato”
dalla direzione degli stessi tre dicasteri militari). Occorreva
diminuire gli spazi di indipendenza delle
forze armate, e accelerare nel contempo
una loro efficace integrazione e un loro
stretto controllo politico («fascistizzare,
insomma, le forze armate»). (…)
Allorquando, nel settembre 1931, «Il
Regime Fascista» iniziò una serie di lunghi articoli sulle questioni militari, col sintomatico titolo «Lo Spirito e la Materia»,
A fianco, Roberto Farinacci (Isernia,
16 ottobre 1892, Vimercate, 28 aprile
1945) in camicia nera nei primi anni Venti.
Nell’altra pagina, Farinacci in posa
assieme ad un gruppo di squadristi
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CAMICIA NERA
l’attenzione verso le idee ivi esposte divenne molto alta. Si accusava «l’austera consegna del silenzio» con cui il governo e
le alte sfere militari circondavano la trattazione delle questioni
di carattere militare, l’esasperato «tecnicismo militare» che isolava il Paese dall’esercito. Gli articoli, pubblicati in forma anonima, erano di Maurizio Claremoris, alias il colonnello Emilio
Canevari, tra i più importanti collaboratori del giornale cremonese, e attaccavano la politica militare del governo e soprattutto il ministro della Guerra Gazzera, giudicato «deleterio per il
fascismo». Nella critica al concetto della guerra di logoramento, coi progressi giganteschi dell’arma aerea, con la necessità
della motorizzazione e la costituzione di grandi unità celeri
e con l’obbiettivo di considerare la possibilità di una guerra
dinamica e risolutiva, il quotidiano di Farinacci scese in campo
risolutamente per la riforma delle istituzioni militari: occorreva
un esercito di mole minore ma permanentemente mobilitato, la
massima preparazione tecnica, il più moderno ed efficiente armamento, il coinvolgimento pieno dell’arma aerea. La serie di
articoli destò scalpore nell’ambiente militare, e dietro richiesta
di Gazzera Mussolini provvide a far sequestrare il quotidiano,
il 18 settembre, e invitò «la direzione a cessare detta campagna che ha già provocato deplorevoli stati d’animo, anche per
l’anonimo di cui si circonda»; il Ministero della Difesa soffocò il dibattito tecnico interno alle forze armate,contribuendo
al rapido decadimento della cultura militare tra le due guerre
mondiali, sì da rendere sorpassato anche quanto sino ad allora
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aveva funzionato. La dottrina militare ufficiale del fascismo,
quindi, rimase sostanzialmente sorda alle nuove teorie, sostenendo l’impossibilità di prevedere persino il carattere della
guerra futura (da qui la necessità di attenersi al passato): le
stesse dottrine della guerra aerea erano considerate «estremismo o futurismo privo di ogni serietà». (…) Anche negli anni
successivi Canevari-Farinacci rinnovarono le loro polemiche
contro la “passatista” politica militare del regime (una campagna altrettanto vigorosa venne condotta nel ’33), con l’ex
segretario del Partito che andava dicendosi convinto di quanto
avrebbe voluto proporre e realizzare nel capitale settore delle
forze armate: «per la parte militare – diceva – il mio giornale
è organizzato in maniera formidabile, ed in materia ho delle idee, che ho in testa solo io...». Indubbiamente quelle idee
ebbero «larga diffusione tra gli ufficiali» e contribuirono – sosteneva l’informato Tarantini – ad aumentare la popolarità di
Farinacci nell’esercito, e l’ostilità di Mussolini...
Nonostante le numerose spie sguinzagliate per venire a
conoscenza dell’autore di quegli articoli, non trapelò assolutamente nulla, ma le relazioni di uno di questi confidenti,
Alfredo Bonati, il numero 53, alias “Luigi Dolfi”, giornalista
del «Secolo XIX», assai addentro alle vicende giornalistiche del
paese e con libero accesso al «Regime Fascista», informarono
sulla reale portata della vicenda, svelando non pochi retroscena (…) “Dolfi”, inoltre, relazionò attentamente sul mondo fa-
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