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SOMMARIO
Il processo penale minorile
1. Premessa storica. – 2. Gli organi del Tribunale dei minorenni. – 3. I servizi sociali minorili. – 4. Gli altri organi della Giustizia minorile. – 5. La competenza del Tribunale per i minorenni. – 6. I limiti di connessione per i reati commessi dai minorenni. – 6.1. Il concorso di persone nel reato. – 7. La competenza per territorio. – 8.
La giurisdizione militare. – 9. I reati di apparente competenza del Giudice di pace. –
10. Le competenze civilistiche del Tribunale dei minorenni. – 11. L’inammissibilità
dell’azione civile nel processo penale a carico di minorenni. – 12. Il civilmente obbligato per la pena pecuniaria. – 13. L’esame del minore imputato nel processo penale minorile. – 14. L’udienza preliminare innanzi al Tribunale dei minorenni. – 15.
I provvedimenti adottati nell’udienza preliminare. – 16. L’opposizione alle pronunce formulate dal Giudice dell’udienza preliminare. – 17. La pubblicità nel processo
penale minorile. – 18. Le limitazioni del diritto di cronaca nel procedimento penale
minorile. – 19. L’appello nel procedimento penale minorile. – 20. L’esecuzione della pena. – 21. Il Giudice dell’esecuzione e la magistratura di sorveglianza. – 22. I
rapporti internazionali del diritto penale minorile. – 23. L’estradizione dei minorenni. – 23.1. La disciplina sul mandato d’arresto europeo. – 24. La difesa processuale del minore. – 24.1. La difesa d’ufficio dei minori. – 25. Le spese processuali. –
26. Le sanzioni amministrative.
1. Premessa storica
Una tutela particolareggiata del minore sotto il profilo penale venne a delinearsi verso la metà del XIX sec. in piena rivoluzione industriale, mediante la
percezione, nella coscienza sociale borghese dell’epoca, delle esigenze di protezione dei minori. In tale periodo vengono introdotte, soprattutto nel mondo
anglosassone, numerose riforme volte ad attenuare gli effetti penali nei confronti dei minori e ad introdurre talune fattispecie penali a tutela degli stessi.
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Capitolo Primo
Oltre all’influenza della dottrina cristiana, il maggior favore verso i minori
venne sospinto anche dall’evoluzione delle scienze pedagogiche e sociali, in gran
parte dovute all’opera di Marx e Freud.
Il primo Tribunale dei minorenni venne istituito a Chicago nel 1899 attraverso il Juvenile Court Act ed era competente a giudicare tutti i minori degli
anni dieci. Si trattava, comunque, di un’istituzione con una marcata impronta
paternalistica, che mancava delle garanzie necessarie secondo i criteri della giu1
risprudenza classica e per il quale non fu mai prevista una disciplina speciale .
Un provvedimento legislativo che diede grande impulso alla materia fu il
Children Act emanato in Gran Bretagna nel 1908, attraverso il quale, oltre ad
essere istituiti i Tribunali dei minorenni, competenti a giudicare tutti i reati
compiuti dagli infrasedicenni, venne anche abolita la pena di morte per i minorenni. Successivamente, altri paesi europei istituirono i Tribunali dei minorenni come avvenne in Francia (1910), Belgio (1912), Olanda (1921) e Germania (1922). In quest’ultimo Paese, dal 1939 opera anche lo Jugendamt, uno
speciale ufficio per i minori con competenze civili ed amministrative.
Sotto il profilo comparato possiamo distinguere:
a) Paesi che non possiedono specifici organi di giustizia penale minorile e
che non prevedono un regime penale differenziato per i minorenni;
b) Paesi che pur non possedendo specifici organi giudiziari minorili, prevedono un trattamento differenziato per i minorenni autori di reato sotto il
profilo sostanziale. In questo caso, i minorenni vengono giudicati dagli organi
giudiziari ordinari con l’applicazione di specifici istituti di favore sia sotto il
profilo sostanziale che processuale;
c) Paesi che prevedono specifici organi giudiziari minorili ed applicano speciali trattamenti di favore riservati ai minorenni sotto il profilo sostanziale e
processuale.
L’istituzione del Tribunale dei minorenni nel nostro ordinamento risale al
r.d.l. 20 luglio 1934, n. 1404, convertito, con modifiche, in legge 27 maggio
1935, n. 835, benché fosse già stato proposto fin dagli inizi del secolo (proposta legislativa Quarta, Vacca del 1908). Com’è noto, tale normativa, che rimane parzialmente in vigore ancora oggi, è stata integrata dal d.p.r. 22 settembre
1988, n. 448 che disciplina il processo penale a carico di imputati minorenni al
quale si aggiunge il suo regolamento di attuazione (d.lgs. 28 luglio 1989, n. 272).
La nuova disciplina del processo penale minorile è entrata definitivamente in
vigore il 24 ottobre 1989.
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MILANI [1995], 154.
Il processo penale minorile
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2. Gli organi del Tribunale dei minorenni
Il Tribunale dei minorenni, opera sempre in composizione collegiale togato-laica.
La composizione collegiale del Tribunale dei minorenni opera sia nel suo
unico rito predibattimentale (giudizio abbreviato) sia in quello dibattimentale
(ordinario, immediato e direttissimo), nonché nella fase dell’udienza preliminare (G.U.P.).
Sono invece organi monocratici il Giudice per le Indagini Preliminari ed il
Magistrato di sorveglianza.
Sono organi giurisdizionali speciali della giustizia minorile:
a) il Tribunale dei minorenni in senso stretto (Giudice del dibattimento);
b) i Giudici predibattimentali (G.I.P. e G.U.P.);
c) il magistrato di sorveglianza innanzi al Tribunale dei minorenni;
d) la sezione di Corte d’Appello per i minorenni;
e) la Procura della Repubblica presso il Tribunale dei minorenni.
Gli organi collegiali sono composti da un magistrato togato e da due Giudici laici, i quali sono nominati dal Consiglio Superiore della Magistratura
(art. 10, legge n. 195/1958) tra i «cittadini benemeriti dell’assistenza sociale,
scelti tra i cultori della biologia, antropologia criminale, pedagogia, psicologia»
che abbiano più di trent’anni (art. 2, r.d.l. n. 1404/1934, mod. art. 4, legge n.
1441/1956).
I due Giudici laici devono essere un uomo ed una donna ed assumono la
qualità di Giudici onorari.
Sul punto occorre segnalare che la violazione della norma riguardante il
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sesso dei due Giudici onorari non è causa di alcuna nullità , anche in virtù del
fatto che tale disposizione deve ritenersi lesiva del principio di uguaglianza.
I magistrati laici, completano l’organo giudicante in tutti i casi in cui la
composizione del Tribunale sia collegiale.
Al di là degli organi propriamente giudiziali, ve ne sono altri che fanno parte della c.d. giustizia minorile e che devono essere specializzati rispetto agli
equivalenti organi ordinari.
Queste sono al di là della Procura della Repubblica presso il Tribunale dei
minorenni:
a) le sezioni specializzate della Polizia Giudiziaria, alle dirette dipendenze
della Procura della Repubblica presso il Tribunale dei minorenni (art. 5, d.p.r.
n. 448/1988 ed art. 6, d.lgs. n. 272/1989);
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Cass. pen., sez. I, 11 gennaio 1984, n. 208, in Riv. pen., 1985, 109.
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Capitolo Primo
b) i difensori d’ufficio (art. 11, d.p.r. n. 448/1988) ed i servizi minorili (art.
6, d.p.r. n. 448/1988).
I servizi minorili dell’amministrazione della giustizia sono specifici organi
amministrativi di cui l’Autorità Giudiziaria minorile si avvale nel procedimento penale verso i minorenni.
3. I servizi sociali minorili
I servizi sociali minorili vennero istituiti con r.d. 24 dicembre 1934, n. 2316,
in attuazione della legge istitutiva dei Tribunali dei minorenni e riformati prima con legge 25 luglio 1956, n. 88 e poi con legge 16 luglio 1962, n. 1085, attraverso le quali venne privilegiato l’aspetto rieducativo.
Con d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616, l’amministrazione dei servizi sociali minorili è passato agli enti locali.
L’attività ausiliaria dei servizi sociali minorili si evidenzia in modo significativo in tutto il corso del procedimento penale. Più precisamente, i servizi minorili:
a) assicurano l’assistenza affettiva e psicologica all’imputato minorenne in
ogni stato e grado del procedimento (art. 12, d.p.r. n. 448/1988);
b) ricevono la comunicazione dei provvedimenti precautelari adottati nei
confronti dei minorenni, da parte della Polizia Giudiziaria (artt. 18, comma 1
e 18-bis, comma 2, d.p.r. n. 448/1988);
c) ricevono l’avviso dell’udienza preliminare e delle udienze dibattimentali
alle quali hanno la facoltà di partecipare (artt. 31, comma 3 e 33, comma 4,
d.p.r. n. 448/1988);
d) assistono il minore nell’esecuzione delle misure restrittive della libertà
personale ovvero nelle misure cautelari, nelle misure sostitutive, in quelle di sicurezza, nonché nella messa in prova del minore (artt. 19, comma 3, 28, comma 2, 30, comma 2, 40, comma 2, d.p.r. n. 448/1988).
Secondo l’orientamento prevalente, l’omessa comunicazione dei provvedimenti ai servizi sociali minorili non comporta alcuna nullità degli atti posti in
essere in loro assenza.
Ciò nonostante, nella fase processuale, la convocazione dei sevizi sociali
minorili risulta essere particolarmente importante al fine della valutazione della personalità del minore (art. 9, d.p.r. n. 448/1988) e della sua pericolosità,
anche al fine dell’applicazione degli istituti giuridici sostanziali e processuali
previsti dall’ordinamento penale minorile.
Le comunicazioni nei confronti dei servizi sociali, da parte dell’Autorità
Il processo penale minorile
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Giudiziaria, non richiedono particolari formalità (art. 17, d.lgs. n. 272/1989).
Nel processo penale minorile, i servizi sociali specializzati svolgono un’attività
istituzionale, che presuppone un preciso coordinamento con le Autorità Giudiziarie minorili (art. 13, d.lgs. n. 272/1989).
In virtù della loro posizione istituzionale a favore del minorenne, l’ordinamento non estende ai servizi sociali minorili le facoltà e gli oneri previsti nei
confronti dei genitori esercenti la podestà (artt. 7, 18-bis, 31, comma 4, 34,
d.p.r. n. 448/1988).
La presenza nel processo dei servizi sociali è sempre possibile ma mai obbligatoria.
Pur essendo riconducibile all’art. 12, comma 2, d.p.r. n. 448/1988, la partecipazione dei servizi minorili nel processo penale minorile non è corredata
da alcun meccanismo processuale che ne garantisca l’effettività. Secondo la
dottrina prevalente, l’assenza dei servizi sociali minorili dal processo non inci3
de sulla validità degli atti .
Nonostante l’assistenza dei servizi minorili rientri, in senso lato, nell’orbita
del sistema di assistenza dell’imputato, tale omissione non integra una nullità
ai sensi dell’art. 178, lett. c), c.p.p. in quanto manca una disposizione normativa che imponga espressamente la partecipazione dei servizi sociali alle udienza
del processo penale minorile. Ricavare tale prescrizione dall’art. 12, comma 2,
d.p.r. n. 448/1988, significherebbe eludere il principio di tassatività delle nul4
lità sancito dall’art. 177 c.p.p. . L’inadempienza dei servizi sociali di partecipare alle udienze del Tribunale dei minorenni in sede penale, può eventualmente essere sanzionato sotto il profilo disciplinare, ove ne sussistano i presupposti, nonché sotto il profilo amministrativo e penale, ove essi abbiano l’obbligo di parteciparvi in qualità di testimoni od esperti.
Gli aspetti amministrativi concernenti la gestione dei servizi sociali minorili
sono contenuti in una normativa eterogenea e particolarmente complessa. Per
quanto concerne la disciplina sul procedimento penale minorile, trovano applicazione gli artt. 7, 8, 13 e 14, d.lgs. n. 272/1989.
Nella complessità del termine utilizzato dal legislatore occorre distinguere
tra:
a) servizi accentrati (c.d. servizi ministeriali, ex artt. 7 e 13, d.lgs. n. 272/1989),
aventi funzione di coordinamento amministrativo;
b) servizi decentrati, aventi funzione operativa.
Allo stesso modo, in virtù dell’art. 6, d.p.r. 448/1988, i servizi operativi possono essere distinti in:
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PANSINI [2002], 482.
PENNISI [2004], 314.
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Capitolo Primo
a) servizi minorili “in senso stretto”, rientranti nell’amministrazione della
giustizia minorile ed operanti a stretto contatto con l’Autorità Giudiziaria minorile;
b) servizi sociali degli enti locali, ai quali sono demandati compiti complessivamente più ampi ed intervengono nel processo penale minorile solamente
in via incidentale, nel limite della collaborazione con i servizi minorili e delle
richieste dell’Autorità Giudiziaria.
In virtù dell’art. 24, d.lgs. n. 272/1989, l’attività dei servizi sociali minorili
sono indirizzate anche nei confronti dei maggiorenni infraventunenni.
Oltre ai servizi minorili (in senso lato), l’Autorità Giudiziaria può avvalersi
anche di esperti ad hoc, espressamente nominati al fine di valutare e compiere
accertamenti sul minore (artt. 8 e 9, d.p.r. n. 448/1988). In questi casi, questi
soggetti ausiliari rivestono la qualità di periti.
4. Gli altri organi della Giustizia minorile
Al fine del recupero del minore inquisito o condannato, la legge prevede la
predisposizione di centri per la Giustizia minorile (art. 8, d.lgs. n. 272/1989)
che si avvalgono delle seguenti strutture:
a) uffici dei servizi sociali per i minorenni istituiti a livello locale;
b) istituti di semilibertà presso gli istituti carcerari (art. 11, d.lgs. n. 272/1989);
c) servizi diurni (art. 12, d.lgs. n. 272/1989);
d) centri di prima accoglienza (art. 9, d.lgs. n. 272/1989);
e) comunità pubbliche o private autorizzate (art. 10, d.lgs. n. 272/1989);
f) istituti penali per minorenni.
I centri di prima accoglienza sono strutture pubbliche destinate ad accogliere i minorenni fino all’udienza di convalida delle misure precautelari disposte
verso i minorenni (art. 9, d.lgs. n. 272/1989). La legge prevede che i centri di
prima accoglienza debbano assicurare la permanenza dei minorenni senza caratterizzarsi come strutture di tipo carcerario e sono costituiti, ove possibile,
presso gli uffici giudiziari minorili.
Le comunità sono organi di ricezione dei minorenni, finalizzate al collocamento di minorenni in vinculis a seguito dell’adozione di una misura cautelare
(art. 22, d.p.r. n. 448/1988), precautelare (artt. 18, comma 2 e 18-bis, comma
4, d.p.r. n. 448/1988), oppure di una misura di sicurezza, a seguito dell’abolizione dei riformatori giudiziari (art. 36, d.p.r. n. 448/1988).
Le comunità possono essere strutture pubbliche o private. In quest’ultimo
caso, tuttavia, esse devono essere espressamente autorizzate dal Ministero di
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Il processo penale minorile
Grazia e Giustizia ad operare nel settore minorile. L’organizzazione delle comunità è disciplinata dall’art. 10, d.lgs. n. 272/1989:
Normativa
«Per l’attuazione del d.p.r. 22 settembre 1988, n. 488, i centri per la giustizia minorile stipulano convenzioni con comunità pubbliche e private, associazioni e cooperative che operano in
campo adolescenziale e che siano riconosciute o autorizzate dalla regione competente per
territorio. Possono altresì organizzare proprie comunità, anche in gestione mista con enti locali.
L’organizzazione e la gestione delle comunità deve rispondere ai seguenti criteri:
a) organizzazione di tipo familiare, che preveda anche la presenza di minorenni non sottoposti
a procedimento penale e capienza non superiore alle dieci unità, tale da garantire, anche attraverso progetti personalizzati, una conduzione e un clima educativamente significativi;
b) utilizzazione di operatori professionali delle diverse discipline;
c) collaborazione di tutte le istituzioni interessate e utilizzazione delle risorse del territorio.
Operatori dei servizi minorili dell’amministrazione della giustizia possono essere distaccati
presso comunità e strutture pubbliche o convenzionate per compiti di collaborazione interdisciplinare»
art. 10, d.lgs. 28 luglio 1989, n. 272.
Tutti i luoghi di detenzione minorile devono essere distinti da quelli per i
maggiorenni, sia per quanto concerne gli istituti di semilibertà ed i servizi diurni
che per quanto concerne gli istituti di pena minorili.
5. La competenza del Tribunale per i minorenni
Ai sensi dell’art. 3, d.p.r. n. 448/1988, il Tribunale dei minorenni è competente a giudicare tutti i reati commessi dai minori degli anni diciotto.
I reati permanenti, ove commessi dal minore in un periodo compreso tra la
minore e la maggiore età sono comunque di competenza del Tribunale ordi5
nario .
Giurisprudenza
«Attesa l’inscindibilità del reato permanente, inteso come fatto giuridicamente unitario, qualora un reato di tale natura sia attribuito a soggetto che era ancora minorenne all’inizio dell’attività criminosa, poi protrattasi anche dopo il raggiungimento della maggiore età, la competenza a conoscere del reato medesimo nella sua interezza spetta comunque al Giudice ordinario
escludendosi ogni possibile scomposizione di detta competenza fra Giudice ordinario e Giudice minorile»
Cass. pen., sez. I, 6 aprile 1998, n. 1430.
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Cass. pen., sez. I, 24 febbraio 2006, n. 7057; Cass. pen., sez. V, 259 maggio 1997, n. 3277;
Cass. pen., sez. I, 20 luglio 1995 n. 3369.
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Capitolo Primo
Lo stesso discorso vale per quanto concerne il reato progressivo, nel quale
si verifica un’offesa crescente al medesimo bene giuridico.
Un orientamento dottrinale minoritario non concorda con l’indirizzo assunto dalla giurisprudenza, sostenendo che, poiché la competenza territoriale del
reato permanente si determina in virtù del luogo in cui ha avuto inizio l’esecuzione del medesimo (art. 8, comma 3, c.p.p.) e la condotta criminosa affonda la
sua lesività nel momento della scelta iniziale, la competenza dovrebbe essere at6
tribuita al Tribunale minorile . Tale assunto non appare condivisibile, sia perché il criterio di determinazione della competenza territoriale non può incidere su quello ratione materie, sia perché la scelta iniziale del minorenne non inficia la volontarietà dell’atto di prosecuzione della condotta criminosa, dopo il
raggiungimento della maggiore età.
Maggiori problematiche sussistono per quanto concerne i reati abituali, i
quali postulano una ripetizione di condotte distinte tra loro, ma sorrette da un
unico elemento soggettivo ed unitariamente lesive del bene giuridico tutelato.
A questo riguardo occorre ricordare che il reato abituale si distingue in
proprio od improprio a seconda che le singole condotte che lo integrano costituiscano o meno, di per se stesse, delle autonome fattispecie di reato.
Inoltre, è possibile distinguere il reato necessariamente abituale da quello
eventualmente abituale, per il quale è indifferente, al fine della configurabilità
del reato, la ripetizione o meno di una condotta. Il reato eventualmente abituale è punito in modo unitario sia nel caso in cui sia integrato da un’unica condotta, sia nel caso in cui la condotta venga ripetuta, benché in quest’ultimo caso possano essere previste delle aggravanti.
Secondo un primo orientamento, nel reato necessariamente abituale, al fine
della determinazione della competenza, occorre valutare il momento in cui, a
seguito della ripetizione delle condotte, si è posta in essere la soglia di gravità
tale da integrare la fattispecie criminosa.
Secondo questa impostazione, se la condotta abituale illecita ha raggiunto
la soglia di punibilità sufficiente, già durante la minore età, dovrebbe applicarsi la competenza del Giudice minorile, anche in virtù del principio del favor
rei.
In realtà, questo orientamento non pare essere corretto, poiché, così come
avviene nel reato permanente, anche il reato abituale si interrompe con l’ultimo atto della condotta e quindi, nell’ipotesi di condotte tenute tra la minore e
la maggiore età, la competenza deve essere individuata in capo al Giudice ordinario.
Sul punto, la giurisprudenza ammette tuttavia delle eccezioni.
Secondo la giurisprudenza prevalente, i singoli illeciti che compongono il
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CUTRONA [2007], 34.
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Il processo penale minorile
reato impropriamente abituale, possono essere scorporati da quest’ultimo ed
attribuiti alla competenza del Giudice minorile.
Giurisprudenza
«Per i reati cosiddetti eventualmente abituali, i quali, per la loro stessa configurazione giuridica, postulano una ripetizione di condotte analoghe, distinte tra loro, ma sorrette da un unico
ed unitario elemento soggettivo ed unitariamente lesive del bene giuridico tutelato, è possibile
operare una scissione delle condotte del soggetto, e distinguere pertanto tra episodi realizzati
in data antecedente ed episodi realizzati in data successiva al raggiungimento della maggiore
età, attribuendo la competenza a conoscere i primi al Tribunale per i minorenni, ed attribuendo la competenza a conoscere i secondi al Tribunale ordinario»
Cass. pen., sez. I, 6 aprile 1998, n. 1430.
Nella fattispecie appena evidenziata, si trattava di imputato cui erano stati
contestati i reati di associazione per delinquere e favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione in danno di numerose donne, commessi in un arco
compreso tra la minore e la maggiore età. In applicazione del principio riportato nella massima, la Corte di Cassazione aveva dichiarato la competenza del
Tribunale ordinario in ordine al reato associativo, in quanto reato permanente, e la competenza del Tribunale per i minorenni in ordine ai delitti di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione posti in essere antecedentemente. Questa pronuncia deve pertanto ritenersi eccezionale poiché riguarda una
ipotesi di concorso di reati ai quali possono essere disposti parametri di competenza differenti.
Alcuni dubbi in materia di attribuzione della competenza sorgono anche
per quanto concerne i reati eventualmente abituali che si manifestano indifferentemente dall’unicità o dalla pluralità della condotta.
In questi casi, in virtù del principio del favor rei, dovrebbe attribuirsi la
competenza al Giudice minorile, poiché la condotta è stata integrata già al momento della minore età. Tuttavia, anche in questo caso, come per il reato impropriamente abituale, il momento consumativo ai fini della determinazione
della competenza, deve essere rilevato al momento dell’ultima condotta, per
cui, anche in questo caso, deve ritenersi applicabile la competenza del Giudice
ordinario.
Infatti, come più volte affermato dalla dottrina e dalla giurisprudenza, è solamente attraverso l’interruzione della condotta abituale che il fatto illecito
viene a cessare (ovvero si consuma), ai fini penali e processuali.
In ogni caso in cui sussista un ragionevole ed indissolubile dubbio sul momento di effettiva consumazione del reato, con riguardo al superamento di
una età anagrafica dalla quale la legge fa derivare effetti giuridici, deve comunque applicarsi il principio del favor rei e quindi attribuire la competenza
al Giudice minorile (art. 8, comma 3, d.p.r. n. 448/1988).
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Capitolo Primo
6. I limiti di connessione per i reati commessi dai minorenni
La ragione per cui, nei reati impropriamente abituali, i singoli illeciti che
compongono il reato, possono, in taluni casi, essere scorporati da quest’ultimo
ed attribuiti alla competenza del Giudice minorile va individuata nell’interpretazione dell’art. 14, comma 2, c.p.p. il quale stabilisce che la connessione (art.
12 c.p.p.), non opera tra procedimenti per reati commessi quando l’imputato
era minorenne e procedimenti per reati commessi quando lo stesso era maggiorenne.
In questi casi, è l’ordinamento a sancire la distinzione dei reati per cui si
procede, tra la competenza del Giudice minorile e di quello ordinario.
Tuttavia, va considerato che la norma non trova applicazione quando il reato
abituale sia tale da assorbire le fattispecie meno gravi che lo integrano, poiché
in questo caso, trova applicazione la regola sancita dall’art. 84 c.p. (reato complesso).
Negli altri casi, quando i singoli reati minori ne integrino altri, ma rimangano distinti da questi, dovrà necessariamente applicarsi la regola generale sancita dall’art. 14, comma 2, c.p.p.
Le ipotesi di questo tipo integrano il reato continuato (art. 81, comma 2,
c.p.) e le ipotesi in cui un reato sia posto in essere per eseguirne od occultarne
un altro.
Conseguentemente, anche se collegati dal vincolo della continuazione (sussistenza di un medesimo disegno criminoso), la competenza per ciascun reato
deve essere distinta tra il Giudice minorile e quello ordinario, sempreché la
loro integrazione si sia complessivamente verificata tra la minore e la maggiore
età del soggetto agente.
La disposizione di cui all’art. 14, comma 2, c.p.p. non si pone in contrasto
con il principio del ne bis in idem, poiché, anche nel caso in cui i reati siano
giudicati separatamente, con conseguente agevolazione del soggetto agente
con riguardo agli illeciti commessi durante la minore età, il vincolo della continuazione tra gli stessi può ugualmente essere disposto nella fase esecutiva
della pena ai sensi dell’art. 671 c.p.p. quand’anche non già nel giudizio definito posteriormente.
Relativamente al reato continuato, la soluzione adottata dal codice di procedura penale appare tuttavia particolarmente faragginosa, soprattutto laddove non consente una deroga convenzionale alla separazione dei procedimenti
ed una soluzione automatica delle eventuali antinomie.