Amici - Pasqua 2013

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Amici - Pasqua 2013
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• N. 19 • PASQUA 2013 •
CHIESA DEL CORPUS DOMINI (BOLOGNA)
In quella misteriosa mattina di Pasqua, i due discepoli si allontanano da Gerusalemme, diretti a Emmaus. Sulla via si accosta il Signore stesso,
mentre sono completamente presi dalla discussione su ciò che è accaduto. Non possono accettare che colui nel quale avevano tanto sperato sia
stato vinto, ammazzato e sepolto. Quando finalmente lasciano parlare il Viandante che cammina con loro, questi chiede loro il motivo dei
loro discorsi così animati. Mentre si comincia ad ammorbidire il loro cuore, arrivano ad Emmaus. Invitano allora il Forestiero a rimanere con
loro. Gli offrono il pane. Lui lo prende, lo benedice, lo spezza, e in quel momento lo riconoscono. Ma Lui sparisce dalla loro vista. Rimangono solo loro due e il Pane, spezzato e benedetto, cioè il Signore. Allora capiscono che la Chiesa è il Corpo di Cristo e che ciò di cui stavano discutendo lungo la via in riferimento a Cristo sta succedendo anche nella loro vita: tutto ciò che viviamo, ma non capiamo, perché fa
male, tutto ciò che ci fa soffrire, perché sconfitto, offeso, umiliato, alla fine si comprende nella luce del Corpo glorioso del Signore risorto. Perciò possiamo guardare con certezza all’ultima tappa, cioè alla risurrezione nel Corpo glorioso. Cari amici e benefattori del Centro Aletti, il
nostro augurio e la nostra preghiera per voi e per noi è che in questa Pasqua possiamo scoprire come la nostra vita, con tutto ciò che forse non
capiamo perché è difficile e sofferto, appartiene a Cristo e perciò la possiamo trovare anche già glorificata.
In occasione dell’anniversario della morte del
card. Tomáš Špidlík
il Centro Aletti invita alla celebrazione eucaristica
sabato 6 aprile alle ore 18.00
nella basilica di San Marco a Piazza Venezia a Roma
sabato 20 aprile alle ore 11.00
nella basilica dei Santi Cirillo e Metodio a Velehrad
Il rosso della piazza d’oro
Intervista con p. Rupnik
No v i
tà
In questa intervista, padre Rupnik concentra le sue riflessioni sul legame tra arte, fede
e vita. Come creare per la Chiesa a partire
dalla Chiesa e come attingere dalla visione
escatologica per una vera creatività cristiana
nel campo culturale, formativo e pastorale?
Tra questi e altri interrogativi, la riflessione
si intreccia al racconto in prima persona.
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Da 60 euro quota amico del Centro Aletti, da 300 euro quota sostenitore. Nella causale specifica sempre il tuo indirizzo.
tinuità è molto importante. Ma proprio qui si può nascondere
un’altra tentazione, che è quella di voler vedere subito i frutti.
Perciò va ricordato che non siamo noi a cambiare la vita e a proIn questo anno della fede dedichiamo un po’ di spazio durre i frutti. Non siamo noi i protagonisti, ma cerchiamo solo
a una delle attività del Centro Aletti, che è forse un po’ di favorire, di non ostacolare il lavoro della grazia. La vita nuova
meno visibile, ma fa da fondamento a tutte le attività: è come un seme dentro di noi, al quale però bisogna dare il tempo
gli esercizi spirituali (ES). Per saperne di più ab- e la possibilità perché cresca. Bisogna solo custodire e aver cura
biamo fatto alcune domande semplici semplici ai no- della novità che lo Spirito ha seminato in noi durante gli ES, afstri “allenatori”, nonché “atleti provati”, e ad finché possa crescere in noi l’uomo nuovo. Si tratta di un peralcuni “esercitanti di lunga data”.
corso lento, che comincia prima di tutto nel nostro cuore. Dopo
una reale esperienza della riconciliazione con Dio, nelle persone
P. Marko, che cosa sono gli ES e a che cosa servono? matura spontaneamente anche l’affidamento a Dio. Se la prima
Gli ES sono esercizi su come capirci con il Signore e sono un volta quando si fanno gli ES siamo magari come una terra dura,
cammino di purificazione. Lo scopo degli ES è una reale cono- nella quale con difficoltà si comincia a scavare, la seconda, la terza
scenza di Dio nella mia vita, cioè un vero incontro con il Signore volta la terra sarà già più morbida e si farà prima a scavare...
per cogliere ciò che è la volontà del Signore verso di me. La prima
A Sara da un po’ di anni viene chiesto di dare i cosidfase è quella di arrivare all’esperienza reale di essere redenti, cioè
detti
ES parrocchiali. Ci sono anche qui delle dinamiche
alla riconciliazione. Siccome solo Dio perdona il peccato, il percomuni
ai soliti ES in silenzio? La cosa che c’è in comune è
dono è un’esperienza di Dio. Poi comincia la seconda tappa:
di
sicuro
il
tentativo di far sì che le persone possano incontrare il
come rimanere nel Signore nelle scelte di vita e nelle scelte quoSignore.
Gli
ES, sia quelli “classici” (la settimana in silenzio, che
tidiane e compiere così la sua volontà, ossia come realizzare
prevede
la
possibilità
del colloquio personale con una guida), sia
l’amore con il quale il Signore mi ha redento. Chi può fare gli
quelli
“comunitari”
(una
settimana di catechesi serali) tendono a
ES? Tutti, purché ci sia il desiderio. Non si possono fare gli ES
far
sì
che
la
persona
–
attraverso
lo spezzare la Parola, attraverso
perché lo dice la madre superiora o il fidanzato o la moglie, ecc.
il
dialogo
con
la
Parola,
attraverso
il gusto per la Parola – possa avBisogna che ci sia un sincero desiderio di conoscere il Signore e
di conoscere se stessi con gli occhi di Dio, di attingere a questa vicinarsi di più al Signore, approfondendo il rapporto personale
luce divina, sapendo che questa visione sarà salvifica per me. Tutti che già c’è. L’impostazione è sicuramente molto diversa perché,
quindi possono fare gli ES, però a diversi livelli. Sant’Ignazio pre- quando c’è la possibilità del colloquio personale, si segue la pervede un approccio totalmente personale: chi dà gli ES deve con- sona passo a passo, le si offre un modo di pregare personalizzato...
siderare a che punto della vita è l’esercitante, qual è la sua storia, Ma, per quanto io pensassi che gli ES comunitari non avessero
ecc. La persona viene accompagnata in modo da poter incon- una tale portata, con mia sorpresa ultimamente mi sto ricredendo.
trare il Signore, non necessariamente percorrendo tutto l’itinera- Mi ricordo il colloquio con una signora che mi ha raccontato
rio delle quattro settimane. Poiché dare gli ES significa pra- che cosa significavano per lei questi ES comunitari, fatti a un
ticamente preparare questo appuntamento reale tra l’uomo e Dio mese dalla perdita di suo marito. Il Signore l’ha toccata con la sua
che avviene nell’amore, nella salvezza. Quali sottolineature del Parola e le ha indicato un modo per congedarsi dal marito. Da alpercorso ignaziano hai sviluppato dando gli ES per tanti lora ripeteva spesso quel brano e vi trovava pace anche in altre sianni? Stando alla regola ignaziana, lungo gli anni imparo a vedere tuazioni difficili della sua vita. Questa è per me una testimonianza
a che livello si trovano le persone. E credo che oggi sia del tutto ulteriore di quanto la Parola di Dio sia veramente “viva ed effiassente una visione teologica organica della nostra fede, della vita cace”. Pensavo che questi ES fossero solo un “aperitivo” rispetto
dell’uomo e della storia. Perciò bisogna offrire alle persone la pos- a quelli classici, ma dovevo costatare che il Signore può arrivare
sibilità di una teologia orante, una teologia che è veramente una lì dove noi non immaginiamo e può nutrire le persone esattarelazione viva con Dio. Questo non si impara alla facoltà teolo- mente con il cibo di cui hanno bisogno. E spesso accade che progica. Allo stesso tempo, le nostre preghiere sono spesso molto prio con questi ES comunitari in qualcuno si svegli l’appetito, il
emozionali, senza una struttura teologica. Perciò, lungo gli anni, desiderio di fare anche la settimana in silenzio.
ho capito che un grande lavoro da portare avanti è proprio quello
Don Gian Battista, attualmente padre spirituale deldi offrire una teologia organica, patristica, simbolica, non con- l’Atelier di teologia, era sacerdote da qualche anno
cettuale, affinché le persone possano arrivare ad una visione or- quando ha incontrato gli ES ignaziani. Cosa ha impaganica dell’insieme.
rato? Gli ES hanno segnato profondamente la mia vita spirituale,
I primi ES – come il primo amore – non si scordano il mio ministero e il modo di stare dentro la pastorale. Innanzimai. Qualche ricordo ce lo dice Marina: Ero ancora molto tutto gli ES mi hanno portato a fare un’esperienza di Dio, del
giovane quando ho fatto i primi ES e per me erano veramente mistero pasquale, con un gusto e una profondità sconosciuti. Con
molto difficili, fino al punto che a metà settimana sono andata da un’immagine potrei dire che si è aperto un cantiere nuovo: uno
p. Marko a dirgli che non ce la facevo più e che sarei andata a casa. sguardo ed una conoscenza di Dio, di me, degli altri, della
“A che ora?”, mi ha chiesto, “perché così vengo ad aprirti la Chiesa... più veri, reali, luminosi. Gli ES, in particolare il mese
porta!” Mettendomi davanti alla libera scelta se rimanere e com- ignaziano, sono stati anche l’occasione per maturare una visione
battere o andarmene, mi ha aiutato a decidere e sono rimasta. ed una sintesi teologico-spirituale più integra ed organica. Senza
Ero venuta perché veniva tutto il gruppo degli amici, ma sono ri- l’esperienza viva degli ES, nei corsi di esercizi e ritiri che sono
masta perché ero io a deciderlo e volerlo. Ci vuole sempre la li- oggi chiamato a predicare ad altri, potrei comunicare solo delle
bertà della persona. Agli ES si mette in moto una dinamica idee belle sulla nostra fede, ma non quella esperienza di Dio che
con la quale poi si torna nella vita quotidiana. Come si mi ha nutrito personalmente e che è vita per me.
Grazie a questa esperienza, unitamente a quella dell’accompafa a favorire che questa esperienza plasmi anche uno stile
di vita nuovo? Alla fine degli ES le persone sono spesso tentate gnamento spirituale delle persone, mi è data la grazia di conoscere
dal pensiero che la vera vita è quella che si vive a casa, non quella la vita della Chiesa in una luce e profondità che prima non cosperimentata agli ES. Perciò spesso alla fine degli ES diciamo che noscevo – pur avendo vissuto i primi anni di ministero in una
ora cominciano gli ES nella vita quotidiana, perché difatti la con- realtà parrocchiale molto vivace. Constatare come la grazia di Dio
La Parola seminata in noi
agisce, spesso in maniera imprevedibile e silenziosa, nel cuore e
nella vita degli uomini e delle donne del nostro tempo, rende il
cuore più umile, grato, sobrio e raccolto.
Volevamo sapere, anche da un professore di teologia,
in che modo gli ES segnano il suo insegnamento della
teologia. Gli ES sono un esercizio intellettuale in cui il pensiero
viene purificato dalle sue passioni (culto delle proprie opinioni,
ideologie, pregiudizi) e viene illuminato dallo Spirito della verità.
Non c’è conoscenza né di Dio né dell’uomo al di fuori dello Spirito che è l’amore e gli ES aiutano a maturare la sapienza che è
l’arte di vedere le cose in Dio e di trovare Dio in tutte le cose. Durante gli ES il pensare è unito al gustare le cose di Dio. Per me gli
ES sono l’esperienza più concreta dell’importanza della purificazione della mentalità e delle ispirazioni divine per il procedere organico del pensiero e della vita.
Negli ES il predicatore svolge il “servizio della Parola”, offre
una parola non intellettuale, ma mistagogica, cioè una parola che
accompagna gli esercitanti all’incontro col mistero di Dio, una
parola misurata, sobria, (...) una parola esterna che si mette al servizio della parola interiore che lo Spirito suggerisce al cuore. Il
servizio della predicazione è anche un’ascesi della parola che viene
come assottigliata e alleggerita da tutto ciò che potrebbe essere
solo decorativo, formale, erudito... perché la “parola spirituale” è
efficace nella misura in cui accende in chi ascolta la memoria di
Dio e lo rende capace di creare la comunione con Colui di cui
si parla. Studiare la teologia significa “pensare i pensieri di Dio”
e ciò comporta non solo imparare i pensieri di Dio, ma anche
pensare alla maniera di Dio, che pensa nella comunione delle tre
Persone divine, e perciò un pensare alla maniera della Chiesa, in
una sinassi delle voci della tradizione, i Padri, i Dottori della
Chiesa, i Papi... Sicuramente vivere in contemporanea il servizio
di predicare gli ES e di insegnare teologia, senza che lo avessi programmato in anticipo e ne fossi pienamente conscio, mi ha aiutato a capire cosa significa il “pensiero organico”, il pensare alla
vita nuova con le categorie di pensiero coerenti con la vita nello
Spirito che il battesimo ci ha donato. E fare una teologia nello
Spirito diventa un “esercizio spirituale”.
A un “povero parroco di campagna” – con una parrocchia di 19.000 abitanti – abbiamo chiesto come traduce l’esperienza degli ES nel suo lavoro pastorale.
Attraverso gli ES comprendo meglio quello che manca alla nostra attività pastorale: la dimensione contemplativa della vita cristiana e il passaggio della riconciliazione che non è per niente al
centro dei nostri itinerari pastorali. E lo stesso potrei dire della dimensione escatologica della fede e dell’eucaristia. Comprendo
quanto tutto questo valorizzi la dimensione della Chiesa – di fare
questo itinerario con la Chiesa e nella Chiesa. Nella nostra pastorale c’è molto “fai da te”, c’è molto soggettivismo, non ci si
fida poi tanto che i sacramenti possano veramente rinnovare
l’uomo. Si avverte questa mancanza di fiducia in ciò che il Signore ha affidato alla Chiesa. (...) Quando mi rifaccio a certi contenuti ricevuti negli ES, vedo che la gente ha un’attenzione come
se qualcosa veramente li sorprendesse, li colpisse, o meglio come
se stessero aspettando qualcosa che finalmente viene loro detto.
Lo vedi dai loro occhi come sono toccati... in quanto si tratta di
contenuti profondamente veri, che toccano veramente il cuore
delle persone. Come se si potesse notare che questi contenuti si
scavano da soli una via nelle persone, e attraverso questa via poi
le persone ti chiedono la direzione spirituale, i sacramenti, ecc.
E perché una madre generale continua a venire ogni
anno agli ES? Io continuo a venire perché agli ES ricevo tanto
cibo spirituale per me. Ho imparato ad accostare la Parola di Dio
in un modo più significativo e a pormi nella preghiera davanti al
Signore con un cuore più in ascolto. Ho trovato negli ES una
grande possibilità di gustare la misericordia e la bontà del Signore
nei miei confronti, e da lì anche la mia vita viene plasmata in
modo da poter vivere con uno sguardo di fede più semplice
anche nel mio servizio di superiora generale. Perciò gli ES sono
per me come dei “pascoli verdi” che cerco per alimentare la mia
vita, il mio sguardo sulla storia, sulle persone, sulla Chiesa. Una
grande grazia ricevuta attraverso gli ES ignaziani è, che piano
piano, non so come, ho intuito che le mie sorelle desideravano
fare la stessa esperienza che io stavo facendo. Quando ho cominciato a proporre prima ad una poi ad altra questa bella opportunità, ho trovato una porta spalancata, anzi, vedevo crescere
in loro, soprattutto nelle più giovani, il desiderio, la gioia e la riconoscenza di poter fare questa esperienza. E ho visto che le mie
sorelle, proprio attraverso gli ES, sono davvero cresciute in un’appartenenza bella al Signore, ma anche in un amore più grande per
la loro vocazione religiosa, per la Chiesa... Guardando indietro,
vedo che veramente non solo la mia persona, ma anche la nostra
congregazione ne ha ricevuto un grande beneficio.
Cosa ci dice invece una giovane religiosa, membro attuale dell’Atelier di teologia? La prima volta che ho incontrato questo metodo di preghiera con i famosi sei punti, ho
pensato: “O mamma mia, ora proprio a me è capitato questo
metodo tedesco quadrato, come farò?!” Mi sembrava che questo
metodo mi limitasse. Invece, poi, alla fine degli ES, mi dovevo
proprio ricredere, perché ho trovato tanto beneficio. (...) Gli ES
sono per me la tappa dell’anno, perché vuol dire mettermi in
ascolto del Signore, pur con tutte le fatiche, e provare a cogliere
la “parola buona” che Lui vuole dirmi. E soprattutto negli ultimi
anni sto cogliendo che quella Parola, il nucleo forte che esce fuori
dagli ES, poi durante l’anno mi ritorna, me lo ritrovo... quindi è
una Parola che lì viene detta forse in maniera più chiara – magari
anche perché sto più zitta io –, e che durante l’anno mi è riproposta attraverso le persone, gli incontri... come un vino che poi
decanta, profuma. Credo che gli ES siano importanti anche per
la nostra vita comunitaria, perché la vita spirituale non è astratta
e non è staccata dalle persone che mi vivono accanto… Nella
nostra comunità abbiamo l’abitudine, di solito all’inizio dell’anno
pastorale, di comunicarci quella “parola buona”, il dono che il Signore ci ha fatto durante gli ES, e questo diventa un modo di accompagnarci nella preghiera e nella vita. È come se questo desse
un tono diverso al nostro essere insieme, perché parte dall’essere
insieme unite nel Signore.
E come mai un francescano fa gli ES ignaziani? Io non
ci trovo proprio nulla di strano, perché penso che gli ES di sant’Ignazio non siano per i gesuiti, ma per i cristiani; sono un dono
per la Chiesa tutta intera. Sono convinto che tra i santi ci sia la
comunione e anche una simpatia di fondo, perciò sia l’esperienza
di Francesco che l’esperienza di Ignazio sono entrambe esperienze totalmente cristiane. E mi sembra che la comunione dei
santi sia qualcosa di cui già da ora ogni cristiano possa godere, attingendo alle diverse spiritualità con cui le diverse realtà ecclesiali
concorrono ad edificare il medesimo corpo di Cristo che è la
Chiesa. Un francescano può vivere l’esperienza degli ES perché
ne conosce già il linguaggio: il linguaggio dell’amore. Come è
maturato il tuo rapporto con la Parola di Dio con gli ES?
Gli ES aiutano a scoprire che dietro alla Parola di Dio c’è un
Volto, cioè la presenza personale di Dio. E avere questa pre-comprensione di fondo – cioè che Dio ti ama infinitamente e ti vuole
raggiungere attraverso quella Parola – questa è una chiave eccezionale per aprire le Scritture. Credo che questo aspetto nessuna
facoltà teologica e nessun ateneo di studi biblici sia in grado di
fornirlo. È un’esperienza – cioè la possibilità di stare sulla Parola
pregando, quindi stando in relazione con Dio.
E affinché qualcuno non pensi che gli ES siano “roba
per preti e suore”, ci siamo rivolti anche a un padre di famiglia... La prima volta mi ero iscritto senza neanche sapere
bene dove andavo. Poi è successo che mio padre aveva bisogno di
me: “Abbiamo troppo da fare e non ci puoi andare”, era categorico. Così uno dei miei amici, che alla partenza si era accorto
della mia assenza, è venuto da noi e per ben due ore convinceva
mio padre a lasciarmi andare. Si era persino offerto di aiutarlo al
posto mio, tanto era convinto che gli ES fossero importanti per
me. Così mio padre finalmente, imbarazzato da suppliche tanto
insistenti, mi lasciò andare... e non vi dico con quale velocità il
mio amico mi accompagnò al posto degli ES.(...) Mi ricordo
quanto fosse difficile aspettare la confessione alla fine, poiché sono
entrato negli ES con un cuore totalmente aperto: tanto da mettere tutto in questione, passare tutto al setaccio. Perché continui
ad andarci? Per purificare la mia volontà, per svuotarmi di me
stesso, per far morire l’uomo vecchio, per non essere più “io” a
volere... Lì la grazia ti fa dire: succeda quel che succeda, anche se
sarò umiliato nella vita, importante che non mi allontani da Dio.
Credo che queste siano proprio delle ispirazioni dello Spirito che
purificano il pensiero puramente umano. Continuo ad andare agli
ES, perché credo che, quando l’uomo per grazia di Dio arriva ad
una certa profondità, lì veramente Dio gli parla. E sono sorpreso,
ogni volta di nuovo, perché anche se lì ci troviamo in 30 o in 50,
mi sembra che tutto sia fatto proprio per me, come se la Parola
fosse rivolta proprio a me. E questo mi commuove tanto.
Per finire, sentiamo anche una mamma... I miei primi
ES li ho vissuti a 19 anni e mi ricordo che erano un vero shock.
Vedevi chiaramente davanti a te la scelta tra il bene, trovato in
Cristo, e il male, il mondo che ancora ti attirava; questa scelta era
molto difficile... ma poi era così immensamente liberante. Tornavamo dagli ES pieni del fuoco dello Spirito e nel gruppo questo ci univa in un modo incredibile. (...) Poi sono venuti i tempi
che agli ES si decideva per il matrimonio, per la casa, per i figli,
il lavoro, ecc. Una volta superata questa fase, si cominciava ad andare agli ES quasi per riposarsi. Soprattutto quando i bambini
erano piccoli, mi ricordo gli ES veramente come un tempo di riposo nel Signore. Ultimamente sto scoprendo gli ES in un modo
del tutto nuovo, mi pare che si incidano sempre più nelle piccole
cose, quasi che ogni respiro cominci a viverlo con Cristo. La scelta
diventa tra il bene e il meglio, quel “di più” quotidiano per poter
vivere una relazione sempre più totale con Dio. Direi che per me
e per mio marito gli ES siano la cosa più vitale che ci è data per
nutrire la nostra vocazione. Sono quella Parola “pesante” (nel
senso che ha peso), che Dio ti dà, una Parola che taglia sempre
di più in profondità. E mi stupisce come il Signore durante l’anno
ti dà tutte le possibilità concrete per rimanere fedele a quella Parola, per compierla. L’importante è camminare. Dopo tanti anni
che fai gli ES e qualche km col Signore lo fai, ti accorgi che Lui
ti lavora, ti cambia, ti plasma. Certo, con gli anni il desiderio si
trasforma. Non c’è più l’euforia dei primi anni... Ma il desiderio
è ancora più grande. E sta più in profondità.
D OPPIO
CANTIERE
Siamo tornati dai 250 mq di Bologna avendo fatto anche i 50 mq di Ranica, creando il cantiere nel cantiere... approfittando del
fatto che il gruppo al gran completo è una gran forza. Lasciando perdere che si è pensato di fare Ranica credendo, come al solito,
che i mq fossero 30, abbiamo scoperto che infatti se ne potevano fare anche 50! Ma, ciò che è più interessante, è che a Bologna,
pensando di fare solo Bologna, abbiamo spedito da Roma 7 pedane considerando che il resto ce lo facevamo arrivare direttamente
dal marmista di Pesaro. Siccome il capo viaggia con il sommo timore che il materiale non basterà, che certamente sarà poco, che
quello che gli serve mancherà – e su questo è praticamente da metterci la mano sul fuoco, visto che preferisce sempre scegliere
quello che non c’è... – alla fine dei due cantieri abbiamo rimesso insieme ancora 7 pedane. E lo spedizioniere chiamato per riportare indietro i resti, stupito, chiedeva come mai non avevamo fatto niente…
È evidente che la concentrazione su due fronti ci è costata un po’, sia di autostrada che dei soliti problemini con le macchine, che
stavolta omettiamo per carità fraterna…. Ma è stato molto “liberante” cancellare in un solo colpo due attese dalla lista e potersi concentrare sul prossimo lavoro, il nuovo centro dedicato a Giovanni Paolo II a Cracovia. Il volo urgente di p. Marko da Bologna si è
concluso infatti con la conferma che l’inaugurazione ufficiale ci sarà a giugno… almeno 380 mq devono essere fatti… Quindi niente
di nuovo sotto il sole, si continua a correre e a fare programmi per doverli cambiare, senza riuscire a spiegare praticamente a nessuno
– nemmeno a noi stessi – perché a noi succede sempre così. Benché stavolta basta già dire che, davanti a Giovanni Paolo II, nessuno
ha più nessuna precedenza! E, nonostante il timore di fondo – sempre del capo – che non ce la faremo, che siamo in ritardo, che
non era il caso di pensare di concludere altre cose perché alla fine saremo in ritardo proprio per Cracovia… nonostante ciò credo
che ancora una volta guardando il gruppo che lavora non si possa non dire grazie a Dio che alla fine porta a compimento tutto sempre in tempo. Grazie a Dio per tanta grazia di entusiasmo, di solerzia, di capacità artistica e pure fisica di lavorare perché, dopo tanti
giorni di ritmo sostenuto, ancora ognuno riceve una “ricarica” per non tirarsi indietro. E, d’altra parte, davanti alla grazia immensa
che è una vocazione così, alla fine l’unica cosa che puoi offrire è proprio quella gran fatica che ti porti a casa a conclusione di
un’opera, fatica che rimane la garanzia di fare questo per vocazione e non per lavoro, fatica senza la quale sempre rischieremmo di
prenderci per ciò che non siamo. Fatica che Dio custodisce perché ha insegnato a noi a custodirla senza farla scoppiare in reazioni a
catena. Ed è proprio la custodia di questa fatica a ricordarti che il dono ricevuto non è tuo, e che perciò un cantiere non può mai
diventare una bella vacanza dove sempre ti ricevono in posti belli, ti accolgono come un ospite tanto atteso e fanno a gara per darti
il meglio che c’è. Ogni cantiere rimane il momento più bello perché è il luogo dove si consuma il dono che ti è fatto e, mentre si
consuma, non puoi far altro che continuare a ringraziare Dio per tutte le attenzioni che nel frattempo ricevi e che non ti sono dovute, questa volta da don Aldo, da Eros, da tutte le signore della cucina, dai parrocchiani che dal fondo della chiesa silenziosamente
accompagnavano il nostro lavoro, da sr. Susanna, dalla sua superiora e perfino da tutte le piccole postulanti che senza farsi vedere e
senza mai dire una parola si affacciavano in cappella. A Bologna, in una comunità parrocchiale che, se non si vede non si crede che
esista, la degna conclusione è stata la benedizione del mosaico da parte del cardinal Caffarra in una serata di preghiera dove la chiesa
– piena all’inverosimile – era davvero un tutt’uno con le pareti mosaicate. Ma il termine di ogni opera è sempre maestoso, è sempre
un congedo ed è sempre più un grande grazie a Dio per gli artisti che ha messo insieme in questo atelier sempre più variegato e
sempre più “a conduzione familiare”. Buona Pasqua, ancora e sempre.