Rifareitempli,cheaffareceleste
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Rifareitempli,cheaffareceleste
Il Sole-24 Ore Domenica 24 Giugno 2007 - N. 172 Commenti e inchieste Gli edifici sacri del Giappone (più di 100mila) sono realizzati in legno e devono essere ricostruiti ogni vent’anni DINASTIE INDUSTRIALI L’ESEMPIO DEL SOL LEVANTE Le tecniche costruttive non impiegano chiodi ma solo pezzi a incastro e non sono più cambiate da 1.400 anni Da Oriente arriva la buona sorte Rifare i templi, che affare celeste La vicenda millenaria della Kongo Gumi, l’azienda più antica del mondo REUTERS di Stefano Carrer S i tratti di una dinastia imperiale o di un’azienda famigliare, per sopravvivere per oltre un millennio senza soluzione di continuità è necessaria un’interpretazione non troppo istituzionale del concetto di famiglia. È la regola in comune tra la più antica casa regnante del mondo, quella giapponese, e l’azienda a carattere familiare più risalente nel tempo, la Kongo Gumi, specializzata nella costruzione di templi. In Giapponeè da semprenormale chei legami famigliari vadano oltre quelli del sangue e del diritto formale. Non è un caso che un membro della famiglia imperiale, il principe Tomohito (Mikasa), abbia da tempo invocato esplicitamente il ritorno alla pratica del concubinato imperiale per garantire una successione per linea maschile al Trono del Crisantemo. Peraltro proprio questa settimana è stato reso noto che il principe, sesto in linea di successione, sarà sottoposto a un mese di trattamenti come alcolizzato cronico. La questione che a lui sta tanto a cuore si è fatta meno urgente dal settembre scorso, quando è nato finalmente il primo erede im- SENSO DELLA FAMIGLIA La società è riuscita a superare indenne rivolgimenti e guerre, restando sempre saldamente in mano ai discendenti di carpentieri giunti dalla Corea UNA STORIA FINITA Ma l’anno scorso l’impresa, che era entrata in modo massiccio nel mercato immobiliare, è stata travolta dall’indebitamento e poi inglobata dalla Takamatsu periale maschio dal 1960: grazie al piccolo Hisahito la casata del Tenno potrà forse durare altri “Banzai” (“Diecimila anni”). Nonsarà cosìper laKongo Gumi, nata più omenonellostessoperiodoalqualeglistoricifannorisalireiprimiimperatori“certi”(rifiutando ovviamente la mitologia della discendenza divina). Le origini dell’azienda — arrivata al capolinea e inglobata l’anno scorso in un gruppo più grande — si fanno risalireal 578, quandol’illuminato ed esterofilo principe reggente Shotoku fece trasferire nel Giappone occidentale alcuni mastri carpentieri della famiglia Kongo, sudditi del reame coreano di Baekje. Si trattava di costruire un nuovo grande tempio a Osaka per una religione importata solo di recente nell’arcipelago, il buddismo. Dal continente venivano la scrittura ideografica, nuove forme di cultura e nuovi dei, e anche le competenze artigianali: un po’ come in Inghilterra, dovemoltibritanniciriconosconocometutto quanto si chiama civiltà sia arrivato dalle sponde del Mediterraneo. Ancora oggi il tempio Shitennoji è tra i più famosi del Paese: è stata la famiglia Kongo a effettuare le sue ricostruzioni (almeno sette). Se lo Shitennoji è stato spesso vittima di guerre civili e terremoti, il business della famiglia è riuscito per 14 secoli a dribblare tutte le intemperie naturali e soprattutto umane:dallapoliticaanti-buddistadelprimounificatore del Paese, Oda Nobunaga — la cui spadaimpedìforsecheilGiapponediventasse una sorta di “Bhutan”, nazione amministrato dai monaci — a quella modernizzante del primo imperatore Meji, che nel tardo Ottocento tagliò i fondi per la religione e co- strinsel’aziendaaunaprimatimidadiversificazione nell’edilizia civile. Ci riuscì anzitutto, come ha sottolineato l’ultimo presidente della società, Masakazu Kongo, grazie all’«elasticitànellasceltadeileader»:nonnecessariamente il primogenito,ma il figlio più dotato di senso commerciale, o, in mancanza, un "esterno" adottato nella famiglia fino adassumerneilcognome,preferibilmenteattraverso il matrimonio con una Kongo. Nulla di strano: ancora oggi colpisce come in tante aziendine padronali giapponesi il vicedirettore sia il genero del patriarca, che non molla un briciolo del comando, ma hapensato per tempo a far sposare una figlia daldipendentepiùpromettente.E,comenellacasaimperiale,icuilegamioriginariconla Corea restano un tabù archeologico-politico,inpassatoc’èstataqualcheregnantedonna, così alla Kongo non è mancato qualche intermezzo di potere femminile. Anche in tempi recenti: la nonna di Masakazu assunse le redini dell’azienda negli anni 30, dopo il suicidio del capofamiglia di allora. Le tecniche costruttive dei templi, con incastri del legno che fanno a meno di chiodi, sono rimaste al 90% le stesse da oltre 1.400 anni, così come stabile è restata la domanda. Se, con la proscrizione del cristianesimo, all’inizio del XVII secolo, fu reso obbligatoriaperigiapponesil’iscrizionenelregistrodi un tempio, con il rilancio dello scintoismo dopo la rivoluzione Meiji, a metà Ottocento, il business della Kongo si potè allargare sincretisticamente, al pari dell’atteggiamento religioso del popolo. Arilevarsi esizialeper idestinidellamillenariaaziendafuperòquellocheinaltricontesti può rappresentare una garanzia di futuro: la diversificazione delle attività. Durante la crescita della bolla immobiliare, negli anni 80, Kongo si era indebitata per investire nel mattone:loscoppiodellabollaneiprimianni 90 la lasciò con forti problemi di servizio del debito,aggravatipoidaicambiamentisociali che verso la fine degli anni 90 portarono a una riduzione delle contribuzioni ai templi e quindi a un calo secco delle opportunità di business. Così, all’inizio dell’anno scorso, a fronte di un giro d’affari di circa 70 milioni di dollari, il peso di un indebitamento cinque volte superiore ha portato alla fine della società alla quale si deve la costruzione di monumentifondamentalidellastoriagiapponese, dal tempio Horyuji di Nara all’antico castello di Osaka. È intervenuto il gruppo di costruzioni Takamatsu, che ha rilevato gli asset in liquidazione della società, trasformandola in una divisione propria. Prosegue quindi il lavoro di oltre un centinaio di carpentieri veterani nell’architettura del legno senza chiodi. Resta comunque in Giappone — oltre a circa 3milaimpresecon piùdi200 anni,controle9 della Cina — l’azienda famigliare più antica del mondo a continuare l’attività: è un albergotermale,l’HoshiRyokan,nellazonadiKomatsu, fondato nel 718 e gestito ininterrottamente dalla famiglia Hoshi. Le altre più risalenti società famigliari, per lo più italiane e francesi, sarebbe stato fondate solo qualche secolo dopo. Intanto quest’anno il Governo di Tokyo ha proposto all’Unesco di inserire come Patrimonio dell’umanità la più antica fabbrica delSolLevante:il TomiokaSilkMill,ilprimo moderno impianto tessile del Paese, costruitonel 1872a uncentinaiodi chilometria nord di Tokyo, con l’aiuto di ingegneri e uomini d’affari francesi. Dopo vicende tribolate, la fabbrica chiuse i battenti nel 1987 ed è oggi l’unicafabbricauntempodirettamentegestita dal Governo Meiji a essersi quasi perfettamente conservata: un simbolo della prima modernizzazione del Paese. REUTERS Masakazu Kongo, ultimo rappresentante di una dinastia imprenditoriale durata oltre 1.400 anni, in una foto del 2003, davanti al tempio Shitennoji costruito dai suoi antenati nella città di Osaka. A fianco, la festa popolare «Okihiki», con i fedeli vestiti di bianco che trasportano alberi di cipresso, segna il tradizionale avvio della ricostruzione del tempio di Ise Le Pmi protagoniste E sul «private equity» Italia chiama Giappone P iccoleemedie impresea caratterefamiliare, non di rado in difficoltà di fronte alle sfide della globalizzazioneeal cambiodigenerazione,costituiscono l’ossatura dell’economia in Italia e in Giappone. Una situazione in teoria ideale per l’intervento del private equity, in grado di offrire le risorse finanziarie e manageriali che mancano. La comunanza delle condizioni di base e l’ampia liquidità a disposizionedegli investitorifinanziari nipponici ha portato nei giorni scorsi ai primi contatti tra le associazioni di private equity e venture capital dei due Paesi, con l’obiettivodifacilitarecollaborazionireciproche e porre le basi per l’intervento di capitali nipponici sul mercato italiano. A margine dell’Italy-Japan Investment Day, Anna Gervasoni, direttore dell’Aifi, ha incontrato Kazunori Ozaki, direttore 9 della Japan Venture Capital Association (Jvca), e Christopher P. Wells, presidente dell’Alternative Investment Manager Association (Aima-Japan Chapter). Quest’ultimo ha sottolineato come Italia e Giappone manifestino le caratteristiche più simili a proposito della necessità di agevolare da unlato il ricambio generazionale delle Pmi, dall’altro il loro sviluppo attraverso la fornitura di mezzi freschi e l’incoraggiamento alle fusioni. Con l’Aima la Gervasoni ha concordato uno scambio di informazioni costante, anche con l’avvio di una newsletter congiunta trimestrale. Con Jvca si sta studiando la possibilità di networking fra i rispettivi associati, che in Giappone sono 59 attivi, più 49 di supporto, a fronte dei 110 di parte italiana. La prossima primavera, per la prima volta una delegazione giapponese parteciperà al forum internazionale su private equity e venture capital organizzato ogni due annidall’Aifi.Secondo Ludovico Ciferri, docente alla Graduate School dell’International University of Japan, «è indispensabile che il private equity italiano e quello giapponese imparino a internazionalizzarsi, e farlo insieme potrebbe aiutare a incrementare il deal-flow e a evitare grossolani errori di valutazione». Se l’obiettivo di fondo è portare capitali nipponici a sostegno del private equity in Italia, diventa fondamentale la fiducia tra le parti e il decollo di meccanismi che consentano di creare rapporti tali per cui sia un partner italiano a fare valutazioni e due diligence per conto del corrispondente nipponico. Per ora siamo alle fasi preliminari: per i soggetti giapponesi del settore, il modo più semplice per investire in Italia resta quello di farlo direttamente in società specializzate nell’investimento alternativo o in qualche loro fondo. Non a caso, all’Investment Day ha partecipato Luca Magnoni per presentare la sua Sopaf. S.Car. È come se la Basilica di San Pietro venisse abbattuta e ricostruita ogni vent’anni: il più sacro tempio del Giappone,quellodiIse(nomeufficialeJingu, ma è chiamato familiarmente Oisesan dai giapponesi, che lo vogliono visitare almeno una volta nella vita), da circa 1.300 anni rinasce a ristrette cadenze periodiche,afiancodeisuoiresti,chevengono poi distribuiti ad altri santuari. La necessità di ricostruire gli edifici storici, dovuta ai materiali deperibili impiegati (legno e paglia per i tetti) e alla tendenza ballerina del suolo, spiega come alla Kongo Guminon sia mai mancato il lavoro; tanto più che in un Paese considerato irreligioso (in un’ottica occidentale) i soli templi scintoistisono circa 100mila. La sessantaduesima ricostruzione di Ise, sede della dea Amaterasu, kami ancestrale della famiglia imperiale, è prevista ufficialmenteperl’ottobre2013,conlacerimoniaufficialedelShikinenSengu;mailavori cominceranno molto prima. Dopo i preliminari dell’anno scorso, quest’anno siètenuta,sottounsolecocente,lacerimoniadell’Okihiki,chesi tieneognivent’anni persegnalarel’avvioufficialedelprocesso diricostruzione. È un evento popolare che richiama partecipanti dall’intero Paese: un corteo di quasi due chilometri, con molte centinaia divolontarichetrascinano,concordelungheanche200metri,portantineecarriche recano i primi tronchi di cipresso giapponese(hinoki). «Una volta il legno veniva tutto dai 5.500ettaridiforestadipertinenzadeltempio—spiegailmaestrodelcerimonialeIsamuOkuno—.MadaqualchesecolosièdovutoricorrereaglialberidellacatenamontuosaKiso,nellaprefetturadiNagano,perché ne occorrono 13.500». E, mentre alcunedonneincostumefannorullaresinistramente i tamburi Osamu soggiunge: «Speriamo bene. Ora il tempio principale, che dovràesserericostruitonel2013,sorgeverso Est. Il nuovo sarà eretto di fianco, verso Ovest. Una credenza popolare ritiene che quando il tempio è rivolto a Est i vent’anni saranno di pace e prosperità, mentre se è rivolto verso Occidente saranno di guai, guerreecatastrofi». In effetti è nei periodi in cui il tempio di Iseèstatorivoltoa Orientecheèdecollato ilGiapponemoderno:primaconl’affermazione della rivoluzione Meiji, poi con lo sviluppo seguito alla Prima e alla Seconda guerramondiale.ConIserivoltoaOvestsi sono viste leguerre civiliseguite all’arrivo degli stranieri, dopo la metà dell’Ottocento, poi le guerre con la Cina, la Russia, gli Usa e la Gran Bretagna, infine le maggiori guerrecommerciali conl’Occidente. S.Car. Imprese familiari Le 10 più antiche Azienda Paese Kongo Gumi Hoshi Ryokan Chateau de Goulaine Fonderia Pontificia Marinelli Barone Ricasoli Barovier & Toso Hotel Pilgrim Haus Richard de Bas Torrini Firenze Antinori Giappone Giappone Francia Fondata nel 578 718 1000 Italia ca 1000 Italia Italia 1141 1295 Germania 1304 Francia Italia Italia 1326 1369 1385 RodBeckstrom.Ilprofetadelle«organizzazioniarete» centrata. Oggi ci sono 50 milioni di bloggers al mondo e crescono continuamente. Craiglist sta mettendo in crisi la raccolta della piccola pubblicità su carta. A un giornale non saprei consigliare altro che selezionare un numero di bloggers capaci e legarli a sé, comperando il blog o facendo accordi precisi. Il blogger in genere dice sì; perché ha bisogno di crescere, può trarre vantaggio da un buon editing e, soprattutto, ha bisogno del brand, della forza che un giornale stimato può garantirgli con il suo marchio. A gennaio parlavo di questo con i vertici di «Usa Today». Nello stesso mese il «Washington Post» ha organizzato il suo primo incontro con un nutrito gruppo di bloggers americani. Così si centralizzano i blog esi decentralizza il giornale.Non bisogna aver paura. L’unico pericolo è nonessere svegli abbastanza. La prossima frontiera? ITwiki,lapiattaformaeilsistemainformativo in cui tutti possono entrare, aggiungere, elaborare. La maggior parte delle 500 maggiori società della classifica di «Fortune» lo usano già e sta crescendo in modo esponenziale, facendo crollare il traffico e-mail. È lo strumento ideale per il lavoro collettivo, lo scambiodinotizie,lapianificazione,l’aggiornamento, l’elaborazione dei progetti. Tutto, insomma. Così vince il decentramento globale di Mario Margiocco U na volta il testo sacro nelle business schools americane, e anche in Europa, era l’autobiografia di Alfred P. Sloan, il creatore della moderna General Motors; morto nel 1966, a 90 anni, tre anni prima aveva pubblicato My Years with General Motors. Allora Gm era da trent’anni la prima impresa industriale al mondo e mieteva utili. Sloan diventò famoso, fra gli esperti di organizzazione aziendale per il decentralized management, che consentiva ai responsabili delle varie divisioni una certa autonomia rispetto al centro della società. Ma era nulla, quanto a decentralizzazione, rispetto a quanto avrebbe fatto Toyota, che ormai ha preso con il 2006 il posto di Gm come primo costruttore di auto al mondo e come primo fornitore del mercato nordamericano del Nafta, dove avrà presto 14 impianti produttivi (13 sono già in funzione). A Toyota un semplice tecnico alla linea di montaggio ha un’autonomia di decisione, se vede qualcosa che non funziona, superio- re a quella di un medio-alto dirigente di Gm. «Non c’è dubbio che a camminare con i tempi è stata Toyota, non Gm, che infatti ha seri problemi», dice Rod Beckstrom, 45 anni,hightechentrepreneur,espertodiorganizzazioneaziendale,finanzierehightech,consulente e ora con The Starfish and the Spider. The Unstoppable Power of Leaderless Organizations, teorico della decentralizzazione,graziealweb,a livelliprimaimpensabili. «Nessun centro di potere, nessuna istituzioneoimpresatradizionale—insisteBeckstrom, che ha scritto con Ori Bronfman, anche lui proveniente dal mondo dell’alta tecnologia e dell’organizzazione aziendale, il libro ora tradotto in italiano come Senza leader. Da Internet ad Al Qaeda: il potere se- RIVOLUZIONE PERMANENTE Il futuro è del blog, dell’i-Pod e della nuova piattaforma informativa Twiki - Tra le grandi soprattutto General Electric ha capito i tempi nuovi greto delle organizzazioni a rete (Etas-Rcs) — è al sicuro nella nuova era del potere decentralizzato.Epersopravvivere tuttidevono adattarsi alle nuove regole». Lo starfish, la stella marina a cinque punte, è capace di rigenerare ogni amputazione, e in alcune varietà di ricrescere completamente da un pezzetto tagliato via. È questo il modello vincente. Il ragno, che ha un centro vitale organizzato gerarchicamente equindivienemenomatodall’amputazione di una sola delle sue otto zampe, è il modello vecchio e perdente. Industria musicale, cinema e media sono al momento i più esposti; ma nulla sfugge alleorganizzazionisenza leader.«Ladecentralizzazione è rimasta "dormiente" per migliaia di anni — scrivono Beckstrom e Brafman —. Ma l’avvento di internet ha liberato questaforza,mettendoincrisiibusinesstradizionali, modificando interi settori, incidendo sul nostro modo di metterci in rapporto con gli altri e influenzando gli assetti politici mondiali». Mr. Beckstrom, quale grande società ha affrontato meglio i tempi nuovi? Negli Usa l’esempio migliore è General Electric, grazie a Jack Welch. La società comperava marchi, integrava verticalmente decisioni e servizi, cercava economie di scala. Welch ha sempre detto: voglio eccellenzanelprodottoeneirapporticonilcliente, le sinergie vengono dopo. Quali sono secondo lei le due leggi fondamentali del business di oggi? Decentralizzazione e customization: dare al cliente esattamente ciò che vuole e di cui ha bisogno. Chi è più colpito? L’industria musicale: le case discografiche stanno pagando un prezzo altissimo. Maanchelapolitica.Conalcuniamiciabbiamo salvato il sistema corallino nelle Hawaii settentrionali, colpito dall’abolizione di una legge protettiva: in poche ore la Casa Biancasièvistainondatada40mila messaggiehadovutofaremarcia indietro. Questaè laforzadelle organizzazionidecentrate, anzi, delle non organizzazioni. Ma anche i media devono riflettere. Per la concorrenza dei bloggers? Il blog è un esempio di informazione de- Guru delle reti. Rod A. Beckstrom [email protected]