Haring, il genio del metrò
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Haring, il genio del metrò
[ARTE] DI NICOLETTA PALLINI HARING, IL GENIO DEL METRÒ Cominciò come graffitaro, in pochi anni diventò il simbolo di una generazione K eith Haring con quel suo segno inconfondibile e guizzante come una scarica elettrica, fatto di omini colorati che sembrano usciti dalla mano di un bambino, di neonati che si rincorrono a quattro zampe in compagnia di cuccioli di cane e di altri curiosi animali a bocca aperta, di cuori radianti e luminosi che si muovono a ritmo sincopato, è riuscito a inventare non solo un’immagine completamente nuova e al di fuori di tutti gli schemi, ma addirittura un nuovo linguaggio, universalmente riconoscibile, simbolo di “The Keith Haring Show”, alla Triennale di Milano fino al 29 gennaio 2006. Catalogo Skira. Tel. 02.72.43.41; www.triennale.it 46 NOVEMBRE 2005 CLUB3 una generazione, quella degli anni Ottanta, emblema e archetipo di un’epoca. La Triennale di Milano, a quindici anni dalla sua scomparsa a soli 31 anni, lo celebra ora con The Keith Haring Show, un evento spettacolare allestito fino al 29 gennaio che segue alla lettera il pensiero dell’artista: «L’arte deve essere per tutti e dappertutto». Questa, infatti, è la più ampia retrospettiva mai organizzata: più di 100 opere fra grandi tele che superano anche i dieci metri di altezza, disegni monumentali, sculture in alluminio dipinte e colora씮 Qui sotto: Keith Haring con una delle sue opere. L’artista morì a soli 31 anni d’età [ARTE] Qui sotto: Keith Haring al lavoro in una strada di New York, sotto lo sguardo di una senzatetto. Nelle altre immagini: alcune delle opere in mostra a Milano 씮 tissime, video che lo ritraggono al lavoro, scenografie realizzate per la discoteca Palladium di New York e per i balletti di Roland Petit. Il tutto accompagnato da una mole sorprendente di 600 fotografie e documenti che sottolineano la sua fulminea carriera e il contesto attorno al quale si è sviluppata la sua arte. Ne emerge la visione complessa di un personaggio singolare, onnivoro e poliedrico che, come una meteora, ha attraversato un solo decennio, dal 1980 al 1990, lasciando una scia inconfondibile, che trasmette tuttora una profonda energia liberatoria in tutti gli osservatori. Curata da Gianni Mercurio e Julia Gruen, assistente di Haring dal 1984 e direttore della The Keith Haring Estate (la fondazione promossa dall’artista per aiutare i bambini malati di Aids), la mostra ricostruisce tutto l’universo dell’artista, ludico, colorato, poetico, infantile ma ribelle e provo- catorio nei confronti di una società che si scandalizzava per le provocazioni dei primi street kids, i ragazzi di strada che armati di bombolette spray urlavano il loro disagio e la loro voglia di vivere in modo diverso disegnando su muri, marciapiedi, vagoni di treni e metropolitane. Anche Haring è vicino al mondo istintivo dei graffitari, e in un panorama artistico dominato dall’arte concettuale e minimalista il suo gesto esplose all’improvviso come una bomba. Come loro sceglie la strada, scende nei labirinti della metropolitana di New York e utilizza per i suoi primi lavori i grandi fogli neri della metropolitana, quelli destinati ad accogliere i messaggi pubblicitari. Era la fine del 1978 e quel ragazzo alto, magro e taciturno, occhialuto e un po’ timido, che era nato a Kutztown in Pennsylvania nel 1958 e aveva studiato alla Scuola d’Arte della sua città, folgorato da una mostra di Pierre Alechinsky, aveva deciso di trasferirsi a New York dove alla School of Visual Art aveva legato con Joseph Kossuth, Keith Sonnier e un altro giovane e promettente ribelle: Jean Michel Basquiat. I primi disegni che ritroviamo nella mostra risalgono all’inizio degli anni Ottanta e sono realizzati con gessetti e carboncini bianchi su carta nera, come quella applicata dalla censura commerciale sulla pubblicità abusiva. L’artista li faceva con cadenza settimanale nei tunnel del metro fra la Cinquantunesima e la Settima Avenue e rappresentano schermi televisivi, sagome umane con il simbolo della bomba atomica sulla testa, animali, per la maggioranza cani e tanti bambini avvolti da un alone radioattivo. Sembrano usciti da un puzzle di Walt Disney, risentono della cultura dei fumetti e fin dall’inizio hanno dato luogo a quel suo curioso alfabeto, riconoscibile come una firma, da cui traspare uno spirito ironico e dissacrante, destina- to a scuotere o perlomeno a incuriosire la gente di tutti i giorni. Il primo pubblico delle opere di Keith Haring furono infatti la folla dei passanti, i viaggiatori della metropolitana che li scorgevano dai finestrini del treno, i poliziotti. Anzi, come raccontò lui stesso, la sua fortuna fu dovuta proprio a uno dei capi della polizia di New York che, incuriosito dal suo lavoro, invece di arrestarlo gli concesse la libertà, offrendogli così l’opportunità di iniziare l’avventura artistica. Dal tunnel della metropolitana, la sua prima vera galleria, al jet set intellettual-mondano di tutte le latitudini, protetto e sostenuto da Andy Warhol e dai critici d’avanguardia, il passo fu rapidissimo. Premiato, coccolato, invitato in America e in Europa, Haring era instancabile. Utilizzò qualunque superficie, muri, palizzate di cantieri in costruzione, spazi di musei e gallerie, automobili, dirigibili e in alcune performance anche il corpo umano. Realiz- zò numerose scenografie per spettacoli d’avanguardia e persino un francobollo, emesso dagli Stati Uniti per celebrare l’Anno della gioventù. Per i giovani è stato ed è tuttora una sorta di mito, forse perché rappresenta, come i suoi “bambini radianti”, la pura esplosione di energia e l’eternità del mondo dell’infanzia. Uno dei suoi ultimi lavori pubblici è in Italia, a Pisa, dove nel 1989 fu invitato a intervenire sul muro vicino alla facciata della chiesa di Sant’Antonio. E quell’occasione fu una festa per tutti. Per la folla di grandi e soprattutto di bambini che ogni giorno si radunava per vederlo lavorare, e sicuramente per lui stesso. A margine del murale terminato il 18 giugno 1989 Keith Haring ha lasciato una annotazione: «Il dipinto resterà sul muro per molto molto tempo e sembra che alla città piaccia davvero. Sono seduto sul balcone e guardo la cima della Torre pendente. Qui tutto è bello. Se esi왎 ste un Paradiso, speriamo che sia così». “ ” Sono seduto sul balcone e guardo la cima della Torre pendente. Qui tutto è bello. Se esiste un Paradiso, speriamo che sia così