Abilità di caregiving familiare: sviluppo del concetto

Transcript

Abilità di caregiving familiare: sviluppo del concetto
Abilità di caregiving familiare:
sviluppo del concetto
Karen L. Schumacher,1** Barbara J. Stewart,2† Patricia G. Archbold,2‡
Marylin J. Dodd,3† Suzanne L. Dibble 3§
1 University of Pennsylvania School of Nursing, Nursing Education Building,
Philadelphia, PA 19104-6096
2 School of Nursing, Oregon Health Sciences University, Portland, OR
3 School of Nursing, University of California, San Francisco , CA
Abstract: Dalle famiglie ci si aspetta con sempre maggior frequenza che
prestino assistenza complessa a domicilio ai parenti malati. Tale pratica richiede
a persone estranee all’ambiente sanitario un livello di conoscenze e capacità
assistenziali senza precedenti che però non sono mai state formalmente
sviluppate a livello concettuale nell’infermieristica. Scopo dello studio qui
sintetizzato era di sviluppare sistematicamente il concetto di abilità di caregiving
familiare, attraverso un’analisi qualitativa di interviste a pazienti (n = 30)
sottoposti a chemioterapia per patologie tumorali ed ai loro principali caregiver
familiari (n = 29). I metodi analitici sono stati la codifica aperta ed il confronto
costante. Sono stati identificati sessantatre indicatori di abilità per nove processi
assistenziali fondamentali. L’abilità di caregiving familiare è stata definita come
capacità di applicarsi efficientemente ed agevolmente a questi nove processi.
Sono state identificate anche le proprietà delle abilità di caregiving familiare.
Concettualizzare le abilità come variabili ed identificare gli indicatori dei livelli di
variazione fornisce le basi per la misurazione e consentirà ai medici di valutare
con maggior precisione le competenze.
Parole chiave: caregiving; famiglia; abilità; sviluppo concettuale; cancro; chemioterapia;
assistenza domiciliare
*
Il presente studio è stato condotto mentre la prima autrice stava svolgendo un post-dottorato presso l’Università di Scienze
Sanitarie dell’Oregon. Le autrici ringraziano le famiglie che hanno partecipato alla ricerca.
Con il patrocinio di: Istituto Nazionale per la Ricerca Infermieristica; contratto di sponsorizzazione n. F32NR06969
Con il patrocinio di: Istituto Nazionale per il Cancro; contrattI di sponsorizzazione n. F31CA0999; R01CA48312.
Inviare la corrisponedenza a Karen L. Schumcher
Professore assistente
†
Professore
‡
Professore emerito c/° la Scuola per Infermieri Elnora E. Thomson
§
Professore aggiunto.
*
1
L’invecchiamento della popolazione e le
politiche di contenimento dei costi stanno
modificando l’assistenza in tutto il mondo e
portando ad un interesse internazionale
sempre
maggiore
verso
l’assistenza
domiciliare (Dittbrenner, 1995;
hrenfeld,
1998; Lee, Hwang, Pierce, & Fitzpatrick,
1997; Modly, Zanotti, Poletti, & Fitzpatrick,
1997). Anche se i servizi ufficiali di assistenza
domiciliare saranno un aspetto importante dei
servizi sanitari del futuro, buona parte
dell’assistenza agli anziani ed ai malati sarà
affidata alle famiglie (Nolan & Grant, 1989;
Yamamoto & Wallhagen, 1997). Negli Stati
Uniti, come in molti altri Paesi, le famiglie
sono chiamate ad erogare un’assistenza
sempre più complessa ai congiunti malati.
Tale pratica richiede un livello di conoscenze
e capacità assistenziali senza precedenti a
persone estranee all’ambiente sanitario (Barg
et al., 1998; Sims, Boland, & O’Neill, 1992).
Come
risultato
di
questi
profondi
cambiamenti, il caregiving familiare diventa
un concetto infermieristico sempre più
importante, con significative implicazioni nella
clinica e nella ricerca. Benché le abilità
richieste ai familiari in varie situazioni cliniche
siano state descritte (Clark & Rakowski,
1983; Grobe, Ilstrup, & Ahmann, 1981; Hinds,
1985), e gli interventi atti ad accrescerle
rapportati (Archbold et al., 1995; Barg et al.;
Cawley & Gerdts, 1988; Edstrom & Miller,
1981; Mahoney & Shippee-Rice, 1994), le
abilità di caregiving familiare non sono ancora
state sviluppate formalmente come concetto.
Lo sviluppo concettuale delle abilità di
caregiving familiare è essenziale nell’era
attuale dell’assistenza. Poiché le famiglie
diventano
sempre
più
responsabili
dell’assistenza a propri membri gravemente
malati, gli interventi destinati ad assisterle
devono fondarsi su basi teoretiche solide. Lo
sviluppo delle conoscenze formali può
esplicitare la natura delle abilità di caregiving
familiare, preparare il terreno per un
approccio più sistematico alla valutazione
clinica delle stesse e rendere possibile una
ricerca in cui siano una variabile.
Scopo dello studio qui sintetizzato era di
sviluppare il concetto di abilità di caregiving
familiare, attraverso un’analisi qualitativa di
interviste a caregivers di familiari malati di
cancro. Faceva parte di un progetto di
sviluppo concettuale più ampio nel quale
abbiamo utilizzato sia l’analisi teoretica che i
dati empirici per concettualizzare il fenomeno
clinico della buona assistenza familiare. Scopo
ultimo del progetto era di gettare le
fondamenta per lo sviluppo di uno strumento
con il quale valutare le abilità di caregiving
familiare nella pratica clinica e nella ricerca.
Il nostro metodo è derivato al modello ibrido
di sviluppo del concetto (Schwartz-Barcott &
Kim, 1993). Tale modello si compone di tre
fasi: (a) fase teoretica, (b) campo di lavoro o
fase empirica, (c) fase analitica finale.
Nel nostro progetto, la fase teoretica
comprendeva
un’ampia
considerazione
dell’adeguata etichetta concettuale del
fenomeno di fare bene l’assistenza familiare,
utilizzando riflessioni sulla pratica clinica ed
una analisi preliminare di vignette cliniche
raccolte in due studi precedenti. Sempre
durante la prima fase, abbiamo analizzato la
letteratura esistente sul tema (Schumacher,
Stewart, & Archbold, 1998). Questa prima
fase teoretica ci ha fornito il background per
quella empirica, che è l’interesse principale di
questo rapporto. Scopo della fase empirica
era definire sistematicamente le abilità di
caregiving, descriverne le proprietà e le
dimensioni ed identificare indicatori per
misurarle utilizzando le procedure di codifica
aperta di fondate teorie per lo sviluppo
concettuale.
BACKGROUND
Il carico di lavoro del caregiver è stato il primo
concetto unificatore per una ricerca estensiva
sul caregiving familiare (Given & Given, 1991;
Nolan, Grant, & Keady, 1996). Anche se si
tratta di una questione importante, altri aspetti
del caregiving familiare, compresa la capacità
di assistere bene, sono clinicamente rilevanti
e necessitano di uno sviluppo concettuale. Le
citazioni che seguono, tratte da una
intervista, illustrano l’importanza di una buona
assistenza, sia per il benessere del caregiver
che per quello dell’assistito:
Un uomo malato di cancro al polmone era
stato ricoverato d’urgenza per trattare una
disidratazione sviluppatasi durante diversi
giorni di permanenza a casa dopo il primo
trattamento di chemioterapia. Al momento del
ricovero la sua caregiver era sconvolta per
2
non essersi resa conto della gravità della
situazione. Come disse,
E’ stata una bruttissima giornata. Infatti l’ho
cancellata. Sono andata a casa. L’ho cancellata
ed ho immaginato di ricominciare l’indomani
perché quel giorno non stavo facendo niente di
buono per nessuno. Tutto quello che riuscivo a
fare era starmene seduta a piangere. L’hanno
ricoverato per fargli delle flebo e mi hanno chiesto
perché non gli ho dato più liquidi e perché non ho
fatto questo e perché non ho fatto quello, ed io
pensavo “Mio Dio!” Me lo hanno fatto vedere così
grave, e penso lo fosse, che non sono stata
capace di fare altro che piangere e tornare a
casa. Cancellata.
Quando le è stato chiesto di descrivere che
cosa aveva portato al ricovero, ha risposto:
Beh, la mia preoccupazione era a casa, quella era
la mia prima esperienza a casa dopo la
chemioterapia. Mi avevano detto che sarebbe
stato male, che non avrebbe avuto fame ma di
dargli da bere tutti i liquidi che riusciva ad
assumere. Tutte queste cose sono successe, lui
non mangiava niente ed io pensavo “Quanto sarà
grave questo?” e ancora, “Dopodomani lo porto
là. Lo visiteranno e faranno qualcosa”. “Sta
succedendo quello che mi avevano detto, okay,
allora immagino vada tutto bene”. Ma non l’ho
portato là, ecco perché si sono arrabbiati (gli
operatori sanitari). Avrei dovuto farlo perché non
beveva quanto avrebbe dovuto. Non mangiava né
bevevo niente, era messo proprio male, ma io non
lo sapevo. (Studio sul caregiving familiare).
Questa vignetta ci rivela il distress che si
prova quando si viene accusati di aver
commesso un “errore” a casa. Tuttavia, dal
punto di vista del ricercatore, questo
caregiver non ha sbagliato, ha piuttosto
cercato di fornire assistenza senza supporto
in una situazione che richiede più
competenze cliniche di quante se ne possano
aspettare in un una persona comune,
soprattutto se neofita nel ruolo di caregiver.
Assistere bene è importante per i caregiver e
lo sviluppo di competenze, conoscenze ed
abilità è una preoccupazione costante in
coloro che stanno accingendosi a diventarlo
(Brown & Stetz, 1999). Barg e colleghi (1998)
hanno trovato che il 65% dei caregiver che
partecipavano
ad
un
intervento
psicoeducativo denunciavano difficoltà anche
estreme nel guardare il paziente peggiorare
non sapendo cosa fare. Questo aspetto era il
più penoso del ruolo di caregiver. Il
settantaquattro percento del campione era
seriamente preoccupato di non essere in
grado di gestire l’assistenza al paziente in
futuro. I nostri dati ci suggerivano che
l’identificazione delle aree in cui i caregiver si
trovavano in difficoltà avrebbe facilitato
interventi mirati e tempestivi da parte del
personale sanitario.
Attraverso la nostra lettura preliminare di
vignette
di
dati
simili
a
quelle
precedentemente trascritte, più le riflessioni
sulla pratica clinica, abbiamo identificato il
fenomeno clinico del buon caregiving
familiare per lo sviluppo del concetto. In
seguito abbiamo intrapreso una revisione
della letteratura per identificare ed analizzare
concetti già in uso riferiti al buon caregiving
familiare (Schumacher et alii, 1998). Erano
compresi i concetti di maestria (Lawton,
Kleban, Moss, Rovine, & Glicksman, 1989),
auto-efficacia (Haley, Levine, Brown, &
Bartolucci, 1987), preparazione (Archbold,
Stewart, Greenlick, & Harvath, 1990),
competenza (Kosberg & Cairl, 1991; Pearlin,
Mullan, Semple, & Skaff, 1990), e qualità del
family caregiving (Levine, Cartwright, Inoue,
Stewart, & Archbold, 1998; Phillips, Morrison,
& Chae, 1990a, 1990b).
Abbiamo concluso che, anche se ciascuno di
questi concetti è attinente al “fare un buon
lavoro”, nessuno coglie appieno il fenomeno.
La “maestria” , per esempio, è definita come
visione positiva delle capacità e dei
comportamenti di una persona durante il
processo di caregiving (Lawton et alii, 1989)
ma ha anche una connotazione di dominio,
superiorità, vittoria e avere la meglio su
qualcosa (Nuovo dizionario Webster per il XX
Secolo, 1983), che non sembra attinente
all’esperienza assistenziale. L’”auto-efficacia”
è definita come fiducia che il caregiver ripone
nella propria capacità di gestire bene i
problemi comportamentali e le disabilità
dell’assistito (Haley et alii, 1987). In quanto
tale, è un’auto-stima. I nostri dati ci indicano
che i caregiver hanno bisogno di una verifica
ed una guida professionale per completare le
auto-percezioni nei momenti critici del
caregiving. Quindi, l’auto-efficacia, benché
importante,
non
è
sufficiente
per
comprendere appieno se si sta facendo un
buon lavoro (Schumacher et alii, 1998).
“Preparazione”
ha
una
connotazione
anticipatoria (Archbold et alii, 1990), nel
senso che i componenti della famiglia
possono sentirsi ben preparati a fornire una
buona assistenza ma allo stesso tempo
possono trovarsi o non trovarsi nel ruolo di
caregiver. La “competenza”, definita come
3
adeguatezza
percepita
delle
proprie
performances come caregiver (Pearlin et alii,
1990), ha anche il significato implicito di
essere adatti o qualificati per un lavoro.
Questa ultima connotazione non rispecchia
adeguatamente
cosa
“capitava”
ai
partecipanti che si trovavano in difficoltà con
il caregiving. Essi non erano tanto
incompetenti quanto inesperti riguardo a
problemi assistenziali complessi. La “qualità
del caregiving familiare” è un costrutto ampio
(Levine et alii 1998; Phillips et alii 1990a,
1990b) che può comprendere il fornire bene
assistenza o una delle sue molteplici
dimensioni.
Dato che nessuna di queste definizioni si
adattava con precisione ai dati, abbiamo
cercato
un’altra
etichetta
concettuale.
Lavorando iterativamente tra interviste,
letteratura addizionale, dizionari e glossari
abbiamo concluso che la definizione di abilità
di caregiving familiare era congruente con i
dati e richiedeva un ulteriore sviluppo
concettuale. Abbiamo chiamato il concetto
abilità di caregiving e non abilità del caregiver
per
porre
l’accento
sul
processo
comportamentale e non sulla persona.
Il fenomeno dell’acquisizione delle abilità
interessa da molto tempo ricercatori di varie
discipline. Proctor e Dutta (1995) hanno
riassunto la ricerca come ampia gamma di
abilità psicomotorie, cognitive e di problemsolving
e
definito
l’abilità
come
“comportamento finalizzato ad un obiettivo,
ben organizzato, acquisito con la pratica ed
eseguito con economia di sforzi” (p. 18).
Molte delle ricerche citate da Proctor e Dutta
erano state condotte in laboratorio ma alcuni
ricercatori studiavano abilità del “mondo
reale”, come quelle dei violinisti e dei
radiologi. La revisione di Proctor e Dutta non
affrontava né il tema delle abilità
interpersonali né quello delle abilità in ruoli
familiari, ad esempio di tipo genitoriale o
assistenziale.
In campo infermieristico, Benner e colleghi
(Benner, 1984; Benner, Tanner, & Chesla,
1996) hanno studiato lo sviluppo delle abilità
tra gli infermieri professionali. Anche se
bisogna essere cauti nell’accomunare troppe
caratteristiche dell’acquisizione di abilità
assistenziali tra il personale infermieristico e
quello laico (Sims et alii, 1992), il lavoro di
Benner e colleghi offre scorci interessanti per
i ricercatori che studiano lo sviluppo delle
abilità di caregiving familiare. Ad esempio, la
distinzione che fanno tra sapere che e sapere
come, suggerisce l’importanza di analizzare
le pratiche quotidiane del caregiving piuttosto
che
considerare
semplicemente
le
conoscenze cognitive del caregiver. Inoltre, le
differenze qualitative riscontrate da Benner e
colleghi per quanto concerne le abilità tra
infermieri con livelli di esperienza diversi,
suggeriscono che anche tra i caregiver
familiari possono esistere differenze simili.
Infine, la loro scoperta che lo sviluppo delle
abilità negli infermieri professionali avviene in
un periodo lungo anni ci suggerisce che
anche per i caregiver familiari sono
necessarie la pratica e l’esperienza.
Nella ricerca sul caregiving, l’abilità è quasi
sempre concettualizzata in termini di capacità
di coping piuttosto che in capacità di
assistere la persona malata (GallagherThompson & Devries, 1994; Toseland,
Blanchard, & McCallion, 1995). Quando si
affronta il tema dell’abilità ad assistere,
questa è solitamente definita in termini di
compiti specifici, attività o procedure. Grobe
et alii (1981), per esempio, hanno identificato
le seguenti abilità necessarie ai caregiver di
pazienti malati di cancro in fase avanzata:
deambulazione,
gestione
dell’intestino,
comfort, controllo della dieta, gestione del
dolore, cura delle ulcere. Essi riportarono che
la maggior parte dei familiari le avevano
imparate provando e sbagliando. Clark e
Rakowski (1983) hanno categorizzato le
abilità richieste ai caregiver di anziani fragili in
quattro grandi aree: (a) assistenza diretta; (b)
compiti
(intra)personali,
preoccupazioni,
difficoltà; (c) legami interpersonali con altri
membri della famiglia; (d) interazione con reti
più ampie, sociali e sanitarie. Questa ricerca
dimostra l’ampiezza dello scopo e la natura
multidimensionale delle abilità necessarie per
assistere.
Tra le definizioni del termine abilità fornite dai
dizionari troviamo anche: abilità di utilizzare
efficacemente e prontamente le proprie
conoscenze
nell’espletamento
di
una
performance; atteggiamento o capacità
acquisita o sviluppata; facilità e buon
coordinamento nell’esecuzione di una
performance motoria appresa; performance
che è diventata facile e ben integrata come
risultato della pratica; arte, mestiere o
scienza, soprattutto quelle che implicano
manualità o uso del corpo (Nuovo dizionario
Webster per il XX Secolo, 1983). Queste
definizioni ci suggeriscono che l’abilità è una
4
combinazione di arte, mestiere e scienza,
cosa che è coerente con le nostre
osservazioni sulla complessità del caregiving.
Inoltre, implicano che le abilità si sviluppano
con il tempo e che i comportamenti esperti
diventano ben integrati e semplici con la
pratica.
Riassumendo, la fase teoretica iniziale dello
sviluppo del concetto è consistita nella
revisione della letteratura e nell’analisi delle
definizioni di abilità esistenti, alla luce dei dati
delle interviste e delle osservazioni cliniche. I
risultati di questa fase sono stati: (a) dare il
nome ad un concetto congruente con i dati e
(b) ottenere una valutazione preliminare di
quali possano essere gli attributi e le
dimensioni delle abilità di caregiving. Una
volta dato il nome al concetto, ci siamo
dedicate alla fase empirica della sua analisi,
che è il tema di questo rapporto. La fase
empirica è consistita in una analisi qualitativa
approfondita dei dati al fine di capire meglio
gli attributi e le dimensioni delle abilità di
caregiving familiare ed identificare indicatori
di variabili nelle abilità.
METODO
Progetto e fonti dei dati
Il database era costituito da interviste
condotte dalla prima autrice nel corso di due
ampi studi sul self-care ed il caregiving
durante la chemioterapia. Il primo studio, il
Pro-Self Study (Dodd et al., 1988-92;
Messias, Yeager, Dibble, & Dodd, 1997),
testava gli effetti di un intervento
infermieristico sui comportamenti di self-care
nella gestione degli effetti collaterali della
chemioterapia. I partecipanti erano pazienti
sottoposti per la prima volta a chemioterapia
per tumori solidi o linfomi ed i loro principali
caregiver informali. Dovevano essere tutti
maggiorenni, in grado di parlare inglese e
disposti a firmare il modulo sul consenso
informato. La raccolta dati comprendeva
interviste a domicilio dopo ciascuno dei primi
quattro cicli di chemioterapia per chiedere
delle strategie utilizzate per gestire gli effetti
collaterali. In qualità di assistente alla ricerca,
la prima autrice ha intervistato 10 coppie
paziente/caregiver e questi dati sono stati
utilizzati nella presente analisi.
Il secondo studio, lo Studio sul Caregiving
Familiare, è stato progettato per sviluppare
una teoria fondata sull’acquisizione del ruolo
di caregiver familiare (Schumacher, 1996). La
popolazione ed i criteri di selezione erano
identici a quelli dello Studio Pro – Self. Anche
nel secondo caso i pazienti ed
loro
caregivers sono stati intervistati più volte a
casa loro durante il periodo della
chemioterapia. Le interviste erano però
aperte e più approfondite, per fare emergere
più
dettagli
riguardanti
il
processo
assistenziale.
Questi due studi hanno prodotto una grande
quantità di dati qualitativi longitudinali (130
interviste con 30 pazienti e 29 caregiver).
Benché non fosse l’interesse analitico
primario di nessuno dei due studi, molte
abilità del caregiving familiare emergevano
già ad una prima lettura delle trascrizioni
delle interviste. Vista la ricchezza di dati non
precedentemente analizzati, per il presente
studio di sviluppo concettuale abbiamo
deciso di utilizzare set di dati combinati.
Campione
La maggior parte dei caregiver erano donne
(62%), bianche (69%) e mogli della persona
malata (63%). L’età media era di 53 anni (SD
= 15). Anche la maggior parte delle persone
malate di cancro erano donne (60%) bianche
(80%). La loro età media era di 60 anni (SD =
12). Tutte erano sottoposte a chemioterapia
per la prima volta, per tumori solidi o linfomi.
Procedure
Le procedure di entrambi gli studi sono state
pubblicate altrove (Messias et al., 1997;
Schumacher, 1996). I partecipanti sono stati
reclutati tra i clienti di studi medici oncologici
privati e nelle cliniche della zona della Baia di
San Francisco. E’ stato ottenuto il consenso
informato. Le interviste sono state registrate e
trascritte alla lettera.
Analisi dei dati
La fondata teoria procedurale della codifica
aperta, del confronto costante ed una
estensiva scrittura di appunti hanno costituito
le tecniche analitiche basilari (Strauss &
Corbin, 1990). Non abbiamo proceduto ad
una codifica assiale e selettiva e quindi non
abbiamo sviluppato una teoria fondata.
Tuttavia, le procedure di codifica aperta sono
state utilizzate per identificare proprietà,
dimensioni ed indicatori attraverso il
confronto continuo. Le dichiarazioni dei
caregiver sulla gestione di problemi
assistenziali specifici (es. febbre, nausea,
5
vomito, debolezza e depressione) e sulle
procedure (es. alimentazione tramite sondino,
irrigazione dell’urostomia, somministrazione
dell’alimentazione
parenterale)
hanno
costituito le unità d’analisi per il confronto
continuo. Questo approccio ci ha consentito
di identificare la molteplicità di processi di
caregiving utilizzati per gestire i problemi e di
puntualizzare le aree di difficoltà. Quando si
presentavano delle difficoltà nell’assistenza,
queste avevano spesso un impatto negativo
sul caregiver così come sull’assistito e
portavano ad una gestione non ottimale dei
sintomi e degli effetti collaterali, a ricoveri
d’urgenza e/o a visite mediche fuori
programma, ad un ritardo nel trattamento, a
rischi per la sicurezza, ad un distress emotivo
per entrambi ed a conflitti riguardanti la
gestione della malattia. Confrontare tra loro i
racconti ci ha permesso di analizzare i
processi di caregiving in base ai risultati e di
identificare le varianti che sembravano
collegarsi ai risultati. Le varianti di come i
processi di caregiving venivano attuati alla
fine hanno creato le basi per gli indicatori di
abilità di caregiving.
RISULTATI
Indicatori di abilità di caregiving familiare
Sono stati identificati sessantatre indicatori di
abilità di caregiving, raggruppati in nove
processi
assistenziali:
monitoraggio,
interpretazione, decisionalità, azione, fare
aggiustamenti, assistenza pratica, accesso
alle risorse, lavorare assieme al malato e
negoziare il sistema assistenziale (Tabella 1).
Questi 63 indicatori sono caratteristiche
osservabili che rappresentano il livello di
abilità con il quale ciascun processo viene
portato a termine. I processi non sono di per
se stessi indicatori di abilità, sono piuttosto
dimensioni del ruolo, che possono essere
portati a termine più o meno bene. Anche se
per questioni di spazio non possiamo
descrivere nel dettaglio ciascun indicatore, a
seguire forniamo degli esempi che illustrano
una selezione di indicatori per ciascun
processo.
Monitoraggio. Il monitoraggio è stato definito
come il processo di osservare come stava
l’assistito o il “tenere d’occhio le cose” per
essere certi che eventuali cambiamenti delle
condizioni del malato venissero notati. Una
caregiver inesperta che all’inizio non
utilizzava il termometro per misurare la febbre
ma si limitava a sentire la fronte all’assistito,
esemplifica le difficoltà del monitoraggio.
Quando ha iniziato ad usare il termometro,
non lo leggeva accuratamente, segnalando:
“Gli ho misurato la febbre e andava bene. Era
sui 901 o giù di lì”. Aveva difficoltà a trovare il
giusto equilibrio nella vigilanza, a volte
andava avanti e indietro più del necessario,
altre lasciava solo l’assistito troppo a lungo.
Tendeva a trascurare i piccoli cambiamenti e
ad
essere
piuttosto
generica
nelle
osservazioni, facendo affermazioni del tipo:
“Non ha un bell’aspetto”, invece di osservare
che il paziente era pallido o debole o
dimagrito. Inoltre, aveva la tendenza ad
utilizzare un solo termine per descrivere
come stava il malato, ad esempio “bene”. Dei
caregiver più abili si sarebbero espressi con
diversi termini ed utilizzato sia affermazioni
verbali che comportamenti non verbali.
Interpretazione.
L’interpretazione
viene
definita come il processo di dare un senso a
ciò che si è osservato. L’interpretazione
attenta era un processo complesso di
ragionamento
caratterizzato
dal
riconoscimento
delle
deviazioni
dalla
normalità o dall’atteso e dall’attribuzione di
una causa a quanto osservato. La vignetta
sopra riportata esemplifica le difficoltà
nell’interpretare ciò che si osserva; il
caregiver non ha riconosciuto i segni precoci
della disidratazione, anche avendo notato
che il paziente beveva poco e si stava
indebolendo.
I caregiver abili attribuiscono correttamente
un effetto alla causa che lo provoca. Ad
esempio, un caregiver abile avrebbe attribuito
l’incapacità di mangiare del paziente agli
effetti collaterali della chemioterapia e non ad
una mancanza di appetito. Un caregiver
meno abile ha attribuito l’incapacità di
mangiare del paziente ad una mancanza di
apprezzamento dei suoi sforzi nel preparare
piatti appetitosi. Un altro ha attribuito la
debolezza del paziente al fatto che “stava
invecchiando” invece che alla chemioterapia.
In seguito, comunque, questa persona ha
imparato ad attribuire correttamente gli effetti
collaterali al tipo di trattamento.
Decisionalità. La decisionalità è stata
definita come il processo di scegliere una
serie di azioni basate sulle proprie
1
Pari a poco più di 32°
6
Tabella 1. indicatori di abilità nel processo di caregiving familiare
Monitoraggio
1. Utilizza specificità appropriate
2. Nota variazioni minime
3. Nota indicatori verbali e non verbali del benessere dell’assistito
4. Utilizza strumenti per il monitoraggio quando necessari
5. Utilizza una vigilanza adeguata
6. Fa osservazioni accurate
7. Mantiene una registrazione scritta quando adeguato
8. Percepisce i modelli
Interpretazione
1. Riconosce le devianze dalla normalità o dal corso clinico previsto
2. Riconosce che qualcosa è “diverso” o “sbagliato”
3. Giudica seriamente un problema
4. Cerca spiegazioni per segni e sintomi inspiegabili
5. Pone domande dettagliate allo scopo di approfondire una spiegazione
6. Fa riferimenti corretti
7. Utilizza punti di riferimento per dare un senso alle osservazioni
8. Considera più spiegazioni per una osservazione
Decisionalità
1. Tiene conto delle esigenze assistenziali delle patologie multiple
2. Pesa le esigenze di patologie concorrenti
3. Pesa l’importanza di priorità in conflitto
4. Si occupa contemporaneamente di più aspetti assistenziali
5. Pensa in anticipo alle possibili conseguenze di una data azione
Azione
1. Le azioni ricorrenti rispettano un intervallo adeguato
2. Utilizza “promemoria” efficaci per cadenzare le azioni
3. Dà alle azioni un ritmo che corrisponde al ritmo dell’assistito
4. Tempifica le azioni rispettando i ritmi della risposta del malato alla chemioterapia
5. Tempifica le azioni rispettando i ritmi giornalieri di risposta della persona malata
6. Tempifica con proprietà azioni intermittenti o contemporanee
7. Tiene conto dei propri bisogni quando tempifica le azioni
8. Organizza sistematicamente le azioni multiple
9. Sviluppa una routine per gestire i compiti complessi
10. Organizza i compiti in modo tale che la persona assistita possa partecipare, se possibile
11. Utilizza un sistema per ricordare quando deve fare qualcosa
12. Utilizza tracciati diversi per le azioni pianificate rispetto a quelle su necessità
13. E’ capace di agire contemporaneamente su più di una questione
Fare aggiustamenti
1. Adatta la quantità di cibo, dei farmaci PRN, del riposo, dell’esercizio fisico, ecc. fino a raggiungere il comfort
ottimale ed il controllo dei sintomi
2. Modifica la routine per adeguarla alla situazione di malattia
3. Modifica l’ambiente per adeguarlo alla situazione di malattia
4. Prova diverse strategie fino a trovare una soluzione ai problemi di assistenza
5. Usa gli “errori” come occasione per imparare
6. Valuta ciò che ha causato l’”errore” e modifica ciò che si presenta come fonte del problema
7. Cerca un’alternativa quando una strategia assistenziale non funziona più
8. Usa la creatività nel problem-solving
Accesso alle risorse
1. Cerca con saggezza le risorse; crea una rete ampia
2. Fa un uso giudizioso dei consiglio
3. Ricerca risorse autorevoli quando necessario
4. Rifiuta i consigli sbagliati, in accurati o inadatti
5. Persiste nella ricerca delle risorse fino a quando non trova ciò che è veramente necessario
6. Prende l’iniziativa per cercare risorse
7. Valuta quali professionisti siano più accessibili, utili ed accorti
8. Esplicita i suoi bisogni
Assistenza pratica
1. Esegue le procedure in sicurezza
2. Esegue le procedure con gentilezza
3. Presta attenzione al comfort del malato
4. Dedica alle procedure il tempo necessario per ottenere il miglior risultato
5. Il risultato delle procedure è esteticamente piacevole
Lavorare assieme al malato
1. Percepisce quando è il momento di assumere un ruolo più attivo nella cura della malattia
2. Applica un approccio graduale nel farsi carico dei compiti assistenziali al fine di preservare nel malato un senso di
partecipazione personale
3. Si rende conto di quando è il momento di fare un passo indietro
4. Applica un approccio graduale nel ritrarsi dai compiti assistenziali
5. Il suo modo di assistere ha un significato nel contesto della storia e dell’identità della persona assistita
(Continua)
7
Tabella 1. (Continuazione)
Negoziare il sistema assistenziale
1. Valuta l’assistenza ricevuta dal sistema sanitario
2. Perora la causa del paziente o la propria quando necessario
3. Cerca tempestivamente assistenza da parte degli operatori sanitari
osservazioni
ed
interpretazioni
della
situazione. In questa analisi ci siamo
interessate alle decisioni da prendere giorno
per giorno invece che alle decisioni
riguardanti le opzioni di trattamento. Anche
se sono emotivamente meno intense rispetto
alle decisioni sul trattamento, quelle che si
affrontano giorno per giorno sono complesse
e richiedono capacità di giudizio e di
definizione delle priorità. Quando esistevano
più possibilità d’azione, i caregiver abili erano
in grado di operare scelte che non
comportassero rischi inutili; quelli meno
capaci tendevano a fare scelte che
mettevano a rischio il paziente. Ad esempio,
un caregiver scaricò il paziente davanti
all’ingresso della clinica e se ne andò a
parcheggiare l’auto. Il paziente era troppo
debole per entrare in clinica da solo e, poiché
non c’era nessuno ad aiutarlo, rischiò di
cadere. Il caregiver non aveva preso in
considerazione misure alternative, né aveva
pensato in anticipo a ciò che sarebbe potuto
accadere. Al contrario, aveva fatto scendere il
paziente dall’auto davanti alla clinica, come
d’abitudine, procedura non sicura nell’attuale
contesto di malattia. Un caregiver più attento
avrebbe notato che il paziente era troppo
debole per camminare fino all’auto dopo un
trattamento, valutato le opzioni e deciso di
chiedere una sedia a rotelle agli infermieri.
Azione. Viene definito azione il processo del
mettere in atto le decisioni e le istruzioni.
Un’azione attenta si caratterizza per essere
tempestiva, avere schemi efficaci ed un
elevato livello di organizzazione. Un esempio
di tempismo ed andamento efficienti è quello
di una caregiver che ha notato che il paziente
ci impiegava un’intera giornata a finire un
vasetto di yogurt ma non gli ha messo fretta.
Un’altra somministrava i farmaci del mattino
lentamente, in sincronia con le capacità del
paziente di sopportarle. Le sembravano una
lunga “tiritera” ma per il paziente funzionava
visto che in precedenza, cercando di
assumere in fretta i farmaci, aveva avuto
conati di vomito.
L’utilizzo di un sistema di registrazione di
quando vengono intraprese le azioni e di
Research in Nursing & Health, 2000,23,191-203
quando sono dovute è un’altra caratteristica
del caregiving esperto. Molti caregiver hanno
imparato che dovevano scriversi quando
somministravano i farmaci e quando
avrebbero dovuto somministrare la dose
successiva. Hanno anche imparato che i
farmaci da somministrare secondo necessità
andavano registrati in modo diverso da quelli
prescritti dal medico. Una caregiver
controllava un complesso regime di farmaci
prescritti mettendoli in un portapillole ma
aveva comunque difficoltà a mantenere
traccia dei farmaci somministrati al bisogno,
fino a quando non ha sviluppato un sistema
di registrazione scritta.
Assistenza pratica. Fornire assistenza
pratica è il processo attraverso il quale
vengono espletate procedure infermieristiche
e mediche. Un’assistenza esperta si
caratterizza per l’attenzione prestata sia al
comfort che alla sicurezza. I caregiver abili
erano meticolosi riguardo la sicurezza.
Controllare il posizionamento del sondino
naso-gastrico, della sicurezza in bagno e
prevenire le cadute sono esempi di
attenzione alla sicurezza. I caregiver abili
erano anche attenti al comfort del malato.
Descrivendo
l’irrigazione
dell’urostomia
effettuata dalla moglie, un malato disse: “Lo
fa meglio degli infermieri. Loro hanno sempre
fretta . Fa male quando sparano quella
robaccia, la senti quando ti colpisce il rene.
Quando invece lo fa lei non la sento neanche.
E’ davvero brava”. Altri caregiver facevano
attenzione
al
comfort
del
paziente
maneggiando con gentilezza il suo corpo,
sistemando i cuscini “proprio così” e
controllando che il paziente non stesse né
troppo al caldo né troppo al freddo. Le
procedure portate a termine con abilità sono
anche piacevoli esteticamente. Come disse
un’assistita: “Cambiarmi i vestiti per me è
difficile.
Ma
lei
(caregiver)
lo
fa
semplicemente e molto bene”. In questa
affermazione si allude sia alla destrezza
manuale che al risultato esteticamente
piacevole.
8
Fare aggiustamenti. Fare aggiustamenti è
definito come il processo di progressivo
affinamento delle azioni assistenziali fino a
trovare una strategia che funzioni bene. Fare
aggiustamenti è un processo continuo perché
ciò che ha funzionato una volta non sempre
funziona altrettanto bene le volte successive,
quando la situazione assistenziale cambia.
Durante la chemioterapia erano necessari
aggiustamenti frequenti a causa della
straordinaria dinamicità della situazione
assistenziale. Spesso i caregiver si
riferiscono al processo come “esperimento ed
errore” ma i nostri dati dimostrano che per i
caregiver abili si trattava di un progressivo
processo di problem-solving mentre quelli
meno capaci tendevano a continuare con
strategie che sembravano non funzionare.
Il caregiving abile spesso implicava fare
aggiustamenti riguardo le quantità – la
quantità più efficace di antiemetici o la
quantità giusta di cibo da proporre
all’assistito, la quantità giornaliera di alimenti
da somministrare con il sondino o la quantità
relativa di attività e riposo. Un caregiver fece
progressivi aggiustamenti delle dosi di
antiemetici in modo che il paziente non si
sentisse “stordito” ma allo stesso tempo non
provasse più il senso di nausea. Un altro
ridusse gradatamente la dose di alimenti
somministrati via sondino in modo che la
paziente avesse meno problemi addominali
pur mantenendo il suo peso. I caregiver abili
regolavano bene le quantità per far sì che gli
assistiti stessero al meglio. Questa
regolazione avveniva nel tempo, con molti
“prova e sbaglia” e con molta pazienza. I
caregiver meno abili tendevano a non
raggiungere questo tipo di regolazione.
Un altro indicatore di abilità nel fare
aggiustamenti era il ricorso costante a
strategie differenti fino a trovare una
soluzione al problema. I caregiver meno
capaci tendevano a sentirsi frustrati quando i
primi tentativi di risolvere un problema non
funzionavano. Uno dei problemi assistenziali
per i quali le soluzioni avevano spesso vita
breve era il fornire un’alimentazione
adeguata. Molti caregiver pensavano di aver
finalmente trovato qualcosa che l’assistito
potesse mangiare ma soltanto pochi giorni
dopo l’interessato manifestava disgusto verso
quell’alimento. I caregiver abili non persero
tempo e trovarono qualcosa d’altro che il
paziente potesse gradire per qualche altro
giorno, facendo uso di grande creatività per
Research in Nursing & Health, 2000,23,191-203
affrontare questi problemi di difficile
soluzione. Per esempio alcuni inventarono
ricette per “frullati super” quando il loro
assistito mostrava di non gradire gli
integratori
alimentari
in
commercio.
Descrivevano all’intervistatore gli ingredienti
ed altri dettagli del frullato con la grande
soddisfazione che deriva dall’aver risolto in
modo creativo un problema difficile.
Accesso alle risorse. L’accesso alle risorse
è stato definito come il processo di ottenere
ciò che è necessario per fornire assistenza,
tra cui: informazioni, attrezzature e forniture
per uso domiciliare, assistenza da parte delle
strutture territoriali, aiuto domestico ed
assistenza nella cura della persona. Un
esempio di accesso adeguato alle risorse è
quello di un uomo che voleva informazioni
circa la nutrizione delle persone malate di
cancro. Fece domande al personale sanitario,
a colleghi di lavoro che avevano già vissuto
l’esperienza di un familiare malato, chiese nei
negozi di alimenti dietetici e frequentò due
gruppi di supporto. Prese l’iniziativa, creò
un’ampia rete e valutò con criterio tutte le
informazioni ricevute. Utilizzò le informazioni
che gli tornavano utili nella sua situazione e
scartò le altre. I caregiver meno abili avevano
un atteggiamento più passivo, utilizzavano
meno risorse e le cercavano in una sfera
meno ampia. Invece che cercarne di nuove,
tendevano ad utilizzare qualsiasi risorsa
personale fosse a portata di mano, anche
quando non rispondeva ai bisogni.
Abile accesso alle risorse vuole anche dire
essere capaci di trovare esattamente la cosa
giusta. Per esempio, una coppia aveva
bisogno di un’automobile sufficientemente
grande da contenere la sedia a rotelle ed altri
presidi ma sufficientemente economica da
poter essere sostenuta dal bilancio familiare.
I costi di mantenimento dell’auto erano un
problema a causa dei lunghi viaggi fino in
città più volte la settimana e per un lungo
periodo di tempo. Il caregiver creò una vasta
rete, fece molte ricerche ed alla fine trovò
esattamente il tipo di macchina che cercava,
ad un prezzo accettabile.
Lavorare assieme al malato. Lavorare
assieme al malato è stato definito come il
processo di condivisione dell’assistenza
correlata alla malattia in un modo che rispetti
sia la personalità di chi riceve che quella di
chi dà assistenza. Il processo del lavorare
assieme è influenzato dalla storia della
relaziona ma presenta anche aspetti legati
9
specificamente alla malattia. Per esempio,
una giovane caregiver si trovava in difficoltà
nel gestire i cambiamenti che la malattia
aveva apportato nella relazione padre/figlia.
Disse all’intervistatore; “Devo dire a me
stessa di fare semplicemente quello che devo
fare (cercare di assisterlo) e non devo più
ascoltarlo. Perché io lo ascolto sempre, l’ho
ascoltato per tutta la vita e per me è naturale.
Voglio dire, io sono la più piccola in famiglia.
Non so niente su come ci si prende cura di
qualcuno”. Cercava di apportare cambiamenti
radicali nel loro rapporto, di passare
dall’essere “la piccola” al fare ciò che riteneva
più giusto senza starlo ad ascoltare. Quando
il padre ha fatto resistenza a tali
cambiamenti, lei si è ritirata ad un livello
meno impegnativo di assistenza. Un
caregiver più abile sarebbe ricorso ad un
approccio più graduale che avrebbe causato
cambiamenti meno rigidi nelle relazioni. Per
esempio, una caregiver rispettò il desiderio di
indipendenza del paziente fino al momento in
cui questi si trovò in difficoltà crescenti. Ella,
consapevolmente, faceva “un passo indietro”
in un momento ed un “passo avanti” in un
altro. I conflitti iniziali sul suo ruolo
nell’assistenza cessarono non appena adottò
un approccio graduale che gli consentiva il
massimo possibile di autonomia.
I caregiver abili sapevano anche quando era
il momento di fare un passo avanti ed
assumere un ruolo più attivo nell’assistenza,
percependo quando l’assistito stava troppo
male per prendersi cura di se stesso ed
aveva bisogno di qualcuno che se ne facesse
carico. In molte coppie l’assistito peggiorava
più di quanto si rendesse conto ma il
caregiver era in grado di vedere cosa serviva
e di assumere un ruolo più attivo nella
situazione. Per esempio, quando un’assistita
chiese al suo caregiver di chiamare il medico
perché aveva forti nausee e vomito, lui le
rispose: “Facciamo di meglio. Ti porto subito
all’ospedale”. Lei fu curata per disidratazione.
Negoziare
il
sistema
assistenziale.
Negoziare il sistema assistenziale è stato
definito il processo di garantire che i bisogni
della persona assistita siano adeguatamente
soddisfatti. Benché tale responsabilità non
ricada solamente sui membri della famiglia, i
dati hanno rivelato che i caregiver che erano
più capaci di “far funzionare il sistema” era
più probabile ricevessero ciò di cui avevano
bisogno. Per esempio, un caregiver che
aveva atteso in pronto soccorso per tre ore
Research in Nursing & Health, 2000,23,191-203
con il suo assistito affaticato, chiamò il
medico di riferimento, risolse un complicato
problema che riguardava le comunicazioni tra
questi ed il medico del pronto soccorso ed
infine riuscì a fare ricoverare il paziente.
Sapere quando chiamare l’infermiere o il
medico era una problema per molti caregiver
a casa. Anche se era stato detto loro di
chiamare quando avevano dubbi, i caregiver
spesso si domandavano se i sintomi fossero
sufficientemente gravi da giustificare una
chiamata e se sarebbero stati considerati
degli scocciatori. Con il tempo, comunque, i
caregiver svilupparono il criterio di come
gestire al meglio i consulti telefonici con il
personale sanitario.
Definizione e proprietà dell’abilità di
caregiving familiare
Nella fase analitica finale del progetto, i
risultati dell’analisi qualitativa dei dati sono
stati sintetizzati con l’analisi teoretica
precedente per sviluppare una definizione
concettuale di abilità di caregiving familiare
ed identificarne le proprietà. L’abilità di
caregiving familiare è stata quindi definita
come capacità di applicarsi efficacemente e
senza difficoltà a nove processi assistenziali
fondamentali. Il caregiving è efficace quando
ottiene i migliori risultati possibili, ad esempio
una gestione ottimale dei sintomi, la
prevenzione dei danni, l’individuazione
precoce dei problemi e così via. Anche se
alcuni risultati erano al di fuori del controllo
dei caregiver, un’assistenza abile ha portato
a risultati ottimali date le circostanze. Il
caregiving è privo di difficoltà quando scorre
senza apparente sforzo nelle azioni rese
fluide dalla pratica e dall’esperienza. Il
caregiving esperto aveva un livello di qualità
dato per scontato e spesso procedeva così
liscio da essere trasparente per i caregiver
che non facevano commenti spontanei in
merito con l’intervistatore. In effetti, all’inizio
era trasparente per l’intervistatore, fino al
momento in cui il confronto costante non ha
evidenziato la complessità dei processi che
stavano dietro ad un’assistenza che
procedeva così tranquilla e senza intoppi.
Sono state identificate tre proprietà dell’abilità
di caregiving familiare. Prima, l’abilità di
caregiving familiare è una mescolanza di
abilità sviluppate in precedenza (capacità di
problem-solving, abilità organizzative ed
interpersonali) e di altre acquisite ex novo per
gestire la malattia. L’assistenza risultava più
10
efficace quando abilità vecchie e nuove
venivano utilizzate assieme per sostenere
l’assistenza al malato. Ad esempio, un
caregiver dotato di capacità di gestione
domestica ben sviluppate, non trovava
difficoltà
ad
organizzare
un
regime
farmacologico
complesso.
Un
altro
notevolmente
predisposto ai rapporti
interpersonali offriva un eccezionale supporto
al suo assistito depresso. Al contrario,
persone che denunciavano difficoltà nelle
relazioni interpersonali, avevano problemi
anche
nella
gestione
degli
aspetti
interpersonali del caregiving.
Seconda, l’abilità di caregiving familiare
implicava una integrazione tra conoscenze
riguardanti la persona malata, compresi
importanti aspetti della sua identità,
preoccupazioni e storia personale e
conoscenze
riguardanti
le
specificità
dell’assistenza alla malattia. Come disse un
caregiver: “Guardo all’uomo nel suo
complesso, non guardo solo al suo cancro”.
Un’altra caregiver stava assistendo la madre,
una donna il cui carattere socievole ed
avventuroso si era per lungo tempo espresso
nei i viaggi. Si sentiva depressa e “schifata”
dovendo restare confinata in casa a causa
della malattia. Per migliorare il suo stato
d’animo, la figlia le sottoscrisse un
abbonamento ad un canale televisivo cablato
sui viaggi in modo che potesse viaggiare
virtualmente.
L’assistita
disse
all’intervistatore: “Oh, ieri abbiamo avuto la
migliore TV! Abbiamo visto il Mississippi!
Abbiamo visto la Svizzera! Oh, è stato
bellissimo!”
Terza, l’abilità di caregiving familiare si
sviluppa nel tempo e con l’esperienza. Ad
esempio, al momento della prima intervista
una caregiver stava combattendo con scarso
successo per somministrare un’alimentazione
adeguata ad un paziente con poco appetito.
L’assistito ci disse:
Sto cercando di mettere un po’ più di cibo nello
stomaco. A lei (la caregiver) fa piacere che io
mangi. BOOM! Mi porta una piattata di roba e mi
dice: “Voglio che lo mangi”. Non ce la faccio! Io mi
sento di mangiare poco e spesso ma lei è della
vecchia scuola quando, “Ok. Qui c’è da mangiare.
Vedi di finire tutto”. Non puoi fare così, è per
questo che l’altro giorno ho rigettato.
Quando chiedemmo a lei cosa facesse per
aiutarlo a mangiare, la caregiver rispose: “Lo
sgrido”. Man mano che la caregiver diventava
più abile, la questione nutrizione procedette
Research in Nursing & Health, 2000,23,191-203
con più efficacia e semplicità. Alla terza
intervista la caregiver ci disse:
Il primo giorno di chemioterapia si sente stanco e
sonnolento. Sto attenta che beva molta acqua. Gli
offro del cibo ma non ha mai voglia di mangiare
dopo la terapia. Non mangia molto il primo giorno.
Il secondo giorno si sente un po’ meglio. Mangia
qualcosa al mattino e, se lo vuole, gli faccio un
uovo, altrimenti lascio stare. A volte lo mangia, a
volte no. Ci impiega sempre quasi due giorni a
rimettersi in sesto.
In occasione della quarta intervista, quando
le chiedemmo cosa faceva per gestire il
problema del mangiare, la caregiver ci
rispose:
Cerco di cucinargli a casa i piatti che gli piacciono.
Provo a preparare qualcosa di diverso ogni giorno
ma ultimamente spilluzzica soltanto uova e pane
tostato. Gli compro gli omogeneizzati, gli
piacciono. Preferisce quelli di frutta, soprattutto
pesca.
Nel tempo la caregiver aveva iniziato a notare
modelli nella risposta del paziente alla
chemioterapia, a sviluppare diverse strategie
di problem-solving ed aveva elaborato un
approccio con cui combinare efficacemente
quantità e tempi per l’alimentazione. Inoltre,
la battaglia che stava combattendo al
momento della prima intervista era superata
alla quarta e l’assistenza procedeva più
serenamente anche se la situazione della
malattia continuava a presentare molte
esigenze. Confrontando la prima intervista
con l’ultima, erano evidenti differenze
lampanti
sia
nell’efficacia
che
nella
agevolezza con cui l’assistenza veniva
erogata.
DISCUSSIONE
Dalla letteratura sulla ricerca emerge un
interesse crescente per il “fare” assistenza
familiare. Tale interesse amplia lo scopo della
ricerca da un focus limitato al peso
dell’assistenza all’intera costellazione dei
compiti assistenziali, dei processi e delle
conoscenze – compresa quella del ruolo
stesso del caregiving (Archbold & Stewart,
1996; Archbold et al., 1990; Archbold et al.,
1995; Given & Given, 1991). La ricerca
emergente sul caregiving come ruolo
complesso è significativa per la pratica
infermieristica in quanto spetta agli infermieri
il compito di insegnare ai membri della
famiglia e di supportarli nel momento in cui
11
assumono il ruolo. Lo sviluppo delle
conoscenze formali sul caregiving instaura un
legame tra un fenomeno clinico importante e
le conoscenze infermieristiche di base in
rapida espansione.
Per lo sviluppo di questo tipo di conoscenze è
fondamentale
riconoscere
che
alcuni
caregiver svolgono le prestazioni assistenziali
meglio di altri, per ragioni legate alle
conoscenze, all’esperienza, al livello di
impegno,
e
altro.
Quindi,
la
concettualizzazione
della
variabilità
nell’assistere bene è essenziale. Inoltre, data
questa caratteristica, dovrebbe essere
possibile misurare e individuare singoli
caregiver lungo un continuum di “buona
assistenza”. Questo consentirebbe ai medici
ed ai ricercatori di identificare con maggior
precisione le difficoltà assistenziali e di mirare
gli interventi alla specificità.
I ricercatori, nei loro studi sulla buona
assistenza, si sono serviti sia di relazioni
autoprodotte dai caregiver che di prospettive
professionali (Schumacher et al.,1998). In
questo studio per analizzare i dati siamo
ricorsi alla prospettiva di professionisti
sanitari estranei alla situazione assistenziale.
Questa
scelta
comporta
importanti
implicazioni morali ed etiche e solleva
questioni sul valore ed il potere (Cromwell et
al., 1996; Schumacher et al., 1998) che
richiedono ulteriori indagini. Da un lato, la
verifica sull’efficacia dell’assistenza familiare
è una parte standard del ruolo infermieristico
in una serie di ambiti clinici. A questo
proposito, i professionisti hanno bisogno di
concetti e misure per rendere le proprie
valutazioni il più possibile precise e ripetibili.
Dall’altra
parte,
la
valutazione
dei
comportamenti assistenziali condotta da una
persona estranea alla situazione potrebbe
inavvertitamente o in modo insensibile
portare ad un giudizio di qualità basato su
apprezzamenti inadeguati della prospettiva
del caregiver. Questa tensione tra prospettive
diverse esiste sia nella ricerca che nella
pratica. E’ comunque degno di nota il fatto
che, nella pratica clinica, i familiari spesso
richiedono la verifica del proprio operato
assistenziale da parte del loro infermiere e si
aspettano che questi li aiuti a sviluppare le
capacità assistenziali. Quindi, il fatto che
l’infermiere valuti le attività ed intervenga
quando necessario è un’aspettativa di molti
clienti ma anche degli infermieri stessi. In
teoria, la valutazione professionale e le
Research in Nursing & Health, 2000,23,191-203
percezioni dei caregiver
costituiscono
assieme una valutazione complessiva. Al
momento, però, sono disponibili più strumenti
per l’auto-rapporto sulla sicurezza di sé o la
preparazione da parte dei caregiver che non
per
una
valutazione
infermieristica
sistematica delle capacità assistenziali.
Gli indicatori sulle capacità assistenziali
individuati da questo studio comprendono
item per il futuro sviluppo di strumenti. Il
piano del nostro progetto si basava sulla
premessa che qualsiasi tentativo di
sviluppare degli strumenti dovesse essere
preceduto da un rigoroso lavoro concettuale.
L’importanza di sviluppare una solida
concettualizzazione del fenomeno prima di
procedere alla misurazione non può essere
un’esagerazione.
Una
solida
base
concettuale fa aumentare le possibilità che
una misurazione rappresenti al meglio il
fenomeno e che sia più facile l’interpretazione
dei risultati ottenuti utilizzando uno strumento.
Poiché lo sviluppo delle misurazioni avviene
attraverso revisioni successive di uno
strumento, ci aspettiamo che gli indicatori
identificati in questo studio vengano affinati e
modificati da ricerche successive.
L’identificazione dei nove processi che
richiedono abilità di caregiving va ad
aggiungersi al crescente corpus della
letteratura di ricerca sulla natura complessa
dell’assistenza (Bowers, 1987; Given &
Given, 1991; Stetz, 1987). Altri ricercatori
hanno descritto I processi del monitorare,
verificare, riconoscere ed interpretare (Albert,
1993; Brown & Powell-Cope, 1991; Parcel et
al., 1994; Stetz & Brown, 1997), trattare con il
personale sanitario e con il sistema, cercare
informazioni, accedere alle risorse (Brown &
Stetz, 1999; Bull & Jervis, 1997; Robinson et
al., 1998), e prendere decisioni (Corcoran,
1994; Sims et al., 1992). La nostra analisi
convalida ulteriormente i complessi processi
di ragionamento e comportamento richiesti ai
caregiver familiari e supporta il punto di vista
di Given e Given che questo ruolo non può
essere definito soltanto in termini di compiti e
procedure. Inoltre, i nostri risultati ampliano
quelli di altri ricercatori descrivendo le varianti
nei
processi
assistenziali
e
concettualizzandole in termini di abilità.
La
concettualizzazione
dell’abilità
di
caregiving familiare è fortemente necessaria
all’infermieristica. In molti ambiti, tra cui
l’assistenza
domiciliare,
l’assistenza
territoriale e la pianificazione delle dimissioni,
12
l’insegnamento mirato a fornire ai familiari le
conoscenze e le abilità necessarie a gestire a
casa la malattia è il cuore della pratica
infermieristica. I contenuti delle conoscenze
necessarie per l’assistenza domiciliare della
malattia sono stati ampiamente descritti, ma
la conoscenza da sola non è garanzia di
buona assistenza. Piuttosto, le famiglie
devono tradurre la conoscenza in pratica ed è
attraverso questo passaggio che si possono
osservare
le
capacità
assistenziali.
Ironicamente, la concettualizzazione delle
abilità di caregiving familiare è rimasta allo
stato grezzo, nonostante la sua centralità
come interesse infermieristico. Causa la
mancanza di una migliore comprensione di
ciò che sono le abilità di caregiving familiare,
assistere bene è troppo speso associato ad
un’idea di compliance, come se si trattasse
semplicemente di seguire correttamente delle
istruzioni. Questo studio ci dimostra che un
caregiving esperto è complesso ed implica
molto di più che la semplice volontà di fare o
la motivazione a seguire istruzioni. E’
piuttosto la capacità di identificare i problemi
assistenziali e di trovarvi soluzione. A tal
proposito, tra le abilità di caregiving è
compreso il problem-solving invece che la
risposta passiva.
I risultati di questo studio suggeriscono un
approccio alla valutazione clinica diverso
dalla consueta pratica di determinare se i
caregiver stanno seguendo correttamente le
istruzioni. I risultati suggeriscono che i clinici
devono
verificare
molteplici
processi
assistenziali e mirare i propri interventi su
quelli in cui i caregiver si trovano in difficoltà.
Per esempio, i medici potrebbero verificare il
processo del monitoraggio per stabilire fino a
che punto il caregiver sia in grado di
individuare i cambiamenti nelle condizioni
della persona malata. Le difficoltà nel
monitoraggio possono essere puntualizzate
attraverso l’utilizzo di indicatori e l’intervento
può essere mirato alla soluzione di
problematiche specifiche. Poiché il caregiver
Research in Nursing & Health, 2000,23,191-203
può essere più abile in alcuni aspetti
dell’assistenza e meno in altri, è importante
valutarne le capacità attraverso una serie di
processi che vadano a generare un profilo di
abilità invece che una valutazione globale.
I nostri risultati ci suggeriscono anche che
brevi periodi di formazione infermieristica
possono non essere sufficienti per lo sviluppo
delle abilità di caregiving. Piuttosto, sarebbe
utile un addestramento pratico (Lewis &
Zahlis, 1997) ma questo richiede sia
disponibilità di tempo che continuità nella
relazione d’aiuto. La disponibilità sempre più
ridotta di infermieri professionali negli Stati
Uniti è fonte di serie preoccupazioni su come,
nel nuovo sistema sanitario, i caregiver
familiari potranno ricevere l’addestramento di
cui
necessitano.
Lo
sviluppo
delle
conoscenze riguardanti le abilità di caregiving
fornisce ai medici prove teoriche e pratiche a
sostegno della continuità e del tempo come
imperativi terapeutici.
Poiché questo studio si poneva come
bersaglio una situazione circoscritta di
malattia (ossia caregiving durante la
chemioterapia per cancro), è necessario
riproporlo in altre situazioni per verificare
somiglianze e differenze nelle abilità di
caregiving trasversalmente alla popolazione
clinica. Inoltre, i partecipanti al nostro studio
erano soprattutto nordamericani bianchi della
classe media. Per capire l’impatto dei fattori
socioculturali e dei sistemi sanitari sulle
abilità di caregiving familiare è necessario
studiare altri gruppi etnici ed altre nazionalità.
Nonostante questi limiti, questo studio ha
iniziato il lavoro concettuale necessario ad un
fenomeno infermieristico che sta crescendo
di importanza man mano che le famiglie
diventano più responsabili dell’assistenza ai
propri componenti durante malattie instabili e
spesso acute.
Traduzione: Laura Delpiano
13
Riferimenti
Albert, S.M. (1993). Do family caregivers recognize
malnutrition in the frail elderly? Journal of the
American Geriatrics Society, 41, 617-622.
Archbold, P.O., & Stewart, B.J. (1996). The nature of
the family caregiving role and nursing interventions
for caregiving families. In E. Swanson & T. TrippReimer (Eds.), Issues in gerontological nursing: Vol.
1 (pp. 133-156). New York: Springer.
Archbold, P.O., Stewart, B.J., Greenlick, M.R., & Harvath T. (1990). Mutuality and preparedness as predictors of caregiver role strain. Research in Nursing &
Health, 13,375-384.
Archbold, P.O., Stewart, B.J., Miller, L.L., Harvath,
T.A., Greenlick, M.R., Van Buren, L., Kirschling, J.M.,
Valanis, B.G., Brody, K.K., Schook, J.E., & Ha-gan,
J.M. (1995). The PREP system of nursing interventions: A pilot test with families caring for older
members. Research in Nursing & Health, 18, 3-16.
Barg, F.K., Pasacreta, J.V, Nuamah, I.F., Robinson,
K.D., Angeletti, K., Yasko, J.M., & McCorkle, R.
(1998). A description of a psychoeducational intervention for family caregivers of cancer patients. Journal of Family Nursing, 4, 394-413.
Benner, P. (1984). From novice to expert. Menio Park,
CA: Addison Wesley.
Benner, P., Tanner, C.A., & Chesia, C.A. (1996). Expertise in nursing practice: Caring, clinical judgment,
and ethics. New York: Springer.
Bowers, B.J. (1987). Intergenerational caregiving:
Adult caregivers and their aging parents. ANS: Advances in Nursing Science, 9(2), 20-31.
Brown, M.A., & PowellCope, G.M. (1991). AIDS family
caregiving: Transitions through uncertainty. Nurs-ing
Research, 40, 338-45.
Brown, M.A., & Stetz, K. (1999). The labor of
caregiving: A theoretical model of caregiving during
potentially fatal illness. Qualitative Health Research,
9,182-197.
Bull, M.J., & Jervis, L.L. (1997). Strategies used by
chronically ill older women and their caregiving
daughters in managing posthospital care. Journal of
Advanced Nursing, 25, 541-547.
Cawley, M.M., & Gerdts, E.K. (1988). Establishing a
cancer caregivers program. Cancer Nursing, 11,267273.
Clark,N.M.,&Rakowski,W.
(1983).
Family
caregivers of older adults: Improving helping skills.
The Geron-tologist, 23, 637-642.
Corcoran, M.A. (1994). Management decisions made
by caregiver spouses of persons with Alzheimer's
disease. American Journal of Occupational Therapy
48,38-45.
Cromwell, S.L., Russell, C.K., Young, M.L., Luna, I.,
deArdon, E.T, & Phillips, L.R. (1996). Uncovering the
cultural context for quality of family caregiving for
elders. Western Journal of Nursing Research, 18,
284-298.
Dittbrenner, H. (1995). International models of home
care: Focus on an aging world [editorial]. Caring
Magazine, 16(1), 1.
Dodd, M.J., Lindsey, A.M., Stetz, K., Lewis, B., Holzemer, W., Larson, P., Musci, E., Lovejoy, N., Dibble,
S.L., Paul, S., & Hauck, W.J. (1988-92). Self-care
intervention to decrease chemotherapy morbidity.
Research grant funded by the National Cancer Institute. University of California, San Francisco.
Edstrom, S., & Miller, M. W. (1981). Preparing the
fam-ily to care for the cancer patient at home: A
home care course. Cancer Nursing, 4, 49-52.
Research in Nursing & Health, 2000,23,191-203
Ehrenfeld, M. (1998). Nursing and home care in Europe. International Nursing Review, 45, 61-64.
Gallagher-Thompson, D., & DeVries, H.M. (1994).
"Coping with Frustration" classes: Development and
preliminary outcomes with women who care for relatives with dementia. The Gerontologist, 34,548-552.
Given, B. A., & Given, C. W. (1991). Family caregiving
for the elderly. Annual Review of Nursing Research,
9,77-101.
Grobe, M.E., Ilstrup, D.M., & Ahmann, D.L. (1981).
Skills needed by family members to maintain the
care of an advanced cancer patient. Cancer Nursing 4
371-375.
Haley, W.E., Levine, E.G., Brown, S.L., & Bartolucci,
A.A. (1987). Stress, appraisal, coping, and social
support as predictors of adaptational outcome among
dementia caregivers. Psychology and Aging, 4, 323330.
Hinds, C. (1985). The needs of families who care for
patients with cancer at home: Are we meeting them?
Journal of Advanced Nursing, 10, 575-581.
Kosberg, J.I., & Cairl, R.E. (1991). Burden and
competence in caregivers of Alzheimer's disease
patients: Research and practice implications. Journal
of Gerontological Social Work, 18(1/2), 85-96.
Lawton, M.R, Kleban, M.H., Moss, M., Rovine, M., &
Glicksman, A. (1989). Measuring caregiving appraisal. Journal of Gerontology: Psychological Sciences, 44, P61-P71.
Lee, H.O., Hwang, A.R., Pierce, C.A., & Fitzpatrick, J.J.
(1997). International collaboration for home care
education, Part I: Creating the partnership. Journal
of Professional Nursing, 13,256-261.
Levine, B.S., Cartwright, J., Inoue, I., Stewart, B.J., &
Archbold, P.G. (1998). Quality of family caregiving: A
new measurement strategy. Unpublished manuscript, Oregon Health Sciences University, Portland.
Lewis, P.M., & Zahlis, E.H. (1997). The nurse as
coach: A conceptual framework for clinical practice.
Oncology Nursing Forum 10,1695-1702.
Mahoney, D.F., & Shippee-Rice, R. (1994) Training
family caregivers of older adults: A program model
for community nurses. Journal of Community Health
Nursing, 11 (2), 71-78.
Messias, D.K.H., Yeager, K.A., Dibble, S.L., & Dodd,
M.J. (1997). Patients' perspectives of fatigue while
undergoing chemotherapy. Oncology Nursing Forum
24,43-48.
Modly, D., Zanotti, R., Poletti, P., & Fitzpatrick, J.J.
(1997). Home care nursing services: International
lessons. New York: Springer.
Nolan, M.R., & Grant, G. (1989). Addressing the needs
of informal carers: A neglected area of nursing practice. Journal of Advanced Nursing, 14, 950-961.
Nolan, M., Grant, G., & Keady, J. (1996).
Understanding family care. Buckingham, UK: Open
University Press.
Parcel, G.S., Swank, PR., Mariotto, M.J., Bartholomew,
L.K., Czyzewski, D.I., Sockrider, M.M., & Seilheimer,
D.K. (1994). Self-management of cystic fibrosis: A
structural model for educational and behavioral variables. Social Science and Medicine, 38, 1307-1315.
Pearlin, L.I., Mullan, J.T, Semple, S.J., & Skaff, M.M.
(1990). Caregiving and the stress process: An
overview of concepts and their measures. The Gerontologist, 30, 583-594.
Phillips, L.R., Morrison, E.F., & Chae, Y.M. (1990a).
The QUALCARE Scale: Developing an instrument to
measure quality of home care. International Jour-nal
of Nursing Studies, 27, 61-75.
14
Phillips, L.R., Morrison, E.F., & Chae, Y.M. (1990b).
The QUALCARE Scale: Testing of a measurement
instrument for clinical practice. International Journal
of Nursing Studies, 27, 77-91.
Proctor, R.W., & Dutta.A. (1995). Skill acquisition and
human performance. Thousand Oaks, CA: Sage.
Robinson, K.D., Angeletti, K.A., Barg, F.K., Pasacreta,
J.V, McCorkle, R., & Yasko, J.M. (1998). The development of a family caregiver cancer education
program. Journal of Cancer Education, 13,116-121.
Schumacher, K.L. (1996). Reconceptualizing family
caregiving: Family-based illness care during chemotherapy. Research in Nursing & Health, 19,261-271.
Schumacher, K.L., Stewart, B.J., & Archbold, P.G.
(1998). Conceptualization and measurement of doing
family caregiving well. Image: Journal of Nursing
Scholarship, 30, 63-69.
Schwartz-Barcott, D., & Kirn, H.S. (1993). An expansion and elaboration of the hybrid model of concept
development. In B.L. Rodgers & K.A. Knafl (Eds.),
Concept development in nursing (pp. 135-157).
Philadelphia: W.B. Saunders.
Sims, S.L., Boland, D.L., & O'Neill, C.A. (1992). Decision making in home health care. Western Journal
of Nursing Research, 14, 186-200.
Stetz, K.M. (1987). Caregiving demands during advanced cancer. Cancer Nursing, 10, 260-268.
Stetz, K.M., & Brown, M.A. (1997). Taking care: Caregiving to persons with cancer and AIDS. Cancer
Nursing, 20(1), 12-22.
Strauss, A., & Corbin, J. (1990). Basics of qualitative
research:
Grounded
theory
procedures
and
techniques. Newbury Park, CA: Sage.
Toseland, R.W., Blanchard, C.G., & McCallion, P.
(1995). A problem solving intervention for caregivers
of cancer patients. Social Science and Medicine, 40,
517-528.
Webster's new twentieth century dictionary (2nd ed.).
(1983). New York: Simon and Schuster.
Yamamoto, N., & Wallhagen, M.I. (1997). The continuation of family caregiving in Japan. Journal of
Health and Social Behavior, 38, 164-176.
Research in Nursing & Health, 2000,23,191-203
15