Pdf Opera - Penne Matte
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IL CANTO Ian stava annodando la cima alla base dell’albero maestro. La sciarpa ed il collo del cappotto non riuscivano affatto ad allontanare la gelida brezza dell’Isola, e le sue dita stavano diventando viola e piene di escoriazioni a furia di maneggiare quelle corde, ma il lavoro del mozzo era quello, e gli ordini del Capitano non potevano essere contraddetti. Il porto era deserto, silenzioso come una tomba, e per ovvi motivi. Il ragazzo era l’unica anima rimasta ancora in città. Il giovane sospirò pesantemente, iniziando solo allora a capire quanto sarebbe stata dura la sua futura occupazione. Si asciugò il sudore della fronte ed abbassò la sciarpa, prendendo una grossa boccata d’aria carica di salsedine. Fu in quel momento che udì i passi lenti, irregolari e rumorosi del Capitano: aveva appena messo il piede sano sul legno dell’imbarcazione, mentre trascinava vistosamente la protesi di osso di Oceanodonte che aveva al posto della gamba sinistra. Ian doveva ancora farci l’abitudine nel vedere quella sorta di artiglio animalesco, ma aveva già imparato a non mostrare alcun tipo di imbarazzo. Le frustate che aveva ricevuto l’Estate precedente lo avevano aiutato molto in questo. Il Capitano gli si avvicinò, appoggiandosi al parapetto e fissando l’entroterra dell’Isola. Si accese un sigaro in un batter d’occhio, volgendo poi lo sguardo al ragazzo. << Le cime? >> << Tutto apposto. Le ho saldate personalmente. >> << Le vele, hai visto se ci sono degli strappi? In cambusa hai ricontrollato l’inventario? Le fiocine e gli arpioni ci sono tutti? >> Il ragazzo annuì ad ognuna delle domande. << Bene. Avremo bisogno della migliore attrezzatura possibile per portare a casa qualche carcassa di Oceanodonti. Sai, il difficile non è arpionarli, insomma, sono grossi almeno cinquanta piedi, solo un cieco riuscirebbe a mancarli…il difficile è non farli immergere in profondità. Hanno sufficiente forza per far colare appicco intere Fregate, figuriamoci una Galea semplice come questa. Ti posso assicurare che non è un bello spettacolo. >> << Lo so, Capitano. L’ho letto sui libri di mio padre. >> Il Capitano scosse la testa e diede uno scoppola dietro alla nuca del ragazzo. << Tu non sai un cazzo, Derart. Quest’estate abbiamo solo pescato merluzzi e piccoli cetacei, e non hai mai affrontato l’Oceano d’Inverno. Pensi che quegli straccetti che hai addosso basteranno a proteggerti dal freddo? E pensi che il freddo sia il problema maggiore? >> Ian si massaggiò la testa, cercando di trattenere qualche lacrima di dolore. Si alzò di scatto e si sporse a poppa, osservando l’enorme colonna di fiaccole e canti che penetravano nell’entroterra, fino a giungere sul promontorio del Santuario. Il Capitano lesse immediatamente i pensieri del giovane. << Sai…in tutti questi anni, posso dire di aver visitato quasi ogni angolo di questo mondo. Da piccolo ho esplorato ogni isola dell’Eisjord. Ho commerciato in ogni porto di ogni isola del Grande Arcipelago Centrale, viaggiando poi anche nelle Terre dei Fiori ad Oriente. La guerra mi ha portato nei campi di battaglia più inospitali e desertici del mondo, e fidati ragazzo, in alcune notti invernali ho visto cose sotto al pelo dell’acqua che ti auguro di non dover vedere mai in questa vita e nella prossima. Ma tra tutte le meraviglie che ho visto, niente batte il Canto di una Vergine dell’Oceano. Un vero e proprio miracolo…>> Ian iniziò ad aprire e chiudere forsennatamente il proprio coltello a scatto, rigirandoselo tra le dita come ogni volta che si sentiva nervoso. << Era tua amica, vero? La Vergine. La figlia di Harold. >> Silenzio. Ian smise di giocare col proprio coltello. << Mi dispiace, ragazzo. Sebbene per noi sia un rito meraviglioso e propiziatorio…è sempre un colpo al cuore rendersi conto a quale Destino vanno incontro quelle fanciulle. >> << Ho il permesso di congedarmi, Capitano? >> Disse velocemente Ian, con una serietà e grinta disarmante. Il Capitano sorrise sotto i baffi. << Permesso accordato. La partenza è fra un’ora, non fare tardi. >> Ian impiegò poco tempo ad attraversare la città e seguire il sentiero battuto per il Santuario. L’intera popolazione si era già radunata intorno al cerchio dei Menhir, in attesa dell’inizio della cerimonia. Il giovane riconobbe alcuni dei suoi compagni marinai festeggiare, brindare ed alzare le proprie fiaccole al cielo. Ian riuscì ad intrufolarsi in prima fila grazie alla sua stazza minuta, ma soprattutto per via della sua voglia di rivedere Han. Il vento gelido dell’Eisjord smise di colpo di soffiare. Un flebile raggio di luce illuminò la pietra dai contorni morbidi e levigati al centro del Santuario. Subito dopo Ian notò un drappo pallido sollevarsi da terra. Han camminava sicura verso la pietra, con un sorriso in volto ed il vestito completamente candido che le arrivava fino ai piedi nudi. Era ricoperta da anelli e collane runiche, mentre sui capelli dorati portava dei fermargli d’ambra scintillante. Ian quasi non la riconobbe. Rivisse in un solo istante tutti i momenti della sua infanzia spensierata trascorsi con Han, prima di vederla salire sulla pietra. La giovane respirò a pieni polmoni per tre volte, prima di sciogliere la propria voce. Il Canto venne fuori naturalmente. La melodia si alzò in aria, avvolgendo la folla come un vento caldo, sorreggendola e curando i loro mali, scacciando i brutti pensieri, spegnendo ogni fiaccola per poi risollevarsi ancora, verso il cielo. Viaggiò per tutta l’Isola, penetrando attraverso il terreno e arricchendo la terra, il bestiame, gli alberi già rigogliosi. Si tuffò dai promontori e dalle scogliere rocciose giù verso le acque tempestose, calmandole immediatamente. Banchi di pesci e cetacei e crostacei uscirono di colpo dall’acqua, ammassandosi sulla spiaggia del porto in attesa di essere raccolti dagli abitanti. Il Canto alla fine ritornò nel cerchio di Menhir, ritornò nella bocca di Han, ed il giubilo della folla lo accolse con gran vigore. Ian si asciugò le lacrime, assistendo per la prima volta in vita sua a quel miracolo degli Dei. Han strinse le mani di fronte al petto, chinando la testa in segno di rispetto a tutta la folla. Incrociò, quasi per sbaglio, lo sguardo di Ian. Il ragazzo non riconobbe affatto la sua amica d’infanzia. Quello sguardo era sereno, limpido ma completamente vuoto, privato di ogni emozione, di ogni scintilla d’umanità. Quella ragazza non era Han. Era una Vergine dell’Oceano. Una morsa gelida ed invisibile si sollevò dal promontorio e corse verso il cerchio di Menhir. Afferrò delicatamente Han, che chiuse gli occhi e sospirò per l’ultima volta, prima di venir trascinata giù dalla scogliera rocciosa, verso gli Abissi dell’Oceano. I marinai tornarono sopra alla barca in una fila ordinata, con giganteschi sorrisi sulle labbra e qualche barile carico di pesce salato in spalla. Ian salì per ultimo, mollando gli ormeggi dal pontile e ritirando la passerella. Una mano gli si appoggiò sulla spalla. Scorse con la coda dell’occhio il viso ingrigito del Capitano. << Sei con me, ora? >> Ian annuì, deciso. << Bene, ragazzo. Sarà un lungo Inverno, questo, e l’ultima cosa che voglio è un mozzo in pena per una figa perduta che non fa il proprio lavoro. >>