Criminalità: forme, percezioni, rappresentazioni

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Criminalità: forme, percezioni, rappresentazioni
anno quindicesimo numero quarantuno mag./ago. 2013
Criminalità: forme,
percezioni, rappresentazioni
PosteItalianeS.p.A.-Spedizioneinabbonamentopostale-D.L.353/2003(conv.inL.27/02/2004n.46) -art.1,comma1,D.C.B.Trento-Periodicoquadrimestrale registrato dal Tribunale di Trento il 9.5.2002, n. 1132. Direttore responsabile: Sergio Benvenuti - Distribuzione gratuita - Taxe perçue - ISSN 1720 - 6812
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anno quindicesimo numero quarantuno mag./ago. 2013
Criminalità: forme, percezioni, rappresentazioni
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Ladro sarai tu!: il banditismo in epoca romana
di Anselmo Vilardi
5
Il volto del male: l’immagine del crimine tra realtà, estetica e predestinazione
di Silvia Bertolotti
7
Le tenebre del crimine: uno sguardo alla Commedia Umana di Honoré de Balzac
di Stefano Chemelli
11
Cybercrime
di Alice Manfredi
13
La folla delinquente: Scipio Sighele, la psicologia delle folle e le origini della sociologia
del XX secolo
di Andrea Mubi Brighenti
16
Fallo involontario: imputabilità, responsabilità e infermità mentale
di Felice Ficco
19
Comportamenti, riprovazione sociale, penalizzazione e punizione:
interviste con Maria Rosa Di Simone ed Ernesto Ugo Savona
a cura di Paola Bertoldi
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La sicurezza in Trentino tra controllo e prevenzione: nuovi modi d'intendere la sicurezza
del territorio
di Marina Marchiaro
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La “fermentazione psicologica”: quando la protesta sociale era un crimine
di Tommaso Baldo
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Il fascino discreto del diritto penale: Francesco Menestrina, la delinquenza nel Trentino e
la prevenzione dei reati
di Mirko Saltori
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“Il marchio indelebile di una inferiorità giuridica”: l’impegno “femminista”
di Scipio Sighele
di Paolo Domenico Malvinni
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Femminicidio in salsa trentina: 1959-2008
di Paola Bertoldi
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Infomuseo
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Criminalità
forme,
percezioni,
rappresentazioni
Criminalità: forme, percezioni e rappresentazioni. Un titolo
senz’altro ambizioso per fissare
un tema di enorme complessità che un numero di Altrestorie
può solo ambire di scalfire: la
frequenza, tuttavia, con cui il problema della delinquenza comune o della criminalità
organizzata si affaccia alla cronaca, la vivace discussione sul tema della sicurezza, il dibattito che investe
ampi settori della società riguardo alla giustizia, hanno convinto a scrivere di questo argomento, proponendo degli spunti di lettura, guardando ad alcuni
dei tanti aspetti che concorrono al quadro generale,
senza evidentemente la pretesa di disegnarlo nella
sua interezza.
Si tratta, peraltro, di elementi in continuo divenire. La
delinquenza non è un fenomeno che si possa fissare
una volta per tutte. I comportamenti da perseguire
come reati si differenziano e si trasformano nel tempo anche secondo le sensibilità maturate all’interno
della società di riferimento. L’evoluzione economica, sociale e culturale contribuiscono storicamente
a costruire riprovazione nei confronti di determinati
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comportamenti e, al contrario, ad
assolverne di altri precedentemente stigmatizzati. Il tema delle forme,
della percezione e della rappresentazione dei fenomeni delinquenziali
si presenta allora estremamente
fluido, sottoposto nel corso dei
secoli a valutazioni e azioni fortemente influenzate
dall’evoluzione dei costumi e da una crescita civile
che ha reso più forte il peso del diritto organizzato rispetto all’applicazione di norme non standardizzate.
Abbiamo invitato a scrivere intorno a questi temi alcuni affezionati collaboratori di Altrestorie, persone
con competenze specifiche nell’ambito della criminologia, delle scienze sociali e della storia. Un'attenzione particolare è stata riservata a Scipio Sighele
(1868-1913), studioso dei fenomeni criminali, del
quale è ricorso nel 2013 il centenario della morte.
Insomma un occhio a come non solo è cambiata la
classificazione e l'atteggiamento nei confronti dei fenomeni cosiddetti criminosi, ma a come è evoluta la
loro analisi e osservazione anche nella prospettiva
ultima di tutelare la forma democratica della società
nella quale viviamo (rt).
Ladro sarai tu!
secondo le norme del diritto.
Analizzare il fenomeno del
La stretta dipendenza tra
banditismo in epoca romana
il banditismo
violenza e (mancata) legittisignifica confrontarsi con una
mazione pubblica nella definirealtà molto ampia e poliein epoca romana
zione della figura del bandito
drica.
è riconoscibile nel rapporto
“Ladro” è oggi una parola
di Anselmo Vilardi
tra le categorie “soldato” e
molto diffusa; ma qual è la
“bandito”. Nel corso della
sua origine? I romani impiesua carriera militare il solgavano i vocaboli latrones
dato romano era addestrato
per indicare i banditi e latrocinium per il banditismo. Essi derivano dalla radice professionalmente alla violenza e deteneva nella
greca *latr, ma in greco il verbo latreuein esprimeva i sua azione un potere di vita e di morte. In questo
concetti di “servire”, “fornire una prestazione a paga- senso la distinzione del suo ruolo sociale e del suo
mento” e, in una delle sue accezioni più specifiche, operato rispetto a quello del latro era strettamente
“essere un mercenario”. In ambito latino si assiste a connessa al controllo e alla sanzione dell’autorità
un’evoluzione di questo significato originario che è pubblica. Alcuni veterani congedati o disertori fuopossibile riconnettere alla storia e alla visione poli- rilegge decidevano, tuttavia, di non cedere le armi,
tica, sociale e militare della Roma repubblicana: in ma continuavano a usare le proprie doti militari al
primo luogo, per le sue necessità belliche Roma non fine di garantire con la violenza il loro mantenimento,
assume mercenari, ma si basa su esercito di citta- entrando, di conseguenza, a far parte della categoria
dini-soldati; la Repubblica, inoltre, si confronta in dei banditi.
più casi con l’instabilità e i pericoli provocati dall’im- Nelle narrazioni storiografiche e, più in generale,
piego di truppe mercenarie, so“prattutto nel mondo nell’immaginario collettivo romano (la figura del
ellenistico. Avviene così un profondo mutamento di bandito è spesso presente nella letteratura grecosignificato del termine latro che da mercenario ar- romana, ad esempio nel romanzo Le metamorfosi
riva a indicare ogni forma di violenza extra-legale. Da di Lucio Apuleio) l’immagine del bandito è strettaquesto punto di vista ciò che definiva il bandito non mente connessa a un’idea di alterità rispetto alla ciera solamente il suo comportamento violento o la viltà: sono, dunque, continui i riferimenti al legame
sua tendenza alla rapina, ma soprattutto la mancata con il mondo barbarico e al distacco del bandito rilegittimità del suo operato nei confronti dell’autorità spetto alla comunità civile. In tal senso, la tendenza
e la sua estraneità o, addirittura, la sua opposizione del banditismo a svilupparsi soprattutto nei territori
al potere legittimo. In tal senso appare interessante più isolati, in particolare nelle regioni montagnose
sottolineare come il tema dei banditi e la loro scon- e nelle aree rurali più lontane dalle città, è ripetutafitta sia presente in molti miti fondativi: ad esempio, mente sottolineata dalla cultura romana, profondanella mitologia greca Teseo sconfigge alcuni banditi mente legata a una prospettiva urbana e di pianura.
prima di guidare l’unificazione dell’Attica; anche nel Non a caso nell’immaginario collettivo si crea anche
caso della genesi di Roma Romolo deve abbando- una stretta connessione tra le figure del bandito e
nare il suo ruolo di bandito-pastore per guidare la del pastore.
In epoca romana il banditismo non è, tuttavia, rifondazione della città.
Si riconnette a questa visione anche la distinzione tra conducibile solamente a episodi isolati di singoli
hostis (nemico) e latro proposta dal giurista Pompo- personaggi o di raggruppamenti marginali e numenio nel Digesto (Digesta 50.16.110): “I nemici [hostes] ricamente limitati, ma può anche assumere dimensono coloro che ci hanno dichiarato formalmente sioni imponenti. In particolare nel primo secolo a.
guerra o coloro a cui noi abbiamo formalmente di- C., nella fase finale della repubblica, l’egemonia di
chiarato guerra; tutti gli altri sono banditi [latrones] Roma è addirittura messa in pericolo da due forme di
o predoni [praedones]”. In questa definizione gli ho- violenza collettiva incluse dai Romani nella categoria
stes e i latrones (si può considerare praedones un del latrocinium: la pirateria e le rivolte degli schiavi.
sinonimo di quest’ultimo termine) appaiono acco- La realtà della pirateria è riscontrabile nel Mediterrastati, in quanto entrambi sono accomunati dalla co- neo in ogni fase dell’antichità, sia pure con intensità
mune condizione di avversari violenti della comunità differenti a seconda dei vari periodi. Tra la fine del
e delle istituzioni romane. Il discrimine tra queste due secondo secolo a. C. e il primo secolo a. C., anche
categorie si basa, dunque, su un unico fondamentale a causa dell’instabilità dell’area del Mediterraneo
aspetto: il loro eventuale riconoscimento come auto- orientale dovuta ai conflitti di Roma con gli ultimi rerità legittima e la conseguente possibilità di presen- gni ellenistici, la situazione degenerò: si formarono
tare o ricevere una dichiarazione di guerra legittima flotte di pirati costituite da centinaia di navi e decine
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di migliaia di uomini che imperversavano nei mari,
non solo saccheggiando le altre navi ma anche depredando le coste dell’intero Mediterraneo. Questi
predoni avevano le loro roccaforti principali in Cilicia
(sulla costa meridionale dell’attuale Turchia).
Una delle vittime più famose fu lo stesso Giulio Cesare che in giovane età, nel 75-74 a. C., fu rapito durante un viaggio in nave da alcuni pirati nei pressi
delle isole Sporadi. Plutarco narra che egli accettò
di versare un riscatto per ottenere la sua liberazione:
tuttavia, una volta rimesso in libertà, guidò personalmente una spedizione contro i suoi rapitori che
furono infine catturati e, per suo ordine diretto, crocifissi (Plutarchus, Caesar 1-2).
La pericolosità delle rotte marittime divenne a un
certo punto tale da costringere Roma a intervenire: nel 67 a. C. il Senato affidò a Gneo Pompeo
il comando di un esercito di circa 500 navi e più di
100.000 soldati con l’incarico di debellare in tutto il
Mediterraneo la piaga della pirateria. Egli, nel giro di
soli quaranta giorni, non solo annientò le flotte nemiche, ma distrusse anche le loro basi di partenza.
Il fenomeno della pirateria si manifesterà ancora nei
decenni successivi, sia pure in forme più limitate,
fino a quando, con la fine del periodo delle guerre
civili e l’inizio dell’epoca imperiale, la stabilizzazione
del controllo dei mari garantito dalle flotte militari
romane produrrà un sostanziale esaurimento della
minaccia per diversi secoli. Ancora più pericolose
per la supremazia di Roma furono nello stesso periodo le rivolte degli schiavi nell’Italia meridionale. In
seguito alla conquista di un vasto impero affluirono
nell’Italia degli ultimi secoli della Repubblica imponenti flussi di manodopera servile, impiegata nel sud
Italia principalmente in ambito agricolo-pastorale e
minerario.
Le terribili condizioni di vita e di lavoro provocarono,
a partire dalla seconda metà del secondo secolo
a. C., un susseguirsi di insurrezioni di massa degli
schiavi. In particolare tre ribellioni raggiunsero dimensioni tali da mettere in discussione il controllo
della regione da parte dei romani: le prime due, sviluppatesi in Sicilia nei periodi 136-132 a. C. e 104-103
a. C., perdurarono per anni e destabilizzarono uno
dei territori economicamente più importanti della
Repubblica; si trattò, tuttavia, di rivolte che mantennero una dimensione locale, non uscendo mai dai
confini della Sicilia.
Nel 73 a. C. la terza grande guerra servile, al contrario, sconvolse l’intera Italia meridionale, tanto da
minacciare la stessa città di Roma. Gli schiavi ribelli,
capeggiati dal gladiatore trace Spartaco, riuscirono
per due anni a sconfiggere ripetutamente le truppe
inviate contro di loro e solamente nel 71 a. C. un esercito di otto legioni, guidate dal proconsole Marco Licinio Crasso, riuscì a reprimere l’insurrezione.
Anche in questo caso la definizione di latrocinia
attribuita dai romani a tali rivolte è direttamente
connessa all’idea dell’esercizio di una resistenza violenta contraria alla legalità stabilita dalle istituzioni
romane. A questo fattore si aggiunge la continua
evidenziazione da parte delle fonti antiche della sistematica opera di saccheggio e di rapina compiuta
dagli schiavi ribelli.
In conclusione, è possibile evidenziare quanto l’odierna possibilità di ricostruire il fenomeno del banditismo in epoca romana sia strettamente legata
alla prospettiva della classe dirigente romana, i cui
scritti costituiscono la principale, se non unica, fonte
di informazioni sull’argomento. L’analisi di questo
tema offre, dunque, un interessante squarcio sulle
concezioni alla base delle forme di vita collettiva nel
mondo romano e sulle loro affinità e differenze rispetto alla società contemporanea.
Fedor Andreevich Bronnikov (1827-1902), Gli schiavi seguaci di Spartaco, crocefissi sulla via Appia (1878) (Mosca, Galleria Tretyakov)
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Il volto del male
A New York nella metà degli
e la fruibilità di massa come se
anni trenta del Novecento il
fossero sullo stesso piano dell’immagine del crimine
drammatico ed elegante bianle autorità politiche o dei divi
co e nero del fotoreporter free
del cinema. I pannelli ideati da
tra realtà, estetica
lance Weegee (pseudonimo di
Wharol sono come specchi di
e predestinazione
Arthur Fellig, 1899-1968) cattufronte ai quali la società legge
ra, senza alcuna retorica, ma
se stessa e la propria essencon spietato realismo le più
za, talvolta scomoda, talvolta
di Silvia Bertolotti
incisive immagini di violenza,
cifrata, altre ancora semplicecaos urbano e umanità alla demente messa a nudo. L’immariva; Weegee lavora quasi esclusivamente di notte, gine del crimine e la figura del malvivente ricorrono
grazie alle segnalazioni di una radio collegata a quel- del resto con grande frequenza nella storia dell’arte
la di un comando di polizia ed è solito arrivare pri- dell’Occidente, dall’iconografia dei martiri ai tableau
ma delle forze dell’ordine; armato di flash immortala vivant di Omar Ronda e Paolo Vegas, che mettono in
con un sapiente cinismo, che sposa estetica e orro- scena la parodia dei più noti esponenti della malavire, gli angoli di Manhattan, Chinatown e Little Italy, ta, dagli impiccati pendenti dalla forca del Pisaneldove omicidi, retate, gangsters e malavita sono gli lo in Santa Anastasia a Verona, fino alle esperienze
attori privilegiati. Esplora con crudezza e audacia la contemporanee quali il progetto Lost Identities di
scena della tragedia e del delitto, dimostrando una Christian Fogarolli o l’indagine sull’uomo di Cristiano
straordinaria capacità di resa espressiva e un'intu- Berti che con le immagini fotografiche di Memorial
izione eretica e inventiva che gli fanno ben presto (scenari d’omicidio di 19 prostitute) racconta senza
conquistare uno spazio d’onore all’interno della sto- moralizzare, quella che lui stesso ha definito “la verria della fotografia statunitense. Lo stesso regista tigine del reale“.
Stanley Kubrick affermerà di essere stato fortemente Con l’irruzione della fotografia sulla scena della moinfluenzato dal fotografo di cronaca nera e di averlo dernità il rapporto delle lastre impressionate, dei revoluto come consulente per le riprese del film Il dot- agenti chimici e della camera oscura con il mondo
tor Stranamore (1958).
della legge, della malavita, della devianza psichiatriMa è con il lampo di genio di Wharol che la foto- ca e dei crimini contro l’umanità si presenta non solo
grafia criminale diviene icona pop; siamo calati in molto peculiare, ma certamente complesso e articoun mondo di assoluta riproducibilità e serialità del- lato. È chiaro come si possano riconoscere differenti
le immagini e Wharol si concentra sui volti; l’indi- ambiti di applicazione del mezzo fotografico, tenenziato, il condannato, il colpevole, l’innocente sfilano do sempre ben presente il dato che la fotografia non
democraticamente in una galleria di Mugshots de- è esplicabile in termini definitivi, ma rappresenta “il
clinando la fotografia giudiziaria in un diverso am- principio di una serie di cambiamenti epocali” (Gilarbiente della comunicazione visiva, quello estetico di). Tali istantanee si ordinano in una classificazione
e iconico, inaugurando perciò la segnaletica d’arte. che fa riferimento alle seguenti principali categorie:
Nel 1964, in occasione dell'Esposizione mondiale di la fotografia segnaletica, la fotografia criminale, la foNew York l’architetto Philip Johnson commissiona tografia a uso della medicina legale, la fotografia giua Wharol un grande pannello per decorare la fac- diziaria, la fotografia della scena del crimine.
ciata del padiglione americano, nasce così l’opera Sono categorie dai contorni talora estremamente
Thirtheen most Wanted Men, per realizzare la quale fluidi, e che possono con facilità sovrapporsi e soWharol utilizza le fotografie di 13 ricercati del Federal stituirsi le une alle altre; un semplice fotoritratto può
Bureau of Investigation (FBI), le immagini in bianco diventare segnaletico e poi ancora criminale, l’immasono rese con la tecnica della serigrafia su grandi gine fotografica di un oggetto all’apparenza banale
tavole di forma quadrata composte a formare una può acquistare un valore giudiziario di primaria imscacchiera; la scelta provocatoria desta immediata- portanza, e così via.
mente polemiche e la direzione chiede a Wharol di L’analisi critica più appassionata, eclettica e approrimuovere il pannello. L’artista propone perciò una fondita in materia esce in Italia nel 1978 con il titolo di
sostituzione delle segnaletiche con l’immagine del- Wanted!: storia, tecnica ed estetica della fotografia
lo stesso direttore dell’Esposizione Robert Moses, criminale, segnaletica e giudiziaria. L’autore è Ando
ma alla bocciatura della nuova idea Wharol rispon- Gilardi, che inaugura, così, la serie I sillabari della
de ricoprendo la serie di ritratti con vernice di color Fotografia negata, un progetto editoriale che intenargento, perché rimanga indelebile il ricordo della de rivendicare il giusto peso e ruolo etico-sociale del
censura subita. Nel linguaggio sovversivo di Wharol fotoritratto d'identità e della fotografia pornografica,
i ricercati acquistano la notorietà, il successo sociale emarginate dalle storie ufficiali, eppure così ricche
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di autenticità, aderenza al reale e vissuto da raccontare. Ando Gilardi, giornalista, fotoreporter, pioniere
degli studi italiani sulla fotografia e fondatore della
Fototeca storica nazionale, dedica provocatoriamente tale studio ai “manigoldi con la camera oscura”, ai
protofotografi della polizia e ovviamente ai loro modelli: i pregiudicati, le prostitute, i rivoluzionari: tuttavia, il volume è anche e soprattutto un tributo alla
memoria delle vittime di tutti i crimini privati e dello
Stato, muovendo la propria ricerca dall’assunto che
le macchine fotografiche della polizia rappresentano
“il più fantastico strumento di omologazione dell’uomo“.
Già il ritratto pittorico rinascimentale di profilo appare come una sorta di identikit. La fotografia segnaletica tipica della polizia, ovvero quella classica in
cui vengono ripresi il sembiante di fronte e di profilo (profilo puro e non mezzo profilo) nasce in ambito dell’arte ed è utilizzata dalla scultura; momento
di congiunzione, o meglio di trapasso dalla traccia
del profilo puro del disegno e della pittura e quello dell’immagine fotografica è dato tra Settecento e
Ottocento dalla silhouette (che si ottiene ricopiando l’ombra proiettata dal volto di netto profilo) e dal
physionotrace, chiamato anche ritratto umbratile (ottenuto dal vero con una specie di pantografo).
La segnaletica inizia ad assumere le caratteristiche
della imagerie populaire attraverso le calcografie,
dedicate ai costumi grotteschi, ai mestieri, alle segnaletiche sindacali o corporative, e tale sensibilità
con tutte le sue intense e radicate suggestioni iconiche raggiunge e contamina il senso attribuibile alla
rivoluzione del mezzo fotografico. Il disegno realizzato con la forza della luce costituisce una cifra, un
dato matematico, una formula incontrovertibile, un
documento e una firma. Il potere del dagherrotipo
(prodotto con la camera oscura su una lastrina di
rame d’argento) interessa alla politica tanto quanto
all’antropologia, alla psichiatria, alla legge. La polizia scientifica nasce, spiega Gilardi, prima della metà
del XIX secolo, e il padre della fotografia segnaletica può essere considerato Francois Vidocq (17751857), un avventuriero francese originario di Arras,
truffatore, ex detenuto, che collabora con la Sûreté
di Parigi; una figura da romanzo che ispira Honorè
de Balzac per il personaggio di Vautrin, ma anche la
cinematografia contemporanea, tanto che il regista
Pitof ne affida l’interpretazione a Gérard Depardieu
per il suo action movie dall’ambientazione gotica La
maschera senza volto (2001).
“La fotografia giudiziaria o meglio ancora quella sua
specialità che si definisce segnalativa, o segnaletica,
risolve di colpo per possibilità proclamata, più che
dimostrata, alcuni dei fondamentali problemi enunciati e dibattuti fin dal principio del Rinascimento da
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scienze quali la metoposcopia e la fisiognomonia o
fisiognomica“ (Gilardi).
La Grande Guerra, “gigantesca scena del delitto“ (Gilardi), fornisce rinnovato e diverso impulso all’impiego del fotoritratto, basti pensare ai ritratti fotografici
per la compilazione dei tabulati di propaganda esposti al pubblico riguardanti i caduti, o le foto da studio
che le stesse reclute, indossata la divisa, sono solite
farsi scattare nei giorni della mobilitazione o alla vigilia della partenza per il fronte. Con la Grande Guerra,
i cimiteri prendono l’aspetto di lugubri mostre fotografiche, il ritratto di identità militare irrompe, perciò come vero e proprio caso sociologico, essendo
in grado di racchiudere in una piccola immaginetta,
spesso inespressiva e stereotipata il mistero delle vicende personali e della scomparsa di milioni di uomini, l’ultima reliquia alla quale si aggrappano con
incrollabile fede le madri dei tanti dispersi.
Dopo il primo conflitto mondiale lo sviluppo della
fotografia d'identificazione è sempre più rapido e in
evoluzione. A Parigi, nel giugno del 1928, compare
per la prima volta, con quattro cabine di ripresa (alle
Galeriès Lafayettes, nell’atrio del Petit Journal, al
Luna Park e al Jardin d’Acclimatation) il photomaton
che in Italia viene definito “fototessera in un minuto”, tecnica che consente la ripresa, lo sviluppo e la
stampa immediata dei ritratti.
La ragione psicologica del successo del photomaton, segnalata da Gilardi, è certamente significativa:
“il prezzo era modesto e motivata l’opinione che la
fisionomia umana più vera fosse quella ripresa in
piena solitudine nella minuscola sala di posa della cabina” (Gilardi). L’immagine umana riprodotta dall’apparecchio fotografico rivelerebbe perciò la sua verità
psico-fisica, forse anche i medesimi vizi, le virtù, le
segrete inclinazioni, la sua stessa predestinazione?
Effettivamente in passato qualcuno pensò, pericolosamente, che le fototessera scattate dalla polizia
o dai medici psichiatri potessero disvelare l’identità,
ma soprattutto assegnare al soggetto fotografato un
destino tragico e irrevocabile. I servizi di propaganda e l’ideologia fanatica dei totalitarismi del Novecento se ne servono, infatti, ampiamente e con i più
temibili risultati. Il termine “Wanted”, mutuato perciò
dagli scenari del Far West americano e tradotto nelle
diverse lingue, invade l’Europa seminando il terrore.
È chiaro che il facile successo della foto segnaletica a
uso delle forze dell’ordine, oltre a un contributo eminentemente tecnico-pratico di schedatura e archiviazione, porta con sé, dal punto di vista dell’impatto
psicologico ed emotivo sulle masse, una fondamentale sfiducia nel prossimo, la paura del diverso, la
diffidenza e nel medesimo tempo l’illusione di aver
trovato un efficace sistema di controllo sulla società.
Dalla seconda metà dell’Ottocento, e in particolare
attraverso la lente deformante del positivismo scientista le foto segnaletiche, in qualità di prova giudiziaria, ma ancor più come atto morboso e coercitivo,
vengono raccolte, collezionate dai funzionari della
polizia scientifica, dagli archivi dei manicomi e degli
ospedali, dagli eserciti, dalla polizia segreta di Stalin, dalla Gestapo e dalle SS, alla ricerca delle prove
oggettive della presunta esistenza di una tipologia
umana fissa, ricorrente, selezionabile, perciò “predestinata”. L’arte di Daguerre contribuisce sommamente a creare e diffondere il concetto di marchio
somatico e di verità fisiognomica; una serie di sedicenti scienziati è pronta a sostenere con una notevole varietà di casistiche e applicazioni tali tesi,
pensiamo a Francis Galton, al medico Charcot o all’italiano Lombroso. Cesare Lombroso (1835-1909),
medico, antropologo e criminologo è stato un incredibile accumulatore di testimonianze e reperti riguardanti il crimine e la devianza. A partire perciò da
quella che è, all’origine, una collezione privata, nata
durante il servizio in qualità di medico militare e in
seguito come medico del carcere cellulare di Torino,
ma accresciutasi incredibilmente nel corso delle sue
ricerche, egli istituisce il Museo di antropologia criminale, all’interno del laboratorio di medicina legale
dell’Università di Torino.
La sede museale è ospitata dal 1899 al 1947 presso
il Palazzo degli studi anatomici e diretta dal 1904 al
1931 da Mario Carrara, genero di Lombroso e continuatore delle sue ricerche (estromesso dall’insegnamento di antropologia criminale essendo nel
numero dei pochi docenti che si rifiutarono di giurare fedeltà al fascismo nel 1931).
Dal 2009 le sale del Museo sono state riaperte al pubblico. La raccolta che si prefigge di essere la visualizzazione di un sistema pseudoscientifico, fortemente
criticato e oggi certamente superato, pur nella sua
originalità e inquietante bizzarria, racconta del posto
centrale che il pensiero lombrosiano ha rivestito nella cultura positivista dell’Ottocento e la sua incredibile diffusione e conoscenza a livello mondiale.
All’interno dell’ingente corpus documentario, costituito da crani, manufatti, reperti anatomici, maschere
di cera di volti di criminali, disegni e dipinti realizzati
da alienati e carcerati, schede segnaletiche, tatuaggi,
trova collocazione un ricco archivio fotografico organizzato in due nuclei principali: uno di carattere
esclusivamente personale e famigliare, l’altro legato strettamente agli studi di antropologia criminale,
ma ancor più a un approccio allo studio dell’uomo
fortemente interdisciplinare. La collezione fotografica, la cui datazione copre un arco temporale che va
all’incirca dal 1850 al 1930, pare non avere mai avuto
un reale carattere strutturato e sarebbe la risultante,
non solo della personale opera di raccolta di Lombroso (molte fotografie vennero acquistate), ma soprattutto il frutto di una notevole serie di donazioni
e lasciti proveniente da archivi italiani e stranieri, da
fondi di medicina legale e da parte di studiosi, allievi
e colleghi. Lombroso non si occupa mai personalmente di realizzare fotografie, tuttavia, il supporto
fotografico gli pare offrire un campionario di imma-
9
gini utilissime a comprovare la validità delle proprie
osservazioni e funzionale alla creazione dell’apparato iconografico delle sue edizioni didattico-scientifiche; basti pensare al corredo illustrativo dell’Atlante
allegato alla quinta edizione della ponderosa opera
sulla devianza, L’uomo delinquente studiato in rapporto alla antropologia, alla medicina legale ed alle
discipline carcerarie, uscito nel 1896-1897 (prima
edizione 1876).
Lombroso, come è noto, postula che il crimine non
sia il risultato di una libera scelta, ma la manifestazione di una patologia organica, cioè di una malattia;
il determinismo biologico trionfa sul libero arbitrio
fondando la teoria della degenerazione e spianando il cammino a un principio parascientifico, quello
della fisiognomica, che a partire almeno da Giambattista Della Porta aveva attribuito un indice morale
a ciascun tratto somatico, tracciando così una complessa topologia del volto umano.
In realtà l’analisi delle testimonianze fotografiche
pare quasi provocare un effetto contrario e fragilizzare tali teorizzazioni.
Leggiamo in Lombroso e la fotografia, numero monografico della rivista Locus Solus:“Allo stesso tempo la fotografia, per il fatto di essere così efficace
nella resa della morfologia e dunque altrettanto rigorosa nella capacità di coglierne le differenze, correva
il rischio di risultare avversa alla teoria lombrosiana, fino a divenire la prova della sconfitta, non riuscendo a fissare il delinquente nato con certezza
diagnostica”(Renzo Villa). Il fondo fotografico rivela inoltre quanto fossero eterogenei gli interessi di
Lombroso essendo presente una serie di immagini
di sedute medianiche, che riconducono al suo studio sul rapporto tra fenomeni spiritici e isteria, fotografie di ectoplasmi e immaginario dei fluidi.
Attribuire connotati precisi e oggettivabili alla tendenza criminale e al deviante, rappresenta una fantasia, un’incognita e un’ipotesi che affascina ancora
oggi ed è in grado di condurre a forzature e a ragionamenti insensati. Ci si imbatte così nella notizia
(edita da <Repubblica.it>) che in una facoltà statunitense un giovane ricercatore, quasi rispolverando le
teorie lombrosiane, ma approdando a esiti opposti,
sarebbe riuscito grazie a 300 fotografie elaborate dal
computer a riprodurre l’identikit del perfetto psicopatico.
Il passaggio dall’analogico al digitale segna di fatto
una svolta epocale e coinvolge oltre a una rivoluzione delle forme della conoscenza, anche lo stesso criterio di archiviazione e conservazione dei soggetti,
un tema assolutamente stimolante, provocatorio e
controverso, se leggiamo la situazione a noi contemporanea, dove l’immagine criminale (nelle sue
varianti più estese) riprodotta all’infinito, naviga sen-
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za controllo nel deep web che tutto confonde, rimescola senza filtri, e nel quale è necessario che entrino
in azione sempre più frequentemente le volanti virtuali della polizia. Si comprende come oggi, nell’era
dell’immagine, la coscienza possa con frequenza vacillare di fronte all’esigenza di riconoscere la verità e
la realtà del male.
La discussione in materia, in costante evoluzione,
è di certo infinita. Vale la pena menzionare, tuttavia, l’opinione di Frederic Rousseau in Il bambino
di Varsavia: storia di una fotografia; se un’immagine fotografica diventa icona, e in questo caso icona
della Shoah, cosa rimane dell’interesse verso il suo
significato etico, umano, sentimentale e la sua contestualizzazione storico-culturale? La potenza iconica
paralizza la narrazione in tutte le sue implicazioni di
referenza e problematizzazione. Il celebre scatto, che
ritrae un bambino con le mani alzate in segno di resa
e prigionia, proviene dall’album allegato dal generale
delle SS Jurgen Stroop al rapporto con il quale intendeva informare i suoi superiori Walther Kruger e Einrich Himmler sull’esito delle operazioni compiute dal
Servizio di polizia di sicurezza nel ghetto di Varsavia
tra l’aprile e il maggio 1943.
La storia successiva della fotografia in oggetto è sorprendente; portata al tribunale di Norimberga, duplicata in modo sfrenato, sfuocata, ridotta a manifesto,
travestita, utilizzata nei manuali scolastici “ha cessato
di essere archivio. Non sollecita più il nostro desiderio di conoscere. Dopo essere stata una verità, l’immagine si è trasformata in menzogna” (Rousseau).
Una riflessione sul significato storico sociale della fotografia criminale e nello specifico segnaletica rinvia
senza dubbio al problema universale dell’eterna antitesi fra il bene e il male nella coscienza dell’uomo. Lo
spirito umano s'interroga, chiede delle risposte, ma
quando la tensione verso la verità è intrisa di ideologia e di falsi miti allora anche l’ideale più autentico
nel vano tentativo di rendere trasparente la perpetua
battaglia tra i due principi diviene cieco di fronte alla
ragione.
Leggiamo in Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde
(1886) di Robert Louis Stevenson: “Fu studiando il
lato morale nella mia stessa persona che imparai a riconoscere la profonda e primitiva dualità dell’uomo;
ho visto che, delle due nature che lottavano nel campo della mia coscienza, anche se potevo dire giustamente di essere l’una e l’altra, appartenevo in realtà
radicalmente a tutte e due […]. Era la maledizione del
genere umano, il fatto che quei due elementi contrastanti fossero così legati insieme, che nel seno agonizzante della coscienza, questi due poli dovessero
essere in continua lotta”. Roland Barthes avverte che
la fotografia “non sa dire ciò che dà a vedere”, raccontare il volto del male spetta forse alla letteratura.
Le tenebre del crimine
Pubblicato nel 1841, il roSi
segua
l’immagine
manzo Une ténébreuse affaire
dell’innocente che diventa
uno sguardo alla Commedia
di Honoré de Balzac compone
capro espiatorio: “Basso
una piccola ma significativa
e grosso, brusco e lesto
Umana di Honoré de Balzac
parte del grande affresco
come una scimmia bendella Commedia Umana, uno
ché di carattere calmo,
di Stefano Chemelli
scenario poderoso capace
Michu aveva un volto
di muovere tremila esistenze
bianco, iniettato di sanumane e di includere in sé un
gue, tozzo come quello
universo tutto da interpretare,
d’un calmucco e a cui i canell’abbaglio costante di un’epelli rossi e crespi davano
nergia narrativa unica.
un’espressione sinistra.
Un tenebroso affare è un picGli occhi giallastri e chiari
colo cameo, di un’opera prooffrivano, come quelli
digiosa, e trova riscontro in un
delle tigri, una profondità
fatto di cronaca: il rapimento
interiore in cui lo sguardo
del senatore Clément de Ris,
che l’esaminava si perimpersonato nella figura di
deva, senza incontrarvi
Malin, proprietario del feudo
né movimento né calore.
di Gonderville. Essendo a
Fissi, luminosi e vitrei,
conoscenza di una manovra
quegli occhi finivano per
antinapoleonica, condotta da
far paura. Il contrasto coquel genio di Fouché, Mastante dell’immobilità delin subisce un rapimento da
gli occhi colla vivacità del
emissari inviati dal ministro.
corpo accresceva ancora
L’episodio criminoso coinl’impressione glaciale che
volge in modo pretestuoso i
Michu faceva alle prime.
nobili delle famiglie Simeuse,
In quell’uomo un’azione
casata in possesso della tepronta doveva essere al
nuta prima della rivoluzione,
servigio di un pensiero
insieme a Hauteserre e Michu:
unico; allo stesso modo
il primo, giacobino durante le
che, negli animali, la vita è
sommosse, e caduto succesautomaticamente a servisivamente in disgrazia, perché
gio dell’istinto. […] Quella
considerato una sorta di tradifaccia socratica dal naso
tore; il secondo, fattore fedele
camuso era sormontata
Illustrazione di William Boucher per Storia dei tredici
alla sua antica padrona, Loda una fronte molto bella,
di Honoré de Balzac (1897)
renza di Cinq- Cygne, cugina
ma così convessa che
dei gemelli Simeuse, a loro volta infatuati di lei. Sarà pareva strapiombasse sul volto. Le orecchie ben
proprio Lorenza a parlare alfine, e direttamente, con staccate possedevano una specie di mobilità come
Napoleone sul campo di battaglia di Jena, riuscendo quella degli animali selvatici, che son sempre sul
a ottenere la grazia, ma solo per i cugini. Michu pa- chi vive. La bocca, socchiusa per un’abitudine molto
gherà per tutti, sullo sfondo di una prorompente comune nei campagnoli, lasciava vedere denti forti
analisi sociale della Francia napoleonica, con un Bal- e bianchi come mandorle, ma irregolarmente dispozac scintillante nel descrivere il crimine duplice che sti. Favoriti forti e lucenti inquadravano quella facsi compie, con il gusto sottile del retroscena e lo spi- cia bianca e qua e là violacea. I capelli tagliati corti
rito anticipatore di un poliziesco ante litteram.
dinanzi, lunghi sulle gote e dietro la testa, facevano
Il lettore rimarrà turbato e stupito dalla capacità de- col loro rosso fulvo risaltare tutto quello che la sua
scrittiva degli ambienti, dei tratti e dei caratteri, ma fisionomia aveva di strano e di fatale. Il collo, corto e
ancor più dal dettaglio fisico e ornamentale, che ha grosso, provocava il coltello della legge”.
nell’abbigliamento e nella fisiognomica due vettori Gli indizi che costituiscono la prova critica o logica,
di distinta concentrazione, insieme a una rassegnata fondata su una delle opzioni argomentative, ci incondiscendenza e una fatalità implacabile, che con- segna Balzac, anche in questo romanzo, possono
ducono alla violenza della prevaricazione dei potenti assumere nella forma del dettaglio irrilevante o insul più debole.
significante un valore importante di ricostruzione
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dei fatti, e le vicende del romanzo storico assumono
con la sua forza di osservazione una nuova e potente
penetrazione introspettiva, un’indagine sociale si
mostra in grado di scandagliare la complessità psicologica di un’epoca con l’aiuto di una fantasia creativa feroce e determinata.
Una realtà demoniaca prende piede, dove anche la
virtù, i vizi e le malattie dell’anima, nelle loro varie
forme, trovano cittadinanza in un movimento visionario incessante, capace di attraversare le diverse
generazioni e giungere sino a noi. Commedia e
commerci umani affiancano il genio individuale che
spesso è un delinquente, o indossa, nel quadro di un
progetto più ampio, il ruolo di un’infinita metamorfosi alimentata da un desiderio ardente e mai pago.
Al lettore Balzac dona una parola che colpisce, con lo
sguardo magnetico di un autore instancabile nell’edificare minuziosamente in un ventennio (morirà a
soli 51 anni), una serie di capolavori che lasciano
un solco indelebile, perché proiettati nella mente e
nella memoria delle diverse esistenze, in una specie
di panorama permanente e febbrile, nel quale spicca
il denaro come crinale del lecito e dell’illegale, il segnale della passione che si trasforma in bramosia
opulenta e malata.
Balzac apre a mondi inesplorati: al districarsi nelle
leggi, alle modalità dei processi, alle indagini poliziesche, alla psicologia criminale: è il mondo del
segreto e dei segreti che si svela attraverso una scrittura indomabile, omnicomprensiva, ricca di una tensione che si può anche allentare, ma che non viene
mai meno. La parola di Balzac dura nel tempo, rimane tra noi, senza tradire la sua origine.
Parigi diventa, così, parte nostra, come non potrebbe più divenire, nemmeno dopo decine di viaggi
contemporanei per appena intravedere un tempo
che non è più percepibile con la nettezza dello scrittore che ne ha sondato le viscere dall’interno, in
una morfologia abissale: il ghermire e il dissipare,
la conquista e la decadenza, “tutti vivono al di sopra
delle loro forze – scrive Balzac – in uno dei racconti
più affascinanti della Storia dei Tredici – usurando il
corpo con la mente e la mente col corpo; si torturano nel desiderio… Se la Fanciulla dagli occhi d’oro
era vergine, non era certo innocente. Quella bizzarra
mescolanza di misterioso e di reale, di ombra e di
luce, di orribile e di bello, di piacere e di pericolo,
di paradiso e d’inferno – è la metafora – esiste un
libro orrendo, sudicio, spaventoso, corruttore, sempre aperto e che non si chiuderà mai, il grande libro
del mondo, senza contare un altro libro mille volte
più pericoloso composto di tutti i commenti che ci
sussurriamo all’orecchio noi uomini…”.
Balzac dipinge un quadro tenebroso e demoniaco
che introduce a una sorta di bellezza tutta partico-
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lare, all’estasi di un amore consumato nella morte,
tra debolezze, ricordi e malvagità che si confondono
con il sublime. La sete di un’immaginazione straordinaria è destinata ad appagare anche il lettore più
esigente, nella ciclopica rabdomanzia che l’icastica
arte di Rodin ha saputo scolpire nella pietra di una
compatta e avvolgente affabulazione iconica.
Balzac mette in campo, più in generale, nella sua
opera, l’eterno ribelle, Vautrin, colui che va contro
l’ordine costituito, i tribunali, i gendarmi; un avventuriero, un delinquente illuminato che aspira ad
alimentare il suo desiderio di potenza, un uomo superiore che cozza contro lo stato poliziesco della società borghese, un individualista che sposa la rivolta,
rinunciando a ogni ambizione amorosa, a vantaggio
di un’azione perpetua, e con la fondata prospettiva
d’incarnare un demone, un esteta armato, luciferino,
un angelo del male, una sorta di controfigura dell’Autore che ripone nell’intelligenza ogni sua velleità: “Ai
nostri giorni lo scrittore ha sostituito il sacerdote,
egli porta la clamide dei martiri, soffre mille mali,
prende la luce dell’altare e la distribuisce ai popoli; è
principe, mendicante, consola, maledice, prega profetizza; la sua voce oltrepassa la navata di una cattedrale, egli può far scoppiare i suoi tuoni da un capo
all’altro del mondo; il suo gregge è il genere umano,
che ascolta i suoi poemi, li medita, e una parola, un
verso hanno oggi altrettanto peso sul piatto della
bilancia politica quanto in altri tempi una vittoria”.
Siamo, evidentemente, nel 1844, ma la visione messianica della scrittura di Balzac è allo stesso tempo
fortemente meritocratica e richiede al contempo un
simbolo catalizzatore, che egli coglie nel prestigio di
una monarchia costituzionale in grado di raccogliere
le migliori energie del Paese.
Nel fervore di un lavoro metodico e indefesso si stagliava una figura che Rilke ha descritto in poche battute cogliendone l’essenza al primo sguardo: “Era
Balzac, nella fertilità del suo straripante talento; il
fondatore di generazioni, il dissipatore di destini. Era
l’uomo i cui occhi non avevano bisogno di nulla: se il
mondo fosse stato vuoto, i suoi sguardi lo avrebbero
popolato. […] Era la creazione in persona che si rivelava attraverso la figura di Balzac; era l’arroganza,
l’orgoglio, la vertigine, l’ebbrezza della creazione”.
“L’uomo era in lui cento volte più vasto e comprensivo dello scrittore”, disse di lui Lamartine, e
basterebbe questa battuta a invogliare chiunque a
riprendere in mano quelle splendide edizioni dedicate a uno degli spiriti immortali dell’umanità, colui
che ancora ci introduce, in una forma larvata ma assolutamente definita, nel mondo opaco e dissoluto
della criminalità intesa come continuo limite oltre
il quale siamo indotti invariabilmente a misurare e
soppesare le maschere infinite del teatro del mondo.
Cybercrime
tità di denaro dai bancomat.
Nel maggio 2013 diversi
In questo caso gli hacker
media titolano “la truffa innon intaccano conti azienformatica del secolo”. Gli
dali o individuali, ma i fondi
investigatori statunitensi pardi Alice Manfredi
accantonati dalle banche per
lano di un gruppo criminaricaricare le carte prepagale, che, prendendo di mira i
te, appunto. C'è ancora un
bancomat in ventisette Paesi,
elemento da considerare: il
ha prelevato quarantacinque
sistema funziona, perché in
milioni di dollari in due dimolti Paesi, Stati Uniti comstinti episodi (Paisley Dodds,
“World attempts to adjust to the rise of cyber crime“, presi, i bancomat accettano anche tessere con bande magnetiche senza chip che non garantiscono un
Huffington Post, 11 maggio 2013).
Nel dicembre 2012 avviene un primo colpo in cui buon livello di protezione dei dati. Una truffa quasi
spariscono cinque milioni di dollari. Dopo questa perfetta, perlomeno nella sua parte “virtuale”. Il pas“prova generale” il gruppo mette a segno il colpo so falso che fa scoprire l'imbroglio avviene però nel
grosso. Nel febbraio 2013, attraverso circa 36.000 mondo “reale”. Alcuni membri della cellula americaoperazioni e nell'arco di dieci ore, vengono rubati na della banda vengono, infatti, notati nei video delle
telecamere che riprendono i bancomat. La quantità
quaranta milioni di dollari. Come è stato possibile?
Il meccanismo alla base è in realtà piuttosto sem- di banconote che tentano maldestramente di infilare
plice. Un gruppo di hacker entra nei database delle negli zainetti è eccessiva e desta sospetto.
banche sotto attacco, cancella i limiti di spesa delle Un caso come questo rende bene l'idea della relaticarte prepagate e genera nuovi codici con questa ca- va facilità con cui possono essere organizzate truffe
ratteristica. Alcuni complici caricano quindi i codici di grandi dimensioni utilizzando il web. Un crimine
appena creati su tessere magnetiche di vario tipo – in continuo aumento, come ha dichiarato in seguito
bancomat scaduti, tessere fedeltà dei supermercati a questa truffa Marcin Skrowronek, uno degli invee persino chiavi elettroniche d'albergo. Infine, le tes- stigatori dell'European Cybercrime Center, istituito
sere vengono utilizzate per prelevare ingenti quan- presso l'Europol. Secondo le sue dichiarazioni, ri-
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portate dall'Huffington Post “stiamo vedendo un
numero senza precedenti di casi di truffe online che
includono phishing di dati finanziari, virus, furti di
carte di credito e altro”.
Cyberspace, cybercrime, cyberzar
Quando si affronta questo argomento ci si trova immediatamente di fronte a un guaio linguistico. Manca
un'espressione unica e inattaccabile per delimitare
il settore. In italiano, si parla spesso di “crimine informatico”, ma l'aggettivo – almeno nell'accezione
comune – è troppo legato all'aspetto tecnico, alla
“macchina” per comprendere i diversi fenomeni di
criminalità sul web o che semplicemente si servono di esso. A sua volta, l'espressione “criminalità sul
web” è limitante perché non include il crimine informatico che esisteva anche prima di internet.
Nemmeno l'inglese risolve in modo definitivo la questione. Questa lingua si serve di due espressioni,
per molti versi analoghe a quelle italiane: computer crime e cybercrime. Tra tutte, forse quest'ultima
è comunque la più adatta perché il suo significato
sconfina i pur vasti confini del web.
La mole del cybercrime e le perdite complessive per
aziende, cittadini, governi sono enormi e difficilmente calcolabili. Si tratta di un fenomeno per sua natura
extranazionale e i singoli Paesi si trovano in difficoltà
non solo a contrastarlo ma anche ad analizzarlo e
misurarlo. Un'indicazione di grandezza può venire da
una dichiarazione rilasciata dal presidente degli Stati
Uniti Barack Obama nel gennaio 2009, quando afferma che il costo complessivo per gli americani nell'arco dei due anni precedenti ammonta a 8.000 miliardi
di dollari (Randy James, “Cybercrime”, Time, 1 gennaio 2009).
Questa valutazione spinge il presidente Obama a
nominare addirittura uno cyberzar, una persona in
grado di coordinare i diversi sforzi per combattere
il cybercrime. Per questo ruolo viene nominato in
un primo tempo Howard Schmidt, ex consulente di
George W. Bush, sostituito, nel 2012, da Michael Daniel, da dieci anni a capo del ramo specializzato in
intelligence dell'Office of Management and Budget
istituito presso la Casa Bianca. Così come non è facile misurare e contrastare il cybercrime, altrettanto
difficile è individuare un'evoluzione del fenomeno
perché i diversi tipi di crimine non sono andati sostituendosi l'uno con l'altro, ma piuttosto sommandosi
e intersecandosi tra loro. Ciò nonostante, è possibile individuare alcune tendenze considerando che
quando si parla di criminalità in questo settore sono
due le tipologie da considerare: da una parte la criminalità rivolta verso i computer, in genere per danneggiarli, dall'altra il sempre più diffuso crimine che
si serve dei computer per colpire altri obiettivi.
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Anni sessanta e settanta: phone phreaking e sabotaggi
Il precursore della criminalità informatica è il cosiddetto phone phreaking, la pirateria telefonica.
Consiste nel modificare in modo illecito i sistemi di
chiamata di lunga distanza per divertimento o per
utilizzare il servizio senza pagare. Il primo pirata telefonico conosciuto nella letteratura sull'argomento
è un bambino cieco di 7 anni che nel 1957 imparò
a riprodurre, fischiando, il tono di 2.600 Herz che la
compagnia telefonica statunitense AT&T utilizzava
per consentire chiamate di lunga distanza (Elizabeth
McCracken, “Dial-Tone Phreak”, New York Times, 30
dicembre 2007).
In seguito, altri “pirati”, non altrettanto abili, realizzarono strumenti adatti a riprodurre artificiosamente il
fischio, i cosiddetti blue boxe.
Nei primi anni della criminalità informatica molto
diffusi furono anche i sabotaggi che provocavano
danni fisici alle macchine. Un caso singolare avvenne tra il 1970 e il 1972: presso la National Farmers
Union Service Corporation di Denver si registrarono
cinquantasei casi di rottura della testina del disco di
un computer, causando ogni volta l'intervento di una
squadra in grado di ripristinarlo. Più volte la macchina venne riparata e potenziata ma le rotture non
cessarono. Finalmente, dopo due anni, si sospettò il
sabotaggio e, per questo, sul luogo venne installata
una telecamera.
Fu possibile così filmare il cinquantasettesimo danneggiamento, a opera di un guardiano notturno, che
utilizzava una chiave per rompere sistematicamente la macchina. Le indagini successive ebbero un
esito sorprendente. Il guardiano, passato alla storia
con il soprannome di “Albert il sabotatore”, soffriva
la monotonia e la solitudine legate al suo lavoro e
provocava le rotture per poter godere della compagnia della squadra d'intervento cui prestava sempre
volentieri aiuto (Michel E. Kabay, A brief History of
computer crime, Norwich University, 2008).
Meno poetico un altro fenomeno riscontrato in quegli anni: molti furono i furti o le distruzioni di dati
portati a termine con un accesso lecito ai sistemi di
sicurezza, e cioè utilizzando le password corrette.
Spesso opera di dipendenti malintenzionati a conoscenza dei codici di sicurezza.
Anni ottanta e novanta: malware e crimini finanziari
Gli anni ottanta sono quelli in cui cominciano a diffondersi i malware. Il termine, crasi di malicious
software, indica i software creati con l'esplicito scopo di causare danni ai computer. Una piaga da cui
non ci si è più liberati.
I malware comprendono diverse tipologie. Tutti conoscono i virus, tecnicamente parti di codice maligni
che si copiano all'interno dei programmi o del disco
fisso provocando danni ogni volta che vengono
aperti. Ci sono poi gli worms che differiscono dai virus solo perché attaccano il sistema operativo. Non
meno noti sono i cavalli di Troia, software apparentemente utili e innocui che quindi gli utenti installano
senza allertarsi: purtroppo, oltre agli elementi attesi, contengano anche parti dannose. Altre tipologie
sono poco conosciute, per lo meno tra i non esperti.
Tra queste, le logic bombs, software programmati
per danneggiare le macchine nel momento in cui si
verificano determinate condizioni.
Secondo un impiegato del Consiglio di Sicurezza degli Stati Uniti, Thomas C. Reed, il Governo americano autorizzò l'inserimento di una time bomb – una
speciale versione delle logic bombs – in un software di controllo che sapevano sarebbe stato rubato
dai sovietici per controllare il gasdotto transiberiano
durante la guerra fredda. Il risultato fu un'esplosione senza precedenti (David E. Hoffman, “CIA slipped
bugs to Soviets: Memoir recounts Cold War technological sabotage”, Washington Post, 27 febbraio
2004). Dagli anni novanta in poi virus e worms si diffusero senza precedenti. Molto noto fu “I Love you”,
o ancora “Melissa” contenuto in un allegato a una
email e in grado di inviarsi autonomamente ai primi
cinquanta contatti dell'utente malcapitato.
Gli anni novanta segnarono anche l'avvento di nuovi crimini finanziari. Invece di rubare e utilizzare le
password corrette, gli hacker si specializzarono nel
penetrare e quindi sovvertire i sistemi di sicurezza.
A cavallo del nuovo Millennio e oltre
Verso la fine degli anni novanta cominciò l'invio incontrollato di email pubblicitarie a migliaia di contatti.
Era nato lo spam, un fastidioso fenomeno destinato
a crescere negli anni successivi. Un problema che indusse molte aziende a sviluppare software in grado
di filtrare le email sulla base del loro contenuto.
Uno sfruttamento criminale della tecnica dello spam
è il DoS (Denial of Service) che consiste nel ridurre
l'accessibilità di un sistema, per esempio un sito internet, saturando le sue risorse – detto in modo più
prosaico “bombardandolo di richieste”.
Noto è il caso di un ragazzino di quindici anni che
nel 2000 con lo pseudonimo di “mafiaboy” utilizzò
questa tecnica e riuscì a mettere sotto scacco colossi del web come Yahoo, Amazon, eBay e CNN per
diverse ore.
Nell'ultimo decennio l'attenzione alla criminalità online si è concentrata su una sfera molto meno legata
all'aspetto informatico rispetto a quanto visto fin qui.
Si è posta giustamente sempre più attenzione ai rischi di maltrattamento, sfruttamento, abuso che le
persone e, in particolare i minori, possono subire attraverso internet. Un rapporto del 2011 dell'Organiz-
zazione mondiale della Sanità, dal titolo “Safety and
Security on the internet” si occupa della questione.
È necessario partire anzitutto da un'osservazione banale e cioè che la percentuale dei ragazzi e dei bambini che nei paesi sviluppati ha accesso a internet ha
ormai superato il 90%. In linea generale questi utenti
sono a rischio perché – afferma il rapporto – internet
consente ai malintenzionati un accesso istantaneo
a un gran numero di potenziali vittime, oltre a offrire loro l'opportunità di creare proprie “comunità”.
L'avvicinamento alle vittime può avvenire attraverso
social networks, chat rooms, giochi di ruolo, mondi
virtuali. La pedofilia non è l'unico rischio. Diverse ricerche hanno affrontato il tema del “cyberbullismo”
che sembra diventato un problema importante per
molti bambini e teenager.
Le risposte a tali rischi non possono dirsi ancora
soddisfacenti. Secondo una ricerca dell'Organizzazione mondiale della Sanità, riportata nel rapporto,
solo meno della metà degli Stati ha siti istituzionali
specializzati in sicurezza online o iniziative di educazione dei cittadini su questi temi.
Inoltre, ancora meno diffusi sono gli strumenti tecnologici che possono limitare i rischi. Meno di un
quarto dei Paesi prevede l'obbligo di filtri adeguati
nei luoghi come scuole e biblioteche che consentono l'accesso a internet da parte dei minori. E nelle
aree più sviluppate questa percentuale sale ad appena il 26%.
Cappelli bianchi, neri e grigi
Quest'ultimo tipo di criminalità ovviamente non è
specifico del web o dei computer. In questo caso la
rete è semplicemente lo strumento per portare a termine un crimine odioso il cui artefice potrebbe servirsi anche di altri mezzi di contatto.
Intorno al crimine più propriamente informatico,
invece, si è creata, a partire dagli anni ottanta, una
mitologia e un ambiente underground i cui contorni
sono molto sfumati.
Esistono gruppi, riviste e convegni che con il tempo
sono diventati un vero e proprio punto di riferimento
per gli esperti del settore. Generalmente i gruppi criminali sono conosciuti come “cappelli neri” mentre
i consulenti e gli esperti in sicurezza sono detti “cappelli bianchi”. A complicare le cose ci sono i “cappelli grigi”, hacker che usano metodi poco ortodossi
per colpire le aziende e, a loro modo di vedere, denunciarne le falle in ambito di sicurezza. Da notare,
infine, il grande numero di criminali informatici che,
una volta scoperti e scontata la loro pena, sono passati nelle file degli esperti in sicurezza. Il passaggio
inverso – da cappello bianco a cappello nero – è per
ovvie ragioni meno noto, ma ragionevolmente non
è da escludere.
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Scipio Sighele
La dicitura sul cartello della via
loro forma contemporanea, le
eponima nel paese di Nago, nei
discipline che oggi chiamiamo
la psicologia delle folle
pressi della casa di famiglia,
psicologia sociale e sociologia
ricorda Scipio Sighele come
(termine che pure allora era
e le origini della sociologia
“sociologo”. Pochi metri più in
in circolazione da oltre mezzo
del XX secolo
là, si trovano il busto e la stele
secolo). Per quanto a Sighele
poste in sua memoria dagli
sia in seguito toccato il ruolo
studenti trentini nel 1921. Condi classico semi-dimenticato,
di Andrea Mubi Brighenti
siderato inoltre che la fortuna
nel torno di anni dell’ultimo
delle sue opere e la sua fama in
decennio del XIX secolo e del
vita furono notevoli, e che egli si trovò al centro di un primo del XX egli fu effettivamente al centro di uno
intenso dibattito intellettuale a livello internazionale, straordinario dibattito di idee. Comprendere le folle
tutto sembra indicare che, a un secolo esatto dalla significava, infatti, ragionare non solo su una nuova
sua morte, Sighele possa essere oggi commemo- configurazione sociale, che poco più tardi sarebbe
rato come il primo sociologo trentino. Le cose però stata chiamata società di massa, ma anche su una
non sono così facili.
nuova immagine del soggetto umano nelle sue
Forse non è neppure di primaria importanza il fatto relazioni con gli altri, vale a dire la presa in conto di
che Sighele non nacque, non visse stabilmente e quel territorio psichico che anche oggi chiamiamo
non morì in Trentino, terra che rimase per lui una l’inconscio. Sighele operò perciò in un momento di
sorta di patria del cuore. Qui erano le origini familiari intensa elaborazione intorno a una serie di catego– una famiglia borghese di magistrati, senatori del rie e concetti fondamentali che nel vocabolario della
regno e procuratori generali, che i francesi ascrive- scienza sociale del XX secolo sono apparsi come
rebbero probabilmente a quella che essi chiamano potere, organizzazione, identità e così via.
la noblesse d’État – e la splendida villa ove egli si In quel contesto, il progetto di una psicologia colrecava per i soggiorni di studio, oltre che, sempre lettiva era di costituire un campo di studio che si
più a partire dalla seconda metà degli anni novanta sarebbe occupato di quei fenomeni di associazione
dell’Ottocento e nel primo decennio del Novecento, improvvisa (“eterogenei” e “inorganici”, come si
per tenere conferenze politiche – che lo portarono esprimeva Sighele) che restavano esclusi tanto
prima ad essere citato in tribunale (anno 1900) e dalla psicologia ottocentesca, la quale si occupava
quindi ad essere espulso dai territori austriaci (1912, soprattutto delle facoltà e dei caratteri dell’indivil’anno prima della morte).
duo, quanto dalla sociologia positivista, che si occuMa l’appellativo di “sociologo” richiede speciali cau- pava solo della caratterizzazione generale dei grandi
tele non solo perché la stele posta dagli studenti sistemi storici. Si trattava, dunque, di installarsi nel
all’inizio degli anni venti lo ricorda, più che come cuore di quel grande gioco d’azione che era stata
scienziato sociale, come fervente patriota e irre- l’apparizione delle folle nel corso del secolo XIX. Ed è
dentista. In effetti a ben vedere Sighele, pur collo- forse proprio perché al termine di un secolo di moti,
cando i propri studi nell’ambito della scienza sociale, rivolte e sommosse urbane le folle erano divenute
non si reclamò mai apertamente “sociologo”. Il suo oggetto principe delle preoccupazioni del potere
interesse di giurista per i fenomeni criminali e per il costituito e la quintessenza della minaccia all’ordine
diritto penale si era forgiato nell’ambito della scuola borghese che La folla delinquente è stato spesso
positivista italiana (discendeva da una filiera illustre frainteso come un libro intriso di un elitista disprezzo
dacché si era laureato con Enrico Ferri, a sua volta per le folle. Progetto politico di tipo marcatamente
allievo di Cesare Lombroso), ma le sue ricerche pre- reazionario era d’altra parte quello di Le Bon, autore,
sero una svolta inattesa quando a soli 23 anni, nel solo pochi anni dopo, nel 1895, di un lavoro che si
1891, pubblicò La folla delinquente. A partire di qui sarebbe rivelato ben più influente, la Psychologie
egli introdusse – e più tardi, in una polemica di stile des foules. Solo più recentemente diverse riflessioni
primum ego contro Gustave Le Bon, rivendicò l’in- contemporanee, come quelle di Jaap van Ginneken,
venzione di – un nuovo ambito di studi o, come lo Suzanne Stewart-Steinberg e Damiano Palano,
chiamò, un nuovo “ramo di scienza”: la “psicologia hanno riabilitato una visione più complessa e bilandelle folle”. Di che si trattava?
ciata del pensiero di Sighele rispetto alla popolarizAnzitutto è bene sapere che oggi non esiste più zazione compiuta da Le Bon.
uno specifico tipo di studi di questo genere: non Vero è che la tesi di fondo dell’analisi di Sighele
vi sono né esami universitari né corsi di dottorato mirava a mostrare come la folla sia una situazione in
così intitolati. Nondimeno, il dibattito sulle folle fu cui le emozioni s’intensificano, ma il ragionamento
per così dire la culla in cui si sono forgiate, nella si semplifica, e che, dunque, essa è una creatura
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quanto fosse convinto che, comunque, l’elevazione
morale della folla non sarebbe potuta provenire che
dall’esterno (e dell’alto), l’aspetto più originale della
sua analisi si situava nel tentativo di operare una
sintesi di motivi e argomenti presenti tra la scuola
italiana e quella francese. Laddove, infatti, l’antropologia positivista italiana si era focalizzata quasi
esclusivamente sui fattori atavistici della devianza (il
criminale come retaggio di epoche passate), l’antropologia medica e la criminologia francese avevano
insistito sulle variabili ambientali e le dinamiche imitative. Sighele modificò in modo sostanziale la tesi
della “degenerazione ereditaria” di Lombroso ma
senza osare sfidarla apertamente, cercando anzi di
rinvenire in Lombroso stesso le prime intuizioni di
una presa in conto delle cause “ambientali”, ovvero
diremmo noi sociali, del crimine. Nonostante questi
tentativi di conciliazione è sempre più chiaro che,
soprattutto negli anni seguenti, le influenze principali
su Sighele non provengono più da Ferri, bensì da
Tarde, l’originale ed eclettico teorico francese. In un
fotografia di Luca Chisté
intrinsecamente sbilanciata e pericolosa, oltre che
intellettualmente mediocre: “da una moltitudine –
consigliava l’autore – voi temete sempre, sperate
di rado”. Nondimeno, il cuore del lavoro di Sighele
era costituito da un’analisi delle dinamiche di imitazione, suggestione e “fermentazione psichica” che
caratterizzano le situazioni di folla. Paradossalmente,
proprio l’attenzione rivolta al contesto e alle variabili
ambientali che caratterizzano l’agire delle persone
all’interno della folla forniva un argomento difensivo
circa la diminuita responsabilità nei confronti di chi
in quel contesto compiva dei reati – argomento che,
infatti, Ferri utilizzò in sede giudiziaria come avvocato difensore. Politicamente parlando, il giovane
penalista trentino era un liberale con spiccate sensibilità socialiste, e le situazioni di folla che egli aveva
in mente erano soprattutto quelle delle proteste che
si coagulavano intorno al movimento socialista.
Per quanto Sighele ritenesse che quel che una folla
particolare avrebbe potuto fare sarebbe fatalmente
dipeso dalla sua “costituzione antropologica”, e per
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certo senso Sighele si trovò a barcamenarsi tra due
influssi intellettuali estremamente diversi e difficilmente conciliabili, tentandone una sua personale sintesi. Nel far ciò egli intuì e pose una serie di questioni
di estrema importanza, a partire dal campo propriamente “collettivo” della costituzione sociale (tema
che sarà di Durkheim) fino all’esistenza di forze che
attraversano gli individui nella forma dell’inconscio
(tema che sarà naturalmente di Freud): ma, poiché,
almeno ufficialmente, Sighele rimase sempre reclutato nel campo della scuola positivista, quel che ne
risulta è che egli si trovò a rappresentare, probabilmente in modo per nulla intenzionale, il miglior
testimone della crisi di un importante modello epistemologico dell’Ottocento.
Se allora Sighele prefigura così tanti temi sociologici,
perché non annoverarlo a pieno titolo tra i sociologi?
Il punto è che la sociologia del XX secolo – soprattutto nelle opere dei suoi fondatori Weber, Durkheim
e Simmel, e nella sistematizzazione disciplinare
che ne risulterà nei decenni successivi – nasce precisamente come una presa in conto della crisi del
positivismo e da un conseguente tentativo di superamento. Sighele non compì quel passo, come rivelano anche gli inconvenienti metodologici dei suoi
lavori. Clara Gallini, ad esempio, ha rilevato che le
argomentazioni di Sighele sono spesso condotte
a forza di massime, adagi e analogie, vale a dire di
un orizzonte di senso comune, ignaro dei contemporanei tentativi di fondazione della scienza sociale
moderna.
Così come è sintomatico di una crisi dei modelli epistemologici, Sighele lo è altrettanto di una crisi di
quelli politici. Forse non a caso, nel corso degli anni
novanta, dalla scienza sociale i suoi interessi si spostarono sempre più verso gli argomenti politici e di
attualità e la sua produzione divenne più pubblicistica, pamphlettistica e polemica. In questo campo
il suo profilo è probabilmente ancora più complesso
da tracciare, poiché riguarda lo statuto dell’intellettuale nella vita pubblica moderna.
Può essere interessante ora accennare due ultimi
elementi per la riflessione. Nel 1895, Sighele pubblicò un pamphlet che suscitò vivaci reazioni. Si
tratta di Contro il parlamentarismo, più tardi ripubblicato con il più sobrio titolo di Il Parlamento e la
psicologia collettiva. In reazione, alcuni commentatori lo presero per un anti-democratico tout court. In
realtà, l’analisi ivi condotta discende in modo conseguente dall’impostazione teoretica dello studio
delle folle, poiché per Sighele vale l’assioma che in
fondo “ogni assemblea è una folla”. Il problema è
sempre quello della qualità di azione dei corpi collettivi, e indubbiamente non ci si allontana da un pessimismo di fondo. Sia in campo intellettuale sia in
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campo morale la performance del parlamento è giudicata scadente da Sighele, affetta da “fatali esagerazioni”: “la Camera è psicologicamente una femmina
e spesso anche una femmina isterica”. Anche sul
meccanismo elettorale Sighele si fa poche illusioni,
poiché l’elettore non è “altro che un suggestionato”.
A dispetto dell’analisi, però, che di per sé potrebbe
anche sottendere un disegno antidemocratico o elitista, in realtà l’obiettivo del testo è di tipo riformista: la proposta finale del saggio è, infatti, di ridurre il
numero dei Parlamentari e di retribuirli con un giusto
compenso costringendoli contemporaneamente a
non esercitare altri lavori (e incidentalmente non è
chi non veda l’attualità dei due temi).
Dato poi il sotteso della battuta sul Parlamento “femmina isterica”, che oggi giudicheremmo sessista in
modo imbarazzante, il secondo punto che vorrei
brevemente toccare riguarda la copiosa produzione
di scritti sulle donne, il femminismo, l’amore e la
morale sessuale, che occupa Sighele a partire dalla
fine degli anni novanta. Anche in questo campo, la
disinvoltura apparente di Sighele nel trattare delle
bizzarrie dei costumi sessuali del proprio tempo, che
vanno dal “quinto sesso” ai “gigli” (alias, le zitelle),
finisce per mescolare in modo che risulta oggi persino un po’ comico un tentativo di porsi nel ruolo
di osservatore disincantato e ironico delle dinamiche
sociali, insieme a una volontà riformista che intende
senza dubbio confrontarsi con un' ampia gamma di
dati e situazioni, senza però mettere in discussione
il quadro di un tradizionalismo morale che avrebbe
richiesto ancora parecchi decenni prima di cedere (e
per il quale la massima aspirazione della donna era la
sua realizzazione come madre).
In ultimo, di Scipio Sighele non va dimenticato che
morì a 45 anni e in questo senso il suo pensiero non
può essere considerato compiuto. Direi di più: a mio
avviso, l’aspetto più interessante di questo percorso
intellettuale è proprio quello in cui si colgono elementi non risolti e dinamici. In comune con Sighele e
gli altri autori del dibattito sulle folle di fine Ottocento
abbiamo una serie di problemi. Non è in fondo anche
la nostra una nuova “era delle folle”, sebbene le folle
con cui abbiamo a che fare non sono solo quelle
nelle strade (che pure ci sono) ma anche le folle di
dati digitali? Evidentemente non possiamo prendere
per buone le risposte che questi autori si diedero, né
probabilmente i concetti e le leggi sociali che, spesso
con una certa facilità, essi asserirono: nell’affrontare
il loro pensiero, dobbiamo storicizzarlo. Se le risposte che Sighele si è dato, tuttavia, non ci vanno più
bene, mi pare interessante sottolineare come le
questioni che egli si pose siano ancora attualissime;
anche solo in questo senso, tornare oggi a studiarlo
è assai utile.
Fallo involontario
Nel secolo scorso il dibattito
“Nessuno può essere punito
svoltosi tra psichiatria e giuper un'azione od omissione
imputabilità,
stizia in Italia si è incentrato
preveduta dalla legge come
particolarmente, in ambito
reato, se non l'ha commesso
responsabilità
penale, sul problema dell'imcon coscienza e volontà”.
e infermità mentale
putabilità (articoli 88 e 89
Questo articolo è l'espresc.p.), della pericolosità sociasione del rispetto del princile (articoli 202 e 203 c.p.), e in
pio fondamentale in base al
di Felice Ficco
minor grado, in ambito civile,
quale ogni persona è responsui temi relativi a forme di lisabile delle proprie azioni e
mitazione della capacità d'agire, quali l'interdizione e omissioni, salvo prova contraria. E la “prova conl'inabilitazione (articoli 414 e 415 c.c.).
traria” è contenuta in precisi disposti di legge che
Al giorno d'oggi la psichiatria forense attraversa un vanno dall'articolo 85 all'articolo 98 c.p.: tra questi,
periodo di grande interesse suscitato dall'attenzio- l'infermità di mente.
ne crescente che i mass-media rivolgono a fatti di In altre parole, ciò significa che un soggetto deve
cronaca registrati in diversi contesti. E sempre più sempre rispondere (responsabilità) davanti alla legspesso psichiatri forensi e criminologi compaiono in ge quando commette un fatto preveduto come reato
programmi televisivi per trattare in qualità di esperti e, se di questo è imputabile, per questo deve essere
di delitti e reati i più vari. Anche nelle aule di tribuna- punito. Per quanto riguarda l'imputabilità dell'autole, da parte di giudici e/o avvocati, la presenza dello re di reato il codice penale attualmente in vigore è
psichiatra viene invocata sempre più spesso affinché regolata dagli articoli 85, 88 e 89 del codice penale,
fornisca una valutazione peritale sulla capacità di in- precisamente:
tendere e di volere del reo al momento del reato. Articolo 85 c.p. – Capacità d'intendere e di volere
La perizia psichiatrica, infatti, è lo strumento utiliz- “Nessuno può essere punito per un fatto preveduto
zato dal diritto per verificare la presenza o meno di dalla legge come reato, se, al momento in cui lo ha
condizioni di malattia mentale di rilievo giuridico in commesso, non era imputabile. È imputabile chi ha
una persona accusata di aver commesso dei reati. In la capacità d'intendere e di volere”.
termini molto semplici: se un individuo è portatore Articolo 88 c.p. – Vizio totale di mente
di un evidente disturbo psichiatrico (o neurologico “Non è imputabile chi, nel momento in cui ha comcomportamentale) e commette un reato, quello che messo il fatto, era, per infermità, in tale stato di menè richiesto al medico è di valutare se questo fatto è te da escludere la capacità d'intendere o di volere”.
“sintomatico” della malattia stessa o meno, e se per- Articolo 89 c.p. – Vizio parziale di mente
ciò ne possono derivare conseguenze sul piano della “Chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era,
responsabilità penale. La legge vieta tassativamente per infermità, in tale stato di mente da scemare granogni indagine psicologica o personologica sull'auto- demente, senza escluderla, la capacità d'intendere o
re del reato. In altre parole, la perizia è esclusivamen- di volere, risponde del reato commesso, ma la pena
te un accertamento psichiatrico, volto cioè a stabilire è diminuita”. Quindi l'imputabilità è legata alla capala presenza o meno di un'infermità mentale. Il que- cità d'intendere e di volere del soggetto, al momento
sito che il giudice pone allo psichiatra è il seguente: in cui questi ha commesso il fatto-reato.
“Dica il perito, esaminati gli atti di causa, visitato In altre parole, tutti coloro che, compiuto il diciottesi(nome e cognome), eseguiti tutti gli accertamenti mo anno d'età, commettono un reato, sono imputaclinici e di laboratorio che riterrà necessari ed op- bili, tranne che si tratti di autori che – al momento del
portuni (e che fin d'ora si autorizzano nei limiti del 2° fatto per cui si procede – si trovavano, per infermità,
comma dell'articolo 228 del c.p.p.), se al momento in tale stato di mente da escludere o scemare grandel fatto per cui si procede, la capacità di intendere e demente la loro capacità d'intendere o di volere.
di volere di (nome e cognome), fosse, per infermità, Vediamo allora cosa s’intende per “capacità”.
esclusa o grandemente scemata”. Alla luce di que- Capacità d'intendere è, per tutti gli autori, quella caste brevi considerazioni introduttive risulta che tra le pacità di comprendere (non solo a capire, quindi) il
problematiche centrali, in ambito psichiatrico foren- valore e, quindi, il disvalore sociale dei propri atti e
se, particolare rilievo assume il rapporto esistente di valutare l'efficienza causale degli stessi.
tra responsabilità, imputabilità e infermità di mente. Capacità di volere consiste invece nell'attitudine del
soggetto, dopo essersi reso conto del valore dell'atResponsabilità e Imputabilità
to che sta per compiere, a volerlo o non volerlo, cioè
Nei riguardi della responsabilità, cosi recita l'articolo all'idoneità che il soggetto ha avuto ad autodetermi42 del c.p.:
narsi in vista del compimento o dell'evitamento di
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quell'azione che si è costituito in reato.
L'imputabilità è data quindi dalla presenza di ambedue le capacità (articolo 85 c.p.): tuttavia, nel
momento in cui è stato commesso un reato, è sufficiente che anche solo una delle due sia esclusa o
gravemente scemata per parlare rispettivamente di
vizio totale (articolo 88 c.p.) o parziale (articolo 89
c.p.) di mente. Tra il vizio totale e quello parziale la
differenza è essenzialmente quantitativa, in relazione
cioè al grado o misura dell'incidenza del disturbo sulla psiche del soggetto. Il vizio totale, determinante la
non imputabilità del soggetto, richiede che l'infermità sia tale da escludere completamente la capacità
d'intendere o quella di volere, mentre il vizio parziale
si ha quando l'infermità scemi grandemente senza
escludere la capacità intellettiva o volitiva del soggetto che rimane pertanto imputabile, sia pure con
una pena ridotta.
da qualsivoglia “stato di mente per infermità”, quanto dal suo rapporto con l'atto commesso. Altrimenti
si potrebbero considerare, a priori, ad esempio, tutti
gli schizofrenici come non imputabili tout-court nel
momento in cui commettono un fatto-reato.
Ugo Fornari (Trattato di psichiatria forense, Torino,
Utet, 2008, p. 155) afferma:
“In linea di massima, si può ipotizzare che vizio di
mente (totale o parziale) esista solo in quei casi in cui
il reato può, a buona ragione, essere iscritto in determinati disturbi mentali di cui il soggetto è portatore
e del correlato, alterato suo funzionamento essere
ritenuto sintomatico: in difetto o in assenza di detto
rapporto, anche il malato di mente può essere ritenuto imputabile per il reato che gli viene addebitato,
dal momento che, pur essendo egli affetto da disturbi psichici, questi non incidono funzionalmente sul
suo comportamento criminale che si colloca in spazi
convenzionali (e funzionali) di ‘libertà’, ‘autonomia’
e ‘capacità’ dell'Io”. Questa è la profonda differenza
esistente tra l'agire psichiatrico medico (valutare un
quadro morboso al fine di una diagnosi e una terapia) e l'agire psichiatrico forense (valutare un comportamento deviante a fini normativi – accertamento
della non imputabilità per vizio di mente – e prognostici – giudizio di pericolosità sociale psichiatrica).
Malattia e infermità
La nozione “stato di mente per infermità” indica un
concetto molto più ampio, e meno definito, rispetto a quello di malattia mentale propriamente detta.
Essa comprende varie entità che non devono essere necessariamente di natura psichica, potendosi
trattare anche di un’”'infermità fisica”, purché concretamente incidente sulla capacità d'intendere o di
volere del soggetto, sì che qualsiasi condizione mor- Pericolosità sociale psichiatrica
bosa è idonea a configurare il vizio di mente, purché Il giudizio d'imputabilità, come detto, è legato alla
d'intensità tale da escludere totalmente o scemare capacità d'intendere o di volere del soggetto autore
di reato. Se questi, dopo gli accertamenti psichiatrigrandemente detta capacità.
Qualunque sia questa infermità, essa non deve esse- co-forensi, risulta essere non affetto da infermità di
re accertata in assoluto ma sempre e comunque in mente in misura penalmente rilevante, egli risponstretta relazione col reato commesso: in altre parole derà pienamente del fatto addebitatogli; se invece è
deve intercorrere un rapporto di causa ed effetto tra stata riscontrata un’infermità ai sensi dell'articolo 88
la violazione della norma penale e l'infermità di men- c. p., egli verrà prosciolto oppure, se affetto da vizio
parziale di mente
te. La presenza di
(articolo 89 c. p.),
una psicosi tout- Fame, follia, crimine Antoine Wiertz - (1853). Museo Reale delle Belle Arti, Bruxelles
verrà processato
court non esclude
e, se condannato,
automaticamente
avrà la pena dimil'imputabilità, ma
nuita.
deve essere accerQuindi se il sogtata caso per caso
getto autore di
e nella sua incireato, già riconodenza sulla comsciuto affetto da
missione di un
infermità di menfatto illecito.
te ai sensi degli
La non imputabiarticoli 88-89 c. p.
lità o l'imputabi(e quindi all'epolità non derivano
ca dei fatti), è anquindi dall'accertache al momento
mento o meno di
dell'indagine peun disturbo psicoritale affetto dalla
patologico riconomedesima infersciuto come tale o
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mità, il perito dovrà esprimere un giudizio sull'esistenza o meno nel periziando di pericolosità sociale
di tipo psichiatrico. Il giudice, infatti, chiede al perito:
“in caso di accertato vizio di mente, dica altresì il perito se (nome e cognome) sia da ritenersi persona
socialmente pericolosa”.
L'articolo 203 c.p., Pericolosità sociale, recita:
“Agli effetti della legge penale, è socialmente pericolosa la persona, anche se non imputabile o punibile, la quale [...] è probabile che commetta nuovi
fatti riconosciuti dalla legge come reati”. La pericolosità sociale comporta l'applicazione delle misure di
sicurezza. Caduta ogni presunzione, si è affermato
il principio in base al quale la pericolosità sociale
deve sempre essere accertata (articolo 31, legge
663/1986). Nel caso della perizia psichiatrica, è chiaro che il perito si pronuncia sulla pericolosità sociale
derivata e correlata all'infermità mentale e non ad altri tipi di pericolosità sociale: deve quindi rispondere
al quesito solo se ha ravvisato un quadro di patologia di mente tale da costituire vizio totale o parziale
(pericolosità sociale psichiatrica).
Il giudizio di pericolosità sociale psichiatrica deriva, dunque, dal fatto che un soggetto, riconosciuto infermo di mente in misura penalmente rilevante
all'epoca del fatto e autore del fatto stesso, possa,
perdurando tale infermità, con probabilità, commettere nuovi reati.
Se accertato il vizio di mente il perito deve specificare se – allo stato – (cioè al momento dell'accertamento peritale) la patologia di mente persista e sia tale da
rendere il periziando socialmente pericoloso.
Due sentenze recenti della Corte costituzionale hanno abolito il principio dell'automatismo della misura
di sicurezza psichiatrica. Con il dispositivo di queste
sentenze l'autore di rea­to malato di mente, prosciolto
e socialmente pericoloso, non può più solo essere internato in un manicomio criminale, ma può godere di
un altro provvedimento più “morbido”: la libertà vigilata, definita “misura più efficace terapeuticamente”.
Con altra pronuncia, la Consulta ha esteso la facoltà
di disporre, anche in fase cautelare e in via provvisoria, misure di sicurezza non detentive nei riguardi di
persona inferma di mente e socialmente pericolosa
(Corte costituzionale, 17-29.11.2004, n. 367).
Allo stato attuale le strutture alternative per l'accoglienza di questi soggetti sono le Comunità terapeutiche funzionanti sul territorio, cui già si accede
in regime di arresto o di detenzione domiciliare o la
custodia cautelare in luogo di cura.
Proposte di lettura a cura della Biblioteca della Fondazione Museo storico del Trentino
Jacques de Saint-Victor, Patti scellerati: una storia politica della mafia in Europa, Torino, UTET, 2013
L’Autore porta alla luce le radici profonde della mafia e delle altre forme di criminalità organizzata: dai più
oscuri recessi della società agraria e feudale del Meridione d’Italia, governato dai Borboni, all’influenza
esercitata all’ombra dello Stato monarchico, dopo l’unificazione nazionale, dalla convivenza con il regime
fascista all’inconfessabile alleanza con i servizi segreti alleati che preparano la strada allo sbarco in Sicilia.
Per arrivare infine allo scenario degli ultimi decenni, quando il ventaglio degli affari della grande criminalità
si amplia a dismisura, con il sacco edilizio delle città italiane, il business della droga condiviso con i narcos
latino-americani, il traffico di esseri umani e di armi spartito con la delinquenza dell’Est, la gestione clandestina dei rifiuti.
Michael Weisser, Criminalità e repressione nell'Europa moderna, Bologna, Il mulino, 1989
Un profilo di storia sociale del crimine tra la fine del Medioevo e l'età moderna sino all'Ottocento. Riconoscendo al comportamento aberrante dell'ex-lege una propria logica interna, l'Autore muove dall'ipotesi che
l'attività criminale e i sistemi di pena riflettano i rapporti sociali, poiché il crimine è un effetto delle tensioni
insite in tali rapporti e la pena ne è una risposta; incremento demografico, processo di urbanizzazione,
deterioramento del tenore di vita nelle campagne e, più tardi, sorgere di una classe operaia e di un nuovo
pauperismo sono per Weisser le cause che condussero, a partire dal Cinquecento, a un vero e proprio incremento della criminalità. Tale incremento, cui corrisponde la nascita dei corpi di polizia e la centralizzazione
delle giurisdizioni, viene poi indagato in rapporto al trionfo del diritto penale pubblico su quello privato e
all'adozione di codici di pena sempre più severi.
Giorgia Alessi Palazzolo, Il processo penale: profilo storico, Laterza, Bari-Roma, 2001.
Come nacque, nell'Europa medievale, l'indagine giudiziaria? Com'è cambiata la giustizia penale dall'epoca
dei supplizi alla Rivoluzione francese? A quali valori si riferiva, di volta in volta, l'espressione “giusto processo”? Sono queste le domande cui l'Autrice cerca di rispondere in questo libro, illustrando le radici europee delle forme processuali contemporanee.
21
Comportamenti,
riprovazione sociale,
penalizzazione
e punizione
interviste
con Maria Rosa Di Simone
ed Ernesto Ugo Savona
a cura di Paola Bertoldi
Maria Rosa Di Simone è professore ordinario di
Storia del diritto Italiano presso l’Università degli
Studi di Roma “Tor Vergata”. Laureata in Lettere e
in Giurisprudenza, Professore ordinario dal 1989,
ha insegnato presso le Università di Roma “La Sapienza”, di Trieste e di Teramo. Fra le altre cose è
socio corrispondente della Società romana di storia patria e dell'Accademia roveretana degli Agiati di
scienze, lettere ed arti, è socio ordinario dell’Istituto
nazionale di studi romani e membro della Société
française d'histoire du droit.
È autrice di numerose pubblicazioni, fra le quali si
ricordano: La Sapienza
romana nel Settecento:
organizzazione universitaria e insegnamento del diritto (Roma 1980); Aspetti
della cultura giuridica
austriaca nel Settecento
(Roma 1984); Legislazione
e riforme nel Trentino del
Settecento:
Francesco
Vigilio Barbacovi tra assolutismo e illuminismo
(Bologna 1992); Percorsi
del diritto tra Austria e
Italia (secoli XVII-XX) (Milano 2006); Istituzioni e
fonti normative in Italia
dall’antico regime al fascismo (Torino 2007). Ha curato inoltre vari volumi tra
i quali: La giustizia dello
Stato pontificio in età
moderna (Roma 2011);
Profilo di storia del diritto
penale dal Medioevo alla
Restaurazione: lezioni (Torino 2012).
Ernesto Ugo Savona è professore ordinario di criminologia presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore
di Milano dove dirige il programma internazionale
in scienze criminologiche e della sicurezza (Percorso
CRIME&TECH) della Laurea magistrale in Scienze
sociali applicate e del Dottorato internazionale in
criminologia) e TRANSCRIME, il Centro inter universitario di ricerca sulla criminalità transnazionale.
Ha insegnato nelle Università di Trento e Roma “La
Sapienza”. È uno degli esperti che la Commissione
Europea ha designato nel Comitato per l'analisi dei
bisogni di statistiche criminali in Europa. Dal 1996
al 2000 è stato eletto nel
Comitato
criminologico
del Consiglio d'Europa a
Strasburgo, ed è uno dei
cinque “eminenti” accademici europei che l'Unione
europea ha chiamato nel
1998 per sviluppare un
programma di ricerche
sulla criminalità in Europa
e sui mezzi per contrastarla. È stato consulente
delle Nazioni Unite e di diversi paesi, visiting scholar e visiting professor
presso la Yale Law School,
Oxford, Cambridge e Università di Salta (Argentina). Nel settembre 2003
è stato eletto presidente
della European Society
of Criminology. È autore
di numerosissime pubblicazioni, nonché direttore della rivista European
Journal on Criminal Policy
and Research.
Justitia, incisione di Jost Amman (1539-1591)
22
Maria Rosa Di Simone: “Una svolta fondamentale fu
segnata in età comunale dalla riscoperta del diritto
romano e dal conseguente sviluppo della scienza
giuridica che elaborò la distinzione del dolo dalla
colpa, la classificazione degli atti criminosi, l'individuazione di attenuanti e aggravanti”.
Come tutti i concetti anche quello di “comportamento criminale” ha conosciuto una progressiva
evoluzione. Può raccontarcela brevemente?
Gli antichi popoli germanici avevano una concezione
essenzialmente oggettiva del delitto, ossia tenevano
conto esclusivamente del danno materiale arrecato dall'azione di un soggetto, indipendentemente
dall'intenzione e dalle circostanze. Fu il cristianesimo a modificare gradualmente questa visione
semplificata e primitiva in quanto, nell'ambito della
definizione dei peccati e delle relative punizioni, la
Chiesa attribuì significativa importanza alla volontà
dell'agente, alle cause e alle condizioni nelle quali si
era verificato l'illecito, influenzando gli usi barbarici.
Una svolta fondamentale fu segnata in età comunale dalla riscoperta del diritto romano e dal conseguente sviluppo della scienza giuridica che elaborò
la distinzione del dolo dalla colpa, la classificazione
degli atti criminosi, l'individuazione di attenuanti e
aggravanti. Il Tractatus de maleficiis di Alberto da
Gandino (XIV secolo) realizzò la prima sistemazione
organica della materia e nel Cinquecento e Seicento
la riflessione in questo campo progredì costantemente grazie ad alcuni giuristi europei (come Egidio Bossi, Giulio Claro, Tiberio Deciani, Prospero
Farinacci, Joost Damhouder, Pierre Ayrault, André
Tiraqueau, Benedikt Carpzov, Anthon Matthes) che
scrissero impegnativi trattati specificamente dedicati
al diritto penale. In quest'epoca permaneva ancora
una stretta connessione tra la sfera religiosa e quella
secolare che induceva all’identificazione del peccato
con il reato sicché alcuni comportamenti, quali la
bestemmia, la profanazione di oggetti o luoghi sacri,
l'eresia, la stregoneria, erano considerati gravissimi
e puniti severamente dalle autorità laiche. Verso la
fine del Seicento, tuttavia, ad opera del giusnaturalismo, iniziò in Europa un processo di separazione del
diritto dalla teologia con la conseguenza che il delitto
fu considerato non più sotto il profilo dell’infrazione
alla legge morale ma sotto quello del turbamento
della tranquillità pubblica e privata. Questa impostazione fu ripresa e approfondita nell'Illuminismo e fu
recepita nella codificazione ottocentesca.
Da punizione a rieducazione: quando, come è perché è avvenuto questo passaggio?
Il fine di correzione attribuito alla pena è presente
sin dal Medioevo soprattutto nel diritto canonico
dove l'obiettivo supremo della salvezza delle anime
induceva a cercare di suscitare il pentimento del
reo per ottenere il perdono. Tuttavia nel XVII e XVIII
secolo si sviluppò e generalizzò l'idea secondo la
quale lo scopo precipuo delle sanzioni era non tanto
il castigo quanto la prevenzione dei delitti e l'emendazione sia dell'intera società che del singolo colpevole. Dapprima i giusnaturalisti e poi gli illuministi,
che da essi ripresero e approfondirono numerose
idee, si adoperarono per valorizzare i diritti e la
libertà degli individui ritenendoli fondati sulla natura
stessa e, in questo contesto, assegnarono alle sanzioni lo scopo precipuo di prevenire anziché punire
i delitti, ossia di trattenere i membri della comunità
dal compiere azioni nocive per evitarne le dolorose
conseguenze. Allo stesso tempo sostennero l'opportunità di sostituire il carcere a molte pene allora
in uso per consentire il ricupero morale e civile del
condannato attraverso un'opera di rieducazione ai
valori della società. Tale funzione della detenzione fu
accolta e ulteriormente elaborata nell'Ottocento sia
sul piano teorico, sia nella legislazione, anche se l'applicazione pratica di essa ha presentato fino ai nostri
giorni notevoli ostacoli concreti rimanendo spesso
un obiettivo irrealizzato.
Nel secolo dei Lumi un grande dibattito investe il
settore del diritto penale. Quali sono i temi maggiormente trattati e i suoi protagonisti nel panorama italiano?
Il diritto penale occupò un posto molto rilevante
nella scienza giuridica e nella normativa della
seconda metà del Settecento. Figura centrale è considerato l'intellettuale milanese Cesare Beccaria che,
con il suo trattato Dei delitti e delle pene (1764),
affrontò nel suo insieme la complessa problematica
dell'intera materia, esponendola in modo chiaro ed
efficace, sulla scia delle moderne dottrine francesi,
inglesi e austriache. Egli aderiva a posizioni decisamente utilitariste, egualitarie e laiche, sosteneva il
principio di legalità e il primato della legge, ridimensionava il ruolo del giudice, sottolineava la fondamentale importanza della certezza e della rapidità di
applicazione della pena nonché l'opportunità di una
generale mitigazione dei duri metodi dell'epoca giungendo a teorizzare l'abolizione della tortura e della
pena di morte. La sua opera ebbe un’immediata ed
estesa diffusione in Italia e all'estero e riscosse uno
strepitoso successo divenendo il manifesto dell'illuminismo europeo in materia penale e fonte d’ispirazione e di discussione per innumerevoli filosofi e
giuristi di vari Paesi. In Italia diverse personalità di
valore – come Gaetano Filangieri, Francesco Mario
Pagano, Filippo Maria Renazzi, Luigi Cremani, Tommaso Nani, Gian Domenico Romagnosi – ripresero
e approfondirono i temi da lui trattati. Essi esamina-
23
rono importanti questioni quali il diritto di punire, la
sua titolarità e i suoi limiti, la funzione, la qualità e la
misura delle pene, il concetto e la classificazione dei
delitti, il dolo e la colpa, i difetti del meccanismo processuale, giungendo attraverso un ampio dibattito a
prospettare un’irreversibile rottura con il passato.
Lei ha avuto modo di approfondire la conoscenza di
Francesco Vigilio Barbacovi e la situazione del Principato vescovile di Trento nella seconda metà del
Settecento. Com’era amministrata allora la giustizia
penale in questo territorio?
L'ordinamento trentino, secondo il generale modello
del tempo, era caratterizzato da un accentuato particolarismo e dalla commistione di funzioni amministrative e giurisdizionali. Una parte del territorio, con
la città di Rovereto, rientrava nella competenza della
Contea del Tirolo mentre l'altra, con la città di Trento,
spettava al Principato e comprendeva giurisdizioni
amministrate direttamente (da funzionari vescovili) o
mediatamente (da feudatari). Mancava un’organizzazione uniforme, ordinata e articolata della giustizia e
le numerose comunità cittadine e rurali si regolavano
in modo largamente autonomo, sulla base degli statuti e delle norme locali, con autorità giudicanti che
prendevano denominazioni differenti secondo i casi.
Così, a Trento e a Riva le cause civili e criminali erano
affidate a un podestà nominato dal principe vescovo
e coadiuvato da cancellieri, mentre nelle valli e nelle
altre località la funzione era svolta da vari ufficiali
come assessori, commissari, luogotenenti e vicari.
Supremo organo giudiziario era il Consiglio aulico di
Trento il quale giudicava in appello le sentenze dei
magistrati locali.
Il diritto penale è il settore al quale Barbacovi ha dedicato gran parte delle sue opere. Potrebbe descrivere
in che cosa consiste la modernità del suo pensiero
rispetto al periodo in cui è vissuto?
Barbacovi si dimostra nelle sue opere di diritto
penale particolarmente sensibile alle idee innovatrici dell'Illuminismo, tendendo a individuare i modi
della concreta applicazione di esse piuttosto che a
discuterle sul piano filosofico. Al centro della sua
riflessione sono il corretto uso del diritto di punire
da parte del sovrano e l'efficace ed equa commisurazione delle sanzioni ai delitti. A tale scopo attribui­
sce rilievo non solo al danno provocato dal reo ma
anche alle sue condizioni personali (come lo stato di
necessità, la paura, l'ira, l'ubriachezza, l'età, la malattia, l'ignoranza, il sesso, la parentela) che definivano
il grado di dolo dell'azione. Il suo accentuato utilitarismo pone in secondo piano le considerazioni di
tipo etico per dare maggiore importanza allo scopo
pratico di prevenire i crimini mediante misure che
controbilanciassero in modo quasi matematico i
vantaggi attesi da essi. Pertanto procede a una det-
24
tagliata e precisa catalogazione dei tipi di reato e
delle relative pene formando uno schema uniforme
e rigoroso che avrebbe lasciato al giudice uno spazio
di manovra assai limitato. Lo spirito umanitario e la
sensibilità sociale lo inducono a una generale mitigazione delle sanzioni, tuttavia, in contrasto con Beccaria, ritiene necessario mantenere la pena di morte,
raccomandando di usarla raramente e di eseguirla
in modo pubblico e solenne per ammonire gli spettatori, ma rapidamente e senza tormenti aggiuntivi
per il reo.
Un'altra questione importante che emerge nel corso
del Settecento rispetto all'amministrazione della
giustizia è la modalità di svolgimento del processo.
Quali posizioni si contrappongono e come si è evoluto fino ai nostri giorni tale procedimento con riferimento sia al variegato quadro della penisola italiana
che a quello di ambito austriaco?
Nel corso del Settecento si accese una vivace disputa
sui pregi e i difetti del sistema accusatorio e di quello
inquisitorio. Il primo, di origine romana, aveva carattere prevalentemente privatistico, in quanto avviava
il giudizio con l'accusa di una parte sulla quale poi
incombeva l'onere di provare le affermazioni dinanzi
a un giudice investito essenzialmente della funzione
di garante della regolarità formale. Il secondo, diffusosi e generalizzatosi nell'età comunale, accentuò
il carattere pubblicistico attribuendo al giudice un
ruolo centrale con il compito di perseguire d'ufficio
almeno i reati più gravi e di procedere poi alle indagini, alla raccolta delle prove, all'arresto, agli interrogatori, alla formulazione della sentenza. La maggior
parte degli atti era in forma scritta e segreta e decisivo
rilievo si attribuiva alle cosiddette prove legali. I diritti
dell'imputato risultavano alquanto compressi: basti
pensare che la prova principale era fornita dalla confessione per ottenere la quale era applicata, di regola,
la tortura. I giuristi illuministi criticarono con energia
il meccanismo vigente, in particolare l'irrazionalità
e la crudeltà dei metodi, l'eccessivo formalismo, gli
esorbitanti poteri del magistrato, la concentrazione
in lui delle funzioni istruttorie e giudicanti, il sistema
probatorio e prospettarono riforme importanti quali
la separazione delle figure dell'accusatore e del giudice, la presenza di una giuria popolare, la pubblicità
e oralità, il principio del libero convincimento del
giudice, l'abolizione della tortura. Le loro idee ispirarono la legislazione in alcuni Paesi europei: sovrani
illuminati come Federico II, Maria Teresa e Giuseppe
II, intervennero con decisione abolendo la tortura e
modificando aspetti del processo secondo criteri più
razionali, moderni e umani. L'ordinanza giuseppina
del 1788, pur non consentendo l'intervento dell'avvocato e mantenendo la forma scritta e la segretezza, prevedeva alcune garanzie per l'imputato,
limitava la pena capitale, preveniva gli abusi del giudice. L'influenza austriaca si rifletteva nella penisola
italiana nella normativa e nei progetti elaborati in
Lombardia e nella Leopoldina emanata nel 1786 dal
granduca di Toscana Pietro Leopoldo. In Francia la
svolta occorse durante l'epoca rivoluzionaria quando
nella legislazione del 1791 furono accolti gli ideali
illuministici e introdotta una serie di garanzie per gli
imputati, mentre il napoleonico Code d'instruction
criminelle (1808), ridimensionava alcune conquiste
distinguendo nettamente tra la fase istruttoria scritta
e segreta e quella dibattimentale pubblica e orale,
ma manteneva i principi della giuria popolare e del
libero convincimento del giudice. Durante la Restaurazione le terre italiane governate dall'Austria furono
regolate dal codice asburgico del 1803, improntato
all'antiquato sistema inquisitorio che era funzionale
al regime assolutistico, e gli altri Stati da codici ricalcati in varia misura su quello francese senza, tuttavia,
l'importante istituzione della giuria popolare. Questa
fu introdotta dopo l'Unità con il codice del 1865 e nel
1913 fu emanato un nuovo testo che presentava un
carattere spiccatamente innovativo e liberale anche
se i suoi principi ebbero difficile applicazione durante
la guerra 1915-1918. Nel 1931 fu sostituito dal codice
Rocco di chiara impronta autoritaria che restringeva
i diritti degli imputati, esaltava la figura del pubblico
ministero e rafforzava i poteri del giudice.
Indulto, amnistia, grazia sono strumenti dei quali
ciclicamente si torna a parlare come extrema ratio
per affrontare il problema del sovraffollamento delle
carceri, ma quando e come storicamente si affermano questi concetti?
La grazia fu sin dai tempi più remoti prerogativa delle
autorità preposte all'ordinamento o alla funzione giurisdizionale. In base al diritto giustinianeo essa era
distinta in: pubblica (decisa dall'imperatore in occasione di solennità o di avvenimenti lieti e importanti),
privata (concessa dal giudice su domanda), legittima
(ottenuta su richiesta del reo dopo la morte dell'accusatore). Nel Medioevo e in età moderna i sovrani
usavano, con un provvedimento di carattere generale o indulto, liberare i condannati dalle pene in
occasione di eventi quali l'ascesa al trono, il matrimonio, la nascita di figli e avevano facoltà di intervenire con la grazia particolare nei singoli casi decisi
dai tribunali. La disciplina al riguardo era incerta e
variabile da luogo a luogo mentre la dottrina disputò
a lungo se anche i signori, i baroni e i feudatari investiti di funzioni giudiziarie avessero analogo potere. I
giuristi illuministi sottoposero l'istituto a una serrata
critica e alcuni, sulle orme di Beccaria, sostennero la
necessità di abolirlo completamente poiché rendeva
incerta l'applicazione della legge: tuttavia esso continuò a caratterizzare i sistemi penali nell'Ottocento
e nel Novecento. Nel nostro attuale ordinamento
i provvedimenti di clemenza sono: la grazia con
carattere individuale e concessa dal Presidente della
Repubblica su domanda del condannato, di suoi
familiari o avvocati, che condona in tutto o in parte
la pena inflitta con sentenza passata in giudicato; l'indulto e l'amnistia, entrambi con carattere generale
ed emanati dal Parlamento con legge votata a maggioranza di due terzi, dei quali il primo estingue la
pena, condonandola in tutto o in parte o commutandola, mentre la seconda estingue il reato.
25
Ernesto Ugo Savona: “Riprovazione sociale e penalizzazione cambiano nel tempo e nello spazio”.
Criminalità e devianza: quando si può supporre che
inizino ad affermarsi questi due concetti e come si
sono via via correlati fra loro? In altre parole quando
i cosiddetti comportamenti “devianti” iniziano a
essere classificati come “criminali”?
I comportamenti devianti cambiano in relazione alle
norme sociali, quelli criminali in relazione alle norme
giuridiche. I due si possono sovrapporre quando un
comportamento è socialmente riprovato e penalmente punito come l’omicidio, ma possono divergere in caso di comportamenti borderline come il
consumo di droghe che in certi contesti e periodi
possono non essere riprovati, ma puniti. Riprovazione sociale e penalizzazione cambiano nel tempo
e nello spazio.
La rieducazione resta ancor oggi un sistema valido
per cercare di reinserire nella società un criminale
o si è in presenza di un nuovo cambio di prospettiva vista anche l’oggettiva difficoltà, in mancanza di
fondi e in presenza di carceri sovraffollati, di concretizzare una simile azione?
La rieducazione è ancora un sistema valido se operata con professionalità. Dipende sempre a chi si
rivolge, quali metodi, in quale cultura e quali risultati
sono attesi. La cosa importante è un continuo monitoraggio dell’efficacia.
Come giudica la “spettacolarizzazione” del gesto criminale e l’attrazione che questo esercita sulle persone? Il caso Avetrana è stato forse uno dei delitti
più esemplari in questo senso. Quanto i media strumentalizzano il criminale? E perché nonostante tutto
sembra esercitare un’indubbia fascinazione?
Il noir fa spettacolo sia virtuale che vero. Ne siamo
attratti, ma ne abbiamo paura. Per questo i giornali
e TV rappresentano largamente i fatti di cronaca e
vendono le notizie a un vasto pubblico che le compra.
La nostra partecipazione curiosa avviene su due
piani: per smarcarsi dall’evento “meno male non
accade a me” o per coinvolgersi “potrebbe accadere
anche a me”.
Com’è nata l’idea di Transcrime?
Il Centro nasce nel novembre 1994 come Gruppo
di ricerca sulla criminalità transnazionale del Dipartimento di Scienze giuridiche dell'Università degli
studi di Trento. Ricordo che agli inizi siamo partiti
con quattro giovani laureandi della Facoltà di Giurisprudenza di Trento.
Su quali esperienze si basa?
Su diverse esperienze che hanno portato me e i miei
collaboratori a crescere di pari passo. Il Centro si
26
è arricchito con il passare del tempo di ricercatori
provenienti anche da altri ambiti disciplinari come
quello sociologico ed economico. Questi hanno
contribuito all’integrazione dell’aspetto giuridico. Le
competenze acquisite ci hanno permesso di realizzare diversi progetti sulla criminalità transnazionale
per l’Unione Europea e di diventare, nel 2000, prima
Centro interdipartimentale di ricerca sulla criminalità
transnazionale dell'Università degli studi di Trento
e poi, nel 2004, Centro interuniversitario di ricerca
sulla criminalità transnazionale con l’apporto dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Com’è organizzato il Centro?
Il centro è organizzato su due sedi. Una a Trento,
dove si fa ricerca, e una a Milano dove si trovano
sia attività di ricerca che attività di didattica. Ci lavorano in media una trentina tra ricercatori, personale
di supporto alla ricerca e stagisti.
I ricercatori lavorano in modo orizzontale sui progetti.
Devo dire che questo è possibile grazie alle nuove
tecnologie. Oggi è molto più semplice per un ricercatore di Trento di collaborare con uno di Milano su
un progetto a cui partecipano anche partner stranieri. In questo momento due delle linee di ricerca
più importanti del Centro sono organizzate in questo
modo.
Su quali progetti siete attualmente impegnati?
Abbiamo recentemente concluso un importante studio per il Ministero dell’Interno sugli investimenti
delle mafie nei mercati legali che ha riscosso molta
attenzione anche a livello internazionale.
E su questo fronte Transcrime è cresciuto moltissimo
negli ultimi anni. Sul tema dello studio e dell’analisi
della criminalità organizzata e dei mercati legali/illegali, oltre a due progetti europei in corso, abbiamo
collaborato con il governo canadese e con quello
messicano.
Sul problema del traffico illegale di sigarette – che è
tornato a crescere anche in Italia – abbiamo avviato
una collaborazione con Philip Morris International.
Da poco abbiamo vinto una gara per la valutazione
sull’efficacia dei modelli di prevenzione della criminalità adottati in Cile dai locali Carabineros. Inoltre,
a breve partirà un progetto sulla prevenzione della
pirateria marittima finanziato nell’ambito del Settimo
Programma quadro sulla ricerca.
Tutto questo senza dimenticare il rapporto con la
Provincia autonoma di Trento, dove Transcrime è
nato e dove oggi restituisce le competenze e le esperienze maturate a livello internazionale. Quest’anno,
in particolare, ci concentreremo su un altro mercato, quello del gioco d’azzardo. Il titolo del progetto
spiega da sé l’obiettivo: “Prevenzione del gioco d’azzardo patologico”.
La sicurezza in Trentino tra
controllo e prevenzione
Il Trentino può oggi essere
tà della vita l’indagine de
considerato un’isola felice
Il Sole 24 Ore che ogni
in termini di sicurezza? È
anno pubblica la classifica
ancora possibile ritenerlo
aggiornata stilata seconnuovi modi d'intendere
territorio a sé stante, con
do sei diverse aree temala sicurezza del territorio
un grado di criminalità di
tiche: tenore di vita, affari
molto inferiore rispetto alla
e lavoro, popolazione, reamedia nazionale?
ti, servizi e ambiente, temdi Marina Marchiaro
Per rispondere a queste
po libero.Come mostra la
domande è necessario intabella 2, la provincia di
nanzitutto premettere che il
Trento si classifica al terzo
rapporto sicurezza/criminalità non illustra più il gra- posto su centosette nel 2012, migliorandosi di tre
do di salute di un territorio. Questo è il risultato di posizioni rispetto all’anno precedente.
una combinazione di variabili che possono influire
Tabella 2 – indice qualità della vita de Il Sole 24 Ore
sul benessere socio-economico della popolazione.
Codice
Diff. Anno
Provincia
Punteggio
Tra queste sono incluse la possibilità di realizzarCdV
precedente
si professionalmente, di poter usufruire di servizi e
1
+1
Bolzano
626
2
+6
Siena
616
beni materiali e di poter partecipare alla vita pubblica
3
+3
Trento
604
e politica della propria comunità oltre alla possibi4
+7
Rimini
589
lità di vivere in un’area con un livello di criminalità
5
-1
Trieste
586
basso. La nuova definizione di sicurezza così intesa
6
+7
Parma
586
7
-4
Belluno
584
prende il nome di “qualità della vita”.
8
-3
Ravenna
581
Le principali indagini sul tema a livello regionale e
9
+1
Aosta
581
provinciale dipingono il Trentino come una realtà
10
-9
Bologna
577
con un benessere socio-economico ai primi posti
nelle classifiche nazionali. In particolare, quello che I risultati delle due ricerche sono inoltre convalidaemerge dagli studi è un territorio ricco, con un livel- ti dalle analisi pubblicate dal quotidiano ItaliaOggi
lo di infrastrutture e servizi proporzionato (trasporto che, in collaborazione con l’Università La Sapienza di
pubblico, raccolta differenziata, energie rinnovabili Roma, ha individuato dieci diverse aree tematiche:
…), in cui l’attenzione per i temi sociali e ambientali tenore di vita, affari e lavoro, popolazione, criminaliè forte e il livello di istruzione e partecipazione alle tà, disagio sociale, servizi finanziari e scolastici, temattività sociali e di volontariato è in continua crescita. po libero, sistema salute e ambiente. La classifica reLa classifica QUARS (Qualità regionale dello svilup- alizzata per il 2012 vede al primo posto, per il terzo
po) analizza sette diverse dimensioni all’interno delle anno consecutivo, Trento seguita da Bolzano.
regioni: ambiente, economia e lavoro, salute, diritti Anche Transcrime, che dal 2003 misura il grado di
e cittadinanza, istruzione e cultura, pari opportunità, sicurezza in provincia attraverso l’elaborazione dei
partecipazione. Nell’anno 2011 il Trentino-Alto Adige Profili sicurezza, ha recepito la nuova tendenza e
si è posizionato primo con risultati al di sopra della nel 2012 ha sviluppato una metodologia che tenesmedia nazionale come illustra la tabella 1.
se conto di questa visione della sicurezza. Il livello
di benessere è stato analizzato scegliendo le dimenTabella 1 – indice QUARS 2011 delle prime dieci regioni italiane sioni rappresentative per l’analisi del territorio: abiPosizione
Regione
Indice QUARS 2011 tazioni e tenore di vita, lavoro e inclusione sociale,
1
Trentino-Alto Adige
0,68
istruzione e cultura, salute, ambiente, sicurezza, pari
2
Emilia-Romagna
0,50
opportunità, tempo libero e svago, partecipazione
3
Umbria
0,45
civica e politica.
4
Valle d’Aosta
0.43
I dati elaborati hanno permesso di classificare il be5
Toscana
0,43
6
Friuli Venezia Giulia
0,36
nessere nelle singole Comunità di valle, come illu7
Veneto
0,33
stra la tabella 3.
8
Marche
0,32
È importante tenere a mente che l’indice della qua9
Lombardia
0,31
lità della vita è composto dagli indici delle diverse
10
Piemonte
0,26
dimensioni selezionate per la ricerca. Pertanto, a seÈ importante sottolineare che il Trentino-Alto Adige conda della dimensione considerata, una Comunità
è primo nelle rilevazioni QUARS sin dal 2003, anno che nel complesso degli indici si trova in una posiziodi pubblicazione del primo rapporto.
ne più bassa, potrebbe avere un punteggio migliore.
A livello provinciale a raccogliere i dati sulla quali- Esemplari i casi della Paganella che è prima, anche
27
Tabella 3 – qualità della vita per Comunità di valle
Codice Comunità di valle
CdV
C14
C12
C06
C08
C02
C01
C10
C05
C04
C03
C15
C11
C07
C16
C13
C09
Comunità della Paganella
Magnifica Comunità degli Altipiani Cimbri
Comunità della Val di Non
Comunità delle Giudicarie
Comunità di Primiero
Comunità Territoriale della Val di Fiemme
Comunità della Vallagarina
Comunità della Valle di Cembra
Comunità Alta Valsugana e Bersntol
Comunità Valsugana e Tesino
Territorio della Val d’Adige
Comunità general de Fascia
Comunità della Valle di Sole
Comunità della Valle dei Laghi
Comunità Rotaliana-Kšnigsberg
Comunità Alto Garda e Ledro
Indice
qualità
della vita
87,4
79,8
78,8
77,9
77,3
77,3
76,9
76,6
76,5
76,3
75,6
75,4
74,3
68,4
68,0
67,9
se quasi mai ha ottenuto il punteggio più alto negli
indici delle singole dimensioni e della Comunità Alto
Garda e Ledro che registra valori sotto la media nella
maggior parte degli indici fatta eccezione per le dimensioni salute e abitazioni e tenore di vita che sono
invece migliori di molte altre comunità.
Da queste ricerche si può notare che il Trentino si è
confermato nel tempo un’eccellenza nel panorama
italiano. Tutto questo è stato realizzato grazie all’attenta programmazione delle politiche e al monitoraggio costante del territorio cui ha contribuito la scelta
di rafforzare il sistema di prevenzione dei rischi criminali. Negli ultimi anni, in particolare, l’attenzione è
stata rivolta all’infiltrazione nell’economia legale da
parte della criminalità organizzata, un fenomeno che
ha interessato diverse regioni del Centro-Nord.
È nota ormai da tempo la tendenza di questi gruppi
a infiltrarsi sia in settori tradizionali come le costruzioni, la ristorazione e i trasporti, sia in settori nuovi come quello delle energie rinnovabili o i sistemi
ICT. Questa tendenza è accompagnata da uno spostamento verso zone della penisola non tradizionali,
caratterizzate da alti livelli di benessere e da un’economia fiorente.
Per quanto riguarda il Trentino-Alto Adige, la più recente relazione della Direzione nazionale antimafia
afferma che in regione non si registra la presenza
di gruppi mafiosi stabili, ma, continua, è necessario
monitorare il territorio che è molto interessante per
la sua collocazione geografica centrale se considerata all’interno di una visione europea.
Per questo motivo tra il 2011 e il 2013, Transcrime
ha realizzato per la Provincia autonoma di Trento il
progetto METRiC (Monitoraggio dell’economia trentina contro il rischio criminalità). La ricerca si è posta
l’obiettivo di individuare i settori economici presenti
sul territorio più appetibili per la criminalità organizzata e le Comunità di valle più sensibili.
28
I risultati dello studio sono in linea con quanto emerso a livello nazionale. I settori economici con un rischio d'infiltrazione medio-alto sono, anche per
la provincia, le attività professionali, scientifiche e
tecniche (architetti, avvocati, commercialisti…) e le
costruzioni, mentre presentano un rischio medio il
settore del trasporto e magazzinaggio e le attività finanziarie e assicurative. A questi settori si aggiunge
il settore degli appalti, che coinvolge in maniera trasversale tutti gli altri.
I motivi principali per cui questi settori sono più appetibili sono da ricondurre principalmente alla facilità con cui è possibile eludere i controlli per accedere
al mercato (costruzioni e trasporto e magazzinaggio)
e alla presenza di professionisti che, in maniera più o
meno consapevole, offrono i loro servizi ai criminali
(attività professionali, scientifiche e tecniche e attività finanziarie e assicurative).
Per quanto riguarda i territori, il rischio d'infiltrazione
varia da basso a medio. Come si vede nella figura 1,
le Comunità di valle più esposte al rischio d'infiltrazione sono il territorio della val d’Adige, la Comunità
Alto Garda e Ledro e la Comunità della Vallagarina
con valori medi.
Figura 1 – rischio di infiltrazione per Comunità di valle
La maggiore sensibilità di queste aree rispetto alle
altre è da ricercare nelle caratteristiche dei territori stessi. Comunità caratterizzate da una forte componente imprenditoriale e commerciale, con un alto
numero di fallimenti e di ricambio delle imprese, e
un’alta possibilità di guadagno sono, infatti, più appetibili per i criminali che cercano aree e territori
nuovi in cui inserirsi.
Per concludere, si può affermare che il Trentino è un
territorio sano, ma non può più essere considerato
un’isola felice. Sarà necessario, pertanto, mantenere alta l’attenzione per cogliere eventuali segnali di
allarme provenienti dal territorio e continuare nella
direzione della prevenzione dei problemi attraverso un’accorta pianificazione delle politiche che tenga conto dell’andamento dei fenomeni economici e
sociali in atto al fine di rafforzare il sistema di difesa
delle singole comunità.
La “fermentazione
psicologica”
“Ogni concerto di operai
e miseria, rese ancor più
che tenda, senza ragiogravi dalla grande alluvione
nevole causa, a sospendel 1882. Questa tragedia
dere, impedire o rincarare i
rese ancor più dure le conquando la protesta sociale
lavori, sarà punito col cardizioni di vita delle popolaera un crimine
cere estensibile a tre mesi,
zioni colpite, spingendole
sempre che il concerto
dall’aprile 1884 a promuoabbia avuto un principio di
vere una serie di agitazioni
di Tommaso Baldo
esecuzione”.
e proteste. Il movimento
Con queste parole l’artipassò alla storia con il
colo 386 del Codice penale
nome di sommossa de
del Regno di Sardegna del
La boje, cioè “Bolle!”; dal
1859, divenuto poi Codice
grido che i contadini lanpenale del Regno d’Italia,
ciavano per indicare che la
“disciplinava” lo sciopero.
situazione “bolliva”, ovvero
In sostanza la magistraera giunta al punto in cui
tura era chiamata a deciessi non potevano sopdere quando uno sciopero
portare oltre e presto la
aveva o meno “una ragioloro rabbia sarebbe tracinevole causa”. Come si
mata spazzando via tutto,
può facilmente immaginare
proprio come le acque dei
questa norma consentiva
fiumi in piena. All’interno
interpretazioni
arbitrarie.
di questa vasta e confusa
Ad esempio, secondo la
agitazione comparvero per
Corte d’appello di Milano,
la prima volta nelle camnel 1879, il caro viveri non
pagne forme di lotta sindaera un fondato motivo di astensione dal lavoro se cale organizzata: ad esempio la richiesta di rivedere
prima non si erano esauriti “tutti i mezzi legali, cioè al rialzo i salari, gli scioperi e il legame con un più
le pratiche indicate dalla legge comunale e di pub- vasto movimento operaio, dotato ormai di una problica sicurezza”. Secondo la Corte di Cassazione di pria stampa e anche di una propria rappresentanza
Palermo nel 1882 neppure una diminuzione del sala- parlamentare. Sedeva, infatti, alla Camera Andrea
rio concordata di concerto tra i datori di lavoro giu- Costa, il primo deputato socialista eletto in Romagna
stificava lo sciopero.
nel 1882.
Una norma tanto arbitraria poneva, tuttavia, tali Il mantovano fu uno dei principali centri del moviproblemi d’interpretazione da risultare una fonte di mento La boje, che qui, più che altrove, assunse
disagio per la stessa autorità giudiziaria che doveva i connotati di una protesta organizzata, con richieste
applicarla, soprattutto in un momento di crescita di miglioramenti salariali e minacce di sciopero. Nella
della conflittualità sociale. Dalla metà degli anni zona erano attive le società di mutuo soccorso create
ottanta del XIX secolo la giurisprudenza si mosse da due borghesi d’idee democratiche e socialistegnella direzione di trasferire il problema dell’illiceità gianti: l’ex-capitano garibaldino Francesco Siliprandi
dello sciopero dal terreno della ragionevole causa e l’ingegnere Eugenio Sartori.
a quello dei mezzi usati durante l’agitazione, ovvero A quest’ultimo era dedicato il motivetto: “l’Italia l’è
al terreno della repressione di quella che era rite- malada/ Sartori l’è el dotor./ Ma prest la guarirema/
nuta violenza fisica o morale. In quel momento gli con la testa dei nostar scior”. Il 26 marzo 1885 le
scioperi di cui i tribunali erano chiamati a occuparsi forze di pubblica sicurezza, con l’apporto di numeerano quasi unicamente quelli dell’industria, ma di lì rose truppe inviate dal governo Depretis, eseguirono
a poco una grande agitazione agraria avrebbe con- 140 arresti, tra cui naturalmente Siliprandi e Sartori.
dotto a un processo destinato a fare scuola.
Gli arrestati, secondo quanto scrisse il 29 marzo 1885
Dopo il 1870 le campagne della val Padana erano il Ministro degli Interni al Ministro di Grazia e Giustistate colpite dalla grande crisi economica che in tutta zia, erano deferiti “all’autorità giudiziaria per l’opporEuropa aveva portato al ribasso dei prezzi delle der- tuno procedimento a tenore degli articoli 157 e 426
rate agricole. Ciò indebolì la piccola proprietà e con- del Codice penale”. L’articolo 157 puniva con i lavori
tribuì allo sviluppo di un’agricoltura intensiva gestita forzati a vita
da grandi aziende. Queste ultime impiegavano “L’attentato che avesse per oggetto di suscitare la
manodopera salariata in condizioni di precarietà guerra civile tra i regnicoli [cittadini del Regno] o gli
29
abitanti dello Stato, inducendoli ad armarsi gli uni
contro gli altri, oppure a portare la devastazione, la
strage od il saccheggio in uno o più Comuni dello
Stato, o contro una classe di persone”.
L’articolo 426 puniva invece, con i lavori forzati a
tempo o con la reclusione, i capi-banda delle associazioni di malfattori dirette a delinquere contro le
persone o le proprietà. Secondo le autorità le persone arrestate erano parte di una vasta rete cospirativa, ramificata in tutta la pianura padana, che
avrebbe dovuto scatenare una sanguinosa insurrezione. L'“ora X” era stata fissata per il primo aprile
1885 (si trattava in realtà della data in cui avrebbero
dovuto entrare in vigore gli aumenti salariali chiesti
dai contadini).
Appare evidente, vista la data, che ai tutori dell’ordine doveva fare difetto il senso del ridicolo oltre che
quello delle proporzioni; dopo due mesi, infatti, il
grosso degli arrestati fu prosciolto. Restarono in carcere solo i presunti “sobillatori” che furono processati a Venezia nel marzo 1886.
La loro difesa fu assunta da un giovane avvocato
(nato nel 1856), anch’esso originario di Mantova:
Enrico Ferri. Costui si era laureato in giurisprudenza
presso l’Ateneo di Bologna nel 1877. Suo maestro
era stato il capofila della scuola “positiva” in giurisprudenza, il professor Pietro Ellero, che riteneva
spesso difficilmente distinguibili il delitto e la pazzia.
Secondo lui sul delinquente agivano sia la propria
eredità biologica, in base a quanto indicato dagli
studi di Cesare Lombroso, sia le condizioni materiali in cui si trovava a vivere. In Cesare Lombroso,
criminologo positivista per eccellenza, e nei suoi
seguaci convivevano spesso l’adesione a propositi
di riforma sociale (intesi come applicazione alla sfera
politica dell’evoluzionismo darwinista) e atteggiamenti repressivi nei confronti della devianza sociale
e politica, di cui teorizzavano la “patologizzazione”.
Ad esempio Lombroso vide nei leader della Comune
di Parigi e negli anarchici “mattoidi e criminali nati”.
Probabilmente egli riteneva la propria visione del
socialismo riformista un efficace e “scientifico” strumento di disciplinamento sociale e repressione di
ogni forma di devianza.
Enrico Ferri, tra il 1882 e il 1883, sostenne con Filippo
Turati, anche lui giovane allievo di Ellero, una vivace
polemica a mezzo stampa riguardo al legame tra
crimine e ingiustizia sociale. Turati, già convinto
socialista, sostenne che la criminalità era frutto di un
sistema sociale ingiusto che condannava alla miseria e all’ignoranza la maggioranza della popolazione;
Ferri, liberal-democratico e soprattutto positivista
seguace di Lombroso, rispose che oltre alle condizioni materiali e all’istruzione concorrevano a produrre il delitto anche “fattori individuali”, organici e
psichici. Si trattava di un dibattito interno al mondo
laico e “progressista”, tra persone che si erano formate nello stesso ambiente, ma che erano giunte
1920: presidio di Guardie rosse davanti a una fabbrica durante il biennio rosso 1919-1920
30
a due visioni nettamente contrastanti. Per Turati
l’uomo avrebbe potuto costruire una società giusta
in cui il crimine sarebbe scomparso grazie alla liberazione dall’ignoranza e dal bisogno. Per Ferri invece il
crimine era determinato in primo luogo dalla natura
fisica e psichica di alcuni individui e pertanto essi
erano “condannati” a commetterlo. In sostanza si
riproduceva sotto una veste laica e “scientifica” il
dibattito sul libero arbitrio che aveva impegnato per
secoli generazioni di teologi e religiosi. Alla disputa
si unì anche il neolaureato (anch’egli presso la facoltà
di giurisprudenza bolognese) Camillo Prampolini,
che prese le parti di Turati affermando, con quell’afflato cristianeggiante che sarà tipico del “socialismo
prampoliniano”, che i criminali erano in realtà “vittime della società”.
Questa visione, nonostante il successivo passaggio di Enrico Ferri tra le fila socialiste, diventerà
dominante nel socialismo italiano. Si trattava senza
dubbio di una lettura deresponsabilizzante del fenomeno criminale ma se non altro respingeva il determinismo biologico (il porre l’accento sull’eredità
biologica del criminale) propugnato da Enrico Ferri
sulla scia di Lombroso, ed evitava pertanto di favorire la “manicomializzazione” dei protagonisti degli
atti di devianza sociale.
Nel corso del processo di Venezia del 1886 Ferri si
ritrovò al fianco dei socialisti, ma li difese con quegli
stessi argomenti prettamente positivisti in nome dei
quali aveva polemizzato con loro. Gli imputati furono
dipinti dall’accusa come una sorta di “untori” ideologici, vale a dire come soggetti capaci con la loro
sola presenza di spingere i lavoratori a seguirli e a
eseguire i loro ordini “quasi li avessero allucinati”,
secondo quanto scritto dai funzionari di Pubblica
Sicurezza nei loro rapporti. Ferri doveva, dunque,
difendere i suoi assistiti dall’accusa di essere i “sobillatori” che avevano “infettato” i contadini, trasformandoli da miti e ubbidienti in arroganti e sanguinari.
Egli fece riferimento proprio agli studi di antropologia
criminale di Lombroso per affermare che gli imputati
non presentavano “i caratteri fisici e morali, che per
la complicità dell’ambiente sociale, li determinano a
combattere con attività criminosa l’inesorabile lotta
per l’esistenza”. Se nel mantovano i braccianti erano
in agitazione, affermò l’avvocato, non era dunque a
causa di qualche misteriosa congiura, ma piuttosto
delle loro misere condizioni di vita, come confermò
la testimonianza del deputato liberal-democratico
Mario Panizza, ex-garibaldino e medico condotto a
Serravalle Po:
“Io ed il dottor Sacchi abbiamo nell’Ospitale fatto
una statistica. I contadini si nutrono in media con
700 grammi di farina gialla; supponendo che questa
fosse fatta col grano della migliore qualità essa non
contiene che il 10 per cento di albuminoidi. La metà
di ciò che è necessario per riparare le forze di un
uomo. Quindi non in senso traslato, ma in senso
vero letterale della parola il proprietario non solo si
appropria i prodotti del lavoro ma anche parte della
vita del contadino”.
Se non vi era, però, alcuna setta di cospiratori come
spiegare gli slogan, le canzoni e le parole d’ordine
“sovversive” circolanti nelle campagne mantovane e
raccolte dalle forze dell’ordine? Chi le aveva diffuse?
Per ovviare a queste implicite domande l’avvocato
ricorse al concetto di “fermentazione psicologica”,
recuperato successivamente anche da Scipio
Sighele nella sua opera La folla delinquente; vale a
dire uno stato d’animo ancora ben lontano dall’effettivo spirito di rivolta (nessuno aveva subito violenze
né minacce da parte dei lavoratori in agitazione), ma
che si sarebbe sviluppato laddove le legittime richieste di migliori condizioni di vita fossero state respinte
in toto da pubbliche autorità e datori di lavoro.
“È naturale, infatti, che le turbe popolari associate
ed accaldate nella comune aspirazione a un miglioramento della loro esistenza, siano giunte a quel fermento psicologico, che l’effetto stesso dell’unione di
più volontà, come la mistione di più elementi organici produce pur quella che si dice la fermentazione
chimica”.
Se si voleva dunque evitare che tra le masse lavoratrici sorgesse uno stato d’animo tale da predisporle a
idee di rivoluzione violenta non vi era dunque che un
mezzo: accettare come legittime le loro richieste di
migliorare gradualmente la propria condizione.
La brillante difesa di Ferri varrà agli imputati il 27
marzo 1886 l’assoluzione da tutti i capi d’accusa,
da quello d’incitamento alla guerra civile a quello di
esortazione allo sciopero. Una settimana più tardi
esplose in Parlamento lo scandalo dei mandati di
cattura in bianco a carico degli arrestati di Mantova
appena prosciolti da ogni accusa.
Nel corso del processo era emerso come i carabinieri avevano ottenuto dall’autorità giudiziaria non
degli ordini di cattura con i nomi delle persone da
arrestare, ma delle generiche autorizzazioni per procedere all’arresto dei presunti “Capi Rioni” e “Capi
Sezioni” della pretesa “società segreta” rivoluzionaria. Il processo aveva avuto, dunque, una vasta eco
nazionale, tanto da essere seguito con attenzione da
Andrea Costa che consegnò personalmente i soldi
raccolti con una colletta agli imputati. Si trattò di una
delle prime vittorie del movimento operaio italiano;
di lì a pochi anni, nel 1889, il nuovo Codice penale,
steso sotto l’egida di Giuseppe Zanardelli, avrebbe
riconosciuto il diritto di sciopero pacifico, o almeno
il diritto di svolgere gli scioperi che le autorità ritenevano pacifici.
31
Il fascino discreto del
diritto penale
In gioventù Francesco MeneGumplowicz.
Gumplowicz
strina fu attratto, per un
insegnava scienza ammiperiodo, dallo studio del
nistrativa e diritto amminidiritto penale, e in questo
strativo austriaco, ma era
Francesco Menestrina,
campo vanno ascritti i suoi
soprattutto un sociologo, un
la delinquenza nel Trentino
primissimi lavori, che susciinnovatore del diritto statale:
tarono notevole rumore alla
era l’autore di Der Rassene la prevenzione dei reati
loro uscita: si muovevano,
kampf (1883), che divenne
infatti, nel solco del positiun classico della sociologia
di Mirko Saltori
vismo giuridico, soprattutto
dell’età positivista, e soprat– ma non solo – di matrice
tutto di quel positivismo che
italiana. Era facile che un giostrizzava l’occhio al marxivane studente di diritto, italiano in Austria, sensibile smo. Non è un caso che fosse costantemente citato
– come Menestrina era – alla questione nazionale da Piscel nei suoi primissimi studi sulle leggi dell’etrovasse suadenze in un campo entro cui pareva voluzione umana: Piscel che si laureò sotto la sua
affermarsi con vigore il cosiddetto “genio italico”. E il guida. Menestrina, pregno degli umori del gruppo
giovane Menestrina aveva frequentata dapprima l’U- studentesco di Graz, fece parte anche della Società
niversità di Innsbruck, ove esistevano i corsi paralleli degli studenti trentini, di fatto da quel gruppo guiin italiano e insegnavano Giovanni Pacchioni (diritto data, e fu da subito fra i collaboratori dell’Annuario
romano) e il trentino Tullio Sartori Monte-Croce degli studenti trentini. E sul secondo numero di esso
(supplente di diritto tedesco), oltre a nomi come pubblicò (1896) Prevenzione e repressione dei reati,
Victor Waldner o – per il diritto penale e delle genti – firmato con lo pseudonimo Cecco da Sopramonte e
Ferdinand Lentner; quindi era passato a Graz. A Graz datato settembre 1895. Ci muoviamo, com’è chiaro
la comunità degli studenti trentini, animati da nuovi sin dal titolo, nel campo della teoria del diritto penale.
ideali, anche protosocialisti, era numerosa (non Il saggio, dall’andamento a volte un po’ stanco,
ultimo per la possibilità
troppo lungo (46 pagine),
di sostenere gli esami in
appare come un diligente
lingua italiana!): ne erano
sunto delle teorie allora
parte Antonio Piscel
in voga nella cosiddetta
e Giovanni Lorenzoni,
(da Menestrina stesso)
Adolfo de Bertolini, Gino
“scuola criminale antroSartori, per breve periodo
pologica”
o
“scuola
anche Cesare Battisti,
italiana”. I riferimenti,
quindi Menestrina, che
anche espliciti, sono vari,
a Graz si laureò il 27
come diversificato era,
ottobre 1896. Suo Tutor
in effetti, lo spettro della
(o, meglio, Promotor), il
scuola (e gli approdi polisettantenne
Ferdinand
tici dei suoi protagonisti):
Bischoff, professore di
presenti sì Lombroso
storia del diritto e dell’Im(verso cui l’autore è però
pero tedesco e di diritto
cauto) e Garofalo, Meneprivato tedesco, per
strina pare attratto più
due volte rettore dell’udalla branca sociologica,
niversità, tra i fondatori
quella attenta alla quedella scuola di storia del
stione sociale: il trentino
diritto tedesco, al suo
Scipio Sighele, certo, e
ultimo anno d’insegnaTurati e Colajanni, ma,
mento; ma Menestrina
soprattutto, “quell’atleta
ebbe agio di seguire
dell’investigazione posianche, naturalmente, le
tiva che è” Enrico Ferri, le
lezioni del barone von
cui opere Menestrina cita
Canstein, professore di
costantemente,
Sociodiritto processuale civile
logia criminale su tutte.
austriaco, e soprattutto
Certo, sono presenti altri
del galiziano Ludwig
influssi:
Gumplowicz,
Francesco Menestrina (Biblioteca comunale di Trento, BCT 10-1.1.131087)
32
naturalmente, e Prins, ma anche von Liszt e KrafftEbing, l’autore della Psychopatia sexualis.
I temi toccati (oltre a un patente e già spiccato interesse, che si rivelerà fecondo, per la statistica, soprattutto nelle sue implicazioni sociali, sulle impronte di
Giulio Salvatore Del Vecchio e Antonio Gabaglio)
sono quelli classici: la recidiva, i tipi di delinquente
e la distinzione – “ormai comunemente accettata” – fra delinquenti correggibili e incorreggibili,
il “nuovo indirizzo, non individualista, ma sociale”
delle scienze penali (ma anche del diritto privato!), la
pena come misura di difesa sociale, con funzione di
conservazione sociale, i mezzi di prevenzione (alcuni
di gusto quasi reazionario: “Impedendo che si stampino e si divulghino fra il popolino oscene narrazioni
e lubriche imagini, si ridurrà il numero degli attentati
al pudore”); il libero arbitrio, soprattutto, che “altro
non è che un inganno della nostra stessa coscienza”.
Fra le carte lasciate del giurista (conservate oggi
presso la Biblioteca comunale di Trento) rimangono
due interessanti documenti: due scritti del padre di
Francesco, Leonardo, già commissario distrettuale
presso varie preture prima e capitanati poi, che
si confronta criticamente con l’articolo del figlio. Il
primo è intitolato Imputabilità e punibilità delle azioni
umane, l’altro (datato giugno-luglio 1896) Osservazioni e rimarchi sull’opuscolo intitolato “Prevenzione
e repressione dei reati”.
Vale la pena di spenderci un po’ di tempo, almeno nel
caso del primo scritto, anche per le bizzarre forme
che la critica assume, forme peraltro non inconsuete al tempo. L’uomo, per Leonardo (ch’era stato,
a Padova, allievo dell’abate Pietro Antonio Rivato), si
distingue dagli animali proprio per il libero arbitrio, e
perché perfettibile: “non vogliate colle vostre nuove
e chiassose teorie distruggere la più naturale ed universale credenza dei popoli della terra”. S’inventa
quindi un breve dialoghetto fra i cosiddetti “studenti
di Gratz”, a rappresentare significativamente i nuovi
criminalisti, e i carcerati. Questi, ascoltati gli annunci
sulla scomparsa della pena di morte, sulla possibile
scarcerazione, ecc., affermano scettici: “Ma perdonate Signore... voi siete qual pazzo che venite a
canzonarci ed a beffarvi di noi e delle nostre misere
condizioni”; al che il penalista: “Le azioni vostre criminose, secondo le nuove teorie, vengono risguardate come altrettanti casi avvenuti senza vostra
libera cooperazione senza vostra colpa, avvenuti per
una forza irresistibile innata in voi, avvenuti per una
volontà interna indomita senza quindi vostra colpa,
quindi, vedete bene, che considerando i fatti vostri
sotto tale nuovo aspetto voi non meritate pene di
sorte e dovete andar assolti da qualsiasi misfatto”.
I carcerati sono in tripudio: “Che stupende dottrine!
Queste sono teorie giuste! Finalmente la hanno
capita!”, e poi: “Evviva il progresso, evviva il secolo
XIX!”, “ma diteci siete voi forse il Sior Beccaria?”.
Leonardo critica i nuovi criminalisti per l’uso di citazioni ed estratti presi qua e là dalla Bibbia, letta senza
approfondimenti teologici, ma anzi, attraverso la
lente dei “sommi filosofi della Francia e della Germania”; e d’altra parte le loro dottrine, dice Leonardo,
sono emanazione della rivoluzione francese.
Ancor meno amichevole fu La Voce Cattolica, che
recensendo in otto puntate l’Annuario (nell’aprile
1896), per più di sette di esse si occupò del nostro
scritto. Vi si mettevano in luce, con una certa pedanteria, le “tare” e gli “errori”, e veniva dichiarata e
attaccata la matrice dichiaratamente positivista degli
assunti di “Cecco”: quella cosiddetta scienza era anzi
“l’avanguardia del socialismo materialista più spietato” (e proprio quando, 17 aprile 1896, la Congregazione dell’Indice condannava cinque opere di Enrico
Ferri, tra cui la Sociologia criminale); a partire, naturalmente, dalla negazione del libero arbitrio (“Le dottrine esposte dal nostro Cecco ledono direttamente
il dogma cattolico della libertà umana”). Tra i consueti attacchi antievoluzionistici (“Dunque l’ultima
parola della scienza naturale progressista sarebbe la
sostituzione di qualche gorilla o di qualche rana o...
peggio ai protoparenti del genere umano Adamo ed
Eva”), gli articoli avevano però qualche spunto felice
che riusciva a mettere in luce le manchevolezze e
le contraddizioni dello studio di Menestrina in particolare e della scuola positivista in generale, con
l’accenno ai “birbanti dal cranio onesto”, con la stigmatizzazione della condanna senza appello dei pazzi
e dei malati (pronunciata da una società che avrebbe
doveri soltanto verso l’individuo sano), e con la
messa in ridicolo del repentino passaggio che portava dalla glorificazione dell’individuo e della libertà
individuale post 1789 alla negazione della libertà e
dell’individuo stesso. Pur riconoscendo la validità
della raccolta empirica di dati, l’autore cattolico ne
criticava l’uso nudo e crudo: dei fenomeni dovevano
esser sempre conosciute le cause e la natura, pena la
caduta nel materialismo (e qui gli esempi citati andavano da Hobbes a Locke a Hume).
Il testo era firmato X., e l’autore era qualcuno che
aveva ben chiara la disputa e i problemi di cui parlava, ch’erano anzi, probabilmente, sua materia di
studio. Guido de Gentili? Forse. Alcune assonanze,
alcuni concetti sviluppati si ritrovano quasi pari,
però, nel breve saggio Il concetto della libertà umana
secondo il pensiero evoluzionista e secondo il pensiero della filosofia cristiana, pubblicato nel primo
numero (gennaio 1901) de La Rivista Tridentina
(edita dall’Associazione cattolica universitaria degli
studenti trentini). Autore di quel saggio era il prof.
Celestino Endrici. Se non fu quindi il futuro vescovo
33
a stendere quella lunga recensione, se non fu monsignor de Gentili, fu comunque qualcuno che aveva
respirato la medesima aria culturale, presso i collegi
romani.
L’articoletto di Menestrina, su cui ci soffermiamo
anche per misurare gli effetti di un approccio affatto
nuovo per il mondo culturale trentino, ebbe anche
qualche plauso significativo. Scipio Sighele (di
cui in quello stesso anno la Società degli studenti
trentini diede alle stampe l’opuscolo Delitti e delinquenti danteschi (Conferenza)) scrisse da Roma ad
Antonio Piscel il 17 aprile 1896: “sento il bisogno
di rivolgere una speciale parola di riconoscenza a
Cecco da Sopramonte, il quale ha voluto citare il
mio povero nome con troppa cortesia. Non so chi
s’asconda sotto quello pseudonimo. Ella lo saprà,
e potrà quindi – in mio nome – fare i dovuti ringraziamenti”. E, aggiungeva il Piscel stesso nella sua
lettera di quattro giorni dopo, “del tuo lavoro sentii
fare grandi elogii dal Riccabona e dall’Avv. Debiasi”:
si riferiva a Vittorio Riccabona, della vecchia scuola
liberale economica, che sarà poi autore di dialoghetti
di carattere pseudomaterialista (tra un fisico e un
metafisico, tra uno spiritualista e un positivista, ecc.),
oltre ad un opuscolo su I pregiudizi contro l’imputabilità penale (1906); ed a Giovan Battista Debiasi,
anch’egli vecchio liberale, di Ala, che col Riccabona
soleva corrispondere proprio su temi materialisticoevoluzionisti (due sue lettere furono date alle stampe
nel 1903). Eran quindi chiari, a questo punto, i fronti
di consenso e di dissenso.
Il Menestrina, apparentemente né intimorito né lusingato, l’anno successivo, 1897, pubblicò nel nuovo
Annuario (il terzo) La giurisprudenza in casa nostra,
questa volta siglato D.r F. M. e datato gennaio 1897.
Il saggio è più sintetico, più personale, mostra maggior maturità e dimestichezza storica. Rientra in
quella serie di lamentationes di giovani intellettuali
sul proprio tempo (e quindi anche sul proprio stato),
diverse delle quali cita l’autore stesso: dall’Augusto
Panizza di Sullo stato della pubblica istruzione nel
Trentino (1868) al Riccabona de L’attività intellettuale
del Trentino (1882), fino al proprio sodale Piscel con
Della decadenza letteraria nel Trentino (1894 – e
avrebbe potuto anche aggiungere vari articoli coevi
di Battisti su L’Alto Adige); e tali saranno anche le
fulminanti e lucide corrispondenze di Alfredo Degasperi ne La Voce di Prezzolini.
La reprimenda è volta alla cultura giuridica trentina,
morta, secondo l’autore, dopo il 1866 (viene da chiedersi se prima di quella data fosse davvero tanto
fiorente…). Se una grave spia è vista nell’ignoranza
della lingua tedesca (Menestrina non assolve “quei
praticanti giudiziarî e di avvocatura che, dopo aver
studiato tedesco per sett’anni in ginnasio ed amo-
34
reggiato con le bionde cameriere per altri quattro
all’Università, non capiscono ancora il testo tedesco
del Bollettino delle leggi”, stigmatizzando la loro presunzione d’italianità, “come se italiano fosse sinonimo di ignorante e non fosse in genere turpe cosa
coprire con manto patriottico i frutti della propria
pigrizia”), è in generale la mancanza di studi a essere
presa di mira; ma anche, per un altro verso, l’eccessiva astrazione: “Conosciamo le leggi, non l’alito che
le anima; citiamo paragrafi, ma non sappiamo di
che lotta essi siano frutto, né quale conflitto di interessi abbiano voluto sanare. E così andiamo avanti,
mentre la prassi è rosa da un basso empirismo e la
teoria sprezzata od ignorata”. Il riferimento è anche
al campo del diritto civile, entro cui si stava sviluppando in Austria una nuova scuola, con maestri che
andavano dal liberale Joseph Unger sino al marxista
Menger (autore de Il diritto civile ed il proletariato), e
ch’era stato toccato nel primo Annuario dal de Bertolini, autore di un saggio su Il diritto di risarcimento
e la sua recente evoluzione.
Ancora una volta – e ancora per poco – è, tuttavia,
il campo penale a interessare maggiormente Menestrina, ed è questo secondo lui l’ambito maggiormente trascurato, anche dai migliori, digiuni “delle
elementari cognizioni di sociologia criminale”. Lo
studio delle leggi è, dice Menestrina, un “gran refugium peccatorum”, e chi si dà a esse avrebbe secoli
addietro fatto il prete: e qui una “positiva” spiegazione delle motivazioni che portano alcuni miseri
a vestire, per ragioni economiche, l’abito talare,
portando nella vita pubblica “il loro malumore irrequieto, congiunto con una certa violenza di linguaggio, con una intolleranza medioevale delle opinioni
altrui, con una smania di far veder nero ovunque non
s’annidino essi”. Espressioni che non troveremo più,
in futuro, nei suoi scritti, e che al momento non servivano certo a garantirgli l’appoggio del movimento
cattolico – che aveva a quel punto svelato chi fosse
l’ignoto Cecco.
Nel 1898 esce la nuova rivista di studi scientifici Tridentum, voluta e diretta da Cesare Battisti e Giovan
Battista Trener. È su quelle pagine, tra il marzo 1898
e il maggio 1899, che Menestrina viene a pubblicare
uno dei suoi lavori maggiori, La delinquenza nel
Trentino, dove trovano albergo i suoi ragionamenti
sui temi della criminalità, la mole d’informazioni che
egli riesce a trarre dall’archivio del Tribunale circolare di Trento (presso cui aveva fra il 1896 e il 1898
svolto pratica d’ascoltante giudiziario), nonché una
sempre maggior perizia storica e giuridica: proprio
in quel 1898, infatti, Menestrina ottiene (con Lorenzoni) una borsa di perfezionamento per la preparazione alla libera docenza di procedura civile presso
l’istituenda cattedra italiana della facoltà giuridica di
Innsbruck, e avvia il percorso di studi che lo porterà “storicamente veri uccisori di s. Simonino”, in rispoa Roma, a Vienna, e quindi a Lipsia con Adolf Wach. sta alle parole di Menestrina, che parla di “ignomiNon che il lavoro non presenti debolezze. Mene- niosa caccia all’israelita” – e certo, sarà suo fratello,
strina cerca di risalire “all’oscura notte dei tempi per Giuseppe Menestrina, a mettere in scacco tutta la
rintracciarvi la parte malata di quelle primitive condi- vulgata antiebraica con un memorabile articolo (Gli
zioni sociali”, attraverso una serie di notizie tratte per ebrei a Trento) pubblicato proprio da Tridentum (nel
lo più da opere erudite (gli atti dell’archivio vescovile 1903).
si trovavano allora a Innsbruck), e in una sorta di con- Menestrina, nel suo studio, informa poi minutatrostoria del Trentino ante litteram (ricordate quella mente anche su quella criminalità “umile e quotisettantasettina di Belli – Fedrigotti – Loss?) eviden- diana che ha la radice in una vera malattia del corpo
zia i “tipi criminali di nascita illustre”: sono príncipi, sociale”, dal Cinquecento a inizio Ottocento. La parte
feudatari, ma anche vescovi e membri del clero (dei più nuova, e più bella, del lavoro è, comunque,
quali qualche caratteristica gli appare “grave indizio quella che dal 1810 corre sino al 1857. Quella per la
di degenerazione psichica”). Non tanto in queste sot- quale, tolti i riferimenti agli importanti lavori statistici
tolineature e negli esempi sta la debolezza; quanto di Johann Springer (Statistik des österreichischen
nella sopravvalutazione di un “popolo” che appare Kaiserstaates, 1840) e di Johann Jacob Staffler (Tirol
un po’ astratto, quando non artefatto. Sfilano così und Vorarlberg, statistisch und topographisch, 1839“la serena mitezza di un popolo intiero che cerca 1846), Menestrina si servì dei documenti d’archivio
nel lavoro l’unico conforto alle sue sventure”, le cui del tribunale.
rivolte sono “serie e fortemente pensate”, “opera “Per istudiare però la massa grigia della piccola
della coscienza collettiva”, in cui si vedono sprazzi delinquenza bisogna attingere a fonti nuove, alla
di luce “che in tempi migliori diventerà fiamma di statistica”, dice l’autore: e da noi si può da quando
civile progresso”. Una visione socialisteggiante (da “si cominciò a tenere una continuata prenotazione
Menestrina, che socialista non era e non fu) un po’ dei casi penali”. Così sfilano anno per anno le tipolopaternalista, poco analitica e molto sentimentale: gie e i numeri dei reati commessi e delle condanne
ma di più, forse, non si poteva chiedere!
inflitte, con considerazioni a margine: molti furti e
Ebbe buon gioco La Voce Cattolica a recensire dura- ferimenti, poi omicidi, rapine, stupri, il tutto a disemente questa prima parte del lavoro, in dieci puntate gnare un Trentino ben diverso da quello di certi
dell’aprile-maggio 1898 uscite poi in opuscolo (Uno quadri oleografico-pastorali, ma ovviamente più reastudio su la Delinquenza nel Trentino e la Storia), a listicamente attagliato alle asprezze della società e
firma G. G., ma attribuibili
della cultura contadina e
con certezza a don Vigilio
montana dell’Ottocento.
Il Dizionario biografico dei giuristi, (Bologna,
Zanolini, erudito scrittore
Il tutto con ampio corIl mulino, 2013) dedica una voce, firmata da
di storia. La critica princiredo di tabelle e grafici,
Augusto Chizzini, al trentino Francesco Menepale, per lo più corretta,
per i quali la statistica
strina (1872-1961): docente – in tempi diversi – a
riguarda le fonti: malsiè utilizzata con grande
Innsbruck, Trieste, Padova e Venezia, fu dal 1920
cure, dice il sacerdote
perizia e consapevolezza
al 1942 avvocato erariale prima a Trento, quindi
(anche se sicure gli semdei fattori limitanti. Le
a L’Aquila, a Roma e infine a Venezia; soprattutto
brano solo quelle scritte
considerazioni finali torsi dedicò, come giurista, al campo della proceo tramandate da ecclesianano a rimarcare il clima
dura civile, collaborando con alcune voci all’Enstici...), e troppo esili per
“positivo”: il rapporto fra
ciclopedia Treccani, al Nuovo Digesto Italiano, e
trarne “conseguenze così
criminalità e razza (che
al Commento al nuovo Codice di procedura civile
enfatiche e strampalate”;
era discussione assai in
diretto da Mariano D’Amelio: dopo la morte, la
ma Zanolini vi vede anche
voga – non scordiamo il
Fondazione Piero Calamandrei raccolse in tre
scarsa serenità di giudicontesto di forte presa di
volumi per Giuffrè le principali sue opere in tal
zio, anacronismi (assurdo
coscienza nazionale); le
campo. In Trentino Menestrina è ricordato come
“il pretendere che i giudifferenze, poi, tra delitti
preciso raccoglitore di notizie storiche, pubblidici del secolo XVI agisdi ieri e di oggi. Se la cricate nelle riviste di “storia patria”, da Tridentum
sero come un tribunale
minalità a base di violenza
alla sua Pro Cultura fino a Studi Trentini: saggi
del XIX”). Anche se è
è “indizio indubbio di
eruditi, nella migliore tradizione della storia
poi scontato il suo rifericiviltà ancora bambina”,
locale, suggestionati dalla scuola austriaca,
mento a Gaismayr come
“nel periodo prossimo la
Voltelini in primis; che culminarono forse nella
un “vero anarchico” sovosserveremo invece fra le
vasta ricerca su Giandomenico Romagnosi a
vertitore d’ogni autorità,
incertezze dell’êra di tranTrento (1908-1909).
o ancora agli ebrei come
sizione, troppo nuova per
35
essere ancora a base di violenza, troppo poco evoluta per fondersi esclusivamente nel raggiro”. Menestrina raccoglie il suo studio in un opuscolo che esce
nel settembre 1899, con una nuova premessa: egli
avverte, significativamente, che fare “La storia per
la storia, quale troppo spesso si fa nel nostro paese,
è lavoro per lo meno inutile”, richiamando la scuola
storico-giuridica di Savigny e Puchta. Il Sighele
apprezza moltissimo lo studio, e scrive da Nago
all’autore il 16 ottobre 1899:
“Il suo lavoro è prezioso, egregiamente condotto,
con un alito di modernità che lo rende ancor più interessante e fecondo, giacché seguirà – non ne dubito
– un risveglio dei nostri studî nel nostro paese. Io
Le prometto di parlarne nell’Archivio di psichiatria
del Lombroso e nella Scuola positiva del Ferri”, e
lo prega poi, se proseguisse negli studi statistici, di
comunicarli magari proprio all’Archivio lombrosiano.
Non abbiamo potuto appurare la presenza di tali
recensioni.
Sappiamo però che di “perfetta spassionatezza di
giudizio e obiettività di osservazione”, oltre che di
“preziosi appunti storico-statistici”, parlò La scienza
sociale di Francesco Cosentini (nel giugno-luglio
1901). Come si vede, il contesto rimane quello del
positivismo giuridico.
E i concetti che chiudevano il suo studio verranno da
Menestrina ripresi nella conferenza tenuta a Cadine
il primo ottobre 1899 e stampata in opuscolo dalla
Società degli studenti trentini (Quale sarà la nostra
delinquenza nel Secolo XX?): il passaggio dalla violenza al raggiro; la modernità raggiunta repentinamente; in più, un interessante accenno polemico
alla legge sul delitto di refrattarietà – applicato agli
emigrati – del 1889. Se ieri, dice l’autore, il mutamento economico-sociale era forzatamente accompagnato da guerre e calamità, oggi “a produrre lo
stesso effetto basta una vittoria della mente umana
sulle arcane forze della natura: basta la scoperta
dell’elettricità e la sua applicazione all’industria”. È,
lo vediamo bene dai suoi tratti ingenui, un positivismo ormai ritardatario: ma è anche, si può dire, il
commiato di Menestrina da quel mondo. La seconda
parte dello studio sulla delinquenza (che avrebbe
dovuto toccare il quarantennio 1858-1898 circa) non
uscì, purtroppo, mai, anche se Menestrina disse
d’aver raccolto gran parte del materiale (e qualcuno
ne rimane nel suo archivio).
E pur considerando che egli continuò ad aggiornare
la propria copia de La delinquenza nel Trentino (oggi
conservata in Biblioteca comunale di Trento) con
note e appunti, questi sono però per lo più aggiunte
bibliografico-archivistiche che vanno a integrare i
documenti, soprattutto d’antico regime. Insomma,
aggiornamenti eruditi: storia per la storia, avrebbe
36
detto il Menestrina precedente. Non vorremmo, tuttavia, dar troppo l’immagine d’un repentino mutamento d’indirizzo filosofico e scientifico nel giurista:
è proprio l’interesse di Menestrina per il diritto
penale, per la sua riforma e anche, certo, per la sua
storia a venir meno.
E d’altra parte sono gli anni di affinamento delle
competenze in procedura civile, dell’ottenimento
della libera docenza a Innsbruck (1901), delle importanti pubblicazioni su L’accessione nell’esecuzione
(1901) e La pregiudiciale nel processo civile (1904).
È una distanza che si sentirà ormai chiaramente nel
necrologio di Scipio Sighele, morto nell’ottobre del
1913, che Menestrina scriverà per la Pro Cultura.
Lo indica come “seguace convinto, anzi entusiastico”
della scuola positiva (nessun riferimento autobiografico), ne ricorda la “fecondissima penna”, la “caratteristica attitudine alla divulgazione”, le conferenze:
cose che andarono “a danno [...] della vera e duratura fama” che egli avrebbe guadagnato se si fosse
dedicato all’insegnamento delle scienze penali.
Il “Comunque si voglia pensare del Sighele come
scienziato” che chiude lo scritto è ancor più indicativo del disincanto e della scarsa partecipazione di
Menestrina, oramai, per quel mondo. Il suo interesse
per la storia della delinquenza nel Trentino, ciò che è
invece davvero moderno e potenzialmente fecondo
di quella fase della sua attività scientifica, rimarrà
però isolato.
Solo di recente abbiamo avuto un’indagine sulla criminalità nel Tirolo e Vorarlberg (Elisabeth Dietrich,
Übeltäter Bösewichter. Kriminalität und Kriminalisierung in Tirol und Vorarlberg im 19. Jahrhundert,
1995) che tenta per i due interi Länder una storia
istituzionale e sociale, con l’utilizzo di fonti a stampa
della k.k. statistische Central-Commission (ma non
di quelle fonti archivistiche che costituivano il nerbo
del lavoro di Menestrina: che però, ad esempio, per
il Tribunale di Innsbruck non si sono conservate); e
ancor più recentemente Marco Bellabarba ha dato
in vari studi alcuni squarci di storia della criminalità
e della giustizia nel Trentino dell’Ottocento (ricordiamo almeno quello su La quiete nelle campagne:
il crimine di “pubblica violenza” nel Tirolo e nel Lombardo-Veneto dell’Ottocento, in Quaderni storici del
2012).
Si può solo sperare che il riordino dell’archivio dei
tribunali trentini ottocenteschi conservato presso
l’Archivio di Stato di Trento, in corso d’opera per
cura di chi scrive e per conto della Soprintendenza
per i beni storico-artistici librari e archivistici della
Provincia autonoma di Trento, possa risvegliare l’interesse degli storici per una fonte che, per dirla con
Menestrina, costituisce “il documento più eloquente
per lo studio delle condizioni sociali di un popolo”.
fotografia di Luca Chisté
Codici penali in vigore in Trentino nei secoli XIX e XX
Dal gennaio 1804 entra in vigore, dopo la secolarizzazione dei Principati vescovili di Trento e Bressanone,
il Codice penale austriaco del 3 settembre 1803, sostanziale e procedurale. Questo viene mantenuto anche
durante il periodo di governo bavaro, salve alcune deroghe. Con il passaggio al Regno italico e l’erezione
della nuova Corte di giustizia, s’iniziano ad applicare (1 ottobre 1810) le leggi penali francesi (non ancora
il codice!) e il codice di procedura penale italico del 1807 (o “Codice Romagnosi”). Il nuovo Code pénal
francese del 1810 sarà attivato poco dopo, il primo gennaio 1811. Il 15 settembre 1814, dopo l’ennesimo
cambiamento di governo, ritorna in vigore il Codice penale austriaco del 1803. Un nuovo regolamento di
procedura penale (17 gennaio 1850), che introduce le corti d’assise e il dibattimento orale, viene attivato
nel luglio 1850 e rimarrà attivo per quattro anni. L’altro codice penale austriaco, quello del 27 maggio 1852,
entrerà in vigore il primo settembre di questo stesso anno e lo rimarrà sino al 1922. Sarà seguito dalla
promulgazione del nuovo regolamento di procedura penale (29 luglio 1853), attivato in territorio trentino il
30 novembre 1854, e da quello del 23 maggio 1873 in vigore dal gennaio 1874. Con il primo agosto 1922,
dopo l’annessione al Regno d’Italia e dopo varie ordinanze del comando supremo, entrano in vigore il
codice penale del Regno d’Italia, ossia il “Codice Zanardelli” del 1889, e il codice di procedura penale del
1913. Entrambi rimarranno attivi per soli 8 anni, quando saranno sostituiti (nel 1930) dai nuovi codici fascisti che segneranno gran parte del Novecento.
37
“Il marchio indelebile di
una inferiorità giuridica”
“Esercizio di libertà”, il monodei diritti tra uomo e donna. È
logo teatrale messo in scena in
in questo libro che si trovano
occasione del centenario della
asserzioni che, oltre a compenmorte di Scipio Sighele, è la
diare il pensiero dell'autore sul
l’impegno “femminista”
storia di una giovane donna
tema, prospettano scenari che
di Scipio Sighele
che nei primi anni del Novesi concretizzeranno solo alcuni
cento decide di non rispettare
decenni più tardi. “Le donne
norme e leggi che la vorrebbe– osserva – sono le sole perdi Paolo Domenico Malvinni
ro soggetto passivo di scelte
sone cui ai nostri giorni vengafamiliari fondate unicamente
no dalla legge interdette certe
su ragioni di convenienza socapacità, per ragione di nasciciale o su convenzioni. Lia, questo è il suo nome, ta. Come anticamente gli schiavi, come fino a poco
è spinta da un impulso personale, da un desiderio tempo fa i negri in America, le donne escono alla vita
interiore di assecondare il suo sentimento d’amore e col marchio indelebile d'una inferiorità giuridica”. E,
non la regola imposta dalla famiglia di appartenenza. a proposito d'inferiorità giuridica, ecco la sua opinioSaranno la solidarietà di un’altra giovane donna e le ne: “la donna è diversa dall'uomo, non per questo
nuove idee circa la parità dei diritti tra uomo e don- gli è inferiore: è diversa da lui, ma a lui equivalente,
na, che vede tra i suoi propugnatori anche Sighele e di lui egualmente necessaria. Quindi non deve sofstesso, a infondere energia a Lia e a consentirle di frire alcuna diminuzione di diritti”. In queste poche
raggiungere l’obiettivo.
parole si coglie chiaramente la posizione di Sighele
Sighele, d’impronta positivista e di spirito innova- sull’argomento e ciò in un periodo in cui la questione
tore, trova nella questione femminile un aggancio femminile rappresentava un problema aperto tanto
importante per la promozione di un’azione di trasfor- nella società italiana così come in tutto il mondo ocmazione della società. Fin dal 1898, con la pubbli- cidentale. È del 1906 la pubblicazione del romanzo
cazione di La donna nova, organizza unitariamente Una donna di Sibilla Aleramo, con tutto lo scandaun’ampia serie di interventi e articoli riguardanti le lo anche mediatico che ne derivò. Sighele apprezza
condizioni della donna nella civiltà moderna. È pur l'opera, la cita e ne parla, ancora in Eva moderna:
vero che in questi scritti si rileva un atteggiamento “Questo romanzo, che è senza dubbio fra i migliori
che – per restituire ironia a certe ironie dell'autore usciti da penna femminile in Italia, non è che la sto–, potremmo definire “ottocentesco”, ma La donna ria di un'anima, il diario di una battaglia morale comnova è anche il libro che si chiude con un’asserzione battuta da una moglie di troppo ingegno contro un
capace di illuminare in una prospettiva nuova sia il ambiente intellettualmente mediocre. Ed è piaciuto
pensiero del suo autore che le sorti dell'intero dibat- appunto per la sincerità e per l'audacia con cui l'autritito. Sighele, infatti, con un tono che pare essere più ce aveva messo a nudo un cuore di donna”.
da politico che da sociologo, prende netta posizione “Io non vedo – scrive ancora nell'opera del 1910 in
asserendo che “le rivendicazioni che la donna pre- relazione alla parità dei sessi di fronte alla legge – un
tende sono giuste e sante, quindi presto o tardi le solo argomento che possa validamente contrastare
otterrà”. Seguendo il filone degli studi dedicati alle in teoria il diritto di voto alle donne”. Tali prese di
problematiche della donna nella società, troviamo posizione permettono a Giovanni Pedrotti di etichetuna conferenza tenuta in Riva nel 1903 su invito della tare meritatamente Scipio Sighele come “femminiPro cultura rivana, intitolata “La donna e il problema sta”. Lo studioso trentino così lo definisce nel 1932
dell'educazione”. È nel 1907 che Sighele inquadra, in quanto “scrittore e sociologo che denuncia coragsuccessivamente, la problematica della parità dei di- giosamente lo sfruttamento che tutt'ora si va facenritti tra uomo e donna secondo le corde che gli sono do della donna”. Argomenti che hanno indirizzato
più affini, quando cioè pubblica nella rivista Vita e sostenuto, nel monologo Esercizio di libertà, una
femminile italiana un articolo dal titolo “La donna e presentazione e una lettura di Scipio Sighele come
le ingiustizie della legislazione”.
”intellettuale impegnato”. Lia,
Scritti che verranno raccolti
la giovane donna che nella finnel volume Eva moderna del
zione narrativa abita a pochi
1910, opera nella quale si premetri dalla casa familiare di lui,
cisa la posizione dello studioso
intende davvero liberarsi da
sull'argomento e si consolida
quel “marchio indelebile d'una
la convinzione circa il caratteinferiorità giuridica” che il suo
re rivoluzionario dell’affermaconcittadino aveva evidenziato
zione del principio della parità
e stigmatizzato.
38
Femminicidio
in salsa trentina
no spazio nella cronaca nera
Il Trentino, lo sappiamo e ce lo
degli anni successivi: nel 1974
ricordano ogni anno le statistiLoredana Dominici, giovane
che sulla sicurezza e sulla quadi Cles, è investita da un autolità della vita, è una provincia
1959-2008
carro che tampona il suo mocon livelli di criminalità contedi Paola Bertoldi
torino e la trascina sulla strada
nuti. Ciò nonostante anche in
per mezzo chilometro; viene
questa realtà si sono registrati,
inizialmente condannato l’ex
seppur raramente, eventi delitfidanzato Giuseppe Bertagnoltuosi di efferata violenza che si
li, poi assolto per insufficienza
sono impressi nella memoria
di prove. Nel 1982 sparisce nel
collettiva. Fra questi prendiamo sinteticamente in considerazione, per l’attualità nulla Germana Degasperi (23 anni), episodio per il
del tema, quegli episodi legati al cosiddetto femmi- quale viene condannato a 7 anni il marito, ma il cornicidio registrati in circa cinquant'anni fra il 1959 e il po della ragazza non sarà mai ritrovato.
2008. A Coredo, in val di Non, la sera del 6 maggio Nel 1987 nei boschi di Brentonico viene rinvenuto
1959, Mario Bellotta, di appena 16 anni, segue fino a il cadavere carbonizzato della ventenne Loredana
casa Erina Leonardi, 41 anni, maestra elementare, e Gambaretto. Per il suo omicidio viene comminata la
pena dell’ergastolo a Roberto Faedo, l’amante di 35
la uccide con 26 coltellate.
Si chiama invece Oriana Zanchetta la giovane ragaz- anni, sposato e padre di famiglia, che si dichiarerà
za, di appena 17 anni, che viene violentata, strango- sempre innocente.
lata e gettata in una cisterna nella zona dei Solteri a Qualche anno dopo, è il 1990, la ventottenne Maria
Trento. È il 25 ottobre 1967 e l’assassino non verrà Luisa De Cia viene violentata, brutalizzata e uccisa
mai smascherato. Altre vittime, altre donne, trova- nella zona di San Martino di Castrozza accanto a un
39
sentiero sulle Pale di San Martino, mentre Isabella
Veneto, 42 anni, titolare di un night club ad Arco,
viene uccisa a coltellate nel settembre del 1994 nel
suo appartamento. In entrambi i casi il colpevole è
sfuggito alla giustizia. La violenza contro le donne si
arricchisce poi dei cosiddetti “omicidi a luci rosse“.
È il 9 gennaio 1992, quando Anna Maria Ropele,
una delle prostitute più note e ricche della Trento di
allora, viene trovata uccisa in una pozza di sangue
nel suo appartamento di corso Buonarroti, a Trento,
colpita da un'unica e letale coltellata. Il delitto fece
scalpore anche perché Anna Maria, ai tempi trentottenne, aveva costruito fama e fortuna difendendo la
sua professione, conducendo battaglie per fondare
un sindacato e aprire una cooperativa a luci rosse.
Storia diversa, ma uguale tragica fine anche per la
prostituta ventiquattrenne Maria Fraga, originaria di
Montevideo: il 6 marzo 1998 viene trovata sgozzata nel suo letto senza che si sia mai potuto accertare il colpevole. Aveva un figlio. La lista delle donne
assassinate in Trentino, quasi sempre dal partner o
dall’ex, ha continuato ad arricchirsi anche nel corso
del primo decennio del nuovo millennio.
Il 9 settembre 2002 Paolo Pergher, 46 anni, ex gestore della pizzeria Enrosadira di Moena, uccide la
moglie, Rita Trettel, 49 anni. La strangola con una
cordicella, nella camera da letto di lei. A Mattarello,
il 12 luglio 2004, è l'odontoiatra Fabrizio Bertelli, 37
anni, a uccidere l'amica Fernanda Chistè, mentre nel
dicembre dello stesso anno Jessica Giorgio, 30 anni
e un figlio di 11, viene accoltellata a Predazzo dal
suo ex convivente Pietro Cannavacciuolo. Nemmeno due anni più tardi – è l'ottobre del 2006 – avviene
un altro delitto, questa volta a Canova di Gardolo.
Rino Poletto, muratore di Pergine, ferma l'auto con a
bordo la moglie, Lia Piva e la colpisce ripetutamente con il coltello, uccidendola. Un raptus di gelosia
40
legato alla relazione ormai conclusa tra i due. 2007,
altra valle del Trentino, ma simile dinamica: a Ronzo
Chienis una guardia giurata di 50 anni uccide la sua
ex convivente e ferisce gravemente il loro bambino
e un fratello di lei. L'omicidio viene consumato davanti a due gemelline di 5 anni. Ancora, nell'ottobre
del 2008, questa volta a Trento, Carlos Ignacio Carrasco Ortega, cileno, colpisce con un coltello, e uccide, Ilenia Graziola, giovane psicologa di Nogaredo.
L'uomo, che non accettava la fine della relazione, si
toglie la vita con lo stesso coltello.
Il delitto di Coredo del 1959 colpì l’opinione pubblica perché Bellotta, che resta il più giovane omicida
nella storia giudiziaria del Trentino del Novecento,
confessò di aver tentato di violentare la sua vittima.
Erano anni in cui il martirio in nome della purezza,
le suggestioni del sesso visto come peccato mortale e la devozione a Maria Goretti erano molto vivi
nel vissuto collettivo. Gli omicidi delle due prostitute
negli anni novanta si inseriscono invece in un altro
contesto, in un società diversa e più libera, dove era
forte il dibattito sulle necessità di riaprire le case di
tolleranza per liberare le strade dalla prostituzione e
combattere gli episodi di grave violenza o la tratta
delle schiave del sesso.
L’uccisione di Oriana Zanchetta, la ragazza stuprata
e gettata in una cisterna, è uno dei primi tragici casi
di femminicidio. Il suo brutale omicidio fu imputato
subito a un maniaco sessuale.
La giustizia interrogò centinaia di persone privilegiando la pista dell’assassino che colpisce a caso,
ma la madre della ragazza non ha mai creduto alla
teoria del maniaco che sbuca dal nulla, ed è sempre
stata convinta che chi ha ucciso la figlia la conoscesse. È in questa direzione che si sarebbero dovute
orientare le indagini. I casi di femminicidio più recenti sembrerebbero darle ragione.
Alcune delle 21 vittime di femminicidio registrate nel 2012 (da <corriereitaliano.com>)
Stati generali della storia
INFOM
INFO M USE
USE O
O
MAGGIO
Rassegna cinematografica in biblioteca
Il Comitato di Indirizzo della FonLa rassegna cinematografica or- dazione Museo storico del Trentiganizzata nell'ambito del progetto no ha promosso gli “Stati generali
“Trentino Italia storie pop”, avvia- della storia”, chiamando a raccolta
ta nel mese di aprile presso la Bi- studiosi, istituzioni, ricercatori, asblioteca della Fondazione Museo sociazioni e realtà che, a vario titostorico del Trentino, è proseguita lo, si occupano di storia in Trentianche nel mese di maggio, a ca- no, al fine di promuovere una
riflessione comune sulle questioni
denza settimanale.
Il 7 maggio è stato proiettato il cruciali che gli studi storici sono
documentario di Micol Cossali e chiamati ad affrontare per quanto
Matteo Zadra “Un grande son- concerne i vari aspetti della loro
pratica ed organizzazione. Il prono nero: vita e morte di Guido
gramma prevedeva due incontri
Rossa, alpinista e operaio”; il 14
tematici (il 10 e il 16 maggio alle
maggio invece è stata la volta del
Gallerie di Piedicastello) dedicati
filmato “Il mio paese” di Daniele
rispettivamente a “Ricerca, studi e
Vicari.
formazione storica” e a “Fonti,
strumenti, territori”. Dopo l’introUn incontro sul film d’animazione duzione di Luigi Blanco (presidente del Comitato di indirizzo della
Nell’ambito del progetto “Trentino Fondazione Museo storico del
Italia storie pop”, giovedì 19 mag- Trentino) e Marta Baldessarini (vigio presso la Fondazione Caritro a cepresidente del medesimo CoTrento, è stata proposta la tavola mitato) sono intervenuti Renato
rotonda “Il cinema d’animazione e Mazzolini (Dipartimento di Sociola cultura italiana”.
logia e ricerca sociale dell’UniverSono intervenuti Roberto Frattini, sità di Trento), Marcello Bonazza
compositore e curatore delle mu- (Società di studi trentini di scienze
siche dei film di Bruno Bozzetto; storiche), Camillo Zadra (Museo
Francesco Filippi, regista e stu- storico italiano della guerra), Rodioso d’animazione; Valerio Oss, berta Arcaini (Soprintendenza
animatore ed esperto di effetti provinciale per i Beni storico-artispeciali visivi; Andrea Pulito, illu- stici, librari e archivistici della Provincia autonoma di Trento) e Cristratore, grafico e regista.
stiano Trotter (Comunità di
Primiero). Venerdì 24 maggio,
sempre alle Gallerie di Piedicastello, si è tenuta l’assemblea plenaria
conclusiva, che ha visto gli interventi di Elena Tonezzer (Fondazione Museo storico del Trentino) e
Maddalena Pellizzari (tavolo di lavoro “Verso la Rete della storia in
Trentino”).
L’officina dell’autonomia
Tra il 13 e il 17 giugno si è svolta
la seconda edizione dell’“Officina
dell’autonomia” organizzata dalla Fondazione Museo storico del
Trentino in collaborazione con
l’Accademia europea di Bolzano
(EURAC) e il Centro Jean Monnet
di Trento; quest’anno ci si è interrogati sull’evoluzione in chiave
europea delle autonomie speciali,
attraverso l’accostamento dell’esperienza trentina a quella di altre
autonomie speciali – vicine (come
l’Alto Adige) e lontane (come Scozia e Catalogna).
Al primo incontro, tenutosi alle
Gallerie di Piedicastello il 13 maggio, si è parlato del tema “Meglio
soli o accompagnati? La governance dell’autonomia in Europa”
con Daniel Cetrà (Università di
Edimburgo), Marc Sanjaume (Uni-
41
versità Pompeu Fabra di Barcellona), Simone Penasa (Università di
Trento) ed Elisabeth Alber (Istituto
per lo studio del federalismo e del
regionalismo dell’EURAC di Bolzano). Il giorno successivo, Sara Parolari (Istituto per lo studio del federalismo e del regionalismo
dell’EURAC di Bolzano), Giovanni
Poggeschi (Università del Salento)
e Jens Woelk (Università di Trento) si sono confrontati su “Come
declinare l’autonomia? Modelli a
confronto”. Mercoledì 15 maggio
il dibattito si è sviluppato attorno
al tema “Autonomie a confronto”
con interventi di Lorenzo Gardumi
(Fondazione Museo storico del
Trentino), Andrea Di Michele (Archivio provinciale di Bolzano) e
Luigi Blanco (Università di Trento).
A chiusura dell’“Officina”, il 17
maggio, si è proposto un gioco interattivo per le vie della città alla
scoperta dei luoghi dell’autonomia; in conclusione si è tenuto un
confronto dedicato all’approfondimento dei temi emersi nel corso
delle varie serate.
spettacolo di Daniele Timpano
“Aldo morto. Tragedia”. Timpano
ricostruisce i momenti salienti del
rapimento Moro e del ritrovamento, il 9 maggio 1979, del cadavere
attraverso lo sguardo di chi, troppo piccolo per avere ricordi di prima mano, si affida alla memoria
sociale, cioè ai media che costruirono l’informazione. Lo spettacolo
è stato replicato il 5 luglio a Brentonico e il 6 luglio a Lavarone.
Incontro con gli attori Andrea
Castelli e Daniele Timpano
Il 15 maggio la Fondazione Museo
storico del Trentino, nell'ambito
del progetto “Trentino Italia storie
pop”, ha organizzato la tavola rotonda dal titolo “Andrea Castelli e
Daniele Timpano, due narrat(t)ori
a confronto. L’incontro è stato introdotto da Francesco Nardelli, direttore del Centro servizi culturali
Santa Chiara di Trento e moderato
da Daniele Filosi.
Uno spettacolo su Aldo Moro
“Collection day” a Forte Monte
Maso
Nell'ambito del progetto “Trentino
Italia storie pop“ il Teatro Sartori di
Ala ha ospitato il 14 maggio lo
42
Dopo il primo “Collection day”
del 16 marzo al Forte di Cadine
(Trento), sabato 18 maggio a Forte
Monte Maso di Valli del Pasubio
(Vicenza) si è svolta una nuova
giornata di raccolta di materiale
risalente alla prima guerra mondiale: cimeli, lettere, cartoline, fotografie e diari legati alla Grande
Guerra. Alcuni esperti del progetto “Europeana 1914-1918” – tra
cui anche il personale della Fondazione Museo storico del Trentino
– sono rimasti a disposizione per
la riproduzione dei documenti e la
registrazione dei racconti, resi poi
disponibili sul sito <www.europeana1914.1918.eu>.
Una fiaccolata in memoria dei
deportati
Nell’ambito delle iniziative organizzate dal Tavolo di lavoro sull’ex
Ospedale psichiatrico di Pergine
Valsugana, il 22 maggio il circolo
P.R.C. “Ora e Veglia” ha proposto la
settima edizione della fiaccolata in
memoria dei 299 pazienti deportati il 26 maggio 1940 dall’Ospedale
psichiatrico di Pergine Valsugana
in Germania.
GIUGNO
Una conferenza sull’ospedale
psichiatrico di Pergine Valsugana
All’interno degli appuntamenti organizzati dal Tavolo di lavoro sull’ex Ospedale psichiatrico
di Pergine Valsugana, il 6 giugno
presso l’Istituto “Marie Curie” di
Pergine si è tenuta la conferenza
pubblica dal titolo “Tra archivio e
biblioteca scorre la storia dell'ospedale psichiatrico di Pergine
Valsugana”. Sono intervenute Laura Dalprà, Roberta Arcaini e Laura
Bragagna della Soprintendenza
provinciale per i beni storico-artistici, librari e archivistici e della
Provincia autonoma di Trento. Ha
moderato la serata Anna Guastalla
dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari.
Farmacisti a confronto
Nei giorni 7 e 8 giugno si è tenuto
a Trento e a Brentonico, rispettivamente presso le Gallerie di Piedicastello e palazzo Eccheli-Baisi,
il Convegno nazionale dell'Acca-
demia italiana di storia della farmacia che ogni anno riunisce e
appassionati e cultori di diversa
provenienza geografica. In questo nuovo appuntamento, organizzato dall'Accademia stessa in
collaborazione con la Fondazione
Museo storico del Trentino, l'Ordine dei farmacisti della provincia di
Trento e il Comune di Brentonico,
sono state approfondite in particolare alcune esperienze maturate nell'ambito della storia della
farmacia e della sanità in territorio
trentino.
Tre mostre a Brentonico
Il 7 giugno a Palazzo Eccheli-Baisi
di Brentonico sono stati aperti tre
percorsi espositivi: “Farmacopee
e codici farmaceutici (secoli XVXXI)”, “La visione veggente della
realtà: opere di Carlo Zinelli (19601972)”, “Il senso della follia: 120
anni di storia dell’Ospedale di Pergine Valsugana (1882-2002)”.
uno degli “EURAC science cafè”
in cui, ricercatori, professionisti di
varie discipline, curiosi e scettici
si incontrano per chiacchierare di
scienza e attualità in un ambiente
informale.
Si è parlato di “Smart cities: città
intelligenti tra passato, fantascienza e realtà”. Ha partecipato, per
la Fondazione Museo storico del
Trentino, Elena Tonezzer.
18 anni di storia attraverso le fotografie del giornale l’Adige
Le Gallerie di Piedicastello il 14
giugno hanno ospitato l’inaugurazione della mostra fotografica
“Istanti: percorso a passo di cronaca attraverso l’archivio storico
del giornale l’Adige (1955-1972)”,
organizzata dalla Fondazione Museo storico del Trentino e dal giornale l’Adige, e curata da Danilo
Curti, Francesca Rocchetti e Rodolfo Taiani.
Una mostra sull’emigrazione in
val di Non
La Comunità della valle di Non, in
collaborazione con la Fondazione Museo storico del Trentino e i
Comuni di Cagnò, Revò, Romallo,
Cloz e Brez, ha inaugurato il 21
giugno a Revò la mostra “Storie di
emigrazione in val di Non”, a cura
di Valentina Galasso. Oltre alla curatrice, sono intervenuti alla serata
Yvette Maccani (sindaco di Revò),
Sergio Menapace (presidente della Comunità della valle di Non),
Maria Floretta (studiosa di emigrazione), Costantino Pellegrini (Istituto comprensivo “Carlo Antonio
Martini” di Revò), Anna Sarcletti
e Marco Rauzi (responsabili della raccolta di videointerviste sul
territorio). La mostra si colloca al
termine di un percorso di raccolta
di materiale sull'emigrazione che
ha coinvolto la popolazione dei
Comuni di Cagnò, Revò, Romallo,
Cloz e Brez. Sono esposti oggetti
originali, lettere e fotografie; alcune videoinstallazioni permettono
di ascoltare le interviste a coloro
che in passato sono emigrati dalla
valle di Non, o che ricordano storie di emigrazione vissute da parenti e familiari nel corso dell’Ottocento e del Novecento.
Le pubblicazioni del Museo storico alle Feste vigiliane
Un racconto composito che, proprio nell’amore del dettaglio, aiuta
a cogliere le grandi trasformazioni
sociali ed economiche, le turbolenze politiche, le nuove opportunità conoscitive e lavorative che
hanno caratterizzato il periodo
compreso tra la metà degli anni
cinquanta e la fine del decennio
successivo, narrando, attraverso
la fotografia, una storia diversa da
quella dei grandi eventi. La mostra, organizzata nell’ambito del
Caffè scientifici all’EURAC
progetto “Trentino Italia storie
Il 12 giungo a Bolzano, presso pop”, rimarrà aperta fino al 27 otl’Accademia europea, si è tenuto tobre 2013.
In occasione delle tradizionali Feste
vigiliane la Fondazione Museo storico del Trentino è stata presente con
uno stand promozionale in via Mazzini a Trento nelle serate di martedì
25 e mercoledì 26 giugno: coloro
che hanno visitato la bancarella
hanno potuto sfogliare, conoscere
più da vicino e acquistare i libri e le
riviste edite dal Museo nonché informarsi sui servizi offerti.
43
Omaggio musicale a Carlo Zinelli
Trento), Giuseppe Ferrandi (direttore della Fondazione Museo storico del Trentino), Roberto De Bernardis (segretario dell’As­socia­zione
Museo storico in Trento) Sergio
Benvenuti (direttore dell’Associazione dal 1971 al 1985) e Vincenzo
Calì (direttore dell’Associazione dal
1985 al 2003).
Il 26 giugno a Brentonico, nell'ambito della mostra “La visione veggente della realtà: opere di Carlo
Zinelli“, la corale “I nonni del lupo
di San Giovanni Lupatoto”, diretta
dalla maestra Anna Maria Maggiotto, ha proposto l'esibizione
musicale “Omaggio a Carlo”. Con
l'accompagnamento di fisarmo- Un libro e un documentario
niche e chitarre, è stato eseguito sull’ospedale psichiatrico di Perun ampio repertorio di musiche e gine Valsugana
canti popolari.
Nell'ambito della mostra “Il senso
della follia“, il 28 giugno a BrentoI 90 anni del Museo storico
nico, è stato presentato il volume
“Castagne matte” a cura di Felice
Ficco e Rodolfo Taiani (Pergine,
Publistampa, 2013). Hanno partecipato alla serata Giorgio Maria
Ferlini, Felice Ficco, Denis Fontanari, Rocco Serafini e Rodolfo
Taiani. Il libro offre una riflessione
sulle principali tappe che hanno
segnato la storia dell’assistenza
psichiatrica in Tirolo fra la fine del
Settecento e il 2002 con particolare riferimento al manicomio, poi
ospedale psichiatrico, di Pergine
Valsugana. Nel corso dell’incontro
è stato proiettato il documentario “Oltre le mura” per la regia di
Rocco Serafini. L’appuntamento è
stato replicato il 30 luglio alle Gallerie di Piedicastello e l’8 agosto a
Bosentino.
Si è tenuta il 27 giugno a Trento,
nella sala del Consiglio comunale,
la celebrazione del 90° anniversario di fondazione dell’Associazione Museo storico in Trento, costituita alla fine della prima guerra
mondiale, riprendendo un’idea
che era stata di Cesare Battisti.
Sono intervenuti Alessandro Andreatta (sindaco di Trento e Presidente dell’Associazione Museo
storico in Trento), Antonio Coradello (vicepresidente del Consiglio
comunale di Trento), Marta Dalmaso (assessore all’istruzione e
sport della Provincia autonoma di
44
mitato organizzatore dei campionati del mondo 2013 e delle gare
di coppa del Mondo in val di Fiemme Piero Degodenz, i campioni
olimpionici Franco Nones, Giorgio
Vanzetta e Cristian Zorzi, il presidente FISI del Trentino Angelo
Dalpez, il presidente del Comitato
Marcialonga Alfredo Weiss. A conclusione della serata è stato proiettato il documentario di Lorenzo
Pevarello “Non solo bisonti: storie
di una gara e due valli” dedicato
alla storia della Marcialonga.
LUGLIO
Una serata dedicata alla mostra
“Ski past”
Film d’animazione a Lavarone
Per ringraziare coloro che hanno
collaborato alla realizzazione della
mostra “Ski past: storie nordiche
in Fiemme e nel mondo” e per presentare il volume che ne raccoglie
i materiali, la Fondazione Museo
storico del Trentino ha organizzato giovedì 27 giugno, presso Le
Gallerie di Piedicastello a Trento,
una serata in cui sono intervenuti
i curatori della mostra Alessandro
de Bertolini, Giuseppe Ferrandi e
Roberta Tait, il presidente del Co-
Fra le iniziative del progetto “Trentino Italia storie pop” è inclusa una
rassegna di otto serate di film d’animazione. Dal 4 luglio al 30 agosto
la rassegna è stata rivolta alla cittadinanza e agli ospiti di Lavarone
che, ogni venerdì, presso il cinemateatro “Dolomiti”, hanno potuto
assistere alla proiezione di documentari e fiction sui temi importanti
della cultura dell’Italia moderna e
contemporanea, tutti realizzati in
varie tecniche d’animazione.
Pubblicità e guerra fredda: una
mostra
Il 6 luglio presso Base Tuono di
Folgaria, il Museo dell’aeronautica “Gianni Caproni”, in collaborazione con la Fondazione Museo
storico del Trentino e il MUSE, ha
inaugurato la mostra “Pubblicitá
ai tempi della guerra fredda: collezione privata di Luigino Caliaro”.
Erano presenti alla serata Michele Lanzinger, direttore del Museo
delle Scienze, Giuseppe Ferrandi,
direttore della Fondazione Museo
storico del Trentino, Maurizio Toller, sindaco del Comune di Folgaria. Per l’occasione è stato realizzato un numero speciale della
rivista Altrestorie con i materiali
dell'esposizione.
Mostra sulla fotografia in Tirolo
La mostra “Esposto alla luce – Belichtet: fotografia in Tirolo dal
1854 al 2011” è stata inaugurata
l’11 luglio alle Gallerie di Piedicastello alla presenza di Alberto Pacher, presidente della Provincia
autonoma di Trento e della Fondazione Museo storico del Trentino,
Giuseppe Ferrandi, direttore generale della Fondazione Museo
storico del Trentino, Harald Oberrauch, azionista e membro del
consiglio
di
amministrazione
Durst Phototechnik AG, Hans
Heiss, storico, Michael Forcher e
Meinrad Pizzinini, storici e curatori
della mostra.
L’esposizione rimarrà aperta fino
al 3 novembre 2013.
Commemorazione di Cesare
Battisti
La Fondazione Museo storico
del Trentino, l'Associazione Museo storico in Trento, il Museo
nazionale storico degli Alpini e
l'Associazione nazionale Alpini
hanno commemorato il 12 luglio
sul Doss Trento il 97° anniversario della morte di Cesare Battisti.
Dopo gli interventi del generale
Stefano Basset, direttore del Museo nazionale storico degli Alpini,
di Giuseppe Ferrandi, direttore
della Fondazione Museo storico
del Trentino e di Maurizio Pinamonti, presidente dell’Associazione nazionale Alpini del Trentino,
lo storico Vincenzo Calì ha tenuto
la conferenza dal titolo “Patria e
socialismo nel Trentino di Cesare
Battisti”.
Mostra sulla cooperazione a Malè
La mostra “Storie di genere: l’altra
metà della cooperazione”, curata
da Alberto Ianes e Paola Antolini e
realizzata dalla Fondazione Museo
storico del Trentino e dall'Associazione Donne in cooperazione, è
stata inaugurata a Malè il 18 luglio.
Successivamente, dal 23 agosto
al 22 settembre, l’esposizione è
stata ospitata a Padergnone, presso la Sala consiliare.
Laboratori con i farmacisti
L'Associazione giovani farmacisti
Trentino Alto Adige/Südtirol ha
organizzato, con il sostegno del
Comune di Brentonico e la collaborazione della Fondazione Museo storico del Trentino, alcuni laboratori
aperti
al
pubblico
denominati “A tu per tu con il farmacista” in cui sono state preparate creme, pomate, sciroppi. Gli
incontri, presso l’Aula polivalente
dell’Istituto comprensivo di Brentonico, si sono tenuti nelle seguenti date: 20 luglio, 27 luglio, 10
agosto, 25 agosto e 7 settembre.
Una mostra sulla montagna
Una mostra sul fumetto a Lavarone
Il 13 luglio nella biblioteca di Lavarone è stata inaugurata la mostra “La storia disegnata: vicende
italiane e trentine nei fumetti dal
1945 ad oggi”, curata da Nicola
Spagnolli e organizzata nell’ambito del progetto “Trentino Italia
storie pop”.
Il 24 luglio a villa Flora di Ziano di
Fiemme è stata inaugurata la mostra “La montagna di Fiemme nei
filmati del passato”, un modo di
raccontare la montagna e i suoi
abitanti attraverso i documenti
audiovisivi, le testimonianze e le
fotografie del passato. Assieme ai
curatori Alessandro de Bertolini,
Lorenzo Pevarello e Roberta Tait
sono intervenuti all’inaugurazione
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Fabio Vanzetta, sindaco di Ziano
di Fiemme, Alberto Pacher, presidente della Provincia autonoma di
Trento e della Fondazione Museo
storico del Trentino, Mauro Gilmozzi, assessore all'Urbanistica
della Provincia autonoma di Trento, Carlo Zorzi, regolano della Magnifica Comunità di Fiemme.
EDIZIONI
zare la sua speranza nella civiltà
dell’uomo e nel sogno di un
governo universale.
Si auspica che anche questo
testo possa contribuire a riscoprire l’opera complessiva di un
grande intellettuale italiano del
XX secolo.
Un parco di storie: alla scoperta
delle statue di piazza Dante, a
cura di Tommaso Baldo, Luca
Caracristi ed Elena Tonezzer pp.
95, € 10,00
NOVITÀ
Silvia Bertolotti, La rosa dell’esilio: Giuseppe Antonio Borgese dal mito europeo all’utopia
americana 1931-1949, pp. 359,
€ 22,00
AGOSTO
A Bosentino la mostra sul manicomio di Pergine
La mostra “Il senso della follia:
120 anni dell’ospedale psichiatrico di Pergine Valsugana”, a cura di
Rodolfo Taiani, è stata inaugurata
a Bosentino, presso il Palazzetto
comunale, sabato 3 agosto.
Malga Zonta
Ogni anno, il 15 agosto, a Folgaria
viene commemorato l’eccidio nazista di Malga Zonta. Quest’anno,
a ricordare il 69° anniversario del
tragico evento, sono intervenuti
Maurizio Toller, sindaco di Folgaria, Luigi Dalla Via, sindaco di
Schio, Alessandro Olivi, assessore
della Provincia autonoma di Trento, Giuseppe Ferrandi, direttore
generale della Fondazione Museo
storico del Trentino. L’orazione ufficiale è stata tenuta da Flavio Zanonato, ministro della Repubblica
per le attività produttive.
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Durante la lunga stagione vissuta negli Stati Uniti, Giuseppe
Antonio Borgese fu uno dei rari
intellettuali italiani in grado di
cogliere senza esitazione la rosa
dell’esilio, rendendo così la sua
condizione di esule volontario
una peculiare opportunità di
rigenerazione, una palingenesi
esistenziale e insieme culturale.
Borgese fu sempre un liberale,
un europeista e un umanista
militante e l’esperienza dell’esilio
americano non fece che raffor-
Nel 1898 fu inaugurato il grande
monumento a Dante Alighieri, la
prima e la più importante delle
statue che impreziosiscono il
parco attiguo. Da quell'anno
molti altri busti hanno arricchito
le stradine del giardino pubblico.
Prati, Canestrini, Gazzoletti, Carducci, Verdi e poi – dopo la
Grande Guerra – Ranzi, Chini,
Negrelli, Bresadola, fino al monumento alla famiglia. Quali storie
raccontano le statue? Perché
sono stati scelti proprio questi
personaggi? Il volume, catalogo
dell'omonima mostra, racconta
la storia di Trento attraverso le
polemiche e le feste che hanno
accompagnato l'inaugurazione di
ogni monumento. Un modo
diverso per scoprire il passato
della città.
Sergio Benvenuti, La patria
incerta: contributi per una biografia di Adolfo de Bertolini, pp.
352, € 21,00
Il volume assai documentato si
ripropone di rileggere la complessa
figura
dell’avvocato
Adolfo de Bertolini (1871-1946),
una personalità di rilievo, centrale nella storia del piccolo Trentino del XX secolo.
De Bertolini fu, infatti, per due
volte coinvolto nei compiti di
commissario amministrativo di
Trento e del Trentino durante le
due guerre mondiali (sotto l’Austria prima e sotto la Germania
poi).
Fu anche amministratore di
banca a livello locale, rivestendo,
in particolare, un importante
ruolo nella vicenda della liquidazione della Banca del TrentinoAlto Adige, di area cattolica, e
della contestuale creazione dell’istituto finanziario che ne raccolse
l’eredità, l’attuale Banca di Trento
e Bolzano. A distanza di decenni
dai fatti storici narrati, spesso tragici, l’Autore cerca di guardarvi
con il distacco neutrale dello studioso.
Clinker Motel: ex-Italcementi,
Trento 2005-2013, a cura di Layla
Betti, fotografie di Pierluigi Cattani Faggion
Catalogo dell'omonima mostra
che raccoglie 44 fotografie scattate tra il 2005 e il 2013 da Pierluigi
Cattani Faggion all’interno dell'ex
stabilimento dell'Italcementi di
Trento, ora demolito. Album
dei ricordi urbano nel quale alle
tracce di un passato più o meno
lontano si sovrappongono le contraddizioni del presente.
Stefania Lucchetta, Lo sguardo
obiettivo: Giovanni Battista
Unterveger e l’illustrazione fotografica del territorio, pp. 208+32
tav. f.t., € 15.00
suo percorso professionale: dalla
formazione, come pittore-decoratore, alle lezioni di disegno presso
Agostino Perini, all’incontro con il
dagherrotipista itinerante Ferdinand Brosy. Le circostanze lo
vedranno dapprima fotografo itinerante, poi fotografo stabile in
Trentino, affiancandovi la produzione di vernici. Accanto ai ritratti
si dedicò con passione all’ambizioso progetto di un'illustrazione
fotografica del Trentino, che lo
vide impegnato nelle valli e
intento alle riprese di paesaggi
d’alta quota, con la convinzione
che la funzione documentaria del
territorio, facendosi memoria,
valesse quanto una storia scritta.
P R E S E N TA Z I O N I
22 maggio 2013, Trento
Il volume Guerrieri: considerazioni sull’uomo in battaglia di J.
Glenn Gray (traduzione e note
critiche di Enrico Maria Massucci) è stato presentato presso
la Biblioteca della Fondazione
Museo storico del Trentino. Sono
intervenuti Enrico Maria Massucci, Gustavo Corni e Quinto
Antonelli.
24 maggio 2013, Trento, 28 luglio
2013, Champoluch (Val d’Aosta)
Il documentario di Micol Cossali
“La fabbrica delle donne”, dedicato alla la Manifattura Tabacchi
di Rovereto, è stato proiettato
alle Gallerie di Piedicastello. Alla
presentazione, assieme alla regista erano presenti anche le tredici
donne che hanno partecipato alle
riprese del film. Lo stesso documentario è stato proiettato a fine
luglio in Val d’Aosta nell'ambito
della rassegna “La montagne en
rose”, dedicata alle abilità e alla
creatività delle donne.
Il volume ripercorre la vicenda
umana e professionale di Giovanni Battista Unterveger. L’Autrice ci accompagna lungo tutto il
2 luglio 2013, Peio
Il documentario “Peio: una storia
d’acqua”, realizzato da Lorenzo
Pevarello, è stato presentato
al teatro delle terme di Peio,
durante una serata organizzata
dall’Ecomuseo val di Peio.
47
21/12/13
28/09/14
Villa Paradiso
nel Parco di Levico Terme
Per aPerTure e orari
www.museostorico.it
Biblioteca comunale di Levico Terme
tel 0461 710206
[email protected]
Fondazione Museo storico del Trentino
tel 0461 230482 | www.museostorico.it
[email protected]
iNGreSSo GraTuiTo
chiuso il lunedì
viSiTe GuidaTe Su PreNoTazioNe
iNauGurazioNe
veNerdì 20 diceMBre 2013
ore 17.00
mostra sul turismo termale nell’arco alpino
levico tra XiX e XX secolo
BIBLIOTECA DI LEVICO
COMUNE DI LEVICO
PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO
Servizio Conservazione natura
e valorizzazione ambientale
Servizio Attività culturali