Perché i medici e gli infermieri non si lavano le mani?
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Perché i medici e gli infermieri non si lavano le mani?
attualità Perché i medici e gli infermieri non si lavano le mani? Paola Gobbi, Consigliere 10o Obiettivo del triennio 2003-2005 “Favorire l’integrazione e la collaborazione del Collegio e dei professionisti con le associazioni professionali…” Inizia da questo numero - con un articolo di ANIPIO sull’argomento del lavaggio delle mani come misura principe di prevenzione delle infezioni ospedaliere - uno spazio dedicato alle Associazioni infermieristiche. Esse contribuiscono, attraverso la formazione, la ricerca o anche semplicemente documentando l’attività svolta dagli infermieri in un determinato settore clinico – assistenziale, ad accrescere il patrimonio di conoscenze della disciplina infermieristica e per questo sono vitali per lo sviluppo della professione stessa. Invitiamo quindi tutte le Associazioni ad inviare alla redazione i loro preziosi contributi e Le ringraziamo fin da ora per la disponibilità a condividere il loro sapere con tutti gli iscritti del Collegio Ipasvi di Milano-Lodi. L’ interrogativo che dà il titolo a questo articolo apriva l’editoriale del numero di aprile 2001 della prestigiosa rivista Infection Control and Hospital Epidemiology, a dimostrazione che il tema del lavaggio delle mani da parte degli operatori sanitari rappresenta, anche nel nuovo millennio, una delle pratiche maggiormente disattese nonostante sia universalmente riconosciuta come prima e fondamentale misura di prevenzione delle infezioni nosocomiali (ossia quelle infezioni che insorgono durante il ricovero in ospedale, o in alcuni casi dopo che il paziente è stato dimesso, e che non erano manifeste clinicamente, né in incubazione, al momento dell’ammissione). Sono almeno 150 anni che il personale sanitario IO INFERMIERE - N.2 /2003 si è convinto che le infezioni crociate (da paziente a paziente o operatore, e viceversa) sono trasmissibili ma non contagiose, e che il più efficace metodo per prevenirle è lavare le proprie mani prima e dopo ogni contatto con la persona assistita. Nel 1846 (trent’anni prima delle scoperte di Kock e Pasteur che avrebbero aperto la strada alla moderna batteriologia) Ignaz Semmelweiss osservò che le donne partorienti assistite dagli studenti e dai medici nella prima clinica ostetrica dell’ospedale di Vienna avevano una probabilità molto più alta di morire a causa della febbre puerperale rispetto alle donne seguite dalle ostetriche nella seconda clinica. Egli notò inoltre che i medici che si recavano direttamente dalla 21 sala autoptica al reparto di ostetricia avevano un odore sgradevole sulle loro mani, nonostante le lavassero con acqua e sapone prima di entrare in sala parto. Semmelweiss ipotizzò che il contatto delle mani con materiale autoptico dovesse svolgere un ruolo centrale nella patogenesi della malattia; introdusse l’uso del lavaggio delle mani in una soluzione di cloruro di calce prima di procedere alla visita e la mortalità nei mesi che seguirono all’introduzione di tale pratica diminuì in modo drastico. L’intervento messo in atto da Semmelweiss è la prima prova di efficacia nella storia della medicina che il lavaggio delle mani altamente contaminate da materiale biologico con soluzione antisettica è più efficace nel prevenire la trasmissione di infezioni ospedaliere Le più recenti raccomandazioni dei Centers for Disease Control (CDC) relative al lavaggio delle mani Tratte da: Boyce JM, Pittet D, Guidelines for hand hygiene in health-care settings: recommendations of the Healthcare Infection Control Practices Advisory Committee, Infect Control 2002 ;23(suppl): S3-S40, consultabile anche su Internet: www.cdc.gov/ncidod/hip/default.htm Categoria IA. Fortemente raccomandate per l’implementazione e supportate da studi sperimentali, clinici o epidemiologici ben disegnati. Categoria IB. Fortemente raccomandate per l’implementazione e supportate da alcuni studi sperimentali, clinici o epidemiologici e da un forte razionale teorico. Categoria IC. Richieste per l’implementazione come demandato da regolamentazione o standard federale o statale. Categoria II. Suggerite per l’implementazione e supportate da studi clinici o epidemiologici suggestivi o da un razionale teorico. Nessuna raccomandazione. Argomenti non risolti. Pratiche per le quali non esiste un’evidenza sufficiente o un consenso sull’efficacia. 1. Indicazioni per l’antisepsi delle mani: il lavaggio e A. Quando le mani sono visibilmente sporche o contaminate con materiale proteinaceo o visibilmente sporche di sangue o altri liquidi biologici, lavare le mani sia con un sapone non antimicrobico e acqua che con un sapone antimicrobico e acqua (IA) B. Se le mani non sono visibilmente sporche, usare una soluzione su base alcolica da strofinare sulle mani per la decontaminazione di routine e in tutte le altre situazioni cliniche descritte nei punti 1C-J (IA). In alternativa, lavare le mani con un sapone antimicrobico e acqua in tutte le situazioni cliniche descritte nei punti 1C-J (IB) C. Decontaminare le mani prima di avere un diretto contatto con i pazienti (IB) D. Decontaminare le mani prima di indossare i guanti sterili per l’inserimento di un catetere venoso centrale (IB) E. Decontaminare le mani prima di inserire un catetere vescicale a permanenza, un catetere venoso periferico, o altri dispositivi invasivi che non richiedono una procedura chirurgica (IB). 22 F. Decontaminare le mani dopo il contatto con la cute integra dei pazienti (ad esempio, quando si prende il polso, la pressione sanguigna e si solleva il paziente) (IB) G. Decontaminare le mani dopo il contatto con liquidi biologici o secrezioni, mucose, cute non integra e medicazioni di ferite se le mani non sono visibilmente sporche (IA). H. Decontaminare le mani se si passa da una parte del corpo contaminata ad una parte del corpo pulita durante la cura del paziente (II) I. Decontaminare le mani dopo il contatto con oggetti inanimati (incluse le apparecchiature medicali) nelle immediate vicinanze del paziente (II) J. Decontaminare le mani dopo la rimozione dei guanti (IB) K. Prima di mangiare e dopo aver usato la toilette, lavare le mani con un sapone non antimicrobico e acqua o con un sapone antimicrobico e acqua (IB). L. (… ) IO INFERMIERE - N.2 /2003 2.Tecniche per l’igiene delle mani: A. Quando si effettua la decontaminazione delle mani con una soluzione su base alcolica, il prodotto deve essere applicato sul palmo di una mano, e le mani vanno frizionate insieme, distribuendo la soluzione su tutta la superficie delle mani e delle dita finché sono asciutte (IB). Seguire le indicazioni del produttore sulla quantità di prodotto da utilizzare. B. Quando le mani vengono lavate con acqua e sapone, bagnare prima le mani con l’acqua, dopo applicare una quantità di sostanza indicata dal produttore sulla superficie delle mani e strofinarle insieme vigorosamente per circa 15 secondi, coprendo tutta la superficie delle mani e delle dita. Risciacquare le mani con acqua e asciugarle completamente con una salvietta monouso. Usare la salvietta per chiudere il rubinetto (IB). Evitare di usare acqua calda, poiché la ripetuta esposizione all’acqua calda può aumentare il rischio di dermatiti (IB). C. Il normale sapone può essere usato in forma liquida, in pezzi solidi, in foglietti e in polvere, quando si esegue il lavaggio delle mani con un sapone non antimicrobico e acqua. Quando si usa la saponetta, questa dovrebbe essere di pezzatura ridotta e posta su una superficie che faciliti lo sgocciolamento (II). D. In ambiente sanitario non è raccomandato l’utilizzo di asciugamani in tessuto multiuso o a rullo (II) (omissis) 6. Altri aspetti dell’igiene delle mani A. Non indossare unghie artificiali o allungate quando si è a diretto contatto con pazienti ad alto rischio (ad esempio, pazienti in unità di terapia intensiva o in sale operatorie) (IA) B. Mantenere la lunghezza delle unghie naturali inferiore ad _ di pollice (n.d.r. un pollice vale 2,54 cm) (II). C. Indossare guanti quando si può verificare il contatto con sangue o altri materiali potenzialmente infetti, mucose e cute non integra (IC). D. Rimuovere i guanti dopo l’assistenza ad ogni paziente. Non indossare lo stesso paio di guanti per la cura di più di un paziente e non lavare i guanti tra usi con pazienti diversi (IB) E. Cambiare i guanti durante la cura di un paziente se ci si sposta da un’area del corpo contaminata ad un’area del corpo pulita (II). F. Non possono essere formulate raccomandazioni circa l’utilizzo degli anelli in ambiente sanitario. Tema irrisolto. (…) Traduzione a cura di: Nadia Cenderello, Paola Fabbri, Silvia Giaroli, Giacomo Zappa E.O. Ospedali Galliera – Genova Soci ANIPIO (Associazione Nazionale Infermieri addetti al controllo delle infezioni ospedaliere) rispetto il semplice lavaggio con acqua e sapone (o rispetto al nulla!). Ritornando alla domanda di apertura, perché gli operatori sanitari, nonostante siano stati formati e sensibilizzati sul problema, non lavano le proprie mani tutte le volte che è necessario, o la maggior parte delle volte, o addirittura neanche quando lavorano in setting di cure intensive o di emergenza? Perché, al contrario, la pratica di utilizzare i guanti si è diffusa rapidamente negli anni ottanta, nell’era della sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS)? Si crede, o non si crede, al ruolo centrale delle mani nel favorire la trasmissione delle infezioni? Se si, perché gli stessi guanti non vengono cambiati sempre, dopo ogni contatto con il paziente? Questi comportamenti, IO INFERMIERE - N.2 /2003 al di là delle ragioni addotte, non sembrano essere compatibili con il rispetto delle norme deontologiche che impongono ai professionisti sanitari di assicurare al paziente il massimo livello di sicurezza nelle procedure. Numerosi studi dimostrano che l’adesione (o compliance) degli operatori sanitari alle procedure raccomandate per l’igiene delle mani è molto scarsa, in media del 40% (range 5-81%). Pittet ha osservato quali sono i fattori predittivi per la scarsa adesione ai protocolli: essere medico o studente infermiere (piuttosto che infermiere), essere uomo, lavorare in terapia intensiva (invece che nei reparti di medicina), svolgere turni “feriali” (rispetto ai fine settimana lavorativi), indossare guanti e camici monouso, svolge23 re molte attività ad alto rischio di trasmissione di infezioni, avere la necessità di lavarsi le mani frequentemente (espresso in numero di opportunità/ora). Più elevata è l’esigenza di igiene delle mani, minore è l’adesione ai protocolli: in media diminuisce del 5% all’aumento di 10 occasioni per ora, quando l’intensità di cura del paziente eccede le 10 occasioni/ora. Il tasso di adesione più basso è stato riscontrato nelle terapie intensive, dove tipicamente le raccomandazioni per l’igiene delle mani prevedono una maggiore frequenza (in media: 20 occasioni/ora). Il tasso di adesione più elevato (59%) è stato osservato nei reparti pediatrici, dove la media delle necessità di lavaggio è di 8 occasioni/ora. Pittet conclude che una completa adesione alle linee guida non può essere realizzato, ma che un accesso facilitato alla tecnica del lavaggio delle mani può aiutare ad incrementare l’adesione ai protocolli. Gli operatori sanitari percepiscono come maggiore ostacolo alla scarsa adesione alle raccomandazioni: l’irritazione e la secchezza cutanea causata dagli agenti detergenti/disinfettanti; la mancanza, o la scarsità, o la lontananza dei lavandini, la mancanza di sapone ed asciugamani in carta, la mancanza di tempo; la scarsità e lo stress del personale; la priorità dell’assistenza (quando i bisogni del paziente assumono priorità rispetto all’igiene delle mani), l’impiego dei guanti; la dimenticanza; la non conoscenza delle linee guida; la scarsa acquisizione di informazioni scientifiche relative all’impatto di miglioramento dell’igiene delle mani correlato alla diminuzione dei tassi di infezione. Inoltre sono stati segnalati come elementi sfavorenti a carico dell’organizzazione: non coinvolgere gli operatori sanitari nelle campagne di sensibilizzazione al problema; non indicare la prevenzione delle infezioni come obiettivo prioritario nelle politiche aziendali; non applicare sanzioni amministrative; la scarsa cultura e sensibilizzazione al tema della sicurezza del paziente. Numerosi studi, infine, hanno individuato le strategie più efficaci per incrementare la pratica del lavaggio delle mani negli ospedali. Traendo indicazioni dalle teorie comportamentali, qualsiasi programma di controllo delle infezioni 24 necessita: della messa in discussione, da parte dei professionisti sanitari, delle convinzioni radicate; della valutazione costante del livello di cambiamento operato dal singolo o dal gruppo; di interventi adeguati nel favorire la modificazione dei comportamenti; del supporto della creatività. Tra le strategie individuate ed implementate nelle strutture sanitarie sono risultate efficaci, anche se associate a miglioramenti transitori: la formazione sul campo, i seminari e le lezioni, l’utilizzo di opuscoli informativi, i remainders posizionati sui lavandini e/o nei luoghi di lavoro, i feedback di performance sui tassi di adesione ai protocolli. Focalizzando l’attenzione sulla procedura sono vincenti tutte quelle strategie che hanno semplificato e facilitato il lavaggio delle mani: l’introduzione di prodotti a base di alcool per il lavaggio “a secco”, con drastica riduzione dei tempi (da 2 minuti della procedura tradizionale con acqua e sapone/antisettico a 30-60 secondi); l’installazione di lavandini in ogni luogo di lavoro; la possibilità di approvvigionamento di creme emollienti e materiale monouso. Per concludere (si rimanda ai box per gli approfondimenti) riporto una frase del dott. Petrosillo, dell’Istituto di Malattie infettive Spallanzani di Roma, apparsa sull’ultimo editoriale del Giornale Italiano delle Infezioni ospedaliere a proposito di un argomento epidemiologico di grande attualità, la prevenzione della sindrome acuta respiratoria grave (SARS): “Tuttavia, da quando negli ospedali dei paesi con casi di SARS sono state adottate stringenti misure di protezione di barriera, con uso di guanti, maschere e lavaggio accurato delle mani, non si sono verificati, se non raramente e in condizioni da verificare sotto l’aspetto dell’aderenza alle misure preventive, casi secondari in operatori sanitari. Una volta ancora il lavaggio delle mani rappresenta la procedura più semplice, economica ed efficace per prevenire infezioni in ospedale, anche se la mancanza di chiare evidenze sulle modalità di trasmissione della SARS obbligano all’uso di misure di protezione respiratoria, di protezione da contatto e di protezione da goccioline gli operatori sanitari che trattano questi pazienti”. IO INFERMIERE - N.2 /2003 Per saperne di più sulle infezioni ospedaliere… L’Associazione Nazionale Infermieri addetti alla Prevenzione e Controllo delle Infezioni ospedaliere (acronimo: A.N.I.P.I.O) nasce agli inizi degli anni 90. Alcune Regioni italiane (Piemonte, Liguria, Emilia Romagna, Marche, Lazio) attivarono in quegli anni dei corsi di Formazione specifica per Infermieri che, in seguito, avrebbero operato nell’ambito dei Comitati di Lotta alle Infezioni Ospedaliere secondo quanto stabilito dalle norme nazionali: la Circolare Ministeriale n. 52 del 1985 “Lotta contro le Infezioni ospedaliere” e la Circolare Ministeriale n. 8 del 1988 “Lotta contro le Infezioni ospedaliere: la sorveglianza”. L’importanza dell’infermiere addetto al controllo delle infezioni è richiamato all’art. 2 della C.M. del 1985, dove lo si definisce come “figura fondamentale per la sorveglianza delle II.OO.”. La stessa norma ne delinea il profilo (“infermiere professionale con una precedente esperienza consolidata nel lavoro di reparto, medico o chirurgico”) e le funzioni (“sorveglianza, educazione-insegnamento, collegamento tra il CIO ed i reparti, attivatore di cambiamenti nei comportamenti professionali”). Oggi Anipio conta circa cinquecento iscritti e raggruppa sia infermieri addetti alla prevenzione del rischio infettivo ed alla sorveglianza epidemiologica delle infezioni nosocomiali e all’igiene ospedaliera, sia infermieri e altri professionisti sanitari di aree omogenee. La mission Avviare e rafforzare le relazioni con i diversi soggetti istituzionali – sanitari, sociali e politici - per sviluppare il confronto su scelte strategiche di politica sanitaria che considerino prioritarie le problematiche inerenti le infezioni ospedaliere Favorire la collaborazione ed il confronto con la Federazione Nazionale dei Collegi Ipasvi, soprattutto sul tema della formazione, anche alla luce delle linee guida per il master di primo livello di infermieristica in sanità pubblica Favorire la collaborazione ed il confronto con le altre Associazioni infermieristiche, nazionali ed estere, e con le Società Scientifiche e Associazioni di altri professionisti, nell’ottica di coordinare gli interventi al fine di raggiungere i medesimi obiettivi in tema di prevenzione e controllo delle infezioni (non solo ospedaliere, ma anche relative al territorio – domicilio e strutture protette per anziani e disabili) Avviare e collaborare a programmi di ricerca, multidisciplinari e multicentrici, al fine di “riscrivere” le pratiche assistenziali correnti in tema di sorveglianza e prevenzione delle II.OO. sulla base di prove di efficacia La rivista e il sito L’Associazione pubblica la rivista scientifica “Orientamenti Anipio”, che viene inviata a tutti gli iscritti con cadenza trimestrale. È attivo, inoltre, un sito Internet (www.anipio.it) dove è possibile trovare i nomi e recapiti di tutto il Consiglio Direttivo, le iniziative formative e congressuali in programma, documenti e links; inoltre è possibile rivolgere quesiti agli esperti Anipio su tematiche inerenti le II.OO e leggere le risposte pubblicate. Come contattare Anipio Presidente: Margherita Vizio (regione Liguria) tel. 019 8404236-7 Gruppo regionale Lombardia: Paola Gobbi (Direzione sanitaria, A.O. Garbagnate Milanese), tel. 02 99513210 - 314 IO INFERMIERE - N.2 /2003 25