Vai al n.6 del 2011

Transcript

Vai al n.6 del 2011
Credito &
Mezzogiorno
Una una I giovani Le ultime sul governo
Una primavera che prepara
l’autunno
In sordina, quasi inaspettatamente, due ventate di aria fresca
hanno caratterizzato gli ultimi
mesi: il risultato elettorale delle
amministrative e, soprattutto,
l’esito
dei referendum.
Per quelli
Due risultati importanti, prepaItaliani è soltanto
rati da decine di manifestazioni,
un dovere! di tanti comitati,
dall’impegno
di tanti singoli cittadini, di
uomini e donne vogliosi di
tornare a contare, a lottare per il
cambiamento. Un popolo intero
per il quale in tutti questi anni la
Cgil è stata spesso l’unico
riferimento sociale per le
battaglie per i diritti e per il
lavoro, ma anche, più in
generale, per la democrazia e
per la legalità.
In un certo
senso queste “ventate” sono
figlie anche dell’impegno della
Cgil contro il precariato, i
contratti separati, la divisione
sindacale, il marchionnismo
comunque camuffato. Contro
un Governo che ha fatto delle
leggi ad personam la sua
principale
attività, oltre a
negare per anni la crisi. Oggi
che la fine di un ciclo politico si
avvicina a grandi passi, diventa
ancor più chiaro il senso di
“classe” delle scelte operate da
questo Governo, dall’abbandono del Sud, alla distruzione
dello stato sociale, della
contrattazione collettiva, dei
diritti.
Questa primavera ci
dice che il vento sta cambiando,
che occorre avere il coraggio di
lottare, di opporsi, di costruire
un’alternativa vera. E’ iniziato
un nuovo cammino e l’autunno
che verrà ne sarà una conferma.
Periodico di informazioni, analisi e
notizie a cura del Dipartimento
Mezzogiorno della FISAC/CGIL
Numero otto
Giugno/Luglio 2011
Crescita e Mezzogiorno
due obiettivi mancati dal Governo
Appena dopo le due “sberle” elettorali, il dirigente leghista nonché Ministro degli Interni, Roberto Maroni, ha
affermato: “ora bisogna fare delle
riforme vere, non riforme senza soldi”.
Un giudizio inappellabile sull’operato
del suo Governo, impegnato in questi
anni in “frustate, scosse, piani Sud e
piani casa” dall’effetto solo mediatico
e di nessun impatto reale sull’andamento economico. In merito il
governatore della Banca d’Italia, Mario
Draghi, nelle sue recenti “considerazioni finali” afferma riferendosi in
particolare all’ultimo decennio: “il
deludente risultato italiano è uniforme
sul territorio da Nord a Sud”. Un dato
confermato dall’Eurostat che segnala
come dal 1997 al 2008 le regioni
italiane tra le 40 con più alto reddito
procapite della UE passano da 10 a 3,
nonostante una complessiva riduzione
dei redditi su base continentale. Un
dato confermato anche dal Pil
procapite: la Lombardia passa dal
161% del 1997 al 134% (media UE
pari a 100) , il Piemonte dal 134 al
114, il Veneto dal 143 al 122, l’Emilia
Romagna dal 152 al 127, il Lazio dal
139 al 123. Un dato che si traduce al
Sud in numeri ben più drammatici: la
Sardegna passa dall’89 al 79%, la
Basilicata dall’82 al 76, la Calabria dal
73 al 66% , la Sicilia dal 76 al 66%, la
Puglia dal 77 al 67%, la Campania
dal 74 al 66%. Insomma il “deludente
andamento
dell’economia”
ha
interessato tutto il Paese, ma con un
picco di negatività nel Mezzogiorno.
E il dato relativo al 2010 è dentro
questo trend: il Pil italiano medio
cresce dell’1,3% con punte del 2,3%
nel Nord-Est (unico territorio con un
tasso sufficiente secondo i parametri di
Banca d’Italia), dell’1,7% al NordOvest, dell’1,2% al Centro e dello
0,2% nel Sud. E nella classifica UE
con lo 0,1% di crescita trimestrale
siamo superati perfino dalla Grecia e
lontani da quello 0,8% della media
europea.
Insomma una crescita troppo bassa e
altrettanto sperequata tra i territori,
indice di un declino che viene da
lontano e contro cui questo Governo
non ha messo alcun argine. Anzi. Le
tanto vantate misure varate in materia
di federalismo fiscale rischiano solo di
allargare le differenze territoriali,
spostando una maggiore pressione
fiscale dallo stato centrale agli enti
locali. Mentre l’attenzione posta in
questi giorni sullo spostamento dei
Ministeri al Nord, dà solo la
dimensione della pochezza delle
risposte date alla crisi, iniziative più
improntate a tacitare l’alleato leghista
che a risollevare l’economia e
rilanciare il lavoro. In particolare è
(segue a a pagina 2)
invisibili ‘11
+ povertà
+ precarietà
+infortuni
+tasse…
Non è vero
allora che
l’Italia non
cresce…
Crescita e Mezzogiorno
due obiettivi mancati dal Governo
(continua da pagina 1)
sulla questione meridionale che
questo Governo ha fallito.
L’ultima relazione dello Svimez
sul tema è inclemente: “al 2009
nessuna
delle
regioni
del
Mezzogiorno raggiungeva il Pil
procapite medio nazionale…nel
complesso il prodotto procapite
dell’area risultava pari al 59% di
quello del Centro-Nord. La
presenza di un divario di ricchezza
fra le due aree non è una
caratteristica immutabile della
storia
italiana:
recenti
ricostruzioni storiche segnalano
che al momento dell’unità d’Italia
il Pil procapite delle due aree era
pressoché simile…” La relazione
Svimez poi delinea le fasi del
lento,
ma
irreversibile
allontanamento del Sud, con due
soli periodi che fanno eccezione, il
periodo 1948-75 e il periodo 199298.
A fronte però di una
sostanziale decrescita dell’intervento pubblico per il Sud. Infatti
la spesa pubblica in conto capitale
destinata al Sud passa dal 41,1%
del 2001 al 34,8% del 2008,
lontanissimo da quel 45% fissato
dalla programmazione degli anni
precedenti e dal peso che il Sud ha
in termini di popolazione e di
territorio.
Infine il piatto forte della
comunicazione governativa: il
piano per il Sud che torna alla
ribalta, per l’ennesima volta in
questi giorni.
Un piano fondato
su due delibere del Cipe, una del
luglio 2010 e l’altra del gennaio
2011. Entrambe tese a sbloccare,
indirizzare e investire i Fas (risorse
per circa 20.000 milioni di euro) .
Ma, a dispetto degli annunci, ad
oggi, la prevista verifica sulla
consistenza e disponibilità di
queste somme da parte del
Dipartimento Politiche di Svilup-
po non è stata ancora terminata,
bloccando i fondi, ben 16 miliardi
di euro, per finanziare i progetti
relativi alle regioni meridionali…
Un ritardo ancor
più colpevole
viste le condizioni economiche e
l’acutezza della crisi nel Mezzogiorno.
Un comportamento che fa il paio con
lo storno di 30 mld di euro di FAS,
usati negli ultimi 3 anni per far fronte a
esigenze di spesa ordinaria fuori dal
Meridione. Infine, delle 8 priorità
strategiche del Piano per il Sud, l’unica
su cui si registra qualche piccolissimo
passo in avanti è la Banca del
Mezzogiorno.
Una “priorità” cara soprattutto al
ministro
Tremonti,
ma
che
assolutamente non risponde alle
urgenze del Mezzogiorno.
Insomma tra i tanti “miracoli”
annunciati da questo Governo dalla
vocazione mediatica, a trazione
leghista e con il fiato corto, di certo
non ci sono né la
crescita
economica, nè il Mezzogiorno.
Banca del Mezzogiorno:
il protagonismo di Sarmi e le preoccupazioni dei partners
E’ di questi giorni la notizia di un
patto di consultazione permanente tra
le Banche di Credito Cooperativo
(BCC) e le Banche Popolari.
Si tratta di una collaborazione tra due
realtà già unite da più caratteri comuni,
come per esempio la struttura
societaria cooperativa, il legame con il
territorio e recentemente anche la
comune partecipazione alla nascente
Banca del Mezzogiorno (BdM).
Infatti già dallo scorso mese di
marzo insieme le due realtà avevano
avanzato al Ministro Tremonti e a
Poste Italiane la richiesta di entrare a
far parte dell’operazione BdM con il
60% del capitale.
Una richiesta che ufficialmente non
ha ancora avuto risposta. Tant’è che in
una recente intervista Augusto
dell’Erba, vice-presidente delle BCC e
presidente del Comitato Promotore
della BdM affermava: “Mi aspetto di
sedermi intorno a un tavolo entro la
fine dell’estate insieme a Poste, per
ragionare di prodotti e progetti, su base
bilaterale”.
Appare chiaro che il ragionamento
su basi bilaterali, auspicato da
dell’Erba, risente dello strappo operato
da Poste Italiane all’atto dell’acquisto
di Medio Credito Centrale; un acquisto
da realizzare insieme agli altri partners
di BdM, tra cui le Bcc e le Banche
Popolari, e invece effettuato solo da
Poste, che con questo passaggio hanno
acquistato anche le necessarie
2
licenze per svolgere l’attività
bancaria.
Alla
luce
di
questo
forte
protagonismo, voluto da Massimo
Sarmi, amministratore delegato di
Poste Italiane, si possono facilmente
immaginare anche i motivi della
mancata risposta alla richiesta di
BCC e Popolari.
Da tempo scriviamo (vedasi il
quaderno “Banca del Mezzogiorno:
mission
meridionalista
oppure
operazione di potere ?”) che le
finalità per cui si vuole dar vita a una
banca per il Sud (finanziare le PMI
a medio e lungo termine) non
rispondono alle reali e urgenti
necessità dell’economia meridionale,
piegata dalla crisi e bisognosa di
capitali a breve e non a medio- lungo
termine,
condizioni
già
sufficientemente offerte dal sistema
bancario “ordinario”.
Come da tempo solleviamo il
dubbio che tutta l’operazione possa
essere solo
lo strumento per
permettere a Poste Italiane di
trasformarsi definitivamente in banca
e diventare il primo soggetto
bancario in Italia.
Il patto di consultazione e di
collaborazione permanente tra due
importanti soggetti come BCC e
Popolari, entrambi soci di BdM,
potrebbe iniziare a squarciare il velo
“meridionalista” che fino ad oggi ha
avvolto l’intera operazione.
La manovra che verrà: né crescita, né equità
Dopo tanti annunci l’attesa
manovra per portare al pareggio di
bilancio entro il 2014 ci sarà. E sarà
composta da un maxi-decreto e da
una legge delega sul fisco. Gli
effetti saranno spalmati così: 7
miliardi di euro per il 2011, 5 per il
2012, 20 nel 2013 e 11 nel 2014.
Mentre l’iter parlamentare dovrebbe
concludersi a fine luglio con il voto
di fiducia.Il condizionale è d’obbligo
sia sui tempi dell’approvazione, sia
sugli stessi contenuti della manovra,
viste le profonde divisioni esistenti
nella maggioranza, come dimostrano
le dichiarazione dell’on.Crosetto che
definisce le proposte di Tremonti “da
psichiatra” , le esternazioni di Bossi
contro l’allungamento delle pensioni
o le ventilate dimissioni di Tremonti.
Ma vediamo in sintesi i contenuti
del decreto.
Pensioni: ancora una volta la via più
facile e immediata per fare cassa è il
sistema previdenziale. L’età pensionabile per le donne del settore
privato, dopo il recente innalzamento
avvenuto nel pubblico, viene portata
da 60 a 65 anni. L’aggancio del
pensionamento alla aspettativa di
vita viene anticipato dal 2015 al
2013: un meccanismo che doveva
scattare fra 4 anni - e viene
anticipato di 2 - e che ogni 3 anni
avrebbe innalzato il pensionamento
di ulteriori 3 mesi - e che ora sarà
biennale e non più triennale. Col
risultato che entro il 2050 la
pensione di vecchiaia sarà a 70 anni.
E poi l’aumento dell’aliquota al
33% per i parasubordinati, un
ulteriore balzello per un settore di
lavoratori che non fruisce di
ammortizzatori sociali e non ha
alcuna certezza previdenziale.
Pubblico Impiego: allungamento
del blocco della contrattazione per
un ulteriore anno, fino al 2014 e
blocco del turn over. Si tratta di una
manovra che renderà ancor più
difficili i rinnovi contrattuali in
corso – tra i quali quelli del nostro
settore – oltre a penalizzare un
comparto di lavoratori falcidiato dai
tagli di spesa. Sanità: applicazione
immediata dei costi standard in sostituzione della cosiddetta spesa storica, un provvedimento che, senza la
necessaria gradualità e perequazione,
e abbinato al taglio della spesa
farmaceutica e alla riorganizzazione
/chiusura di tanti ospedali, rischia
solo di mettere definitivamente in
ginocchio la sanità pubblica. E poi:
tagli all’istruzione pubblica e ai
comuni che non beneficeranno di
trasferimenti statali per oltre 3
miliardi. Insomma una manovra a
“senso unico” contro lavoratori,
pensionati e stato sociale. La cui
unica foglia di fico è rappresentata
solo dal taglio ai cosiddetti costi
della politica, il cui obiettivo è più
mediatico che concreto. Mentre con
l’aumento dell’Iva, ci sarà una
crescita dei prezzi con effetti ancor
peggiori sull’inflazione e sui consumi. E poi il taglio del 10% dei Fas,
2,5 miliardi in meno per il Sud.
Infine la delega sul fisco: con le
3 aliquote di cui parla il ministro
Tremonti, 20-30-40% a partire dal
2012, che oltre a un sensibile
risparmio per i redditi più alti, rischia
di colpire quelli medi e di non avere
effetti positivi sulle fasce più deboli,
i cosiddetti incapienti. E con
l’aumento della tassazione dal
12,50% al 20% per le obbligazioni al di sotto dei 18 mesi ad
esclusione dei titoli di stato: un po’
poco se si voleva davvero colpire
speculatori, evasori e grandi patrimoni. Una riforma fiscale che
non sposterà affatto il grande peso
della tassazione dai redditi più
bassi a quelli più alti, che non
ridurrà l’enorme pressione contributiva sui lavoratori dipendenti e
pensionati, rilanciando i consumi
e con essi dando anche fiato all’economia.
Ancora una volta una ricetta
vecchia e classista. Non si toccano
i grandi patrimoni, non si colpisce
l’evasione fiscale e contributiva,
tra le più alte d’Europa, non si
rilancia la crescita, mentre si
continua vessare i lavoratori e a
tagliare i fondi per il Mezzogiorno.
Per questo Governo, a fine corsa, a
pagare dovranno essere ancora una
volta i lavoratori e le lavoratrici
con pensioni più lontane, blocco
degli aumenti salariali e tagli alla
sanità, all’istruzione, ai servizi.
Tocca a noi non permetterglielo.
La scoperta della
bontà del “posto fisso”
Adecco è “la società privata leader
mondiale della gestione delle risorse
umane, impegnata ogni giorno a offrire
alle aziende i talenti di cui hanno bisogno
e ai candidati il lavoro che desiderano” .
Usando anche lo slogan “better work,
better life”. E forse sarà questo il motivo
che ha spinto una società, che fatto della
massima flessibilità delle “risorse
umane” il suo cavallo di battaglia, a commissionare
un
sondaggio
sulle
preferenze lavorative degli italiani dai
risultati del tutto inaspettati (almeno per
Adecco). Infatti, tra i cittadini dai 18 ai
45 anni intervistati, il lavoro più agognato
in assoluto, con una percentuale del
14,5%, è quello dell’impiegato perché
offre quelle ampie garanzie economiche
offerte solo dal posto fisso.
3
Insomma il lavoro del travet scavalcherebbe nelle preferenze ben più
importanti professioni come il militare,
il notaio, l’avvocato. Il tutto in nome
della sicurezza economica e della stabilità del posto.
Verrebbe da
chiedersi, e da chiedere ad Adecco,
dove sono finite tutte le parole spese
sulla necessità – e sul gradimento
giovanile – della flessibilità lavorativa.
“Per i giovani sarebbe impensabile
di stare 30 o 40 anni dietro la stessa
scrivania…il mondo è cambiato oggi
serve la flexicurity…” Sono stati i
ritornelli che abbiamo ascoltato negli
ultimi 3 decenni.
E ora che il
precariato invade tutte le forme di
lavoro e di vita, Adecco “scopre” che
“posto fisso è bello”.
Il Mezzogiorno protagonista nel difficile
momento del settore
Un’estate infuocata per i rinnovi
contrattuali nel nostro settore, alle
prese con i rinnovi in corso del
CCNL assicurativo, con il ritiro
della
firma
dall’accordo
faticosamente raggiunto da parte
dell’associazione
maggioritaria
delle agenzie assicurative in
appalto, con il blocco della
contrattazione in Banca d’Italia,
nelle Authorities e in Equitalia,
con
le
presentazioni
delle
piattaforme rivendicative in Abi e
in Federcasse.
Una cornice senza dubbio di
grande difficoltà, ma che sta
dimostrando la forte tenuta del
Sindacato, grazie alla piena
riuscita degli scioperi già fatti (in
Equitalia, in Banca d’Italia, in
alcune Autorità, nel settore
assicurativo) e al consenso che la
piattaforma unitaria dei bancari ha
ricevuto in modo plebiscitario e
uniforme su tutto il territorio
nazionale.
E’ importante tornare su questo
ultimo punto: la partecipazione dei
lavoratori
nelle
regioni
meridionali, pur scontando una
presenza “in linea” con altre
tornate assembleari, ha superato il
tasso di presenza bancaria sul
territorio (circa il 22% rispetto al
totale) , attestandosi intorno al 25
%. Un segnale certamente di
attenzione
per
l’impianto
rivendicativo, ma anche la
coscienza dell’importanza della
difesa dello strumento CCNL,
specie nel Meridione, dove è più
difficile
la
contrattazione
aziendale,
in particolare nelle
realtà più piccole. Un segnale
anche di consapevolezza rispetto al
particolare momento di difficoltà
che vive il settore e che concentra
in queste settimane almeno 3
grosse scadenze. La difficile
trattativa sulla riorganizzazione
nel Gruppo Intesa, con la
dichiara-zione di circa 10.000
lavoratori in “eccesso”, (una cifra
che si raggiunge sommando
esuberi dichiarati, personale da
riconvertire
e
sportelli
da
chiudere); una trattativa che, per
le dimensioni del Gruppo, non
mancherà di influenzare l’intera
categoria. La disdetta unilaterale
e provocatoria dell’accordo sul
ricorso volontario al Fondo di
Solidarietà in caso di esuberi da
parte dei banchieri; uno strumento
che fino ad oggi ha permesso di
affrontare
in
maniera
non
drammatica difficili ristrutturazioni
e di cui le stesse aziende hanno
ancora bisogno. Infine, il rinnovo
del Contratto Nazionale del
credito, che non può essere a
“costo zero”, né è pensabile che
siano ancora una volta i lavoratori
a pagare, a fronte di privilegi,
stipendi e benefit milionari che,
nonostante tutto, il management
continua ad auto-attribuirsi.
Tre
scadenze
intimamente
connesse tra loro e che vedranno
le
soluzioni
intrecciarsi
e
accavallarsi sui vari piani, di
categoria e aziendali.
E il Mezzogiorno ?
Sarà a
vario titolo presente in tutte e
tre le partite, con una
consapevolezza diversa dal
passato, dettata anche dalla
presenza in piattaforma di una
maggiore attenzione proprio al
Sud e ai suoi storici problemi.
Insomma, non più vaso di
coccio tra vasi di ferro, ma
protagonista attento e partecipe
alla vita dell’intera categoria.
Per l’azienda
noi lavoratori
siamo
esuberi
invisibili ‘11
4
Il Quaderno Numero 1 della
Collana “Ripartire dal
Mezzogiorno” dal titolo:
“Banca del Mezzogiorno: mission
meridionalista oppure operazione di
potere ?”
è scaricabile dal sito Fisac.it
oppure si può richiedere a mezzo
mail all’indirizzo di posta
elettronica [email protected]
La redazione di
“Credito & Mezzogiorno”:
M. Viscione, G. Santarpino,
F. Artista, A. Barberio,
R. Corrado, B. Cosenza,
A. Cui, ,C.De Biase
M. Gentile,F. Trivelli.
Grafica e impostazioni tecniche:
M. Cammarota
Per contatti e per inviare
contributi la nostra e-mail è:
[email protected]
Questo numero di “Credito &
Mezzogiorno” va in stampa alle ore
15 del 28 giugno 2011
SOMMARIO
pag. 1: Una primavera che
prepara l’autunno - Crescita e
Mezzogiorno,
due
obiettivi
mancati dal Governo
pag. 2: Banca del Mezzogiorno, il
protagonismo di Sarmi preoccupa
i partners
pag. 3: La manovra che verrà, né
crescita né equità - La scoperta
della bontà del posto fisso
pag.
4:
Il
Mezzogiorno
protagonista
del
difficile
momento del settore
E noi che
pensavamo
di essere
solo
esuberanti!