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Il Margine 35 (2015), n. 2
to, come protagonista. Un’unica volta un regista siriano ha osato raccontare
al cinema la vita di Muhammad (il film si intitola Il messaggio), ma, a parte
il fatto che la pellicola sostanzialmente non ha circolato nei paesi musulmani
ed è stata vista da pochissime persone per una sorta di naturale ritrosia, il
regista ha dovuto escogitare trucchi diversi per non mostrare in alcun modo
la persona del Profeta.
Ancor di più, credo, si comprende perché la sensibilità musulmana riguardo alle vignette satiriche sia stata provocata. L’irrisione del Profeta è
una blasfemia che offende sanguinosamente la coscienza del credente. Ciò,
è ovvio, non giustifica né il terrorismo né l’omicidio, ma può costituire un
motivo di profonda rabbia per un estremista, già convinto, a ragione o a torto, che l’Occidente lo colonizzi e lo sfrutti.
Peraltro, è difficile trovare giustificazione per la punizione della blasfemia nei testi sacri. Innanzi tutto, bisogna ricordare che la bestemmia è inesistente nell’Islam; è un non-problema. Nessuno, nemmeno un ateo convinto,
si permetterebbe di bestemmiare il nome di Dio o di Muhammad. La pronuncia continua, ritmata, del nome di Dio (Allah) è anzi un mezzo assai praticato per entrare in comunicazione spirituale con Lui. Si spiega così perché
il Corano (almeno per quanto io lo conosco – ma il Corano è un oceano senza limiti, come dice al-Ghazali) non si occupa neppure di denunciare e sanzionare la blasfemia. Piuttosto, il Corano si occupa più di una volta di denunciare l’apostasia, l’abbandono della religione. Ma anche in questo caso,
non prevede alcuna punizione “fisica”. Sarà Dio nell’aldilà, al momento del
giudizio, a sanzionare l’apostata con la punizione che vorrà. Alcuni dottori
conservatori, già nel Medioevo, hanno invece deciso che l’apostasia sia passibile di pena di morte: ma appunto, non vi è alcuna base coranica per giustificare una simile prescrizione. E lo stesso vale per la blasfemia. L’estremista
che pretendesse di punire con la morte l’autore blasfemo di una vignetta satirica non troverebbe conforto dottrinale nel Corano.
Fraternità e libertà
Il Comunicato del Comitato interreligioso
della Famiglia Francescana francese*
Q
uanto è accaduto lo scorso 7 e 9 gennaio 2015 nel nostro paese, nella
sua capitale, Parigi, in due luoghi simbolici, l’uno dell’esercizio
estremo della libertà d’espressione e l’altro della comunità ebraica, non può
essere in nessun caso giustificato o scusato. Si può trovare che un certo
umorismo non è affatto divertente, o anche francamente offensivo, ma questo non giustifica l’assassinio, che è la sola vera profanazione religiosa, specialmente, come in questo caso, quando avviene in nome di Dio.
Quanto all’antisemitismo, questa è una piaga da combattere in tutte le
sue forme e con tutte le nostre forze. Noi siamo solidali con tutte le vittime e
denunciamo la violenza ovunque essa si eserciti.
Dall’umorismo ebraico fino ai racconti di Nasreddin Hodja (Joha in
Africa del Nord)1, senza dimenticare Golia2, la dimensione tradizionale
dell’autoderisione viene esercitata nelle società o comunità relativamente
omogenee, dove l’identità religiosa è sufficientemente affermata e stabile.
Non prendersi troppo sul serio fa parte del cammino spirituale. L’umorismo
è indispensabile per combattere ogni forma di religiosità, o meglio di bigotteria, nella quale l’amore dell’Uno rischi di trasformarsi nell’odio dell’altro
– l’odio della diversità. Il fondamentalismo ne è il nemico principale.
Ma la caricatura, l’ironia, la derisione non possono esercitare il loro effetto pedagogico, salutare, incisivo, che attribuisce loro un valore, se non in
un contesto fraterno. Per noi, membri del Comitato interreligioso della famiglia francescana, il rispetto assoluto delle persone, nella loro storia e nella
*
Riceviamo e volentieri pubblichiamo. Traduzione dal francese di p. Cesare Vaiani ofm,
S. Antonio di Milano. Il titolo è redazionale.
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Nasreddin fu un sufi vissuto nell’attuale Turchia nel XIII secolo; saggio filosofo popolare, è famoso per i suoi racconti spesso buffi, le battute umoristiche, tanto da diventare
un personaggio simbolico dell’arguzia popolare (n.d.t.).
2
Si fa riferimento all’Apocalisse di Golia, un testo satirico latino del XII secolo, con una
feroce satira della gerarchia ecclesiastica del tempo e dei suoi vizi (n.d.t.).
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loro identità, viene prima di ogni altra considerazione, compresa quella di
una pretesa libertà che crede che tutto le sia permesso.
Come dice il nostro motto repubblicano, la fraternità equilibra la libertà
e a sua volta le dona la sua ragion d’essere e il suo ambito di esercizio, che è
infinito.
Gli assassini del 7 e 9 gennaio 2015 sono figli della nostra Repubblica,
accolti, allevati, educati in una nazione che oggi è in lutto e indignata, e speriamo a doppio titolo. Perché al di là di questa indignazione, bisognerà riflettere tutti su un esercizio della libertà più responsabile, sulla presa in carico, nel nostro corpo sociale, delle identità rese fragili non soltanto da una
concezione angusta di laicità, ma soprattutto da disuguaglianze sociali crescenti, fonte di risentimento, di violenza sorda di squilibri insopportabili.
Era facile puntare il dito sul terrorismo venuto dall’estero. Che cosa dire di
quello nato nelle nostre famiglie, nelle nostre scuole, nelle nostre università?
Questo dramma ci rimanda alla costruzione modesta, paziente e responsabile di un nuovo vivere insieme.
Dapprima, molto concretamente, giorno dopo giorno, parola dopo parola, pagina dopo pagina, gesto dopo gesto.
In un secondo momento attraverso l’elaborazione di una visione comune
del nostro destino collettivo.
Il mondo attende da un paese come il nostro che inventi ancora, anche
attraverso il mezzo della caricatura e dell’autoironia, ma soprattutto grazie al
suo motto e alle sue risorse spirituali, in senso ampio, una maniera di vivere
insieme in pluralità che lo trascenda e mostri la via. Noi crediamo che questo è possibile!
Il C.I.F.F. sostiene e invita a partecipare a tutte le manifestazioni di domenica 11 gennaio in tutta la Francia in memoria delle vittime di questi
odiosi assassinii.
Il Comitato interreligioso della famiglia francescana: Amina Maret, musulmana
della Scuola Sufi internazionale, Le Plessis-Trévise; Christine Delmas, membro della
Fraternità Francescana Secolare, Paris; Emmanuel Ollivier, buddista di tradizione
zen, Issy les Moulineaux; Gabriel Hagaï, rabbino cabbalista e universitario, Paris;
Gabrielle Marguin, Suora francescana della propagazione della fede, Francheville;
Jasvir Singh, sikh, Bobigny; Jean-Marie Landrin, frate minore francescano, Fontenay
s/bois; Justine Ramon, membro del Mouvement Juif Libéral de France, Torcy;Karim
Ifrak, musulmano universitario, Paris; Lucette Anthonioz-Blanc, buddista di tradizione tibetana, Lentigny; Michel Dubois, buddista di tradizione zen, Montreuil; Pascal Aude, frate minore cappuccino, Villeneuve-Saint-Georges; Rany Rouabah, musulmano della confraternita Al ‘Alawiya, Yerres.
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Comunicazione Non Violenta
Uno strumento per l’implementazione
del metodo dell’integrazione.
Parte seconda: limiti e usi deviati*
URBANO TOCCI
M
algrado l’entusiasmo espresso nella prima parte di questo articolo,
non credo sia necessario chiarire che la Comunicazione Non Violenta
non è la chiave del paradiso e praticarla non risolverà tutti i nostri problemi.
È una tecnica (neanche particolarmente innovativa, essendo la sistematizzazione di una serie di altre tecniche e concetti già noti) e come tale di per sé
non è né buona né cattiva e può essere usata per raggiungere fini opposti. È
sicuramente un potente mezzo di analisi di sé e del mondo e quindi è importante conoscerlo per poter quantomeno individuare quando è usato contro di
noi.
Quello che abbiamo imparato da Wikileaks (di cui oggi casualmente non
si parla più) è l’importanza fondamentale che i servizi danno ai profili psicologici dei proprî alleati e avversari per poterli meglio manipolare, spessissimo facendo leva sui loro punti di forza e sulle loro attitudini trasformandole
in altrettante debolezze, in quella che possiamo definire un’applicazione dei
principi del judo alla vita. La stragrande maggioranza dei cablogrammi resi
pubblici nello scandalo contenevano infatti informazioni su episodi al limite
del pettegolezzo, episodi a prima vista poco importanti ma indispensabili
come base per ricavare i profili psicologici dei personaggi coinvolti. Analo*
Seconda parte dell’introduzione al workshop di Comunicazione Empatica tenuto da Meri Ciuti nel corso della XXXIV Scuola di Politica della Rosa Bianca: Ri-amare la politica, Ribelli e resistenti di fronte alle sfide dell’iniquità (Terzolas, agosto 2014). La
prima parte è stata pubblicata su “Il Margine”, 25 (2015), n. 1. I contenuti di
quest’articolo riflettono unicamente posizioni e convinzioni personali dell’autore, e
non possono in alcun modo essere ricondotte né all’Unione Europea né alla Direzione
Generale Ricerca ed Innovazione.
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