Il tiro alla fune come metafora della relazione genitore

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Il tiro alla fune come metafora della relazione genitore
Perticato, formazione genitori 2015
scuola primaria e secondaria
IL TIRO ALLA FUNE COME METAFORA DELLA RELAZIONE GENITORE/FIGLIO
Hai mai visto cosa succede nel tiro alla fune, quando da una parte all’improvviso, i concorrenti
mollano improvvisamente la presa? La squadra, dall’altra parte, impegnata a tirare al massimo della
propria potenza, si ritrova allo sbando. Solitamente tutti cominciano a correre all’indietro, perché la
loro forza ora non ha più un avversario contro il quale essere esercitata. Ma questa corsa all’indietro
è disordinata, disarmonica, a volte anche molto pericolosa. Se la squadra è numerosa, tutti
cominciano a cadersi addosso, qualcuno potrebbe anche farsi male, molto male.
Mi sembra un’immagine coerente, per raccontarti il pericolo che vedo nell’elargire ad una figlia
adolescente la libertà, così, tutta in un colpo. Se ci pensi bene, quando uno vince una gara perché
l’avversario dall’altra parte abbandona il gioco all’improvviso, la vittoria non ha un bel sapore. Non
ci si sente dei veri vincitori, perché è mancata la possibilità di sentire che si è diventati campione, in
quanto si è davvero più forti, più competenti. Insomma, a me sembra che tanti adolescenti vincono
la libertà, come al fast food i bambini trovano un gioco di poco valore dentro la scatola del loro
happy meal: senza fare alcuna fatica.
E proprio come quel pasto da fast food, ha un sapore sempre uguale a se stesso e nessun valore
nutrizionale, anche la libertà conquistata senza alcuna fatica non permette di sentirsi all’altezza di
un dono tanto importante. Qualche figlio prova a far capire ai propri genitori che forse sarebbe il
caso di mettere un limite, di inserire, di tanto in tanto, qualche eccezione alla regola della libertà
assoluta.
A questo servono, secondo me, certe “escalation” nel territorio del rischio comportamentale da
parte di alcuni ragazzi e ragazze che vorrebbero essere visti dai loro padri, e soprattutto,
inconsciamente desidererebbero essere fermati proprio sull’orlo del precipizio, prima che il gettarsi
nel vuoto possa diventare un passo senza più possibilità di ritorno. Ma quasi sempre, i loro segnali
di richiesta di aiuto cadono nel vuoto.
I padri che hanno mollato la fune, che non hanno voluto continuare il gioco coi loro figli, sono
solitamente in altre faccende affaccendati. E non hanno tempo e occhi per accorgersi che qualcuno
sta urlando loro che ha bisogno di essere aiutato. Sono urla che non hanno voce, spesso non hanno
parole (quanti genitori, di fronte ai figli seriamente in difficoltà affermano “Ma io non mi ero mai
accorto di nulla, le cose in famiglia andavano benissimo!”): sono urla che vivono nello sguardo di
figlio. Ecco, perché, io non mi stanco mai di perdermi nel meraviglioso “azzurro celeste” dei tuoi
occhi adolescenti.
Io ho deciso che sto dalla mia parte della fune e ti guardo, per l’appunto, negli occhi. Non mollo la
presa e non mollo lo sguardo. Però ho anche preso una decisione che tu non sai e che ora ti rivelo,
proprio in occasione di questa lettera. E’ un modo per giocare a carte pari, per condividere con te le
mie strategie di gioco con te: proprio perché ho totale fiducia in ciò che sei e in quello che fai, non
ha senso che io non ti comunichi ciò che da tempo ho deciso. Io non voglio proprio vincerlo questo
tiro alla fune con te. Io voglio solo giocare il più a lungo possibile. Questo è il mio reale obiettivo:
far durare la nostra partita per tutto il tempo in cui tu abiterai lo spazio della tua adolescenza.
Spazio, che, se ci pensi bene, non ha un inizio e una fine ben definiti. Non c’è un giorno specifico in
cui ti alzi alla mattina e puoi annunciare al mondo “Fermi tutti, da oggi sono un’adolescente”. E ti
accorgerai che, parimenti, non esisterà un giorno in cui potrai dire che la tua adolescenza è finita.
È proprio questa incompiutezza e indefinitezza del periodo che la tua vita ti sta facendo attraversare
che rende per me così fondamentale il dover esserci, anzi concedimi il verbo, il voler esserci, lì di
fianco a te.
Lucia Todaro, psicopedagogista e consulente di formazione www.felicecomeunbambino.org
Perticato, formazione genitori 2015
scuola primaria e secondaria
Come gestirò la mia partita? Non lo so precisamente nemmeno io, ma di certo non ti impedirò di
metterti alla prova con tutta la tua forza contro di me. Ho escluso a priori di vincere. Questo
significa che ogni volta che sento che stai per mollare la presa e tirarti indietro, io ti incoraggerò ad
andare avanti, a ricercare la volontà e la determinazione dentro di te, per tenere il passo, per sentire
che ce la puoi fare a farmi fuori.
Del resto ogni volta che io mi sentirò stanco, che vorrei essere altrove invece che lì, a sostenere una
gara di tiro alla fune che mi ruba tempo ed energie a cose che in certi momenti mi potrebbero
sembrare molto più importanti, io ricorderò a me stesso che da quando sei nata, nulla è più
importante nella mia vita di te e della mia famiglia.
Quindi non ci sarà stanchezza, lavoro o desiderio di prestigio che mi motiveranno ad abbandonare il
campo
Tratto dal libro di A.Pellai “Da padre a figlia. La lettera che ogni padre vorrebbe scrivere, le parole
che ogni figlia dovrebbe leggere”. San Paolo Edizioni, 2008
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------E' Proibito....
piangere senza imparare, svegliarti la mattina senza sapere che fare, avere paura dei tuoi ricordi.
È proibito non sorridere ai problemi, non lottare per quello in cui credi e desistere, per paura.
Non cercare di trasformare i tuoi sogni in realtà.
È proibito non dimostrare il tuo amore, fare pagare agli altri i tuoi malumori.
È proibito abbandonare i tuoi amici, non cercare di comprendere coloro che ti stanno accanto e
chiamarli solo quando ne hai bisogno.
È proibito non essere te stesso davanti alla gente, fingere davanti alle persone che non ti interessano,
essere gentile solo con chi si ricorda di te, dimenticare tutti coloro che ti amano.
È proibito non fare le cose per te stesso, avere paura della vita e dei suoi compromessi, non vivere ogni
giorno come se fosse il tuo ultimo respiro.
È proibito sentire la mancanza di qualcuno senza gioire, dimenticare i suoi occhi e le sue risate solo
perché le vostre strade hanno smesso di abbracciarsi. Dimenticare il passato e farlo scontare al
presente.
È proibito non cercare di comprendere le persone, pensare che le loro vite valgono meno della tua, non
credere che ciascuno tiene il proprio cammino nelle proprie mani.
È proibito non creare la tua storia, non avere neanche un momento per la gente che ha bisogno di te,
non comprendere che ciò che la vita ti dona, allo stesso modo te lo può togliere.
È proibito non cercare la tua felicità, non vivere la tua vita pensando positivo,
non pensare che possiamo solo migliorare, non sentire che, senza di te,
questo mondo non sarebbe lo stesso.
Pablo Neruda
Lucia Todaro, psicopedagogista e consulente di formazione www.felicecomeunbambino.org