progetto sellero - Simboli sulla roccia
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progetto sellero - Simboli sulla roccia
PROGETTO SELLERO L’arte rupestre della Vallecamonica è il primo titolo italiano nella lista del patrimonio culturale di interesse mondiale dell’UNESCO. Si sottolinea che il primo titolo significa aver preceduto in ordine di tempo, e quindi di urgenza, i Fori Imperiali a Roma, Piazza del Miracoli a Pisa o il complesso di S. Giulia a Brescia. Il riconoscimento è prestigioso, risponde al reale valore del contesto è impegna il governo italiano a tutelare e promuovere il patrimonio stesso. Se tale impegno è stato sinora in buona misura poco onorato, per motivi di perifericità, scarsa convinzione e progettualità politica, ciò non significa che l’inserimento non sia una potenziale, forte leva di possibile valorizzazione. L’UNESCO non concede finanziamenti; ma appoggia autorevolmente progetti seri e ben strutturati.Nell’attuale, direi tradizionale, rassegnata mancanza propositiva in Valle l’iniziativa del Comune di Sellero ha buone possibilità di realizzazione, se parte da questa leva, e se saprà configurarsi come progetto pilota integrato; cioè capace di coniugare, sul perno del dato archeologico, quello altrettanto primario del minerario e gli altri ambientali (centro storico, monumenti, aspetto naturalistico, mondo tradizionale) a comporre una peculiarità Sellero vincente capace di rilanciare flusso turistico in concorrenza con altre realltà locali (Capodiponte, Ceto, Bienno, Malegno ect). Si tratta di riqualificare, valorizzare l’intero territorio per renderlo una meta unica, speciale, accogliente e ciò comporta, a nostro avviso, uno sforzo generale che preveda oltre quanto indicato specificatamente i seguenti punti: tutela dell’ aspetto originale degli edifici storici e tradizionali della sentieristica, dei tratti ambientali e dei monumenti minori (edicole, brani architettonici), norme per ristrutturazioni e nuove costruzioni, rimozione di brutture di ogni tipo, cura delle tipologie secondarie (recinzioni, fontane, muretti, aiuole, servizi, etc). Il paese e il territorio devono presentarsi, per quanto possibile, belli, curati, piacevoli, rispettosi anche dei suoi angoli minori ed i modelli ideali possono essere i vecchi paesi e consolidata vocazione turistica del Trentino o del Tirolo o della Svizzera, dove anche la mentalità del privato è in linea con un’idea pubblica di decoro peculiare e tradizionale. In questa cornice, che è già un quadro sostanziale, può prendere corpo il progetto di “Parco archeologico-minerario di Sellero”. Il parco infatti dovrebbe essere inteso come ecomuseo, essendo i reperti (roccie incise, miniere, altre evidenze) in siti inamovibili e nel loro contesto originale, un contesto che è parte integrante del santuario rupestre come del mondo minerario, e specchio di quell’insieme storicotradizionale, che ben mostra gli strati epocali del suo vissuto storico, lavorativo e naturale. Va ad esempio previsto all’interno degli itinerari nel parco una cura particolare della sentieristica (fondo di vecchiaia tipologia, non ha bitume o con materiali alieni), dell’aspetto di baite, edifici, recinzioni e cura dei prati e dei tratti arborati, innesto infine di fontene in discrete aree di sosta.A maggior ragione quindi, questa cornice non è tale, è già monumento, vivo nelle sue attività agro-silvane (ove permangono) e nell’immagine di quel che è stato sino ad un passato recente. Al riguardo accenno soltanto ad una situazione di fatto che potrà rappresentare un’ulteriore dato di interesse: l’intero territorio comunale, ma soprattutto le aree prossime alle evidenze rupestri, celano certamente reperti archeologici di pregio, quali resti di strutture abitative, siti funerari e di culto, castallieri, altra arte rupestre e anche tracce di lavorazione del metallo, come già individuato nella vicina Seradina di Capodiponte a Luine ed a Vezza d’Oglio. Alcuni punti con alta probabilità di rinvenimento sono stati già individuati dal nostro Istituto, per altri necessitano nuove prospezioni, ed eventuali interventi sono raccomandati, anche se esulano dal presente progetto. guerrieri, capanne, impronte di piedi, con antropomorfi in scene di lavoro agricolo e metallurgico, in attività di caccia, di duello, di aratura, di cerimonia. In Valle si riflettono il mondo delle grandi culture centro europee ed italiche sino all’etrusca (VII-V sec.), alla celtica (IV-I) e quindi alla romana. Ed il ciclo non s’interrompe, perché abbiamo testimoni rupestri della fase storica, dall’Alto Medioevo al Rinascimento, al 600, agli ultimi secoli, sino alle manifestazioni devozionali e laiche del XIX e XX sec. L’ARTE RUPESTRE CAMUNA L’arte rupestre della Vallecamonica, con circa 300 mila istoriazioni, costituisce il maggior complesso istoriato d’Europa ed uno dei maggiori in assoluto al mondo.Il valore del contesto è sia nel numero elevato delle immagini, sia nella loro qualità, che ne fa documenti storici spesso eccezionali, sia nella durata del fenomeno, oltre 10 millenni, una continuità che ha dello stupefacente nel quadro continentale. Le prime manifestazioni sono attribuibili all’Epipaleolitico nel VIII-VII mill., quando le prime bande di cacciatori - raccoglitori entrano nelle Alpi ormai liberate delle lingue glaciali. Vi dominano le figure di grandi animali selvatici, alci, cervi e capridi, presenti nelle sole zone di Luine e Mezzarro. Quindi, dopo un jatus, abbiamo testimoni degli agricoltori - allevatori neolitici dal V-IV mill. con figurazioni di campi (mappe topografiche), antropomorfi oranti e simboli astratti; le immagi sono ora prevalenti nel centro Valle (versante sinistro). Il momento decisivo è all’inizio del III millenio, con la rivoluzione calcolitica (età del Rame), quando le scene, ora numerose e concettualmente ben organizzate, rilevano tutta la complessità di una rivoluzione epocale: una nuova colturalità, una nuva struttura sociale si esprimono attraverso simboli astrali, armi, aratri, carri, antropoformi e zoomorfi, disposti in un impeccabile ordine sintattico; inizia la metallurgia, l’aratura la produzione casearia e della lana, sviluppa il commercio e l’allevamento in quota, nasce il megalitismo. Su quest’imput seguono, senza soluzione di continuità, le istoriazioni dell’età del Bronzo (II mill.) e del Ferro (I mill.) con una crescita progressiva ed esponenziale di scene più proporzionate e descrittive; queste ci danno il senso vivo di molteplici aspetti della protostoria, dal culto, al mito alla vita quotidiana, nel filtro di precise scale di valori. Il 90% delle immagini appartengono all’ultimo millenio, con predominio di L’ARTE RUPESTRE DI SELLERO Nel quadro evidenziato l’arte rupestre di Sellero si pone come un contesto di primaria importanza e dalle caratteristiche molto particolati. Geograficamente è l’insieme d’arte figurativa più settentrionale del Centro Valle ( vedi carta I ), cioè rappresenta la punta nord del gruppo di siti rupestri che da Nadro di Ceto giunge sino a Campolungo di Grevo sul versante sinistro e da Cemmo sino a Le Crus di Capodiponte sul versante destro. E’ questa l’area che raccoglie circa il 90% di tutta l’arte rupestre della Valcamonica, quella, in assoluto, con il maggior interesse storico-archeologico. Per Sellero non si tratta di un sito unico, ma di quattro distribuiti sul territorio e con caratteri litologici, morfologici ed iconografici bn differenziati: - la Zona I di Carpene-Fradel-Berco: al centro dell’area comunale comprende il nucleo principale con 23 roccie istoriate, raccolte su una piccola estensione di territorio in sensibile pendenza (subito sopra la fascia dei pianori maggiori). E’ questa l’area più ricca di reperti artistici, la più varia per la tipologia di figurazioni espressa e quella che presenta la maggiore continuità di frequentazione, dal Neolitico all’età storica. L ‘anomalia di quest’area è di essere l’unica in Valcamonica a presentare una considerevole sequenza di istoriazioni sulla superfice poco invitante di micoscisto, corrugata e dura, difficile da incidere e sulla quale spesso è altrettanto difficile leggere l’incisione.Su quest’area si appunta l’attenzione maggiore del presente progetto. La zona II di Isù-Barnil-Novelle: posta a valle e a nord della I zona è la più estesa, allungandosi per oltre un chilometro, dalle ultime case di Sellero sino a nordovest di Novelle. Le roccie incise assommano a 34 e si dispongono ai bordi dei pianori coltivati a prato ed in leggera prendenza, o sulle sporgenze rocciose affioranti negli stessi, o lungo i sentieri, i cui tracciati attuali, data la conformazione del terreno, ricalcano di certo, in buona misura, quelli antichissimi. La quasi totalità delle istoriazioni di quest’area si compone di coppelle, canaletti, sigle e segni di confine, mentre sono rare le figurazioni antropomorfe, zoomorfe e simboliche. In quest’area sono state condotte recenti prospezioni e rilevamenti (su commissione del Comune di Sellero dal 2000 al 2002) che hanno portato a scoprire nuove superfici nell’area a monte di Novelle e nella zona a valle di Isù-Barnil. - La zona III di Preda Mola, Corna Scutta e Castel Grande: Si trova sulle propaggini del versante che sovrasta la sponda destra del torrente Re, ed è la prima quindi nell’area della pietra classica dell’incisione camuna, il Verrucano lombardo. Qui sono state individuate cinque roccie istoriate di cui solo una, la n. 26, presenta chiare evidenze preistoiche con la sua massiccia concentrazione di 374 figurazioni dell’età del Ferro; una roccia praticamente isolata e oggetto quindi di intensa frequentazione in un solo periodo. Le altre quattro superfici presentano ben poco al confronto: tre hanno insiemi di coppelle ed una, la n. 51, una piccola scena d’epoca storica. - La zona IV di Coren e Pià D’Ort: Zona in quota, a cavallo del confine con il comune di Capo di Ponte. Le roccie incise di quest’ultima area mostrano tutta la varietà tipologica e compositiva caratterizzante la vasta area rupestre capontina (in quota) che da Le Crus, Convai si prolunga al Dos del Mirichi e a Redondo. L’excursus cronologico è simile a quello rilevato nella I zona, ma qui troviamo figure del tutto assenti nelle aree anzidette, come capanne, tipiche mappe topografiche, varietà di figurazioni zoomorfe, scene di aratura, rose camune. La qualità artistica è in genere alta, favorita d’altronde dalla levigatezza della superfice rocciosa. Di nuove le istoriazioni si rinvengono (su un totale di 42 superfici incise, di cui 16 sul territorio di Sellero) vicino alla linea dei sentieri o addirittura sul loro piano di calpestio, confermando quindi l’osservazione sulla preistoricità dei tracciati (ed a maggior ragione, in quanto qui vi sono tratti di percorso obbligatorio).L’ambiente è suggestivo, selvaggio e intatto, con dirupi e fitta vegetazione boschiva: l’area più impervia fra quante, nella Valle, ospitano arte rupestre. Quest’area è a parità d’intesse con quella di Carpene specie considerando la presenza della Casa del Fabbro (vedi avanti). Sul piano archeologico, il complesso è conosciuto in ogni continente e gli specialisti vedono l’alta Valle dell’Oglio un po’ come gli Indù quella del Gange. Ma anche il pubblico colto ha una conoscenza relativamente accettabile, ed i testi scolastici e storici, non solo italiani, hanno riferimenti ormai frequenti a tale risultato, determinanti sono state le pubblicazioni, le mostre, i convegni, i seminari e le notizie apparse su ogni livello dei media. Tutto ciò è un buon presupposto per una ulteriore valorizzazione turistico-culturale della Valle, che ha un 25 anni di difficoltosa esperienza di flusso di visite ai siti rupestri e storici. Tale contesto pone Sellero come “periferia di lusso” dell’insieme centrale di Capodiponte-Nadro, ma a parità di valore con le aree di Cimbergo, Paspardo, Zurla ed in distanza Luine di Darfo e Grosio di Valtellina; sostanzialmente non ha paragone con tutte le altre aree camuno-telline. Rappresenta inoltre un’area cerniera fra l’espressione figurativa, quella “mobile” che ha reso famosa la Valle e che è limitata a pochissime aree in Europa (solo due consistenti nelle Alpi), e quella “minore”, l’espressione non figuativa o schematica (coppelle, canaletti, sigle, pochi altri simboli) che è invece diffusissima nelle Alpi e nel Continente. La zona IV come la gran parte delle altre a nord di Novelle-Paspardo-Grevo appartengono a questa categoria, fattore che, lungi dall’essere un handicap, aggiunge interesse storico, ad esempio presso quei gruppi di appassionati che in diverse regioni stanno sviluppando uno specifico interesse su tale espressione. I punti forti dell’arte di Sellero, restano comunque, al di là di un valore archeologico complessivo, alcune poche scene ben conosciute di Carpene e Pià d’Ort e su queste va, a nostro avviso, centrato il progetto di valorizzazione turistica. Tre di queste sono su un’unica superficie, la R2, la Grande Roccia di Carpene: - Scena del “Viandante”: Che si sviluppa su una striscia di circa 7 metri con scene dell’Antica e Tarda età del Ferro (stili IV C ed IV E-F): si alternano guerrieri, oranti, antropomorfi incompiuti, busti, coppelle, due palettiformi e ben nove figure zooforme, che sono piuttosto rare nell’area di Sellero (fra esse uno dei quattro esempi di cervide). Su tutte capeggia la figura emblematica del “viandante”, un anomalo gigante di quasi un metro di altezza che impugna un’ascia dal lungo manico e tiene una specie di cestino nell’altra mano; il personaggio indossa una corta tunica quadrangolare su cui spiccano una coppella centrale ed un collare, od una decorazione delle veste, in forma di doppio triangolo: tutti dettagli preziosi vista la sporadicità con cui compaiono. Dettagli che però non chiariscono il carattere della figura se non nel senso di un’indubbia importanza. Sono possibili solo supposizioni sull’identificazione del “cestino”; l’ascia ha il manico un pò troppo lungo per essere un’arma da battaglia ed è impugnata vicino alla lama, cioè non è raffigurata su punto di essere utilizzata; il “collare” come le dimensioni indicano certamente una dignità o uno status sociale elevati. Vi è quindi il dubbio che non si tratti di un semplice guerriero, come d’altronde suggeriscono il rilievo della posizione alta e centrale della figura e le sue dimensioni. Il “Viandante” è databile attorno all’inizio della Tarda età del Ferro (attorno al III sec. a. c.), nel momento in cui sulle poche figure istoriate persistono ancora elementi di influenza etrusca (residui di proporzionalità e dinamicità, gigantismo finale), cui si sovrappongono quelli della fase “celtica” successiva (staticità, degrado artistico complessivo, modulo della figurazione a busto quadro senza campiturle interne). Questo è quanto può essere ricavato da un’analisi degli elementi compositivi, ma il confronto con un monumento celtico della Pannonia apre una nuova prospettiva all’interpretazione. In un altare di Ajka (Ungheria), d’epoca romano-imperiale, dedicato ad Ercole, compare un rilievo dove figura un personaggio con gli stessi caratteri iconografici: un’ascia nella mano destra ed un “cestino” nella sinistra. La presenza di due figure di alberi, oltre all’ascia, induce a considerare l’antropomorfo come rappresentazione del Dio celtico Esus, sulla scorta di come è rappresentato nei rilievi degli altari di Parigi e Treviri, mentre una seconda ipotesi si può formulare a favore del Dio Sucellos (per cui vi sono maggiori incertezze). L’interpretatio romana avvicina sincretisticamente Esus a Ercole (il quale ultimo nella iconografia galloromana ha spesso, come Sucellos, un sacchetto nella mano) ed è probabile che tali paralleli siano stati stabiliti in base agli elementi del mito di Esus, un’eco del quale sembra permanere nella saga irlandese di Cùchulainn: l’eroe abbatte un albero per rintracciare il toro divino Tarvos Trigaranos con tre corna, aiutato da tre dee in forma di uccello; figure presenti nei rilievi dei due altari gallo-romani. Il paralelo con Mercurio può estendersi a quello con l’equivalente germanico Odino, con cui Esus condivide significativamente un carattere cruento e austero: ok nel Bellum Civile (I, 444-446) allude al feroce sacrificio umano in suo onore, ed i tardi Commenta Bernensia a Lucano aggiungono che questo avveniva per appensione ad un albero con successivi dissanguamento o smembramento della vittima (in parallelo con il mito dell’impiccagione iniziatica dello stesso Odino). Tornando al nostro “Viandante”, non abbiamo a conferma dell’attribuzione né alberi (inesistenti nell’arte preistorica camuna e presenti invece nel rilievo di Ajka) né animali in stretta connessione con esso, ma i dati di scavo possono forse fornire una soluzione: la figura è istoriata nel margine alto della Grande Roccia, vicino (meno di 1 m) a strati di terreno non antropizzati, sedimentati in epoca anteriore alla prima frequentazione artistica del luogo; l’allargamento della superficie ha comportato l’abbattimento di alberi d’alto fusto (nel caso larici e castagni) che potevano sussistere anche nella Tarda età del Ferro a completare come elemento vivente il corredo della figura. All’ipotesi, sulla scorta delle fonti, dovrebbe forse connettersi anche il macabro rituale citato del sacrificio umano per appensione:”Hesus Mars sic placatur: homo in arbore suspenditur usque donec per cruorem membra digesserit” come attestano i Commentra Bernensia (ad. I, 445) meglio definendo quanto cantato da Lucano: “Inmitis placatur sanguine diro Teutares horrensque feris altaribus Esus” (cit.). Feris altaribus, negli altari o luoghi di culto selvaggi o crudeli o aspri come può essere un sito rupestre. L’attribuzione di Esus al “Viandante” resta un ipotesi, seppur convincente, ma è sufficiente a riportarci realisticamente ad un mondo religioso tutt’altro che idilliaco. Supponendo valida l’ipotesi, nuova luce potrebbe chiarire il significato di due scene contigue della stessa fase: sulla sinistra in basso, rispetto al Viandante, è figurata una scena con un orante a gambe piegate, rivolto verso un busto ed un antropomorfo privo di braccia; si allude ad una amputazione rituale connessa al culto di Esus? Nell’arte rupestre è molto improbabile che le figure siano incompiute per “dimenticanza”. Un altro antropomorfo di stile IV F sembra alzare un oggetto verso un animale (capride?) e vicino vi è un cervo di stile più antico (IV C tardo o IV C-D) con due segni in associazione nella parte posteriore, un semicerchio ed un triangolo (pugnale?); sotto l’orante infine compare un segno ad U in cui, sotto il condizionamento dei dati del culto celtico, si potrebbe vedere persino un calderone. La scena è senz’altro ben connessa e sembra che sia stata operata una rivalutazione delle figurazioni più antiche come per il cervo, animale raffigurato nello stesso rilievo i Ajka. Due altre scene interessanti sono subito sotto il “Viandante”: in mezzo ad un insieme di figure più antiche (stile IV C) un orante dello stile IV E-F sembra “inseguire” due zoomorfi, mentre dall’altro lato un busto della stessa fase alza un’arma di fronte ad uno degli animali. Infine, in basso, un antropomorfo con un asciforme è dietro due altri zooformi ed un secondo probabile busto è sopra le tre figure. Le due piccole scene sono probabilmente ripetizioni dello stesso soggetto: vi è forse un’allusione al mito dell’inseguimento di Esus nei confronti del Tarvos o di un altro animale (cervo ad Ajka). - Scene con le “Rose Celtiche e Camune”: La magnifica rosa della R.2, con le quattro braccia a svastica, è certamente il miglior esempio del tipo in Valcamonica, date le perfette proporzioni geometriche, espresse in una dimensione insolitamente grande (cm 72,5 x 72,5); essa trova un interessante e in parte inesplicabile confronto nelle rose di Ilkey (Yorkshire Gran Bretagna confronto in quella della Galizia (Spagna) e del Bohuslan (Svezia) ), cui è comparabile per disegno e dimensioni. Ciò che potrebbe unire le varie espressioni è la cultura celtica anche se, come visto, più di un inizio induce a considerare le prime Rose camune anteriori all’espansione celtica nella Padania del IV sec. (Anati, 1982, propone per gli esempi di Luine l’appertenenza al tardo III stile - Età del Bronzo). Dal punto di vista strettamente stilistico, il gigantismo delle tre rose della R. 2 si colloca però nello stile IV E, nel momento cioè del declino dell’influsso etrusco e dell’inizio dell’influenza celtica; a parziale conferma, nello stesso orizzonte abbiamo anche, quindi forse in relazione, la vicina figura del “Viandante”, cui le rose sono avvicinabili per accuratezza di esecuzione e tipo di collocazione nel settore (figura isolata nel margine alto). Altri simboli, come la svastica, molto vicini nella struttura alla Rosa ebbero d’altronde una notevole diffusione specie nella fase finale dell’età del Bronzoe nell’Età del Ferro, sia nell’area peninsulare (con la cultura villanoviana e quindi etrusca, ad esempio) sia in quella centro europea (con le culture di Halestatt e La Tene). Il significato stesso della Rosa è probabilmente vicino a quello della svastica, interpretato recentemente come simbolo solare, con troppo facile associazione, o tradizionalmente (nell’ermetismo, ad esempio) come simbolo polare o del centro, principio divino che si esplica nel dinamismo della creazione, indicata nel moto orientato delle braccia; la svastica può essere anche intesa come un simbolo elaborato su quello della croce (da cui differisce per una valenza non espressamente dinamica, ma di equilibrio) e nella forma di crocie troviamo, forse indicativamente, la stessa variante a croce della Rosa. - Scena dell’”Idolo di Sellero”: La composizione di straordinario rilievo dell’Idolo femminile con il suo ricco corredo simbolico. L’idolo è figurazione antropomorfa di tipo unico e di notevoli dimensioni (cm 149 x 48), attorniata da un nugolo di simboli circolari, quadrangolari, lineari e da coppelle in evidente associazione (undici figure circolari, otto quadrangolari, cinque lineari ed una ventina di coppelle di varia dimensione); la linea dei fianchi è ricavata dalla battitura di intrusioni affioranti di quarzite, per cui, in certo modo, sembra che la forma stessa delle fratture abbia potuto “suggerire” o “rammentare” come è evidente in molti altri casi, l’idea della figura e fare poi da supporto alla sua realizzazione. Elementi caratterizzanti sono la sagoma circolare del volto, la serie di linee parallele sul torace, una coppia di cerchi sul petto ad indicare i seni ed un cerchio con coppella centrale all’altezza del sesso (se di sesso femminile si tratta, con la stessa valenza potrebbero forse essere interpretati gli altri dieci segni analoghi disposti attorno alla figura, così come gli altri dello stesso tipo, caratteristici dello stile II). Si è molto discusso sull’attribuzione al Tardo Neolitico proposta da Anati per il complesso dell’idolo; complesso che include anche i cosidetti “mascheroni” o figure idoliformi. A mio avviso la collocazione è nella fase di passaggio fra Neolitico finale e CalcoliticoI (fine IV Mill – inizioIII ) considera la presenza concomitante di simboli e caratteri intermedi fra gli stli II e III A: in ambedue le fasi si da risalto alla figura femminile; alcuni elementi, specie le sagome circolari e le grosse coppelle, sono peculiari dello stile II (sulla stessa superficie, a poca distanza, vi è una seconda figura femminile orante associata ad un cerchio con coppellina centrale),mentre il gigantismo, la stretta interconnessione delle parti della composizione, la forma “a sacco” per richiamare la struttura del corpo umano (come nelle statue stele) e la presenza di linee parallele (semplici o a “volta” nelle composizioni monumentali), di figurazioni mappiformi e quadrangolari (Massi di Bagnolo I e Borno I) e di coppie di cerchi (capitello dei due pini, R.30 di Foppe di Nadro, Steli Valtellinesi) sono caratteristici dello stile III A. Tutto indica quindi, anche senza ricorrere ai pur chiari paralleli esterni (steli “femminili” della Lunigiana, della Francia meridionale e dell’Alto Adige, o i più remoti esempi neolitici balcanici di Lepensky Vir o quelli più recenti del riparo Gaban nel Trentino), che siamo di fronte ad un’istoriazione che funge da cerniera fra i due modi concettuali. La presenza dell’Idolo a Carpene fa comunque di quest’area una delle più antiche per frequentazione e speciale per l’unicità iconografica. La quarta scena, sulla R I di Pia d’Ort (zona IV), - Scena della “Casa del fabbro”: presenta un’immagine di particolare interesse nel progetto, collegandosi direttamente con il mondo minerario, il testimone più antico nell’arte rupestre camuna, che ben collega con l’area di Carona, cui è probabile possa riferirsi. La singolare immagine di capanna del periodo di influsso celtico raffigura, molto probabilmente, un’officina per la lavorazione del ferro e potrebbe collegarsi con l’attività di estrazione di minerale della vicina località Carona e delle zone alte di Pescarzo: un’analisi svolta sui testi ed in collaborazione con alcuni maestri fabbri della “Valle dei Magli” di Bienno supporta la tesi. La linea che da sinistra scende verso la costruzione può rappresentare un canale per convogliare l’acqua verso una struttura (condotta forzata in legno e camera di compressione, la “Tina de l’ora”) per l’insufflamento ad aria del forno, raffigurato nell’angolo interno, cui si collega attraverso la linea di tubazione che parte dalla stessa struttura esterna. La tavola schematizza la stuttura e il funzionamento della “Tina de l’ora” in funzione sino agli anni settanta nelle fucine di Bienno; le somiglianze nella disposizione e nella strutturazione con l’esmpio protostorico sono staordinarie: il canale d’adduazione posto in alto, all’altezza del tetto; il complesso della condutture della camera della supposta “Tina de l’ora” a ridosso della parete del forno; la tubazione che in basso congiunge le 2 perti, attraverso la parete stessa e persino la forma dell’officina a stanza unica e del tetto, a Bienno espressamente indicato a falde di pendenza poco accentuate. Questo sistema di aereazione del forno è semplice ma ingenioso e nulla esclude quindi che possa essere stato un’acquisizione di quei grandi artigiani metallurgi che furono i Celti. E’probabile inoltre che la figura sul lato esterno rappresenti un maglio presentato sul fianco; ad indicarlo con chiarezza manca l’immagine della ruota azionata ad acqua mentre su piano stilistico la figura non può rappresentare un guerrieroin quanto nell’epoca la figura umanaè resa in modo molto diverso, come nel caso dell’antropomorfo istoriato all’interno dell’officina. Questi è indiziato di essere il fabbro con una lunga veste, decorata a croce e con uno strano strumento in mano in cui si potrebbe vedere un attizzatoio o una tenaglia. Ricordo che i fabbti nell’antichità sono stati a lungo considerati come dei “maghi” e come tali temuti e rispettati: il sentimento di questo status di privilegio è forse espresso nella suggestiva immagine rupestre, senza eguali in Europa. Queste le scene di maggior richiamo di copertina turistica, quelle che da sole possono stimolare una visita e che vanno valorizzate, messe in prima evidenza nella cartellonistica, nei depliant, pubblicazzazioni, sito internet ed altri canali. Ma ci sono numerose altre scene rupestri interessanti sia per gli specialisti che per il pubblico medio; queste, presenti in ognuna delle 4 zone, dovrebbero esser presentate, primo per i valori simbolici, storici e/o estetici che esprimono, secondo per dare completezza e caratura Alle stesse scene primarie. Nel progetto verranno indicate una ad una nel quadro degli itinerari I A, B e C ( I e II Zona) e II A e B (III e IV Zona). La descrizione in dettaglio dei caratteri delle scene, già ben conosciute da specialisti e appassionati, pemette di apprezzare i valori e le potenzialità della loro presentazione al pubblico. Ma ci dev’essere inanzitutto piene coscienza in chi promuove questo patrimonio che esso è realmente di alta caratura culturalee tale convinzione dovrebbe prioritariamente essere trasmesse agli operatoried i residenti.